Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 4 nr. 27
marzo 1974


Rivista Anarchica Online

Il reverendum
di P. F.

Introdotto da poco tempo nella legislazione dello stato italiano, il divorzio è già in pericolo e forse fra due o tre mesi sarà una parentesi chiusa, un ricordo del passato. Il 12 maggio, infatti, tutti i cittadini-elettori (suore di clausura comprese) andranno a votare per decidere se mantenere o abrogare la famosa "legge Fortuna-Baslini", con cui il divorzio, seppure in dimensioni ben ridotte ("piccolo divorzio"), ha fatto la sua prima timida comparsa in Italia, terra dei preti, di santi e di democristiani.
Chi dice divorzio dice matrimonio. Ora, per quanto riguarda il rapporto fra un uomo e una donna che sentano l'esigenza di condividere la vita, per un breve o per un lungo tratto, agli anarchici non garba l'idea stessa del matrimonio legale, benedetto dal prete e sancito dal sindaco. L'amore, infatti, naturalmente libero, tale dovrebbe restare al di fuori e contro qualsiasi tentativo di regolamentazione burocratica da parte dell'autorità: due individui dovrebbero potersi unire e separare di comune accordo, seguendo i loro sentimenti ed il loro senso di responsabilità. Questo amore libero, sincero, responsabile è il nostro modello di relazioni interumane, che ipotizziamo per la futura società libertaria.
Già oggi, comunque, per quanto possibile, si deve tendere a rifiutare l'ingerenza dello stato anche in questo campo della vita individuale e sociale, contestando tanto il matrimonio legalizzato quanto il divorzio legalizzato. Questo discorso, semplice ed elementare finché si tratta di una coppia senza figli, si complica indubbiamente qualora questi siano stati generati: essendo i bambini naturalmente indifesi ed incapaci di difendere i propri diritti, spetta alla società tutelarne l'esistenza e lo sviluppo qualora i genitori si comportino irresponsabilmente. Al riguardo va innanzitutto notato che per lo più il divorzio (sia di fatto, sia legalizzato) non fa che sancire una situazione concreta, che non può certo essere sanata con misure repressive, costringendo per esempio alla forzata eterna coabitazione due coniugi fra i quali sia sorta una incompatibilità profonda. Né d'altra parte si può ragionevolmente pensare di poter risolvere i problemi dei bambini e delle famiglie in crisi nell'ambito di questa società, in cui l'assistenza scolastica è paurosamente carente e per molti versi autoritaria, la donna è particolarmente condizionata e in posizione inferiore rispetto all'uomo, il lavoro domestico ed extra-domestico è alienante e stressante. In altri termini, bisogna rendersi conto che il problema della famiglia può essere seriamente affrontato solo dopo aver rovesciato l'attuale sistema autoritario ed aver affermato la nuova società basata sulla libertà individuale e sulla pratica della solidarietà sociale.
Questo non significa che, sperduti fra sogni utopistici di un eden futuro, non sappiamo fare i conti con la realtà odierna, e, nel caso specifico, con i problemi politici sollevati dal referendum abrogativo del divorzio. A nostro avviso, si tratta di una buona occasione per agitare quei temi e per chiarire quegli aspetti del pensiero libertario che solo in rare occasioni è possibile indicare all'opinione pubblica. In primo luogo la tematica relativa al libero amore, al rifiuto del matrimonio, alla responsabilità individuale e sociale, così come sopra è stata accennata. E non sarà certo fuori luogo in questo frangente rispolverare un po' del sano tradizionale spirito anticlericale degli anarchici, nella denuncia della funzione reazionaria ed oscurantista svolta da buona parte del clero, e del falso e gesuitico progressismo di certe frange cattoliche del dissenso pronte a rientrare all'ovile appena sentano l'odore seppur lontano del laicismo e della libertà religiosa.
Un altro aspetto che va sottolineato di questo referendum è che si tratta del primo referendum abrogativo nella storia della repubblica italiana. Solo apparentemente si tratta di uno strumento di democrazia diretta, di autogestione. Farlo passare come tale è pura demagogia. Infatti in questa società, condizionata in ogni suo aspetto dai mass-media e dalla martellante propaganda di enormi organizzazioni burocratiche, un qualsiasi referendum, seppur svolto con tutte le "garanzie costituzionali", non può avere alcun valore: l'opinione pubblica è manipolata dai detentori del potere. Valga l'esempio, a noi vicino, dei risultati del recente referendum tenutosi nella Confederazione Elvetica, con il quale è stata respinta una proposta di vietare il traffico internazionale delle armi: in questo caso (come in tanti altri) la maggioranza della popolazione ha dimostrato completa sottomissione ai disegni delle classi dominanti.
Non a caso il metodo del referendum è spesso usato dai padroni del vapore (dittatori, partiti di maggioranza, ecc.) per dimostrare, a se stessi ed agli altri, di godere di un immenso, genuino sostegno popolare, in altre parole per legittimare in maniera per molti inoppugnabile la loro permanenza al potere.
Non va dimenticato un ultimo aspetto di questo prossimo referendum sul divorzio, e cioè il fatto che si tratta di abrogare una legge che, nonostante tutto, garantisce all'interno dell'attuale sistema maggiori spazi di libertà: soprattutto, abrogando la legge Fortuna-Baslini si mette in discussione un diritto di libertà, che dovrebbe invece essere indiscutibile ed intangibile anche da parte di una schiacciante maggioranza.
Ma questo è un altro discorso. Non con il voto, ma con la continua militanza rivoluzionaria bisogna contrastare le manovre delle classi dirigenti, lottando per quella rivoluzione libertaria che sola potrà aprire la strada alla soluzione anche dei drammatici problemi della famiglia, dell'educazione dei bambini, con una vita sociale completamente rinnovata.

P. F.