Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 5 nr. 38
aprile 1975


Rivista Anarchica Online

I conti con Fanfani
di Emilio Cipriano

Compromesso storico

La prospettiva del compromesso storico, la si consideri giusta o sbagliata, è la sola che non ha soffre sbandamenti e oscillazioni: per cui deve essere mantenuta fermamente come prospettiva fondamentale" ha dichiarato il segretario del P.C.I. Berlinguer al suo rientro in Italia dopo la "vacanza" in Jugoslavia.
Quindi, nonostante "l'incidente portoghese" i comunisti si preparano alle prossime elezioni regionali fermamente convinti a rilanciare con più vigore la strategia dell'incontro con la D.C.. Berlinguer, nonostante la levata di scudi (crociati) dei dirigenti democristiani insiste nella strategia da lui abbozzata quasi due anni fa e ampiamente chiarita durante il XIV Congresso del Partito.
In una cornice spettacolare ad un tempo faraonica ed efficientistica i massimi dirigenti del secondo partito italiano hanno illustrato agli oltre 1200 delegati la nuova linea politica del partito e hanno dato le indicazioni che dovranno essere riportate alla base. Il compromesso storico è stato l'argomento principale trattato dalla grande maggioranza dei relatori; Berlinguer, che ha svolto la relazione introduttiva, ha espresso la volontà del partito di inserirsi più organicamente nell'area di potere, ha offerto prove di "ragionevolezza" dichiarando che i comunisti al governo non modificheranno l'assetto delle alleanze internazionali (permanenza nella N.A.T.O.) e ha ribadito la convinzione che il P.C.I. è l'unica forza in Italia in grado oggi di fare uscire il Paese dallo stato di crisi in cui si trova.
Il compromesso storico infatti (e l'abbiamo scritto più volte) nasce dalla realtà economica, sociale e politica italiana, non è una boutade di Berlinguer, ma piuttosto una esigenza ormai difficilmente rinviabile. La crisi economica ha reso ancor più attuale la prospettiva della cogestione del potere tra D.C. e P.C.I. poiché solo il Partito Comunista è in grado di richiedere (come ha affermato Amendola) quei sacrifici alla classe operaia che possono permettere all'industria ed al mondo imprenditoriale di riassestare i loro bilanci.
Inoltre non è più possibile congelare i nove milioni del P.C.I., anche perché il partito in questi anni non è più solo il portavoce della classe operaia, ma anche di intellettuali (l'1,43 p.c. degli iscritti) di impiegati (4,22 p.c.) di piccoli industriali e commercianti (3,57 p.c.), di pensionati (16,5 p.c.), di casalinghe (12,28 p.c.), di tecnocrati e di burocrati a vari livelli. La classe dominante democristiana poteva gestire il potere con i suoi "tradizionali alleati" finchè i comunisti costituivano l'opposizione che rappresentava le classi meno abbienti, ma oggi che il P.C.I. è il partito di tutte le componenti della società italiana (dai dirigenti progressisti agli operai sindacalizzati ai braccianti del Sud), tutto ciò non è più possibile. Il P.C.I. ha legami ed interessi di potere a tutti i livelli senza avere la responsabilità derivante dalla gestione in prima persona del potere. Francamente bisogna rilevare che si tratta di una situazione anomala, una situazione che genera distorsioni e attriti sempre più difficilmente mediabili.
Ma se il P.C.I. è un partito "d'ordine" che combatte aspramente le dissidenze di sinistra, un partito che può garantire la "pace sociale" tra lavoratori e imprenditori, un partito che può favorire la ripresa economica e contribuire al varo di riforme non più rinviabili, perché la D.C. continua a negarsi al "compromesso sposo"? Le ragioni sono molteplici. Vediamo di analizzarne alcune. Una causa "esterna" alla volontà della D.C. è l'opposizione di Washington che non vuole siano alterati gli equilibri di potere nell'Europa Occidentale sua tradizionale zona d'influenza dopo la spartizione di Yalta. Per quanto concerne le ragioni interne dobbiamo riconoscere che i dirigenti democristiani (primo fra tutti Fanfani) agiscono nell'unico modo a loro possibile; rinviare quanto più possibile l'appuntamento con i comunisti perché sanno che di fronte al monolitismo del P.C.I. essi non potrebbero opporre che una sequenza di correnti spesso antagoniste fra loro, e quindi politicamente ne sarebbero schiacciati.
Inoltre, in questo momento la D.C. è impegnata a recuperare l'elettorato moderato di destra, disorientato dalla politica avventurista e bombarola di Almirante, e non può quindi permettersi sbilanciamenti a sinistra. Ma la maggior preoccupazione dei democristiani è che i comunisti, una volta al governo, metterebbero in discussione l'impero industriale D.C. costituito dalle imprese pubbliche. E questo la D.C. non se lo può permettere poiché la base del suo potere economico e la fonte principale dei suoi finanziamenti è costituita proprio dagli enti pubblici (I.R.I., E.N.I., E.G.A.M., ecc.), mentre il P.C.I. ha saputo crearsi un piccolo impero economico indipendente e solo da lui controllato. Finora i democristiani hanno lasciato ai loro alleati di governo solo le briciole delle aziende pubbliche, mentre un partner come il P.C.I. sicuramente pretenderebbe di poter controllare anche enti finora tradizionalmente feudi D.C..
Un'ultima considerazione. La Democrazia Cristiana non ha tra le sue fila o tra i suoi simpatizzanti una larga schiera di intellettuali, economisti, sociologi, filosofi, cioè di tutta quella gente che crea pensiero, mentre il Partito Comunista è oggi il partito che "possiede" una vasta e articolata intelligentsia, sicuramente la più preparata in Italia: gente che sa rinnovare, riformare, oltre che gestire con efficienza.
Per la D.C. si tratta quindi di rinviare quanto più è possibile l'incontro nella stanza dei bottoni con il P.C.I., cercando nel frattempo di rinnovarsi negli uomini e nelle strutture per poter affrontare la collaborazione di governo senza venire schiacciata. Ma è possibile rinnovare questa vecchia "puttana" dopo trent'anni di potere incontrastato? Fanfani ha capito che la cosa è difficilmente fattibile e ha deciso di lottare sino in fondo per rinviare sine die il compromesso.

Emilio Cipriano