Rivista Anarchica Online
Viva la squola
di Franco Garnero
Ahimé, sono insegnante! Per nove mesi all'anno subisco umiliazioni e frustrazioni d'ogni sorta:
sono laureato a pieni voti in lingue, ho trascorso, per perfezionarmi, quattro lunghi periodi di studio
in Gran Bretagna e negli Stati Uniti; ma, per avere la possibilità di mangiare tutti i giorni un tozzo
di pane e un pezzo di cacio, ho dovuto attendere la compassione di un preside che, sfidando commi
e lemmi, mi ha offerto una minicattedra di dieci ore settimanali di educazione musicale in una
scuola media del peggior ghetto della mia città. Io, naturalmente, ho accettato, e a Natale gli ho
anche fatto un bel regalo. Quindi, grazie al fatto che, anni fa, nei campeggi di montagna, tentavo disperatamente di caricare
qualche ragazza suonando la chitarra, con disastrosi effetti erotico-musicali, sono riuscito a
sfamarmi e a sopravvivere per un anno ancora, facendo ascoltare Vivaldi e illustrando le differenze
che sussistono fra il controfagotto e l'ottavino. La prima cosa che si deve fare, quando si entra nel mondo della scuola, è imparare la propria
qualifica o posizione, in modo da poter accedere ai vari corsi, concorsi e ricorsi riservati alla
propria categoria. Distratto come sempre, ho però subito intuito che tra tutte, la mia era la peggiore,
perché ero fuorilegge, quindi disperato. Potevo solo tacere e guardare dal di fuori i beni esposti in
vetrina, come fanno i barboni a Natale, davanti alle salumerie, che fanno proprio schifo (i barboni,
non le salumerie!), perché gli cola anche la bava dalla bocca sulla barba (da cui si dicono barboni).
Dovevo quindi tacere, e rodermi d'invidia per tutti i colleghi in qualche modo omologati che,
zucconi come zucche e fagnani come fagiani (si veda in proposito il saggio del noto etologo
Konrad Morris «La giornata lavorativa del fagiano bigio», dove si sostiene che le simpatiche
bestiole sono assolutamente inadatte a lavorare alla catena di montaggio), andavano a scuola un
giorno sì e un mese no, e potevano tranquillamente approfittare dello sfascio del terziario e
aspettare con calma la leggina che prima o poi avrebbe sistemato anche loro. La mia rivincita arriva però a luglio, in occasione degli esami di maturità, quando, grazie alla
poltroneria dei docenti incaricati, posso finalmente lavorare adoperando le mie conoscenze. L'anno
scorso mi hanno nominato commissario di Tedesco, quest'anno d'Inglese. Un mio amico, noto romanziere, molto acuto e con un adeguato senso dell'umorismo, anch'egli
professore, attualmente prepensionato di lusso, ha definito i sei membri che compongono la
commissione per gli esami di maturità i «Sei personaggi in cerca d'autore», e mai definizione fu più
azzeccata. Io posso rispettosamente aggiungere che nessun «Bestiario di zoologia fantastica» potrà
mai competere con l'ineguagliabile capacità dei vari provveditorati nello scegliere i tipi più
dissennati e costringerli a vivere e a lavorare insieme per un mese, stabilendo come condizione per
essere nominati commissari, l'incompatibilità di carattere degli stessi con il mondo intero. Se i vari
membri sono nati a più di trenta chilometri l'uno dall'altro, l'interprete è indispensabile, il
neurochirurgo un po' meno, ma è bene avere sempre a portata di mano il numero di telefono di uno
psichiatra, di un consulente legale e di almeno tre sciamani. L'anno scorso è andato tutto bene, ed
era l'eccezione; quest'anno s'è confermata la regola. A prescindere dai tratti somatici dei miei colleghi, che ricordano molto da vicino quelli degli attori
che recitano nelle primissime scene di «2001 Odissea nello spazio» (per intenderci, quelle dedicate
all'alba dell'uomo), non era rassicurante nemmeno la loro capacità di organizzare un discorso e di
stare seduti composti; anzi, queste capacità erano di molto inferiori a quelle del protagonista del
racconto di Daniel Keyes «Fiori per Algernon», il quale fa le gare d'intelligenza con il topo
Algernon e perde sempre. Eravamo in sei, dalle più diverse parti d'Italia. Li accomunava una sola
parola d'ordine: promuovere a qualunque costo, per coprire i ragazzi gnocchi, per coprire gli errori
della riforma scolastica, per coprire l'ignoranza e l'accidia (wow!) dei colleghi, e alcuni, e non è una
battuta, anche per coprire le spese dell'affitto e delle imminenti vacanze al mare. Nelle prove scritte come in quelle orali i candidati le sparano grossissime, non solo i «privatisti» o i
«seralisti», che sono peggio degli altri in progressione geometrica, ma anche i regolari, quelli che
non hanno nient'altro da fare. Studiare il meno possibile e tentare la sorte agli esami è però un loro
irrinunciabile diritto, come è un diritto del prigioniero tentare la fuga (immagini di «Papillon» sullo
sfondo). Non è però consentito ai custodi dimenticare le porte delle gabbie aperte, come non è
giusto che gli insegnanti, così come i loro diretti superiori, facilitino e favoriscano questo
abbruttimento delle nostre scuole (ahi!). Potrei farvi ridere per quattro cartelle almeno, riferendo perle (pregasi notare la sinestesia), tutte
viste con i miei occhi, come quelle del candidato che traduce «io feci» col francese «je merde», o di
quell'altro che considera contemporanei Dante e Manzoni, o infine di quell'altro che, alla disperata,
tenta di impietosire il settore femminile della commissione con strazianti referti medici sulla madre
morente in ospedale, e viene interrotto proprio dalla madre che gli porta non solo i documenti che il
disgraziato aveva dimenticato a casa, ma anche un panino con la marmellata, perché gli esami sono
così faticosi! Preferisco però occupare lo spazio che mi rimane parlando dei docenti, tra i maggiori
responsabili di questo sfascio. Io, agli esami, sono severissimo e crudele, sia per scelta sia per vocazione. Per vocazione perché
sono sadico e mi piace il male, e per scelta perché è mia intenzione equilibrare il comportamento
dei colleghi. Quando, sfinito da queste sciocchezze, ho fatto notare che quando il candidato
affermava che Manzoni aveva «nazionalizzato» la lingua italiana e che il «Cinque Maggio» e
1'«Adelchi» erano bellissimi romanzi, aveva forse un tantino esagerato, i colleghi hanno sbuffato
spazientiti e il presidente mi ha invitato a «non dar troppo peso a queste sottigliezze». Gli
insegnanti fanno parte della categoria più sfaticata, ignorante ed irresponsabile; hanno assorbito
indiscriminatamente e scelleratamente le demagogiche parole d'ordine della loro gioventù, ora
ripetitivamente adoperate per occultare la propria pigrizia e inettitudine. Con il loro assenteismo, i
privilegi e le loro liti da postribolo, contribuiscono in maniera determinante alla «normalizzazione»
e all'abbassamento del livello medio della nostra scuola (sullo sfondo immagini dell'Armata Rossa
in parata, con sottofondo di tetra marcia militare). La lotta al nozionismo e allo studio mnemonico,
non del tutto errata, ha prodotto studenti non più in grado di leggere il proprio nome o di firmare e
il permissivismo dei loro docenti li ha resi non solo ignoranti, ma anche totalmente inadeguati alla
vita, sia quella che attualmente ci è data, sia quella che verrà, quando sarà sorto il sol dell'avvenire
(la pellicola a questo punto si spezza, buio sullo schermo e luci in sala). Le novità di quest'anno? Dopo due mesi di insonne attesa, una preside, come sempre pietosa, mi
propone, causa frattura al ginocchio della titolare, una supplenza annuale di tedesco nelle medie
inferiori; io gioisco, accetto, ringrazio e mi precipito, per scoprire che, purtroppo, trattasi solo di
distorsione e che quindi la supplenza è di tre giorni solamente. La preside, per placare la mia ira e
la mia fame, mi propone una supplenza temporanea (cioè da un giorno ad un anno, secondo la
volontà della Provvidenza) di una cattedra ad orario completo, di sostegno per i bambini
handicappati; sono in quattro: il primo ha fatto la meningite, il secondo l'encefalite, il terzo è
completamente sordo, il quarto non si sa bene cos'abbia. Volete sapere cos'ho fatto? Come sempre ho accettato, ho ringraziato, e mi sono messo ad aspettare il ventisette.
P.S. Quanto avete letto è solamente frutto della fantasia. Ogni riferimento a fatti, persone, cose o
animali reali è da ritenersi puramente casuale. Tuttavia non mi scuso con quanti, tra i miei supposti
colleghi, si riconosceranno in queste pagine.
|