Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 4 nr. 34
dicembre 1974


Rivista Anarchica Online

Compagno padroncino
di Emilio Cipriano

Il compromesso storico avanza. Il P.C.I. dopo aver gettato i ponti verso la D.C. e verso i grandi oligopoli privati e pubblici, interlocutori privilegiati nel suo progetto di cogestione politica ed economica del paese, oggi si rivolge alla piccola e media industria.
Dal 4 al 6 novembre al Castello Sforzesco di Milano il Centro Studi di Politica Economica e l'Istituto Gramsci (entrambi del P.C.I.) hanno tenuto un convegno sulle "Piccole e medie industrie nella crisi dell'economia italiana". Presenti i big economici del P.C.I. Luciano Barca ed Eugenio Peggio e il rappresentante della "socialdemocrazia comunista" Giorgio Amendola, il convegno ha sviluppato un'analisi nuova rispetto a quella tradizionale comunista: la distinzione tra ceti medi produttivi e ceti medi parassitari, arrivando a riconoscere non solo l'utilità ma anche la necessità dell'esistenza dei piccoli e medi imprenditori "produttivi" in un contesto futuro, governato dal P.C.I.. Una distinzione che riproduce ad alto livello quella fra borghesia imprenditoriale, borghesia speculatrice e parassitaria. Ma mentre le due componenti della borghesia sono formate esclusivamente da sfruttatori, nei ceti medi (così come li definisce il P.C.I.) troviamo sia sfruttatori - piccoli e medi industriali - sia lavoratori autonomi - ad esempio la maggior parte degli artigiani. Questo unificare in un unico discorso classi sfruttatrici e classi sfruttatrici, tutt'al più, di se stesse è usato in modo strumentale dal P.C.I. per rendere più accettabile le nuove tesi e il programma delle nuove alleanze.
Si tratta senza dubbio di dichiarazioni molto importanti che esplicitano una disponibilità verso le classi dei piccoli e medi sfruttatori fino a qualche anno fa insospettabile. Ciò che stupisce di più non è tanto il disegno scopertamente socialdemocratico del P.C.I., quanto all'accettazione passiva che la base ha dimostrato e dimostra giorno dopo giorno nei riguardi dell'operato dei suoi vertici, considerato per di più che questi dirigenti pretendono di rappresentare gli interessi dei lavoratori. In questa fase complessa e delicata dell'economia italiana, in un momento forse decisivo per l'attuazione futura della gestione D.C.-P.C.I. del potere, il Partito Comunista cerca di rimuovere uno degli ostacoli maggiori al suo ingresso nella sala dei bottoni: l'opposizione dei ceti medi.
Il P.C.I. in questo momento non cerca di "catturare" i piccoli e medi imprenditori come ha dichiarato Il Popolo, organo della D.C. (timorosa di vedersi invadere il proprio tradizionale orto), ma molto più realisticamente vuole far comprendere a questa classe sociale che il P.C.I. al governo non significherà la loro spoliazione e la loro eliminazione in termini economici.
E' essenziale, per il Partito Comunista, rimuovere questa pregiudiziale nei suoi confronti, se si tiene conto che in Italia su 798 mila unità produttive esistenti, con una occupazione complessiva di 6 milioni e 362 mila persone, 673 mila (con una occupazione di 1.626.000 addetti) sono imprese artigiane; 84.413 unità sono da considerarsi di piccole dimensioni (da 10 a 99 addetti) e occupano 2.143.000 addetti; 6.800 sono le imprese di medie dimensioni (da 100 a 500 dipendenti) che occupano complessivamente 1.318 mila persone, mentre solo 954 sono le imprese di grandi dimensioni (oltre 500 dipendenti) con una occupazione di 1.275 mila persone. Da questi dati si rileva che l'occupazione industriale è concentrata per quasi il 60% nelle piccole imprese: evidente appare quindi la necessità per il P.C.I. di ottenere se non il consenso almeno la "non ostilità" dei ceti medi.
La relazione di Eugenio Peggio, uno dei più quotati ed intelligenti economisti del P.C.I., crediamo sia estremamente significativa e chiara. Peggio in sostanza ha detto che "l'attuale crisi economica non è la crisi delle piccole e medie industrie in quanto tali..." e che occorre distinguere tra la lotta dei lavoratori nelle grandi imprese e nelle piccole affermando che "...sarebbe stata utile una maggiore differenziazione nelle forme di lotta nelle grandi e nelle piccole imprese...".
Nonostante queste affermazioni Peggio non rinnega gli interlocutori privilegiati - grandi industrie - "... lungi da noi l'idea che una economia moderna possa essere costituita soprattutto da piccole e medie industrie..." ma nel contempo getta le basi per un discorso nuovo con i "padroncini": "...per parecchio tempo, di fronte a questi problemi, il piccolo ed il medio industriale si è avvalso soprattutto della mediazione della Democrazia Cristiana. Ora però anche tale possibilità risulta indebolita, a causa della vastità dei problemi e dell'aggravarsi della crisi della pubblica amministrazione...". Eugenio Peggio dopo queste considerazioni di carattere generale propone soluzioni a favore delle piccole e medie industrie ritenendo "...necessario e urgente come elemento essenziale di una nuova politica economica nazionale, una politica attiva di interventi a favore delle piccole e medie industrie..." e indica come obiettivi prioritari: "...la valorizzazione della capacità imprenditoriale esistente in gran parte nelle piccole e medie industrie e la fornitura di servizi di cui le grandi industrie dispongono autonomamente e che le piccole e medie industrie non sono spesso in condizioni di organizzare per proprio conto...". Eugenio Peggio ha chiuso la sua relazione con un ammonimento ed un invito, ha ricordato che le tentazioni reazionarie non pagano e che "...il fascismo è stato non soltanto una spietata dittatura antioperaia ed antipopolare. Il fascismo è stato anche il regime della stagnazione economica..." mentre con un nuovo modo di governare sarà possibile "...avviare a soluzione i gravi problemi di oggi. E... realizzare il grande progresso economico e sociale che si attendono la classe operaia, le masse contadine, i ceti medi, le forze della moderna cultura, i piccoli e medi industriali che guardano al futuro...".
Parole estremamente chiare, che non lasciano ombre di dubbi: quando dei "comunisti" vogliono valorizzare le capacità imprenditoriali, cioè le capacità di sfruttare il lavoro altrui, (e chiunque conosca la realtà delle piccole e medie imprese sa che in esse lo sfruttamento del salariato è di norma più intenso che nelle grandi: più diretto il controllo padronale sulla produttività, più intensi i ritmi, ecc., per non parlare del sottoremunerato lavoro a domicilio che vi è frequentemente praticato), crediamo non vi sia più spazio per gli equivoci; la base del Partito Comunista, purtroppo, sarà coinvolta in una operazione di carattere interclassista che vedrà nel P.C.I. una delle forze di mediazione di interessi contrastanti.

Emilio Cipriano