Rivista Anarchica Online
Anarchismo come educazione
di N. B.
La dimensione pedagogica del pensiero anarchico in due studi recenti
Tra i vari aspetti dell'anarchismo quello educazionista ha conservato a
tutt'oggi una forte carica
problematica. La sua ricorrente attualità consiste, a nostro avviso, nella natura dei problemi
posti, che
investono alcune questioni di fondo della metodologia anarchica, sia sul piano della lotta immediata, sia
su quello a lungo respiro di una strategia più generale. L'argomento principale degli
"educazionisti",
infatti, è che anarchismo ed educazione sono termini sinonimi; l'anarchismo sarebbe una teoria
rivoluzionaria che, fatta propria dagli oppressi, si trasforma in prassi autopedagogica collettiva mirante
all'emancipazione integrale di tutti. Questa prospettiva teorica contiene una implicazione strategica
di notevole importanza: che è possibile
raggiungere l'emancipazione solo attraverso un'opera educativa generale in cui
l'autocoscienza popolare
gioca un ruolo di primo piano. Se, invece, diversamente pensiamo che anarchismo ed educazione sono
termini non sinonimi ma complementari, allora è possibile sviluppare una prospettiva in cui
l'ammonimento di Pisacane "non saremo liberi quando saremo educati, ma educati quando saremo
liberi",
riacquista interamente il suo significato di attualità e di polemicità. Comunque,
partigiani dell'una o dell'altra tesi, ci è utile ora illustrare brevemente due testi che aiutano
ad illuminare tutta la tematica anarchismo-educazione, e a focalizzare maggiormente i nodi del dibattito
fugacemente sopra accennato. Il testo che ci propone Carmela Metelli di Lallo "Componenti
anarchiche nel pensiero di J.J. Rousseau",
contiene alcuni temi di grande interesse teorico i quali implicano, per la loro prospettiva generale, una
visione che supera il contesto pedagogico dell'anarchismo. È noto che uno degli aspetti
più qualificanti del pensiero rousseauviano verte sull'antitesi natura-società,
intendendo con il primo termine il campo della libertà originaria dell'uomo, con il secondo
(società
storica) quello della ingiustizia, del potere e dell'alienazione umana. La soluzione proposta da Rousseau
sarà quella di concepire una società che ridia in altra forma, attraverso le istituzioni, la
libertà
originariamente perduta. Quali sono le conseguenze per una "lettura anarchica" di questa
impostazione? Vediamone alcune. La prima considerazione da fare è che, se identifichiamo
la natura umana come fonte spontanea e come
ricettacolo primitivo della libertà e dell'uguaglianza, lo sviluppo e le modalità stesse
della loro
costruzione divengono possibili a qualsiasi livello storico dell'uomo. In altri termini esse non
scaturiscono
da precise condizioni attraverso cui il processo storico si dà, ma sono prima concepite e poi
poste,
indipendentemente o, se vogliamo, contro di esso. È vero che non si deve qui concepire la
natura umana come "statica e, pertanto, incompatibile con un
succedersi di forme e di eventi in sviluppo, nel corso di una possibile storia dell'uomo", e neppure "una
concezione naturalistica dell'uomo, nel senso grezzo di un appiattimento delle sue caratteristiche ad un
livello fisico-biologico" (1). Ma è pur sempre vero che il punto costante di riferimento
costruttivo per
la libertà e l'uguaglianza rimane la natura umana originaria tendente
spontaneamente alla sua perfettibilità
e quindi all'emancipazione. È questo, fra l'altro, un tema ripreso "deterministicamente" da
Kropotkin e
che la Metelli chiama impropriamente, a nostro avviso, neodarwinismo sociale. Se dunque è
possibile, in un certo modo, leggere in Rousseau una contrapposizione tra natura e storia,
il significato del modello rousseauiano è evidente: la sua possibilità si dà
attraverso una costruzione
artificiale. Si può mutare così un discorso che, sebbene risenta del clima culturale
ottimistico
dell'illuminismo, è tuttavia attuale rispetto all'esperienza teorico-storica dell'anarchismo. E
il duplice confronto estremamente interessante che la Metelli ci dà, tra quello anarchico e quello
rousseauiano, conforta questa tesi: alle origini di essi vi è implicitamente una
volontà non identificabile
con condizioni storiche precise. Una seconda considerazione attinge al modello stesso di ricostituzione
sociale che discende dalla contrapposizione natura umana-società storica; scrive la Metelli che
per
Rousseau tale modello deve basarsi su una ricostituzione che comporta, come dice la Metelli di Lallo,
"il rifiuto totale delle forme in cui essa (la società) si è finora attuata, per non
compromettere l'esito della
ricostituzione". Ora, questa ricostituzione si basa su alcuni punti qualificanti che investono il
confronto tra la concezione
pedagogica di Rousseau e quella anarchica. La possibilità da parte di quest'ultima di riconoscersi
in parte
nella prima, è data ancora dal punto comune di riferimento della natura umana. Essa, per
il suo sviluppo integrale, comporta una prassi educativa che si riconosca in una molteplicità
di libere esperienze, in una polivalenza di proposte e di situazioni che implicano una struttura pluralistica
della società umana. E questo pluralismo, che sta alla base della società libertaria
concepita come utopia
positiva (2), è riscontrabile chiaramente nel testo della Metelli quando vengono focalizzati gli
aspetti
significativi della concezione anarchica della società. Un punto estremamente importante a
questo
riguardo è quello del rapporto egualitarismo-intelligenza che la Metelli acutamente rimanda alla
concezione "ambientalistica" dell'educazione propria dell'anarchismo. Vorremmo qui brevemente
sottolineare che questo problema è stato, a nostro avviso, genialmente affrontato dal pensiero
anarchico
cento anni fa e che, giustamente, è stato ripreso dall'anarchismo contemporaneo (3). La
concezione pedagogica dell'"Emilio" anticipando il radicale "ambientalismo" di quella anarchica, getta
un ponte di continuità tra Rousseau e l'anarchismo. Questo ponte sottintende il problema
più generale
della libertà che non nasce dalle condizioni storiche, ma che al contrario va costruita
pragmaticamente
malgrado esse. Ed è a questo punto che si può parlare di quella
volontà implicita nel modello di
ricostituzione sociale quando, facendosi soggetto storico, attraverso l'anarchismo, si costituisce in punto
di riferimento operativo perché la "natura umana", con l'emancipazione integrale, si riconosca
finalmente
in se stessa. "Ideologie libertarie e formazione umana" di Tina Tomasi è il secondo testo
che vogliamo discutere. Si
tratta di una storia dell'aspetto educazionista dell'anarchismo, sia sul piano del pensiero sia su quello
dell'azione. Il titolo del testo ci dice subito, però, che propriamente si tratta di una storia del
libertarismo,
e quindi esso abbraccia un panorama più vasto e con implicazioni ideologiche assai
diverse. Questo non toglie che l'interesse sia prevalentemente rivolto alla pedagogia anarchica, che
la Tomasi
ricava dal pensiero globale dell'ideologia, "leggendo" quest'ultima in chiave educazionista. Vi è
infatti
nella stessa militanza anarchica una palese conseguenza didattica di continuo esempio e insegnamento
derivante dalla posizione ideologica, necessariamente intransigente, propria dell'anarchismo. E tra
gli oggetti specifici dell'attenzione teorica di quest'ultimo vi è il noto rapporto tra
emancipazione
integrale e problema del lavoro. Rapporto che la Tomasi pedagogicamente
trasforma tra istruzione
integrale e prassi educativa. Rispetto alla tematica emancipazione-istruzione
integrale, per gli
individualisti come per i societari, per i collettivisti come per i comunisti, ecc., la prospettiva e l'obiettivo
rimangono comuni anche se le motivazioni teorico-ideologiche sono diverse; come comune rimane la
radicale intransigente posizione atea e antireligiosa (salvo il caso di Tolstoj). Sì può
individuare così uno sviluppo costante e continuativo, pur nella pluralità delle posizioni,
in
rapporto ai temi sopra accennati: temi che sottintendono sempre una dimensione libera e creativa della
concezione pedagogica. Oltre ai notevoli spunti in Godwin e nei socialisti "utopisti" francesi, si
può
osservare ampiamente in Proudhon, nel problema dell'autogestione operaia. Scrive la Tomasi:
"Altrettanto ferma è la convinzione (quella di Proudhon) che occorra cancellare la separazione
tra
umanesimo e tecnica, tra lavoro intellettuale e manuale.... Né può essere altrimenti
perché
l'organizzazione scolastica è lo specchio di quella sociale; là dove la divisione del lavoro
esige da un lato
una aristocrazia di dirigenti e dall'altro una massa anonima di manovali. In una società libertaria
l'istruzione deve essere tutt'altra cosa, cioè uguale per tutti e prolungata per l'intera vita
(4). Si delinea in questo modo la funzione pedagogica dell'ideologia libertaria: la "formazione
umana" passa
per lo sviluppo onnilaterale e armonioso di tutte le sue potenzialità. Sarà poi Bakunin
e più tardi
Kropotkin a legare questo problema al nodo cruciale della lotta rivoluzionaria, identificando la divisione
del lavoro con la divisione in classi sociali. Un paragrafo infatti è dedicato dalla Tomasi al
concetto
dell'istruzione integrale in Bakunin (lasciamo perdere il solito ritratto para-romanzesco
che ci dà di
quest'ultimo). Il rapporto tra istruzione integrale e attitudini individuali
è ben centrato dalla Tomasi
quando scrive: "Infatti, premesso che neppure in una società perfetta ed assolutamente priva
di privilegi
può esistere un'assoluta uguaglianza, sta di fatto che gli individui differiscono per doti
intellettuali assai
meno di quanto un'interessata convinzione vorrebbe far credere; nella stragrande maggioranza si
equivalgono, pur non essendo identici. L'istruzione integrale, partendo da
quest'ultimo presupposto,
mira a formare non già una ristretta élite di scienziati ed un esercito di manovali ma degli
"uomini capaci
di usare ugualmente le mani e l'intelligenza per il bene collettivo". Anche dal punto di vista della
realizzazione pratica questo discorso fu portato avanti in alcuni esperimenti di scuole libertarie; oltre
alla
famosa "Escuela Moderna" di Ferrer, quella assai meno nota dell'orfanotrofio di Cempuis
fondata da
Poul Robin. Egli raccolss in alcuni articoli e saggi sotto il titolo "L'enseigmement integral"
la riflessione
teorica sull'esperienza pratica direttamente vissuta come promotore e insegnante. Ma per
comprendere maggiormente la dimensione pedagogica dell'anarchismo, la sua straordinaria
attualità (tutta la pedagogia "progressista" e "rivoluzionaria" contemporanea ha saccheggiato
a piene
mani i temi classici dell'educazionismo libertario), occorre andare al cuore della sua ideologia. I tempi,
i modi, le forme, lo sviluppo, i mezzi, i fini della libertà concreta, materiale, reale,
nella misura in cui essa
non rimane solo un obiettivo, ma costituisce la prassi stessa dell'agire storico dell'anarchismo. In questo
modo è un intero soggetto storico che si fa campione ed esempio dello sviluppo e dei fini della
"formazione umana".
N. B.
(1) Carmela Metelli di Lallo "Componenti anarchiche nel pensiero di J. J. Rousseau", ed. La Nuova
Italia, Firenze, 1970, pag. 35 e 13. (2) AA. VV. "Anarchismo '70", Cesena 1973, pag. 13. (3)
A. B. (Amedeo Bertolo), "La meritocrazia come ideologia del feudalesimo industriale", in "Lavoro
manuale e intellettuale 'Collana' La Rivolta", Ragusa, 1968, pag. 46. (4) Tina Tomasi "Ideologie
libertarie e formazione umana", ed. La Nuova Italia, Firenze, 1973, pag. 109
e sgg.
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