Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 11 nr. 91
aprile 1981


Rivista Anarchica Online

Avvocati nel mirino
di Paolo Finzi

Ciò che il potere vuole eliminare è la figura dell'avvocato difensore di fiducia, in qualche modo "schierato", non disponibile a collaborare con l'accusa. Francesco Piscopo, marxista-leninista, da anni difensore di militanti di sinistra di ogni tipo, non ha incertezze. L'unico avvocato che ormai tollerano è quello "neutro", d'ufficio. Tutto ciò è molto grave: attaccare la figura dell'avvocato significa attaccare uno strumento che riguarda in genere le classi subalterne. Chi, se non loro, finiscono in galera? Anche nell'ambito della malavita organizzata, sono i pesci piccoli, gli esecutori materiali quelli che vanno dentro: non certo i loro protettori politici.

Che l'analisi di Piscopo parta da fatti reali, è incontestabile. Negli ultimi tempi numerosi avvocati "schierati" sono stati colpiti da mandati di cattura: alcuni di loro sono in galera (Gabriele Fuga, Sergio Spazzali, Giancarlo Mattia, ecc.), altri vi sono stati rinchiusi per poi esser scagionati (Rocco Ventre, ecc.), altri ancora sono stati costretti a rifugiarsi nella latitanza (Luigi Zezza, Giovanni Cappelli). A decine si contano poi le comunicazioni giudiziarie ed in genere le intimidazioni di vario tipo che hanno colpito tutto il tessuto della difesa "schierata". E un attacco gravissimo, che abbiamo denunciato come uno dei sintomi più indicativi delle tendenze evolutive del potere, della sua volontà di far piazza pulita dei suoi oppositori: ricordo - per inciso - che proprio su questo argomento erano incentrate le ultime due interviste con legali di sinistra che abbiamo pubblicato sulla rivista, precisamente con Gabriele Fuga ("A" 80) e con Luigi Zezza ("A" 85). Entrambi sono tra quelli criminalizzati: il nostro compagno Fuga, insieme con numerosi altri, sarà processato l'11 maggio prossimo presso il tribunale di Firenze.
È una situazione drammatica, che i pochi avvocati/compagni rimasti attivissimi, come Piscopo, vivono quotidianamente - anche per il crescente carico di impegni politico/professionali venuto a gravare sulle loro spalle. Unica recente eccezione in questo panorama fosco è forse l'assoluzione con formula piena degli avvocati Di Giovanni e Lombardi, arrestati in quanto redattori (con altri due) della rivista "Corrispondenza internazionale", rea di aver pubblicato un lungo scritto dei militanti b.r. detenuti, dal titolo "L'ape e il comunista". Che significato politico dai alla loro assoluzione?
Innanzitutto io dò un significato politico alla loro incriminazione e al loro arresto. Formalmente la loro questione è stata presentata in tribunale e all'opinione pubblica come nettamente diversa da quelle che vedono coinvolti altri avvocati: qui, apparentemente, siamo di fronte ad un processo alla libertà di stampa. In realtà, è stato un tentativo di raggiungere per altra strada il comune obiettivo di cancellare la figura dell'avvocato "schierato".

Questo disegno del potere tendente ad azzerare gli spazi per la difesa politica si è già tradotto in una normativa specifica?
No. E qui sta la differenza, per esempio, con la situazione tedesca. Là hanno vietato all'avvocato di difendere più di un imputato, impedendogli anche di affrontare il tema dei processi politici e riducendolo così ad un difensore tecnico - quindi assolutamente inefficace in quel tipo di processi. In Italia una legge simile avrebbe suscitato resistenze e sarebbe stata abbastanza impopolare: qui da noi il potere utilizza un metodo più pratico, gli avvocati scomodi li mette dentro direttamente.

Vi è stata comunque un'evoluzione della repressione anche a livello legislativo.
Indubbiamente. L'aspetto più significativo è stata l'introduzione delle "leggi speciali", che in realtà speciali non sono ed è errato continuare a definirle tali. Certo sono determinate da casi speciali, ma tendono ad essere "normali": in altri termini, sono degli strumenti di cui lo Stato si dota per attaccare oggi alcune forme di conflitto, ma la tendenza è quella di utilizzarle in qualsiasi tipo di conflitto sociale. A Napoli, per esempio, sono stati recentemente spiccati dei mandati di cattura per "associazione sovversiva" contro i presunti organizzatori delle lotte dei disoccupati. Con queste leggi "speciali", inoltre, anche il minimo di indipendenza riconosciuto alla magistratura è eliminato del tutto: oggi il tribunale è di fatto succube della polizia e dei carabinieri e la funzione della magistratura si limita all'erogazione della pena. Quando per esempio tutte queste leggi speciali aumentano a dismisura i termini della carcerazione preventiva, quando impediscono ai giudici di concedere la libertà provvisoria, in realtà impediscono al giudice di esercitare qualsiasi tipo di funzione minimamente indipendente dal potere esecutivo. Dal momento in cui uno finisce in galera, il giudice ha le mani legate...

C'è poi gente che in galera non ci finisce subito, ma resta "ospite" in qualche caserma dei CC per giorni o settimane.
Certo. Nella pratica avviene spesso che gli imputati (in particolare quelli che poi... si pentiranno) vengano trattenuti nella caserma dei CC, interrogati a lungo: quando poi andranno a deporre dal magistrato, non ci sarà alcuna possibilità di immediatezza. Non a caso molti "pentimenti" hanno origine in questa fase. È in questo momento, infatti, che l'imputato, pentito o meno, valuta la convenienza di parlare e in questo senso tutto è possibile. Quello che è grave, a mio avviso, è il tipo di inquinamento della verità politico-sociale che si determina attraverso questa forma di "pentimento".

Sul ruolo svolto da quei giudici di "Magistratura democratica" che più sono legati al P.C.I. e sul significato politico del loro operato, Piscopo esprime concetti sostanzialmente identici a quelli espressi da Fuga e da Zezza nelle rispettive interviste (pubblicate su "A" 80 e 85).
Da quando è venuta fuori la strana teoria della classe operaia che si è fatta Stato, magistrati vicini al P.C.I. che questa teoria ha portato avanti hanno ritenuto di adottare, per quanto riguarda i processi, un modo di procedere di tipo staliniano, per cui si stabilisce qual è la linea politica corretta con riferimento alle forze di sinistra, dopodiché le linee giudicate "non corrette" non vengono contrastate e battute politicamente, ma criminalizzate. Nel momento in cui si avvicina al governo, o ritiene di poter centrare, il P.C.I. decide che deve far piazza pulita alla sua sinistra. Piscopo cita il 7 aprile come indice di questo fenomeno e invita anche a riflettere su quanto è stato fatto in proposito. Per il movimento rivoluzionario - sostiene - è stata una sconfitta, perché a un intervento di tipo politico/giudiziario non si è risposto con un intervento politico altrettanto efficace. È prevalsa una linea puramente e semplicemente garantista e si è sbagliato laddove si è posto l'accento sull'innocentismo, non assumendosi invece la responsabilità politica dell'opera di trasformazione portata avanti da un intero movimento posto sotto accusa. Si è esagerato in questo senso, mentre era giusto difendere gli spazi di libertà conquistati, come giusto era e rimane il continuo richiamo al potere perché rispetti le sue leggi - spazi di libertà e leggi che sono anche il frutto delle lotte del movimento nel suo complesso. In concomitanza con il processo andava condotta una battaglia per rivendicare quanto di positivo era stato fatto in dieci anni, accanto ad aspetti negativi (che io individuo in particolare nella grave scelta della lotta armata fatta dalle "organizzazioni combattenti").

Approfondiamo un attimo il discorso su innocenza, innocentismo, comportamento processuale, ecc..
Il problema è estremamente complesso. Io sono convinto che la strategia del processo politico sia naturalmente conseguente alle scelte di politica generale che l'imputato ha fatto a monte. Comprendo dunque il tipo di strategia che i brigatisti portano avanti, però ritengo che sia sbagliato non solo il loro modo di impostare il processo, ma l'analisi politica che loro fanno: i brigatisti volano infatti su tutte le contraddizioni del mondo e conseguentemente non tengono in conto quelle che il processo in sé presenta. Il processo, infatti, è un momento come tanti altri in cui ci si viene a scontrare con l'attuale assetto della società e come in ogni altro caso bisogna esser capaci di conoscere le contraddizioni, di usare i mezzi che si hanno a disposizione, di non subire il processo a tutti gli effetti. Ciò significa anche difendersi, non rivendicando aprioristicamente una propria generica responsabilità, o viceversa una propria generica innocenza, ma affrontare con realismo questo momento grave. L'avversario quando fa il processo ha bisogno di darsi una credibilità: affrontare fino in fondo il processo significa molto spesso anche dimostrare come non sia possibile per lui perseguire fino in fondo questo tipo di credibilità. L'avversario è così costretto a rivelarsi per quello che è, cioè un avversario che perseguita fino in fondo il suo avversario, colpevole di difendere interessi assolutamente contrastanti con quelli che il potere persegue. Il problema - ribadisce Piscopo - non è aprioristicamente vedere se siamo colpevoli o innocenti, ma affrontare fino in fondo il momento del processo. Se da una parte si deve esser coscienti che il processo è comunque predisposto in una logica che deve favorire la classe dirigente, dall'altra parte è anche vero che qualsiasi classe dirigente deve riconoscere tutta una serie di spazi che l'altro si è conquistato e non li può soffocare se non screditandosi. Da qui nuovamente la necessità di richiamare l'avversario all'osservanza delle sue leggi quando le viola, di contestare il soffocamento degli spazi di libertà. Io non sono del parere di coloro che si ritengono soddisfatti solo se dimostrano che il potere è sempre e comunque cattivo: tanto più cattivo è, tanto più ci si sente rivoluzionari.

Piscopo cita la grande campagna dei primi anni '70 contro la "verità di Stato" sulla strage di piazza Fontana e giudica un successo l'esser riusciti a costringere l'avversario a riconoscere la natura statale di quella strage. Certo che poi il potere cercò di darsi, anche grazie a quella parziale ammissione, nuova credibilità, ma il solo fatto di averlo costretto a ripiegare fino al punto di far propria una parola d'ordine del movimento fu una vera e propria vittoria.

Anche secondo te, dunque, va sfatato quel mito secondo il quale chi rifiuta il processo è "più rivoluzionario" di chi lo accetta?
Certamente. Io rifiuto questa distinzione tra chi rifiuta il processo (e perciostesso sarebbe rivoluzionario) e chi lo accetta (e dovrebbe esser considerato connivente con il potere). Per me, quando un qualsiasi elemento delle classi subalterne si trova ad essere giudicato ed è in grado, usando gli strumenti che il processo gli consente anche attraverso un corretto rapporto con i suoi difensori, di portare a quel livello la voce delle classi subalterne, ciò è un fatto positivo. Bisogna naturalmente aver chiaro che in qualsiasi processo, contro qualunque imputato, il potere non ha mai in testa di perseguire solo quell'imputato, bensì di lanciare un messaggio a chi in qualche modo non si riconosce nell'attuale stato di cose. Al contempo bisogna aver la capacità di sfruttare, una volta portati in giudizio, tutti i possibili strumenti perché venga fuori il reale scontro di interessi, non quello formale. Una delle ragioni per cui gli avvocati "schierati" vengono perseguiti è proprio questa: il potere ha bisogno che qualsiasi imputato, per qualsiasi ragione venga chiamato in giudizio, appaia sempre come individuo isolato dagli altri e come colui che ha commesso dei reati assolutamente comuni. La volontà del potere è quella di spoliticizzare il processo: d'altra parte la politicità del processo viene fuori non da una rivendicazione aprioristica di opposizione allo Stato, ma attraverso la capacità di farla emergere anche attraverso una battaglia che va condotta a livello processuale.

Piscopo osserva come uno dei modi più perfidi per stroncare i difensori politici sia quello di bollarli come "gli avvocati della lottarmata", quando non addirittura - com'è il caso di Fuga, Spazzali, Zezza, ecc. - "lottarmatisti" essi stessi. Il fatto è che questi avvocati, per niente disposti a chiudere un occhio e magari tutti e due, si sono dimostrati troppe volte scomodi per il potere. Piscopo cita il "caso Torreggiani" e l'importanza del ruolo svolto appunto dagli avvocati nel denunciare le torture della polizia e nel portare avanti quella battaglia (battaglia ampiamente civile, sottolinea). E precisa che se lui ed altri hanno assunto la difesa dei "lottarmatisti" è perché si rendono conto che c'è la necessità di far fronte ad un attacco che non colpisce solo i diretti interessati, ma pone in essere una situazione (restrizione degli spazi, violazione delle norme ecc.) che finisce per colpire qualsiasi tipo di opposizione.

D'accordo, ma non c'è bisogno pur sempre di un minimo di interesse e di collaborazione da parte degli imputati?
Per la necessaria conseguenza del comportamento processuale dall'analisi politica di fondo (cui ho accennato prima), debbo risponderti in termini generali, a monte. Io credo che uno dei più grossi problemi che la sinistra ha in questo momento è quello di confrontarsi e dibattere politicamente tutte quelle tendenze che portano alla precipitazione dello scontro. La necessità è invece quella di ricostruire un'opposizione la più allargata possibile che rilanci lotte anticapitaliste e ricostruisca un movimento rivoluzionario non revisionista e non riformista, che è poi il modo reale per battere quelle scelte perdenti di cui ho parlato.

Mentre l'intervista volge al termine, entra nello studio di Piscopo un altro avvocato e riferisce che un compagno da lui difeso, arrestato per "terrorismo" e poi rilasciato, gli ha appena raccontato che al momento dell'arresto e per varie ore numerosi funzionari dell'ufficio politico della questura lo avevano tartassato di domande per sapere come mai avesse scelto proprio quell'avvocato difensore. Volevano fargli ammettere che anche l'avvocato prescelto faceva parte della medesima "banda armata": "se no, perché hai nominato proprio lui?" - hanno continuato a chiedergli con logica questurinesca.