Rivista Anarchica Online
Il maresciallo d'Estaing
di Nicolas
Che spettacolo impressionante quello di un paese in periodo elettorale! I meccanismi del potere
si precisano e si rivelano nella superficie agitata dell'immagine e del discorso, nella figura
gonfiata a dismisura dei tre o quattro candidati "credibili" osannati dalla miriade di sostenitori,
seguaci, comparse, pretendenti, aspiranti, che pullulano ai loro piedi. La posta in gioco, il premio
sperato, è il cambio della classe politica negli apparati statali, che occultano sempre più la vera
struttura del potere con il sistema cosiddetto rappresentativo. Un presidente eletto con suffragio
universale è un re eletto dal popolo, un principe reso ancor più nobile dai "sacri valori della
democrazia". Quanto attuali ritornano alla memoria le parole di Kropotkin: "e ci si
meraviglierebbe di vedere tutte le passioni messe in gioco, mentre si cerca un padrone da
investire di un tale potere!". Valery Giscard d'Estaing, forte di un potere personale notevole, accusato
dall'opposizione di
credersi un monarca e di inventarsi una genealogia nobiliare, in un clima da fine del regno, si
rivolge per radiotelevisione al popolo di Francia dal palazzo dell'Eliseo per avanzare la sua
candidatura per altri 7 anni: operazione di seduzione dal potere per conservare il potere. "Io vi
renderò il potere che voi mi avete affidato... intatto" e se vi fossero dubbi: "non ho mai pensato
che esso mi appartenesse io ho sempre saputo che apparteneva a voi...". Di che potere si tratta?
Del potere di eleggere un padrone, che pensi per voi, che decida per voi, che agisca per voi. E
questo potere vi sarà restituito per alcune ore. Permettetemi di non ripetere la critica del
cosiddetto suffragio universale: è evidente la contraddizione fra l'uguaglianza formale del voto
(un voto per ogni individuo) e la disuguaglianza reale delle ricchezze e del potere decisionale. Nel discorso di
Giscard, però, vi è molto di più. Io vi renderò il potere, d'accordo, però
attenzione! O me lo renderete allo stesso modo, oppure saranno il disordine e la decadenza. Nella
maggioranza di governo io sono l'unico che possa battere l'opposizione, dice il presidente della
repubblica: e se per vostra disgrazia darete un voto sbagliato, "ciascuno di voi può comprendere,
con un ragionamento semplice (non si può chiedere di più al popolo ignaro) che
sarà trascinato
di sicuro e suo malgrado verso una società che egli non vuole e verso una decadenza politica ed
economica di cui vediamo già esempi qua e là". E se volete un esempio in più
di questa paranoia che caratterizza i vertici del potere, guardate
come il comun mortale Valery tratta da pari a pari con "La Francia": "... durante i sette anni in
cui ho vegliato con la Francia (lui non veglia con sua moglie, bensì con la Francia!) ho
conosciuto i suoi problemi e le sue difficoltà; mi sono reso conto del suo avvenire, ho cercato e
compreso ciò di cui ha bisogno per essere forte, felice e fiera...".
Non possiamo fare di un uomo l'unico responsabile, quantunque egli sia il presidente. Sono le
istituzioni della V Repubblica, sotto le quali vive la Francia dal 1959, quelle che danno
l'impronta particolare di questo sistema politico, che accentra nelle mani del presidente notevoli
poteri, limitando quelli del parlamento. Lo stato giscardiano ha rimpiazzato l'apparato controllato
dal partito gollista e ciò provoca una lotta intestina tra due tendenze di destra, quella sedicente
"liberale" di Giscard e quella giacobina di Chirac. Il partito dell'attuale presidente tiene però le
redini dell'amministrazione, della giustizia e dei posti-chiave dell'economia. Grazie ad una
politica di apparente decentramento ma in realtà mettendo i propri amici al posto giusto, il
governo controlla l'informazione, soprattutto quella televisiva. Una campagna sapientemente
dosata, promossa dai ministeri dell'interno e della giustizia, provoca e amplifica nel popolo un
senso di insicurezza che permette il mantenimento della pena di morte, una sicura impunità della
polizia quando trasborda dai suoi limiti legali e la proclamazione di leggi, come quella cosiddetta
di Sicurezza e di Libertà, di carattere restrittivo. Per non parlare dello spazio giudiziario europeo
e della sistematica concessione dell'estradizione per reati politici.
La rinascita di uno spirito petainista nella classe governante è resa possibile dal
contemporaneo
ripiegarsi della gente stessa, sugli egoismi personali e corporativi, di fronte alla grande incertezza
del futuro provocata dalla crisi economica e dalla paura per la destabilizzazione internazionale. È
interessante rilevare, come emerge da una recente indagine demoscopica, che i francesi credono
nella famiglia (89%), nel lavoro (78%) e nella patria (70%): val la pena ricordare che il motto del
governo di Vichy era "Lavoro, famiglia, patria". Come diceva appunto un testo di Vichy: "gli
uomini passano, il pensiero del Maresciallo resta". Il vero scenario, sul quale si agita la classe
politica e si preparano le prossime elezioni presidenziali, è l'attuale crisi economica alla quale le
istituzioni capitaliste resistono alla meno peggio: ma il persistere di questa crisi presagisce quella
crisi sociale che tutti i partiti vogliono prevenire. Dopo il primo periodo del settennato di Giscard, durante il
quale andavano per la maggiore
alcune delle idee della sua precedente campagna elettorale (come il "liberalismo avanzato" e le
riforme, "il cambio nella continuità") con il governo di R. Barre, il regime si colloca dentro la
"crisi", chiedendo ai francesi di accettare i sacrifici necessari affinché le imprese continuino ad
essere competitive: politica che, salvo dettagli, è sempre stata sostenuta dall'organizzazione
padronale francese, il CNPE. La conseguenza è che i licenziamenti per motivi economici sono
sempre più frequenti e sono approvati dal governo che li considera inevitabili per il buon
funzionamento dell'apparato produttivo. La liberalizzazione dei prezzi è totale e le tariffe dei
servizi pubblici sono in costante aumento. Il governo si sforza di dimostrare che la crisi è
generale nel mondo occidentale e che la Francia si difende per quanto possibile: pare che la colpa
spetti soprattutto allo "shock petrolifero". Diciamolo con le due parole più usate in questi anni:
inflazione e disoccupazione. In verità è la
disoccupazione quella che suscita le maggiori preoccupazioni data la sua rapida evoluzione e i
suoi effetti sociali a breve e a lungo termine. In un anno - dal 1° gennaio 1980 - la
disoccupazione è aumentata del 13,1% e negli ultimi 4 anni del 56,8%: nel medesimo periodo in
Italia gli aumenti sono stati rispettivamente del 3,9% e del 36,1%. La disoccupazione riguarda in
Francia il 7,5% della popolazione attiva: in cifre concrete, 1.700.000 disoccupati, e le previsioni
per il 1° trimestre di quest'anno indicano un ulteriore aggravamento. Al contempo il numero di
giovani con meno di 25 anni che cercano lavoro aumenta rapidamente (con un aumento del
14,18% in un anno). Questa situazione ha determinato una presa di posizione decisamente nazionalista della
CGT che
ripete "fabbrichiamo francesi!" e che la porta a difendere la redditività delle imprese e la buona
gestione capitalista per conservare il numero dei posti. Si è giunti al punto che il segretario
generale Seguy ha decantato le virtù del fucile francese rispetto a quello tedesco! Nella stessa
linea, o per meglio dire determinando la linea seguita anche dalla CGT, il partito comunista
francese abbandona la strategia dell'unità delle sinistre, si allinea con Mosca e combatte in primo
luogo il partito socialista. La sua politica assume tinte decisamente razziste e scioviniste, con
attacchi all'immigrazione - problema che nella situazione descritta provoca una reazione di difesa
nelle classi più povere - e comincia a parlare di "limiti alla tolleranza", impone nei comuni che
controlla quote di stranieri nelle case e nelle colonie estive, organizza un'opera di distruzione coi
bulldozer di un alloggio collettivo per immigranti del Mali e denuncia una famiglia di lavoratori
del Maghreb come spacciatori di droga. Il PC è andato così avanti in questa direzione che il
candidato del fronte nazionale - estrema destra - pur di differenziarsi in qualche modo aggiunge
alla sua critica all'aumento dell'immigrazione e della criminalità, quella dell'aumento delle
malattie veneree! Un'ideologia aggressiva di destra si sviluppa in tutti i settori, compresi quelli
cosiddetti culturali e scientifici. Per la prima volta dopo la guerra si critica apertamente il "grande
tabù": l'egualitarismo. Sulla base del "diritto alla diversità" - concetto di origine anarchica - si
giustifica la disuguaglianza sociale, l'ingiustizia economica, il diritto al comando per i più dotati,
in una parola lo stato attuale delle cose, l'affermazione che l'ordine sociale attuale è il risultato
necessario della "natura umana". Questa dottrina è espressa congiuntamente da membri dei due
settori più importanti della classe politica al governo: il RPR di Chirac e la UDF di Giscar
d'Estaing. Dato questo slittamento a destra del clima ideologico francese il significato politico del voto
rimane apparentemente - e ciò è confermato sistematicamente dai sondaggi d'opinione - diviso in
due. Una metà vota "a sinistra", l'altra metà "a destra". Dal momento che il partito socialista - a
parte sorprese nella prima tornata elettorale, dovute alla grande quantità di candidati "marginali"
- è quello che rappresenterà la sinistra, tutta la politica attuale si rivolge al centro dal momento
che la Francia degli indecisi che può dar la vittoria ad un candidato e che dunque bisogna
catturare ad ogni costo è senza dubbio molto più a destra. Questo immobilismo delle strutture
politiche della V repubblica, frutto della paura di fronte alla destabilizzazione porta i più a
pensare che bisogna fare il possibile per migliorare il quadro esistente prima di cambiarlo: non
bisogna trasformare le strutture, ma solo modificare un poco i comportamenti. Non cambiare le
realtà, ma adattare la mentalità al mondo di domani diretto dalle grandi imprese, capitaliste per
gli uni, statali per gli altri. La campagna elettorale mobilita tutti gli sforzi dei partiti e dei gruppi politici, lo
spettacolo
procede fino ai suoi momenti di euforia, però niente può far tacere il profondo malessere di una
società che non crede in se stessa, disincantata, che non vota per un progetto o un'idea ma contro
qualcosa. Per non vedere le stesse facce e non ascoltare le stesse cose. O per paura del
"comunismo" o del collettivismo. Questa profonda disillusione - che non arriva tuttavia a farsi critica delle
istituzioni politiche del
dominio - spiega in parte il piccolo soprassalto di entusiasmo che ottenne all'inizio la candidatura
del comico Coluche, il "candidato nullo" come lui stesso si definiva. I sondaggi demoscopici
arrivarono ad attribuirgli un 16% di voti probabili. Dal momento che l'intenzione di Coluche era
quella di ridicolizzare il sistema elettorale, un sentimento di simpatia nacque in una frangia
dell'opinione cosidetta libertaria. Alcuni proposero di votarlo e il settimanale della Federazione
Anarchica Le Monde Libertaire, senza abbandonare la sua posizione astensionista gli offrì un
servizio a tutta pagina. Coluche affermava: "io non ho niente da dire e quello che dico non vuol
dire niente". In ogni caso non bisogna dimenticarsi che in Francia esiste una corrente anti-politica
decisamente reazionaria. Se da queste elezioni può risultare qualcosa sarà solamente la prova
che a parte le discordie tra i
candidati e la lotta per il potere nei partiti, il cambiamento sociale non potrà che venire da un
movimento sociale basato sulla partecipazione reale della gente, che avrà smesso di restare
passiva spettatrice davanti allo schermo del televisore e avrà da dire ben altro che la ripetizione
di uno slogan ritmato dalle masse in un meeting, come l'eco della parola del leader.
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