Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 11 nr. 95
ottobre 1981


Rivista Anarchica Online

L'utopia dell'inconscio
di Christian Descamps

Parlare dell'Utopia significa ammettere la possibilità di collocare ciò che è ritenuto fuori luogo ed è anche ritrovarsi immediatamente di fronte a due immaginari contraddittori. Da un lato la stirpe dei Grandi Regolatori, quelli terribili che conoscono la felicità, la salute o la giustizia degli altri, per gli altri. E non è nemmeno certo che fra l'autoritario Platone ed il "libertario" Fourier ci sia una differenza così grande come ha fatto credere la tradizione....
Ma il luogo altro ha un altro senso, quello della lotta contro il presente, contro i tempi prefissati. È da questa dissidenza utopica che noi vorremmo partire, partendo dalla lotta contro l'Uno (usando l'espressione di Pierre Clastres).
Totem e Tabu è l'assassinio di Un padre. Si è finora molto insistito sul padre: sarebbe ora di insistere invece sull'Uno, perché questo Uno è anche quello del monoteismo, la sola religione presa in considerazione al contempo dal pensiero e dalle iscrizioni materiali dell'Occidente. Marx, fedele a Hegel su questo punto come su altri, considera il cristianesimo come l'essenza della religione. Ne "l'essenza del Cristianesimo e il suo destino" e nelle "Lezioni sulla filosofia" Hegel è chiaro: la religione assoluta è quella della verità. Il vero è il suo contenuto, solo lei lo possiede, conosce il vero e Dio quale esso è (...). Il suo contenuto è la verità stessa in sé e per sé ed essa non è altro che l'apparizione infinita di Dio (...). Così la religione cristiana è anche la riconciliazione del mondo con Dio che si dice abbia riconciliato il mondo con sé.
Lo Stato/Uno si dovrà sostituire a Cristo. Marx, nella sua critica dello stato e hegeliano, resta fedele allo stesso schema: Da un certo punto di vista, la relazione fra la democrazia e tutte le altre forme politiche è la stessa che intercorre tra il cristianesimo e tutte le altre religioni. Il cristianesimo è la religione per eccellenza: esso presenta l'essenza della religione, in altre parole l'uomo deificato sotto le forme di una religione particolare.
Per Hegel e per Marx la religione cristiana è al tempo stesso la più perfetta e l'ultima. Che essa sia l'ultima, è evidente; che essa sia la più perfetta invece non è per niente scontato per chi mette in discussione l'Uno, per chi si ritiene pagano o politeista. Poiché l'assassinio dell'Uno, la sua soppressione violenta possono anche provocare la sostituzione "dell'lorda paterna con una comunità fraterna".
Vorrei qui indicare due prospettive: ricercare il terreno sul quale lo stato pretende legittimare la sua forza, opponendogli il funzionamento reale della società civile, ma anche ricercare la folle potenza dell'inconscio, il suo disordine libidinoso, che stravolge ogni ordine e ogni circolazione regolamentata.
La dissidenza utopica non è una categoria, è un fare: un fare che implica un percorso altro, un percorso non definibile. Nei paesi dell'Est, sono le polizie che fanno di me un dissidente: la dissidenza non si autoproclama come tale. Essa è linea di resistenza ed è una linea che può variare nei suoi percorsi. Anche Solgenitsin non fu considerato un dissidente prima della pubblicazione delle sue opere. Ma ciò che lo ha reso un dissidente è che egli non ha rifiutato il Gulag (come altri non hanno rifiutato le carceri venezuelane), ma che egli vi ha lottato contro: il dissidente non partecipa all'illusione filosofica della confutazione dell'errore. La mostruosità statale non si rifiuta filosoficamente. Lo diceva anche Lacan, rispondendo agli studenti di filosofia nel numero 3 dei "Cahiers pour l'analyse": la psicanalisi non deve render conto alla filosofia dell'errore filosofico, come se la filosofia, segnalato l'errore, se ne dovesse render conto. Essa non può arrivare a tanto perché già l'immaginarselo è proprio l'errore filosofico stesso.
Ma vi è un'altra cosa che mi sembra caratterizzi la dissidenza utopica: il rifiuto della paura. Hegel l'ha scelto come l'essenza della dominazione: paura che non è quella dell'al di là della morte o del futuro, ma paura della morte fisica, di quella "che dissolve nell'intimo, che fa tremare dal profondo di se stessi, che fa vacillare". È questa paura che produce l'adesione al "costituito". Questa paura, questo timor panico è lo stesso su cui si fonda la soppressione dei legami affettivi che assicuravano la coesione della massa" ("due folle convenzionali, la chiesa e l'esercito" in "Saggi di psicanalisi"). Questa paura, la paura dello scarto, la paura di dover scavare ogni volta più a fondo, è quella che il dissidente si trova ad affrontare. La forza utopica del debole si applica ogni volta a un nemico specifico: non il Nemico o la Legge in generale, ma quel nemico definito, quotidiano. Il dissidente non rifiuta, egli lotta. Lefort ci propone una figura libertaria di Solgenitsin de "L'arcipelago Gulag", nel suo "Un homme de trop". Certo Solgenitsin rispetta la legge, la tradizione, la terra, perfino Dio: ma come scrive Lefort l'attitudine libertaria non implica né esclude a priori alcuna credenza se non proprio quelle che richiedono adesione all'ordine stabilito, sottomissione all'autorità di fatto, confusione tra l'idea di legge (se questa manca non siamo più in presenza di un libertario ma di uno sballato) e le leggi empiriche che pretendono di incarnarla (...). Che essi (i libertari, i dissidenti) invochino un passato o un avvenire idealizzati e illusori, poco importa (...). Nel presente essi hanno un fiuto quasi animalesco per sentire le esche della schiavitù, essi vedono e parlano quando gli altri chiudono gli occhi e tacciono...
Noi vorremmo tentare di capire da dove origina la forza della dissidenza utopica, una forza capace di opporsi all'Egocrate e allo stato onnipotente che ha assorbito la società civile. Facciamola breve, per capirci. Il modello "socialista" si è imposto come ideologia della liberazione del Terzo Mondo dopo aver costruito i grandi fari accecanti che noi conosciamo: la dominazione capitalista invece non pretende di liberare. Qui l'entusiasmo per i territori del "socialismo" o l'euforia terzomondista hanno avuto buon gioco, ma questa illusione "va ancora per la maggiore nel Terzo Mondo: qui è ancora più forte questo modello che si basa su un misto di riforma agraria di nazionalizzazione dell'industria del commercio, di pianificazione, che di fatto risucchia la società civile. Questo modello pretende, almeno idealmente, di autocreare del capitale per lo sfruttamento del lavoro e per gli investimenti statali. Noi non confuteremo "questo modello". Noi vogliamo soltanto cercare di comprendere quanto della legittimazione dello stato trascendente vi sia nella nostra cultura. La storia universale non è il luogo della felicità: Hegel non aveva forse tragicamente ragione con la sua serietà, il suo dolore, la sua pazienza e il suo lavoro negativo? Perché Hegel? Perché egli ci interessa in quanto, scegliendo la forma compiuta dello stato, egli permette anche di comprendere ciò che gli resiste. Che cos'è lo stato? È la mediazione più generale, quella che comprende e supera tutte le altre: città/campagna, agricoltura/industria, sapere/produzione. Ma questo stato non si costruisce né si costituisce che sopra e con la società civile. Seguiamo i "Principi della filosofia del diritto". La società civile (che manca crudelmente a Mosca, a Santiago del Cile o a Pechino) implica che ciascuna persona particolare sia in relazione con la particolarità analoga di altri, in modo che ciascuno si affermi e si soddisfi tramite l'altro e sia al tempo stesso obbligato a passare attraverso la forma dell'universalità. Il fine egoistico fonda dunque un sistema di indipendenza reciproca in seno alla società civile.
Hegel chiama questo funzionamento il sistema dei bisogni, cioè la nostra economia. Produzione, ripartizione e consumo formano il sistema ma esso è contraddittorio, antagonistico. La corporazione è relativamente indipendente dallo stato. Le lotte sono necessarie, sintomo di salute: la loro sparizione provocherebbe la regressione nel magma unificatore, nella barbarie dell'Uno. Per Hegel la totalità del sistema si articola nella società dei bisogni, ma questa è dinamica, produttrice di conflitti e di ricchezze. Certamente Hegel pensa all'Uno futuro, ma il suo sistema è attraversato da contraddizioni tra individui, tra corporazioni, tra ricchi e poveri. L'umanità s'incammina - tramite la guerra tra l'altro - verso lo stato mondiale, ma in questa visione lo stato non schiaccerà più, e comunque non di meno, la società civile. Con fondate ragioni si è criticato lo stato hegeliano in nome tra l'altro del deperimento dello stato, ma senza sottolineare questo spazio di contraddizione che esso conservava verso la società civile. Si è troppo sbrigativamente letto Hegel come un pensatore di destra, egli era infatti una specie di monarchico "progressista", proprio lui che diceva che "in Oriente Uno è libero, che nel mondo greco alcuni sono liberi, che nel mondo germanico tutti saranno liberi". Perché è in questo spazio di contraddizione tra lo stato e la società civile che avranno luogo, che hanno ancora luogo le lotte che segnano e trasformano l'Occidente. È qui che si trova ancora la possibilità (la nostra possibilità?) di un agire politico.
I greci non conoscevano lo stato. Platone - lo si scorda troppo spesso oggi - è eterodosso in rapporto alla sua società. Per un cittadino del V secolo, la legge obbliga ugualmente i cittadini qualunque sia il loro posto nella società. Finley nel suo "Democrazia antica e democrazia moderna" mostra magistralmente come Platone, che propone di lasciare la politica agli esperti, si opponga alla pratica ateniese. Il secondo libro de "La repubblica" contiene il concetto di ciò che noi chiamiamo sovranità: in effetti il termine non esiste in greco. La filosofia platonica si fa utopica, la "teologia razionale" si sviluppa contro la vecchia "teologia mistica". In effetti il V secolo pratica l'isegoria, cioè il diritto di tutti di parlare all'Assemblea. Tutti, anche se non conoscevano esattamente la superficie e la demografia della Sicilia, decidono la spedizione. Ma parlare, servirsi del diritto d'isegoria, significa esporsi ad un rischio. Il popolo può riconsiderare una decisione presa dall'Assemblea.
L'Assemblea può condannare - e lo fece - colui che ha fatto adottare una proposta illegale. Ciascuno, dopo aver sacrificato un capro sacro, può proporre una legge, ma ciascuno può anche attaccare questa legge per empietà. Il conflitto è inscritto nella pratica greca, ma si tratta di conflitto tra individui. Non vi è alcuna traccia di trascendenza. Il quasi "stato greco" è immanente alla società. Atene è certamente definita da una legge, ma è una legge senza trascendenza statale. Di fatto, piuttosto di leggere un "quasi-Stato", bisognerebbe vedervi una lotta contro lo stato, leggere Atene come una forma di organizzazione anti-statale.
Roma conoscerà l'auctoritas, ma solo con San Paolo e con il concetto di Potestà comincia a costituirsi la possibilità di una legittimità trascendente dello stato. Il Dio unico è onnipotente: può tutto. Da lì trae origine la potenza dello stato moderno, la paura che esso ispira. Lo Stato diviene sovrano, sovrano è colui che può tutto. La potestà dello Stato che si vuole onnipotente, sarà limitata solo dall'esistenza di altri stati. Lo stato sovrano si sostituisce a Dio, diviene il Dio mortale.
Hobbes definì lo Stato come Dio mortale. Questo Dio mortale, la forma stato, assume la capacità di trasformare lo scisma in eresia. Qualunque sia il Dio del cielo, la forma Stato è Dio sulla terra, essa si oppone alla lotta selvaggia di tutti contro tutti. Questa potestà si fonda sull'idea di popolo. Quale Stato non si pretende Stato del popolo? Lo Stato-Nazione moderno - ben diverso dal governo - non può concepirsi senza potenza trascendente, sia essa divina che laica. Questo Stato, naturalmente, si fonda sul/nel popolo. Ma proprio per questo esso deve fondere il popolo in Un popolo.
Adamo Smith (in "Ricerche sulla natura e sulle cause della ricchezza delle nazioni") dà una forma canonica allo scambio, all'economia mercantile, eternizza i rapporti capitalisti di produzione. Nella sua visione la società civile è fondata sul contratto che unisce i proprietari dei loro corpi, che ne permette l'"uso libero". Questo contratto non è un contratto di spossessamento, ma un contratto che garantisce, anche se questa garanzia - come dimostrerà Marx - non è che la garanzia di qualcuno. Pertanto essa non è sufficiente per gli eredi di Locke. Sarà necessario costituire una potenza trascendente per garantire l'ordine. Così si costituisce e si legittima una polizia più scaltra dei ladri, tribunali per giudicare infrazioni al diritto naturale. Al popolo immanente, quello della società civile, si sostituisce una istanza trascendente che lo pensa, che lo mette in ordine; lo Stato si vede allora definito come tribunale e come forza armata. Il passaggio dall'economia alla trascendenza si traduce nella distinzione formale tra diritto privato e diritto pubblico. Ecco lo Stato "liberale"; i termidoriani realizzano la sintesi dello Stato del popolo e dello Stato di diritto, una sintesi tanto forte da far morire quelli che l'hanno attuata.
Michelet nella sua "Storia della Rivoluzione Francese" riferisce che i giacobini domandano a Robespierre - il 9 termidoro - di firmare un appello all'insurrezione. Egli comincia a firmare "con una scrittura lenta, con la mano appoggiata, egli scrisse tre lettere Rob... ma a questo punto la sua coscienza reclama. Getta la penna. Scrivi dunque, gli si diceva. Ma in nome di chi? Questa parola assicurerà la sua sconfitta".
Altri non avranno di questi scrupoli; presto si firmerà in nome della Rivoluzione, in nome della lotta contro lo Stato, contro il rafforzamento dello stato. Ma le grandi lotte del XVIII secolo si fecero intorno alla legge, intorno al diritto, intorno a ciò che vale e a ciò che non vale, ciò che è giusto nella ragione o nella natura. Nulla permette di giudicare queste lotte superate. Nel XVIII secolo qualche utopista conobbe i regi decreti, ma almeno esistevano decreti, in URSS o in Argentina non ci si prende più nemmeno questa pena....
I dissidenti riappaiono oggi non sotto la grande veste dell'intellettuale avvolto nella sua scienza, bensì sotto forme letterarie e molecolari. Gli esiliati dell'Est raggiungono altri esiliati che si chiamavano Baudelaire, Marx, Bakunin. Il problema del diritto naturale ha giocato e gioca ancora un ruolo decisivo. Il diritto soggettivo, che ieri faceva ancora sogghignare, è una qualità propria all'individuo (l'individuo è colui a cui non si può tagliare la testa, viene prima di qualunque legge). Questi diritti naturali esistono, non hanno bisogno di essere fondati. La giurisdizione positiva - che ha, invece, bisogno di essere fondata - non può essere contraria ad essi senza essere ingiusta. Questa protesta del diritto soggettivo è la protesta della società civile contro la gestione statale. Questa dissidenza è al di fuori di ogni sistema. Freud ci ricorda che l'inconscio è anch'esso al di fuori. La metapsicologia lo descrive come costituito da concetti e da quantità energetiche al di fuori del sistema in cui si dilatano e in cui giocano le energie. Leggere l'inconscio come fuori codice è sapere che non si può mai finirla con lui. Freud fino alla fine della sua vita continua a consacrare un'ora al giorno alla sua autoanalisi. Certo, dice Freud: La società non può vedere di buon occhio che noi mettiamo a nudo, senza alcun riguardo, i suoi difetti e i danni che essa causa. (In "Prospettive sul futuro della terapia analitica").
In effetti tener conto dell'inconscio, di questa spinta al dire, per utilizzare l'espressione di Leclaire, significa riconoscere la potenza sovversiva della psiche ma anche del corpo, di questo insieme di luoghi in cui l'ordine si rivela conflittuale ("Smascherare il reale"). Tener conto della devianza dell'inconscio significa molto più che farsi amatori di orgasmi, significa sapere che l'osservatore è lui stesso osservabile, fallibile. Nessuna scientificità può dissigillare questa posizione. Essa è intollerabile a tutti i positivismi come a tutti gli idealismi della riconciliazione che pretendono di colmare il punto vuoto in cui si ancora la psicanalisi. Le condizioni del senso, di ciò che vale, di ciò che raddrizza, non sono anteriori alla costituzione dell'ordine del mondo. Ma queste condizioni sfuggono sempre, esse sono perpetuamente inanalizzabili, in ogni caso non decomponibili. Il pulsionale resiste sempre. La dissidenza non nasce dal solo gioco concettuale, essa mette in gioco la forza del singolo. Queste singolarità non sono commutabili né cambiabili, esse sono com'è l'inconscio, ribelli a qualunque ordine. All'interpretazione che pretende sempre di fare ordine, di costruire tassonomie, l'inconscio resiste sempre.
L'ordine, lo Stato o i loro retorici, vogliono sempre classificare, bloccare, rendere statici, isolare. A queste insidie l'inconscio oppone le sue fughe, le sue condensazioni, i suoi giochi agrammaticali, visuali (che si avvicinano più ai processi inconsci che al pensiero verbale (Freud, "Saggi di psicanalisi").