Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 12 nr. 100
aprile 1982


Rivista Anarchica Online

Errico Malatesta - Sessant'anni di lotte
a cura della Redazione

A Malatesta abbiamo voluto dedicare, nel cinquantenario della morte, un servizio a più voci, unite dalla volontà di non fare una sterile commemorazione ma di contribuire all'estensione e all'approfondimento degli studi su questa gigantesca figura di statura internazionale.
Allo storico Vincenzo Mantovani (che, nel suo "Mazurka Blu" ha ritrovato e ben inquadrato la figura di Malatesta, al culmine del suo impegno rivoluzionario durante il biennio rosso) abbiamo chiesto di ricostruire un momento specifico della vita di Malatesta. E Mantovani, rivisitando la sua fuga da Lampedusa nel 1899, ci offre uno spaccato di quell'epoca, un episodio tra i mille della sua vita avventurosa.
Nel suo saggio, Nico Berti esamina l'insieme dell'esperienza e della produzione teorica malatestiana, cogliendone le ragioni di fondo della perdurante - e per certi aspetti insuperabile - attualità.
Maurizio Antonioli, uno storico che si è occupato negli ultimi anni soprattutto delle vicende del sindacalismo (rivoluzionario, in particolare) fino agli anni '20, analizza l'atteggiamento di Malatesta nei confronti della "questione operaia" ed in particolare delle modalità organizzative e del ruolo dell'organizzazione operaia. Temi, questi, tutt'altro che "superati", sui quali il pensiero di Malatesta offre, pur nelle profondamente mutate condizioni storiche, notevoli spunti di riflessione.
A Gino Cerrito, che di Malatesta ha curato - tra l'altro - una valide edizione di Scritti scelti uscita nel '70 e più volte ristampata, abbiamo posto due domande sul ruolo del rivoluzionario campano, ai suoi tempi e successivamente. Nella sua risposta Cerrito affronta criticamente "l'eredità" del patrimonio teorico malatestiano, indicandone - a suo avviso - alcuni limiti ma soprattutto segnalando quei filoni che oggi meriterebbero di essere ripresi e portati a nuovi sviluppi.
Ad Enzo Santarelli, uno storico marxista (del P.C.I.) che ha scritto in termini anche molto duri dell' (e contro l') anarchismo, abbiamo chiesto un contributo a questo servizio sull'attualità di Malatesta. E Santarelli ci ha inviato un contributo che per tanti aspetti non condividiamo ma che pubblichiamo ben volentieri: spesso, infatti, ci pare che ci si sia chiusi a riccio sul nostro patrimonio, rinunciando a quei confronti con gli "avversari" che, se condotti sul piano della correttezza e di un approccio non-dogmatico, possono risultare utili, soprattutto per chi ritenga l'anarchismo un patrimonio non tanto da "difendere", quanto da sviluppare ed arricchire.
Un contributo decisamente originale viene infine dal lontano Giappone: la compagna Misato Toda che alcuni ricorderanno per aver fatto una comunicazione alla "Conferenza internazionale di studi bakuniniani" a Venezia nel '76 racconta come, da un suo primo occasionale incontro con un opuscolo (in giapponese) di Malatesta undici anni fa, sia nato il profondo interesse suo (e di altri) per un uomo che pure mai ha messo piede sulla sua terra, che mai è venuto a contatto con il suo mondo, ma di cui pure l'ha colpita, al di là della stessa affinità di pensiero, la statura etica ed umana. È uno scritto che va inquadrato nella cultura da cui proviene, così diversa dalla nostra occidentale.
Concludono il servizio due articoli scritti da Errico Malatesta nel 1900 ("L'attentato di Monza") e nel 1913 ("I banditi rossi"): il primo si riferisce al regicidio compiuto da Gaetano Bresci a Monza il 29 luglio 1900, il secondo alle vicende della "banda Bonnot".

Nemmeno le tre biografie finora pubblicate, nonostante siano state scritte da militanti anarchici che pure lo conobbero di persona e gli furono per diverso periodo contemporanei (Max Nettlau, Luigi Fabbri e Armando Borghi), nemmeno queste biografie - dicevamo - possono essere giudicate sufficienti nel ricostruire, anche "quantitativamente", la vita davvero avventurosa e a tratti leggendaria di Errico Malatesta. Una vita, la sua, che ha coinciso con il primo sessantennio di lotte del movimento operaio e socialista internazionale: nella sua epoca Malatesta è stato protagonista come nessun altro di tante vicende, di tante lotte, di tante rivoluzioni. Non solo in Italia, dal momento che dalla Romania all'Argentina, dagli Stati Uniti all'Egitto, da Cuba alla Spagna, Malatesta è stato un po' dappertutto: e ovunque ha lasciato, piccolo o grande che sia, il segno della sua presenza costruttiva, così come ovunque ha subito, in varia misura, le delizie repressive del potere (arresti, provocazioni, espulsioni, carcere, ecc.).
Ancora oggi, in campo storiografico, si lamenta l'assenza di una vera biografia che, cercando di ricostruirne fedelmente la vita, ce ne restituisca appieno la dimensione umana e militante. Figuriamoci, dunque, quale forzato schematismo non possa che caratterizzare queste brevi note biografiche, che pure ci pare utile premettere all'intero servizio.
Nato il 14 febbraio 1853 a Santa Maria Capua Vetere (Caserta) da una ricca famiglia, Errico Malatesta partecipa, ancora giovanissimo, all'attività dei gruppi mazziniani. All'indomani della comune di Parigi (marzo '71) aderisce alla Prima Internazionale, della cui sezione italiana è uno dei fondatori (settembre '71) e dei protagonisti. Con Costa e Cafiero è tra i promotori dei falliti moti bakuninisti del '74 a Bologna e altrove. Arrestato, viene scarcerato nel '76. In un periodo di dura repressione, tesse le fila dellIinternazionale. Nel '77 è tra i protagonisti della sfortunata, ma significativa esperienza della Banda del Matese: dopo un periodo trascorso in carcere, al processo Malatesta chiarisce i termini della sua volontà di lotta, respingendo qualsiasi accusa di violenza gratuita. Gli imputati vengono assolti e poi acclamati dalla folla che li aspetta fuori del tribunale. Costretto comunque ad emigrare, svolge la sua attività in numerosi paesi europei: è di questi anni la dura polemica chiarificatrice con Andrea Costa che, primo della serie, abbandona l'anarchismo rivoluzionario per la via legalitaria del socialismo democratico. Nell'83 è di nuovo in Italia, ma l'anno successivo una condanna per cospirazione ne tronca l'opera di riorganizzazione e lo costringe nuovamente in esilio. Questa volta va in Argentina, con altri compagni, per cercare l'oro nella Terra del Fuoco, per venir così incontro alle necessità materiali della propaganda e dell'azione rivoluzionaria. Anche in Argentina, dove resta ben 5 anni, svolge una notevole attività tra i lavoratori, contribuendo - tra l'altro - a porre le premesse su cui sorgerà la FORA, una grossa organizzazione operaia di ispirazione anarcosindacalista. Nel 1889 è di nuovo in Europa, nel '91 partecipa al congresso di Capolago in cui si decide di dare nuovo impulso unitario alla preparazione rivoluzionaria in Italia, e negli anni successivi lo si ritrova in Spagna, Francia, Belgio, ecc., ovunque partecipe a movimenti insurrezionali, ovunque braccato dalle polizie. Di fronte ad alcuni episodi di violenza individuale attuati da anarchici (o, a volte, sedicenti tali), Malatesta precisa in questi anni il suo pensiero: in netto contrasto con le tendenze esasperatamente individualistiche, Malatesta afferma la necessità di partecipare alle lotte del movimento operaio e di avere, in quanto anarchici, una visione organizzata del movimento. Sono queste le direttrici della sua azione, clandestinamente svolta in Italia nel '97, fino al suo arresto nel gennaio '98 ad Ancona. Processato per "associazione a delinquere", difende il diritto dei sovversivi ad organizzarsi. Subisce una lieve condanna, riprende la lotta, ma pochi mesi dopo - scoppiati i moti popolari - viene mandato al domicilio coatto a Ustica, poi a Lampedusa. Da qui evade nel maggio '99, passa in Tunisia, in Inghilterra e sbarca negli Stati Uniti, dove svolge un'intensa attività soprattutto tra la foltissima colonia di emigrati anarchici italiani. Si reca a Cuba, rientra a Londra e vi rimane per ben 13 anni, con qualche puntata all'estero (nel 1907, tra l'altro, è tra i protagonisti del Congresso internazionale anarchico di Amsterdam). Nel '13 è di nuovo in Italia, a svolgere un'intensa agitazione rivoluzionaria (comizi, giornali, conferenze, ecc.) che sfocia poi, nel giugno '14, nella Settimana Rossa. Per sfuggire ad un mandato di cattura, ripara all'estero e resta a Londra fino al '19. Di fronte alla guerra mondiale Malatesta polemizza con gli anarchici interventisti. Partecipa da Londra all'entusiasmo per la Rivoluzione Russa, ma è tra i primi a denunciare il ruolo dittatoriale dei bolscevichi. Impossibilitato a rientrare legalmente in Italia, a causa del mandato di cattura del '14 (in realtà estinto da una generale amnistia), Malatesta vi sbarca clandestinamente nel dicembre '19 e fino all'autunno dell'anno dopo è certamente il protagonista (con tutto il movimento anarchico e sovversivo in genere) della fase montante del biennio rosso. È il periodo di Umanità Nova quotidiano anarchico (è lui a dirigerlo), di centinaia di comizi e conferenze, delle polemiche con socialisti e repubblicani, del Congresso di Bologna dell'Unione Anarchica Italiana (luglio '20). Il tutto culmina con il moto dell'occupazione delle fabbriche, presto rientrato anche per l'opera di pompieraggio svolta dai riformisti. Il vento comincia a cambiare verso, e Malatesta, con altri compagni, è arrestato un mese dopo il fallimento di quel moto: associazione sovversiva, ecc.. Nel marzo '21 attua lo sciopero della fame in carcere, per ottenere la fissazione del processo: il tragico attentato del Diana, che avrebbe voluto sostenere la sua protesta, lo induce invece a smettere. Al processo, a luglio, viene assolto. Si trasferisce a Roma, dove nel frattempo è stata portata da Milano la redazione del quotidiano. Malatesta è per la lotta violenta contro la violenza dei fascisti (appoggiati dalle istituzioni), ma la posizione degli anarchici è minoritaria nella sinistra. Anche dopo la marcia su Roma, Malatesta - che, settantenne, vive del suo lavoro di elettricista - non demorde e sfrutta tutte le possibilità per far sentire la voce del movimento: dal '24 al '26 esce, tra difficoltà e sequestri, Pensiero e Volontà. Il fascismo non lo fa arrestare, per poter sostenere che in Italia c'è libertà, se perfino l'anarchico Malatesta è "libero". In realtà intorno a lui viene steso un cordone repressivo: chiunque lo va a trovare viene schedato e spesso arrestato, lui stesso non può quasi spostarsi. Quando l'attività pubblica è del tutto impedita, continua quella clandestina, a dispetto della repressione. Ormai vecchio e ammalato si spegne il 22 luglio 1932.