Rivista Anarchica Online
Dai pelati ai satelliti
di Emilio Cipriano
L'I.R.I. compie quarant'anni - Le partecipazioni statali: nazionalizzazione all'italiana - Struttura e
attività del più grosso feudo economico italiano
"E' importante sottolineare ancora una volta il legame strutturale, vorrei
dire genetico, che intercorre tra il tipo
di gestione imprenditoriale attuato nel nostro ambito e la permanenza nel quadro generale proprio
di un sistema
ad economia di mercato... Parlando di legame strutturale e genetico, vorrei ricordare comunque che,
anche a
prescindere dalle sue origini e dalle sue peculiari modalità di funzionamento, l'I.R.I.
è vitalmente inserito
nell'economia di mercato in ragione della sua stessa funzione...". Così ha esordito Petrilli,
Presidente dell'I.R.I., nel suo discorso pronunciato il 31 gennaio all'Auditorium della
R.A.I. per celebrare il quarantesimo anniversario dell'ente da lui diretto. E' stata una cerimonia noiosa
(e quando
mai le celebrazioni del potere sono allegre?) durante la quale hanno parlato i "massimi" esponenti della
nazione,
Rumor e Leone, attorniati dai loro più diretti colleghi: ministri, presidenti di ogni tipo, del Senato
- Spagnolli,
della Corte Costituzionale - Bonifacio, del C.N.E.L. - Campilli, dell'E.N.I. - Girotti, della F.I.A.T -
Agnelli, il
governatore della Banca d'Italia Carli e (non poteva mancare) il nano onnipotente,
Fanfani. Comunque, al di là della sceneggiatura e dei personaggi, la rappresentazione era
emblematica del potere
economico dello stato, che attraverso l'I.R.I. (e non solo quello) si manifesta nei settori industriali,
commerciali
e finanziari più importanti della nostra società. L'I.R.I. è oggi lo strumento
principe dell'intervento statale
nell'economia e ha creato, con la sua esistenza e il suo sviluppo, le premesse per un cambiamento
strutturale della
società italiana. E pensare che, quarant'anni fa, quando l'I.R.I. venne costituito, esso era
considerato
un'istituzione temporanea, destinata a rimettere in sesto le aziende in difficoltà per poi reinserirle
sul mercato
privato una volta raggiunto questo scopo (1). Questa tendenza, istituzionale, venne rispettata fino al
1937, anno
in cui l'I.R.I. fu trasformato in una istituzione finanziaria permanente di acquisizione di imprese anche
se fino al
1939 l'istituto continuò a liquidare, sia pure a ritmo ridotto, molte delle sue attività
(2). L'I.R.I. a quell'epoca controllava già numerose imprese sparse in una decina di settori,
ma la sua influenza era
predominante solo in quelli che l'iniziativa privata riteneva troppo rischiosi o poco redditizi, oppure quelli
che
per decisione politica erano ritenuti necessari ai preparativi di guerra, quali i cantieri navali. La politica
di
intervento dell'I.R.I. in quegli anni era ancora piuttosto incerta, ma era comunque iniziato un processo
di
coordinamento con la creazione di alcune finanziarie di settore (Stet, Finmare, Finsider) per rendere
omogenei
gli investimenti. L'indirizzo prevalente era intervenire nelle imprese in difficoltà per inserirsi
quanto più possibile
nell'economia. La burocrazia fascista perseguiva obiettivi "anticapitalistici", ma doveva attuarli (per
la necessità di non alienarsi
l'appoggio delle classi padronali) con metodi non scopertamente statalizzatori. L'I.R.I. creò un
settore industriale
pubblico che operava con gli stessi metodi e con la stessa legislazione del settore privato, una formula
originale
di economia statale sotto forma privatistica. Lo sviluppo dell'I.R.I. venne messo in crisi dalla guerra
e soprattutto dalle distruzioni degli anni 1943-45. I danni
riportati furono notevolmente superiori a quelli di qualsiasi altro gruppo industriale (3), soprattutto a
causa della
concentrazione degli investimenti nella flotta mercantile, nelle industrie metallurgiche e nella meccanica
pesante,
che furono ovviamente tra i settori più colpiti dalle vicende belliche. Alla fine della guerra
l'I.R.I. si trovava in una situazione quanto mai precaria, sia per la distruzione dei suoi
impianti, sia per motivazioni politiche che ne mettevano in forse la stessa esistenza così come si
era sviluppata
negli anni del fascismo. Gruppi privati premevano per la smobilitazione e "riprivatizzazione" di molti
settori
dell'I.R.I., ma la linea che prevalse fu quella di mantenere in vita ed anzi sviluppare l'I.R.I. Le motivazioni
che
spinsero a questa scelta le ritroviamo nel "Rapporto della Commissione economica all'Assemblea
Costituente"
(4). In questo rapporto tra l'altro, si legge: "...O si ipotizza il ritorno ad un'economia di mercato, in cui
si
realizzano sia pure approssimativamente le condizioni teoriche della concorrenza ed in tal caso,
evidentemente,
l'I.R.I. non avrebbe ragione di esistere... All'estremo opposto, cioè in un'economia collettivista,
nemmeno si
riesce a vedere una funzione utile da parte dell'I.R.I. Lo stato collettivista, almeno in una sua
configurazione pura,
non ha bisogno di queste forme ibride di controllo e di pianificazione, che sono concepibili solo
là dove l'azione
statale si svolge in un ambiente organizzato prevalentemente con criteri capitalistici. Si è visto,
anzi, che
l'argomento fondamentale additato dai fautori dell'I.R.I. (e in generale dall'azionariato di stato) è
appunto quello
del vantaggio di una manovra statale attuata nelle forme e con i metodi della organizzazione produttiva
capitalistica... Si ritiene da una parte di commissari che nelle forme iniziali di collettivismo, l'I.R.I.
potrebbe
agevolare il trapasso dalle forme capitalistiche a quelle collettivistiche... Sembra quindi opportuno
concludere...
che in un sistema parzialmente pianificato, una volta determinati i settori da sottoporre a controllo,
può farsi la
scelta per la nazionalizzazione "manifesta" delle imprese appartenenti ai rami oggetto di pianificazione
e la
nazionalizzazione "larvata" attraverso la gestione dell'I.R.I.". Trovata la sua giustificazione
ideologica, l'I.R.I. intraprende dal dopoguerra fino ad oggi una serie di interventi
sempre più articolati e complessi nelle strutture economiche, contribuendo a rafforzare l'azione
della "politica
di piano" espressa dai vari governi via via succedutisi e istaurando con essi un rapporto di reciproca
influenza che
viene istituzionalizzato nel 1956 con la creazione del Ministero delle Partecipazioni Statali. Con il
coordinamento delle attività economiche statali ad opera del nuovo ministero, l'I.R.I. accresce
ancor più
la sua importanza, nel Sud oltre che al Nord, contribuendo (in forma differenziata dalle imprese private)
alla
colonizzazione del sud. L'I.R.I. oggi è il più importante "portafoglio" di
partecipazioni statali. Come abbiamo visto, fin dalla nascita
l'I.R.I. si configura come una colossale holding statale, cioè una
società finanziaria di diritto pubblico,
interamente in mano allo stato che, formalmente, risponde del suo operato al Ministero delle
Partecipazioni
Statali. Esso controlla le sue società tramite altre società finanziarie di settore. Queste
finanziarie sono società
per azioni di cui l'I.R.I. detiene la maggioranza o la totalità del capitale. Le società
dell'I.R.I. si finanziano
emettendo obbligazioni ed aumentando il proprio capitale sociale. L'I.R.I., dal canto suo, riceve capitali
direttamente dallo stato sotto forma di aumenti del fondo di dotazione, inoltre anch'esso emette
obbligazioni;
con i capitali così reperiti (fondi dello stato e prestiti obbligazionari dai privati) l'Istituto partecipa
agli aumenti
di capitale delle sue società ed ai nuovi investimenti. L'I.R.I. non si limita soltanto a sostenere
le direttive della programmazione economica, ma persegue interessi suoi
propri, di gruppo, a volte in rivalità con altri enti e istituzioni statali. Può a tutta prima
sembrare strano, ma non
dobbiamo dimenticare che a prendere le decisioni sono sempre gli individui, nel nostro caso i dirigenti
del gruppo
I.R.I. La "novità" della formula di questo istituto consiste nel fatto che in esso si è
prodotto un tipo di dirigenza
per molti aspetti particolare. Il dirigente I.R.I. non è solo un burocrate parastatale e non agisce
nemmeno come
un manager dell'industria privata. Non è nemmeno la semplice sovrapposizione
delle due figure, ma dal
combinarsi e dal fondersi dei due aspetti è nato un nuovo padrone: il manager
pubblico. Questa nuova "figura"
ha una intraprendenza tipicamente imprenditoriale, ma non si sente vincolato da alcun rapporto di
proprietà e
può prendere decisioni anche non strettamente economiche ma unicamente di sviluppo e di
ampliamento. Egli
è vincolato, in misura trascurabile, dalle leggi del profitto capitalistico e trova la sua affermazione
nell'affermazione dell'impresa a cui è preposto. L'I.R.I., quindi, anche in virtù del
tipo di dirigenza creatasi al suo interno, costituisce un forte fattore di sviluppo
dell'economia perché può rischiare molto di più delle imprese private, e gli
investimenti al Sud sono lì a
testimoniarlo. Le imprese private "sono scese al sud" solo dopo che quelle pubbliche avevano creato le
strutture
primarie o le più importanti. L'I.R.I. è quindi, ad un tempo, strumento di propulsione
economica e di stabilità politica, anzi l'uno è il
presupposto dell'altro perché con la creazione di nuovi posti di lavoro in zone depresse e con la
conservazione
di quelli delle imprese in dissesto, contribuisce ad evitare tensioni sociali che altrimenti si
manifesterebbero in
forme difficilmente controllabili dai sindacati. Inoltre l'I.R.I., grazie alla sua forma privilegiata, utilizza
e remunera
in modo fiscalmente agevolato il piccolo e medio risparmio per il perseguimento di obiettivi statali,
contribuendo
così ad eliminare malumori nella piccola e media borghesia risparmiatrice. Il potere e le
dimensioni dell'I.R.I. oggi sono enormi, esso controlla oltre 130 società (alcune delle quali di
grandissime dimensioni, che a loro volta controllano diverse altre imprese minori) e occupa globalmente
un
personale di oltre 321 mila unità. Si tratta di un impero sempre più difficilmente
controllabile, uno stato nello
stato, che agisce anche in campo internazionale e che sta assumendo per questa ragione una struttura di
società
multinazionale. L'I.R.I. no ha più un impellente bisogno di espandersi, come negli anni
passati, ma affiora con sempre maggiore
evidenza la necessità di organizzare i suoi modi di funzionamento e le sue strutture, vale a dire
che non si deve
affermare ma che cerca di esercitare con più efficienza il potere di cui dispone. Tutto questo
traspare anche nelle
sfumate parole di Petrilli pronunciate nel discorso a cui avevamo prima accennato: "...Nel riaffermare
la nostra
piena disponibilità ad assumerci in futuro i compiti nuovi che il Parlamento e il Governo
riterranno di attribuirci,
desidero dire chiaramente che la possibilità di una nostra azione vicaria in ordine ad alcuni
obiettivi ben
determinati e limitati, non solo non avrebbe alcun carattere esclusivo ed anzi potrebbe essere l'occasione
per una
larga associazione degli operatori privati alla realizzazione di opere pubbliche ma, in termini più
generali, non
renderebbe certo meno urgente... l'esigenza di una ristrutturazione secondo razionalità ed
efficienza dei canali
tradizionali dell'intervento pubblico..."
Emilio Cipriano
1) E' interessante notare come l'intervento dello stato nell'economia abbisogni nella fase iniziale di
questo
espediente attuato in parte per non spaventare o traumatizzare eccessivamente i padroni di tipo
capitalistico. Le
stesse motivazioni fornite allora alla nascita dell'I.R.I. sono state riproposte pari pari per giustificare quella
della
G.E.P.I. nel 1971; anche questa società dovrebbe reimmettere sul mercato le imprese private
dopo un periodo
di ristrutturazione, ma questo compito istituzionale è venuto subito a cadere e la G.E.P.I.
è divenuta un altro
strumento di acquisizione statale.
2) Dal 1933 al 1939 l'I.R.I. operò vendite di partecipazione azionarie per 4.024 miliardi di
lire, mentre fece
reinvestimenti per un totale di 2.730 miliardi di lire.
3) Nel settore telefonico fu distrutto il 15% delle centrali e il 17% delle reti urbane; nel settore della
navigazione
su 221 navi per un totale di t.s.l. 1.446.000 del 1943, ne rimasero a guerra finita solo 24 per un totale
di t.s.l.
194.000.
4) Ministero per la Costituente: "Rapporto della Commissione Economica all'Assemblea
Costituente", Roma,
Istituto Poligrafico dello Stato, 1947.
LE ATTIVITÀ DELL'I.R.I.
Pomodori pelati, aeroplani, dadi da brodo, panettoni, automobili, dischi, televisori, navi, autostrade,
banche,
altiforni, microscopi, supermercati, telefoni... Il più grosso feudo economico italiano, la colossale
"holding"
statale I.R.I. si occupa di tutto questo e di mille altre cose. Diamo qui di seguito un elenco delle
"principali"
società controllate dall'I.R.I. (impossibile per motivi di spazio elencarle tutte), suddivise per
settore di attività.
SIDERURGIA
L'attività è coordinata tramite la Finsider S.p.A., di cui l'I.R.I. detiene il 54,99% delle
azioni. Tra le principali
e più note società controllate dalla Finsider ricordiamo: BREDA SIDERURGICA;
DALMINE; FINSIDER
INTERNATIONAL S.A. (LUSSEMBURGO); ITALSIDER; SANTEUSTACCHIO; TERNI.
COSTRUZIONI NAVALI
L'attività è controllata tramite la Fincantieri, detenuta totalmente dall'I.R.I. Le maggiori
società del gruppo
sono: ARSENALE TRIESTINO SAN MARCO; CANTIERI NAVALI E OFFICINE MECCANICHE
DI
VENEZIA; ITALCANTIERI; GESTIONE BACINI LA SPEZIA; STABILIMENTI NAVALI
TARANTO;
CANTIERE NAVALE ORLANDO; ENTE BACINI GENOVA.
BANCHE E ISTITUTI FINANZIARI
Le società di questo settore sono controllate direttamente dall'I.R.I.: BANCA COMMERCIALE
ITALIANA;
CREDITO ITALIANO; BANCO DI ROMA; BANCO DI SANTO SPIRITO; CREDITO
FONDIARIO;
MEDIOBANCA; BANCA MILANESE DI CREDITO; BANCA DI LEGNANO; ed inoltre alcune altre
banche
minori e numerose banche situate all'estero.
MECCANICA
La capogruppo è la Finmeccanica S.p.A., appartenente all'I.R.I. per il 99,98%. Le più
note del gruppo sono:
ALFA ROMEO, e tutte le società ALFA ROMEO sparse per il mondo; ANSALDO
MECCANICO
NUCLEARE; ANSALDO S. GIORGIO; BREDA ELETTROMECCANICA; SALMOIRAGHI,
STABILIMENTI MECCANICI TRIESTINI; F.A.G. ITALIANA; SOCIETÀ GENERALE
MISSILISTICA
ITALIANA; WALWORTH ALOYCO INTERNATIONAL.
TELECOMUNICAZIONI
Il settore e coordinato attraverso la Stet di cui il gruppo I.R.I. detiene il 57,58%. Le principali
società sono:
FONIT-CETRA; ITALCABLE; SIP; SIEMENS; TELESPAZIO; SIEMENS DATA.
GRUPPI SME SPA
Questi due gruppi operano in settori diversi. La Sme è controllata per il 41,85% dall'I.R.I.; le
più importanti
società del gruppo sono: STAR; MOTTA; ALEMAGNA; CIRIO; GENERALI
SUPERMERCATI (GS);
AERHOTEL; CARTIERE ITALIANA E SERTORIO RIUN.
La SPA - Società finanziaria di partecipazioni azionarie - è di completa proprietà
dell'I.R.I.: MONTE
AMIATA; FINANZIARIA TRAFORO MONTEBIANCO; PROMOZIONE E SVILUPPO
INDUSTRIALI.
TRASPORTI MARITTIMI
La società capogruppo è la Finmare S.p.A. detenuta per il 75,45% dall'I.R.I. Le
più note compagnie di
navigazione sono: ADRIATICA; ITALIA; LLOYD TRIESTINO; TIRRENIA.
IMPRESE DIVERSE
Altre società controllate direttamente dall'I.R.I.: R.A.I.-T.V.; ALITALIA; AUTOSTRADE;
ITALSTRADE;
GRANDI MOTORI TRIESTE; ITALSTAT. |
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