Rivista Anarchica Online
Il Gramsci-Togliatti-Berlinguer pensiero
di Gruppo "Gioventù Anarchica" (Milano)
PCI: mezzo secolo di riformismo. La lettera aperta di Berlinguer a mons. Bettazzi non è che la tappa più recente della strategia
riformista ed interclassista che caratterizza il PCI sin dagli anni venti - Gli effetti totalizzanti del
connubio tra clericalismo cattolico e clericalismo marxista
"Il carattere laico, ossia non ideologico del PCI è garantito da gran tempo dall'articolo 2 dello statuto
del nostro partito", così si esprime Berlinguer nella sua recente lettera di risposta a Mons. Bettazzi,
esponente della sinistra episcopale italiana.
Il tentativo di mostrare la concezione non dogmatica dell'ideologia del PCI, la sua apertura ideologica
verso quelle forze popolari, soprattutto cattoliche, con le quali da tempo viene ricercato un confronto
politico, non ci ha per nulla stupito, ben conoscendo l'opportunismo tattico degli strateghi del PCI.
Prendiamo in esame l'articolo 2 dello statuto del partito, che dichiara l'apertura verso le visioni del
mondo più disparate e l'art.5 che chiede agli aderenti di studiare e privilegiare il marxismo. L'espediente
di "Bebe" di utilizzare una clausola di pretto stampo leninista per dimostrare che talune distinzioni sono
superate e la conseguente necessità per un moderno partito di un'elasticità organizzativa capace di
cercare e creare il più ampio dibattito esterno e interno, costituisce l'ennesima correzione della teoria
riadattata alla prassi per il fine principale che si prefigge il PCI: il compromesso storico.
Chi crede che questo sia un tradimento si sbaglia o per cecità o per ignoranza. Infatti è sempre stata
molto chiara la scelta democratica e istituzionale da parte del PCI, e il compromesso storico ne è
l'estrema logica conseguenza.
Gramsci e Bordiga
Le prime avvisaglie di questa programmazione le troviamo già nel dissidio Gramsci-Bordiga. Dissidio
che assume un carattere molto importante dal momento che l'impostazione gramsciana che seguirà il PCI
costituisce l'ossatura delle sue analisi politiche, checché ne dicano i neo-riformisti.
L'interpretazione di Bordiga intorno al fascismo, considerato strumento momentaneo dello stato
borghese e poliziotto della borghesia imprenditoriale nei confronti dei movimenti che fuoriescano da una
logica riformista e parlamentare, contiene in sé la volontà di un rifiuto della scelta democratica. È questa
un'anticipazione della teoria che verrà compiutamente elaborata durante il 7° congresso
dell'Internazionale comunista nel 1929 sotto il nome di socialfascismo. Presente nell'analisi di Bordiga
sul fascismo è la concezione del "tanto peggio", classica posizione di quei marxisti che si situano al di
fuori dello schema istituzionale e sulla linea leninista indicante l'inutilità dello stato borghese per costruire
una società socialista. È dunque quello di Bordiga un piano di interpretazione che non concede al
moderno Principe di elaborare un avvicinamento allo stato proletario a tappe, o con una costruzione di
rapporti e di relazioni più o meno egemoniche con gli altri gruppi sociali, ma tramite un processo
rivoluzionario; in questo senso va inteso il suo scarso interesse per tutti i momenti "sovrastrutturali",
organizzazione statale compresa, che rientra nella visione marxiana della centralità dei rapporti di
produzione.
Diversamente da Bordiga, Gramsci svolge diverse valutazioni sul fascismo, fino ad arrivare alla tesi di
Lione (1926), dove afferma che il fascismo tramite l'arditismo, che serve alla guerriglia contro i
lavoratori, sviluppa un piano di conquista dello stato; piano sorretto da una mentalità di "capitalismo
nascente" in opposizione a quella dei ceti dirigenti.
L'analisi gramsciana del fascismo, pur nel suo abbozzo iniziale, sviluppa già i termini di una visione
nuova del marxismo-leninismo in quanto, rifiutando la definizione del social-fascismo e quella del
rapporto stato-fascismo, porta a riconoscere nel fascismo una degenerazione del capitalismo e non un
sistema a sé, con caratteristiche nuove. Da qui l'esigenza di Gramsci di rinnovare lo schieramento politico
antifascista partendo dalla revisione critica di un generico blocco delle opposizioni, su base morale o
legalitaria.
L'importanza di Gramsci è quella di intendere quindi la necessità di un confronto con le masse cattoliche
e l'impostazione nella vita politica di un fronte unico, di un'alleanza contro il fascismo.
Togliatti e il fascismo
Oggi la storia si ripete: la controparte però è cambiata. La revisione critica del leninismo condotta da
Gramsci diventa nel PCI una volontà cosciente di prassi opportunista e riformista. In un'osservazione
di Togliatti, relatore sulla "questione sindacale" al congresso di Lione (gennaio 1926), si affermava che
il riformismo sindacale aveva cercato di assolvere a questa funzione: imporre al partito la propria
direzione sulle masse e introdurre riforme democratiche nell'apparato e nel modo di funzionamento dello
stato borghese, "così il proletariato rivoluzionario sarebbe stato posto al seguito della borghesia
radicale" (Gramsci, Scritti Politici, a cura di P. Spriano).
Il disegno preconizzato da Togliatti era fallito grazie e per merito dei consigli di fabbrica, di fatto, però,
il movimento rivoluzionario fu in seguito sconfitto dal fascismo che a parere dello stesso Togliatti lo
aveva in gran parte assorbito nelle sue organizzazioni di massa.
L'elaborazione di Togliatti intorno alla pratica politica che il suo partito avrebbe dovuto adottare nei
confronti del fascismo è quanto meno confusa, discontinua nelle analisi e opportunista. Infatti
l'affermazione dell'identità tra fascismo e capitalismo non viene considerata dal PCI totale, ecco quindi
per Togliatti (in un C.C. del 1928) delinearsi già la strada di un possibile accordo con le altre
associazioni popolari e non fasciste. Dopo il VI Congresso dell'Internazionale Comunista e la svolta a
"sinistra" del PCI nel VII Congresso dell'I.C., il PCI venne accusato di "carbonarismo" e di non aver
compreso la portata della situazione italiana. L'I.C. infatti affermava che la lotta di classe si realizzava
all'interno stesso delle organizzazioni fasciste non statali. "I compagni italiani" avrebbero dovuto per
forza infiltrarsi negli organismi di massa fascisti e ivi costruire la loro struttura organizzativa. In quel
momento il PCI dopo aver combattuto il bordighismo che considerava il fascismo un mezzo (senza
prerogative proprie) nelle mani del capitalismo, e aver superato le teorizzazioni del VI congresso sul
socialfascismo, iniziò ad elaborare un patto d'unità e d'azione col PSI sull'indicazione del fronte unico
data dal VII congresso, patto che rappresentava una conseguenza delle analisi di Gramsci e Togliatti,
e che si sarebbe concluso con il documento redatto da Togliatti nel '36 di collaborazione coi fascisti, in
seguito al mutamento delle condizioni socio-politiche del paese. L'incapacità sostanziale dell'ideologia
marxista-leninista (cui il PCI si richiamava) di poter distinguere nel periodo storico l'evoluzione dei
rapporti di autorità, della divisione del lavoro e quindi della stratificazione delle classi, cioè di potere,
con un metodo come quello anarchico, constatare la presenza di una classe nel momento in cui si
manifesta il privilegio, non ha permesso al PCI di elaborare una teoria veramente rivoluzionaria nei
confronti del fascismo, analizzandolo infine come connubio specificamente italiano tra capitalismo,
piccola borghesia urbana e nuova borghesia agraria. In effetti il fascismo, che pur rappresentava una
pericolosa ondata di irrazionalismo a livello di psicologia di massa, si è manifestato in forme alquanto
diverse, mostrando non solo sulla carta un progetto organico di società tecno-burocratica ai vertici della
quale si situa una classe che controlla lo stato e l'economia, gestendo ogni tipo di conflittualità. Ma il
fascismo non ha del tutto completato il suo abbozzo organizzativo, combattuto com'era dal capitalismo
privato. Senza dilungarci riteniamo inutile ora approfondire questo tema (cfr. L. Lanza, Elementi
tecnoburocratici dell'economia fascista, in Interrogations n. 5) preferendo analizzare il ruolo che è
venuto ad assumere il PCI.
Il compromesso storico
Infatti dopo la tanto decantata resistenza il PCI attua la scelta di inserirsi nelle istituzioni e, a lungo
termine, di "agganciare i corpi separati" per impostare un blocco egemonico con la DC, erede statale del
fascismo. La scelta risulterebbe grossolana per un partito che si considera rivoluzionario, non in sé, ma
perché fatta passare come rinnovamento della struttura socio-economica del fascismo, che oggi come
oggi viene addirittura razionalizzata dal PCI. Il processo di assorbimento degli ambiti della società civile
nello stato, condotto dal fascismo, viene infatti continuato e sviluppato dalle istituzioni "antifasciste"
dello stato repubblicano. La struttura economica fascista è venuta così ad essere potenziata dalla DC in
un quadro di economia mista che salvaguardasse gli interessi della piccola borghesia imprenditoriale,
necessaria per una ripresa economica, offrendo ampie garanzie però di assistenza, come sostegno e
correzione, al processo di produzione. Con l'intervento del PCI nel settore della gestione prima locale
e poi centrale dello stato si è avuta una sempre maggiore dilatazione dei poteri dello stato e dei suoi
apparati. Le funzioni assistenziali dello stato hanno creato un equilibrio di forze politiche che hanno
ruolo solo nella prassi delle riforme. All'opportunismo riformista del PCI, diventato ideologia di stato,
struttura portante del suo momento distributivo-assistenziale, è però necessario un confronto-incontro
con le masse cattoliche, obiettivo e mezzo di potere. Già nel memoriale di Yalta, Togliatti scriveva:
"oggettivamente esistono condizioni molto favorevoli alla nostra avanzata, per questo occorre ai
comunisti avere molto coraggio politico, superare ogni forma di dogmatismo...".
Il cattolicesimo populista DC si è fuso ormai col "cattolicesimo" marxista, creando un'uniformità
ideologica che lascia un relativo spazio al loro tanto sbandierato pluralismo; vengono in tal modo
ristabiliti valori come la famiglia, la produttività, la professionalità, l'esaltazione dell'importanza dello
stato e delle sue strutture democratiche e antifasciste. La lunga marcia verso il potere non è ancora
conclusa, il PCI ora individua nella cogestione del potere maggiori spazi di intervento politico, maggior
dinamismo economico. Il riformismo del PCI cerca di costruire solide basi per la gestione del capitale
e dell'amministrazione dello stato. Il confronto-incontro tra PCI e DC ha trovato però come base
aggregazionale la fiducia e il consenso alle istituzioni, la lotta contro tutte le forze antiparlamentari e
antilegalitarie, subordinando in tal modo alla formazione dello stato totalitario la base aggregazionale
dei singoli partiti.
Oggi Berlinguer cerca il confronto con Mons. Bettazzi, come ieri Togliatti proponeva la collaborazione
coi fascisti; la strategia del PCI è però univoca, quello che interessa non è l'emancipazione attraverso la
loro tanto sbandierata partecipazione, ma la conquista del potere con ogni mezzo, anche rinnegando i
sentimenti e i contenuti tradizionali del partito. Facendoli passare come ottuso dogmatismo ed esaltando
la mutata strategia che è poi una e una sola: la continuazione, la perpetuazione dell'oppressione statale
e dello sfruttamento economico.
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