Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 12 nr. 106
dicembre 1982 - gennaio 1983


Rivista Anarchica Online

Scarcerato Babar
a cura della Redazione

Dopo quasi cinque mesi di detenzione nel carcere di Mokotow, a Varsavia, l'anarchico belga Roger Noël «Babar» è stato processato e condannato a tre anni di carcere annullabili dal pagamento di una pesante cauzione. La cauzione è stata subito pagata e quindi Babar, il 26 novembre, ha potuto finalmente far rientro a Bruxelles. Pochi giorni prima i suoi compagni del Gruppo autonomo libertario e dell'Associazione «22 marzo» avevano organizzato nella capitale belga un concerto di solidarietà con Babar, protagonista il cantautore anarchicofrancese Leo Ferré.
Come si ricorderà, Babar era stato arrestato la sera del 2 luglio mentre stava per consegnare ad elementi del dissenso polacco una radio-trasmittente, che era riuscito a portare con sé da Bruxelles camuffandola come apparecchio per la misurazione del tasso d'ossigenazione del sangue. Egli era infatti partito dal Belgio alla guida di un furgoncino carico di medicinali. In sostegno con la sua azione di solidarietà internazionalista - ben chiarita nello stralcio dalla sua lunga «lettera aperta agli amici della libertà» scritta in ottobre dal carcere (e pubblicata integralmente sul n. 46 del Bollettino dell'Associazione «22 marzo») che pubblichiamo qui di seguito - si è sviluppata una campagna di solidarietà che in Belgio ha coinvolto molte forze politiche e sociali. Anche all'estero si sono avute iniziative di solidarietà.

I motivi che mi hanno spinto a lottare a fianco dei compagni di Radio Solidarnosc sono semplici. Avendo io stesso conosciuto il periodo (molto meno pericoloso) della lotta illegale in Belgio, conosco il valore di un aiuto esterno. La mia coscienza mi impediva di lavorare nella radio locale a Bruxelles, sprofondato nella mia poltrona, sapendo che a soli 1.000 chilometri di distanza vi erano persone che rischiavano la prigione per lo stesso ideale. Aldilà delle vane parole che venivano riversate sul cadavere di Solidarnosc, in vari ambienti politici, sentivo il bisogno di andare oltre le parole e di mettere in pratica la mia solidarietà. Bakunin scriveva «non posso essere libero finché vi sia un individuo che non lo è».
Questo principio è stato fondamentale durante la mia vita. Non ho mai avuto l'intenzione di diventare un martire per il sindacato polacco, ma le riunioni collettive, le manifestazioni e le feste di solidarietà a Bruxelles non potevano bastarmi. Il mio obiettivo non era presuntuoso. Intendevo semplicemente aiutare, con i deboli mezzi in mio potere, un movimento autogestionario, schiacciato sotto i colpi militari, ma non ancora abbattuto. Dai primi interrogatori la polizia polacca ha cercato di cucirmi addosso un abito che non mi si addice per nulla. Da agente del ministro degli affari esteri belga a quello di intermediario ad alto livello di una rete internazionale che riunisce i settori interni ed in esilio del sindacato, i militari non possono concepire che avrai potuto agire di mia iniziativa e senza l'ordine di nessuno. I luogotenenti dell'ideologia comunista non possono concepire che un lavoratore belga possa fare un gesto di internazionalismo concreto verso i suoi compagni polacchi.
Non sono mai stato membro di Solidarnosc, né qui né altrove, sono sempre stato un collaboratore esterno, le mie critiche libertarie verso il sindacato sono ben conosciute dai miei amici e non credo che sia questo il momento di spiegarlo. Ma sia ben chiaro, io non sono l'agente di nessuno. Gli atti di solidarietà individuale esisteranno sempre, anche e soprattutto quando se ne collettivizza lo spirito. L'impegno personale e concreto si manifesteranno malgrado l'obiettività delle buone coscienze. Quando un uomo è schiacciato a terra dal suo boia, niente è peggio della neutralità.
Durante tutta la fase istruttoria ho avuto la sgradevole impressione che le autorità polacche non fossero per nulla daccordo fra loro sulla mia sorte, per questo le promesse si sono succedute una all'altra senza sboccare in nulla di concreto. Promesse di liberazione su cauzione a fine agosto, poi inizio settembre, poi fine settembre, poi inizio ottobre ... fino a quando il Procuratore incaricato dell'inchiesta mi dava per certo verso il 25 settembre che ora mi «era cosa di giorni». Oltre la tradizionale tattica poliziesca (dicci tutto e penseremo noi a sistemare le cose), penso che si tratti soprattutto di un disaccordo a più alti livelli politici polacchi sul possibile uso strumentale del mio arresto. Stando alle ultime notizie, sembra che ormai la scelta del processo si sia imposta. L'analisi che segue è al condizionale, dato che non possiedo nessuna informazione benché debole che ne garantisca l'esattezza.
Due tendenze si sarebbero affrontate fino ad arrivare a questa decisione (indubbiamente avvenuta il 1° ottobre). Il Ministro degli interni (MSW) riteneva i 3 mesi di carcere e il pagamento di una cauzione, una pena sufficientemente dissuasiva. Dal canto suo, invece, la procura generale (giustizia militare) giudicava indispensabile una condanna formale dopo la comparsa davanti alla corte militare. Quest'ultima opzione merita un discorso più approfondito.
E' evidente che il mio processo è principalmente destinato a un utilizzo pubblico e di propaganda. Ciò che è meno evidente, di primo acchito, è che non è direttamente la società polacca ad essere presa di mira con questa operazione. Certamente la sentenza del tribunale permetterà di riaffermare di fronte alla popolazione l'autorità dello stato ma ... è il segreto di Pulcinella che numerosi turisti venuti dall'Ovest forniscono (a titolo individuale) un aiuto logistico indispensabile a «Solidarnosc» (materiale da stampa, carta, inchiostro, pubblicazioni .. .) e fanno sì che al loro ritorno si abbiano informazioni sulla situazione reale in Polonia. E saranno questi il bersaglio al mio processo. Fare un esempio per intimidire ed esportare la paura aldilà delle frontiere sarà il movente dello spettacolo giudiziario. I militari vorranno tramite la mia persona frenare l'aiuto ai lavoratori polacchi.
Non lasciatevi quindi paralizzare, la vostra perseveranza in un aiuto concreto (morale e sociale) a «Solidarnosc» sarà, in definitiva, il vero giudizio. Qualunque sia la sentenza, non lasciate scalfire il vostro coraggio e la vostra coscienza che vi spingono a sostenere concretamente la speranza autogestionaria della società polacca. ( .. .)