Rivista Anarchica Online
Compagno padroncino
di Emilio Cipriano
Il compromesso storico avanza. Il P.C.I. dopo aver gettato i ponti verso
la D.C. e verso i grandi oligopoli privati
e pubblici, interlocutori privilegiati nel suo progetto di cogestione politica ed economica del paese, oggi
si rivolge
alla piccola e media industria. Dal 4 al 6 novembre
al Castello Sforzesco di Milano il Centro Studi di Politica Economica e l'Istituto Gramsci
(entrambi del P.C.I.) hanno tenuto un convegno sulle "Piccole e medie industrie nella crisi dell'economia
italiana". Presenti i big economici del P.C.I. Luciano Barca ed Eugenio Peggio e il
rappresentante della
"socialdemocrazia comunista" Giorgio Amendola, il convegno ha sviluppato un'analisi nuova rispetto a
quella
tradizionale comunista: la distinzione tra ceti medi produttivi e ceti medi parassitari, arrivando a
riconoscere non
solo l'utilità ma anche la necessità dell'esistenza dei piccoli e medi imprenditori
"produttivi" in un contesto
futuro, governato dal P.C.I.. Una distinzione che riproduce ad alto livello quella fra borghesia
imprenditoriale,
borghesia speculatrice e parassitaria. Ma mentre le due componenti della borghesia sono formate
esclusivamente
da sfruttatori, nei ceti medi (così come li definisce il P.C.I.) troviamo sia sfruttatori - piccoli e
medi industriali -
sia lavoratori autonomi - ad esempio la maggior parte degli artigiani. Questo unificare in un unico
discorso classi
sfruttatrici e classi sfruttatrici, tutt'al più, di se stesse è usato in modo strumentale dal
P.C.I. per rendere più
accettabile le nuove tesi e il programma delle nuove alleanze. Si tratta senza dubbio di dichiarazioni molto importanti che esplicitano una
disponibilità verso le classi dei piccoli
e medi sfruttatori fino a qualche anno fa insospettabile. Ciò che stupisce di più non
è tanto il disegno
scopertamente socialdemocratico del P.C.I., quanto all'accettazione passiva che la base ha dimostrato e
dimostra
giorno dopo giorno nei riguardi dell'operato dei suoi vertici, considerato per di più che questi
dirigenti pretendono
di rappresentare gli interessi dei lavoratori. In questa fase complessa e delicata dell'economia italiana, in
un
momento forse decisivo per l'attuazione futura della gestione D.C.-P.C.I. del potere, il Partito Comunista
cerca
di rimuovere uno degli ostacoli maggiori al suo ingresso nella sala dei bottoni: l'opposizione dei ceti
medi. Il P.C.I. in questo momento non cerca di
"catturare" i piccoli e medi imprenditori come ha dichiarato Il Popolo,
organo della D.C. (timorosa di vedersi invadere il proprio tradizionale orto), ma molto più
realisticamente vuole
far comprendere a questa classe sociale che il P.C.I. al governo non significherà la loro
spoliazione e la loro
eliminazione in termini economici. E' essenziale,
per il Partito Comunista, rimuovere questa pregiudiziale nei suoi confronti, se si tiene conto che
in Italia su 798 mila unità produttive esistenti, con una occupazione complessiva di 6 milioni e
362 mila persone,
673 mila (con una occupazione di 1.626.000 addetti) sono imprese artigiane; 84.413 unità sono
da considerarsi
di piccole dimensioni (da 10 a 99 addetti) e occupano 2.143.000 addetti; 6.800 sono le imprese di medie
dimensioni (da 100 a 500 dipendenti) che occupano complessivamente 1.318 mila persone, mentre solo
954 sono
le imprese di grandi dimensioni (oltre 500 dipendenti) con una occupazione di 1.275 mila persone. Da
questi dati
si rileva che l'occupazione industriale è concentrata per quasi il 60% nelle piccole imprese:
evidente appare
quindi la necessità per il P.C.I. di ottenere se non il consenso almeno la "non ostilità" dei
ceti medi. La relazione di Eugenio Peggio, uno
dei più quotati ed intelligenti economisti del P.C.I., crediamo sia
estremamente significativa e chiara. Peggio in sostanza ha detto che "l'attuale crisi economica non
è la crisi
delle piccole e medie industrie in quanto tali..." e che occorre distinguere tra la lotta dei lavoratori
nelle grandi
imprese e nelle piccole affermando che "...sarebbe stata utile una maggiore differenziazione nelle
forme di
lotta nelle grandi e nelle piccole imprese...". Nonostante queste affermazioni Peggio non rinnega gli interlocutori privilegiati - grandi
industrie - "... lungi da
noi l'idea che una economia moderna possa essere costituita soprattutto da piccole e medie
industrie..." ma
nel contempo getta le basi per un discorso nuovo con i "padroncini": "...per parecchio tempo, di
fronte a questi
problemi, il piccolo ed il medio industriale si è avvalso soprattutto della mediazione della
Democrazia
Cristiana. Ora però anche tale possibilità risulta indebolita, a causa della vastità
dei problemi e
dell'aggravarsi della crisi della pubblica amministrazione...". Eugenio Peggio dopo queste
considerazioni di
carattere generale propone soluzioni a favore delle piccole e medie industrie ritenendo
"...necessario e urgente
come elemento essenziale di una nuova politica economica nazionale, una politica attiva di interventi a
favore
delle piccole e medie industrie..." e indica come obiettivi prioritari: "...la valorizzazione
della capacità
imprenditoriale esistente in gran parte nelle piccole e medie industrie e la fornitura di servizi di cui le
grandi
industrie dispongono autonomamente e che le piccole e medie industrie non sono spesso in condizioni
di
organizzare per proprio conto...". Eugenio Peggio ha chiuso la sua relazione con un
ammonimento ed un invito,
ha ricordato che le tentazioni reazionarie non pagano e che "...il fascismo è stato non
soltanto una spietata
dittatura antioperaia ed antipopolare. Il fascismo è stato anche il regime della stagnazione
economica..."
mentre con un nuovo modo di governare sarà possibile "...avviare a soluzione i gravi
problemi di oggi. E...
realizzare il grande progresso economico e sociale che si attendono la classe operaia, le masse contadine,
i ceti medi, le forze della moderna cultura, i piccoli e medi industriali che guardano al
futuro...". Parole estremamente chiare, che
non lasciano ombre di dubbi: quando dei "comunisti" vogliono valorizzare le
capacità imprenditoriali, cioè le capacità di sfruttare il lavoro altrui, (e chiunque
conosca la realtà delle piccole
e medie imprese sa che in esse lo sfruttamento del salariato è di norma più intenso che
nelle grandi: più diretto
il controllo padronale sulla produttività, più intensi i ritmi, ecc., per non parlare del
sottoremunerato lavoro a
domicilio che vi è frequentemente praticato), crediamo non vi sia più spazio per gli
equivoci; la base del Partito
Comunista, purtroppo, sarà coinvolta in una operazione di carattere interclassista che
vedrà nel P.C.I. una delle
forze di mediazione di interessi contrastanti.
Emilio Cipriano
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