Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 3 nr. 24
ottobre 1973


Rivista Anarchica Online

Storiella illustrata
di Mirko Roberti

Il numero di settembre di "Storia Illustrata" è dedicato interamente agli anarchici. Attraverso l'uso sapiente di una falsa obiettività, con un'esposizione - a tratti fumettistica, a tratti seria e onesta o quasi onesta - di un po' di pensiero, un po' di vicende e un po' di cianfrusaglia folkloristica, "Storia Illustrata" porta il lettore alle solite conclusioni: anarchici terroristi e/o utopisti.

In questi giorni è in vendita, nelle edicole di ogni città italiana, il fascicolo speciale numero 191 di "Storia Illustrata", completamente dedicato alla anarchia. Dall'impostazione generale data lavoro si deduce che suo scopo è quello di dare un quadro sufficientemente esauriente della materia: sono stati affrontati, infatti, i momenti storici più importanti ed alcuni aspetti teorico-pratici significativi, sono stati biografati una parte dei personaggi più importanti, ecc. Tuttavia, dopo aver letto l'intero fascicolo, siamo costretti a concludere che non solo non è stata data al lettore una visione generale della materia, ma anche che essa è stata presentata in modo falsamente obiettivo. È questa falsa obiettività che vogliamo per l'appunto discutere, portando alla luce sia i motivi di essa, sia le necessarie interpretazioni storiche che sono state alterate o sottaciute.
Abbiamo parlato di falsa obiettività. Che cosa intendiamo dire con questo? Pensiamo di potere rispondere definendo il tipo di interpretazione storica che la sorregge: essa è fondata sul tentativo di presentare l'anarchismo non come un movimento, bensì come un fenomeno storico. La distinzione ci permette di capire alcune conseguenze implicite presenti sia nell'una che nell'altra prospettiva interpretativa. Mentre con la prima (movimento storico), è necessario portare in evidenza le caratteristiche proprie di esso, continuità, rapporto organico con la storia generale, l'insieme sistematico delle sue dottrine, ecc., al contrario con la seconda (fenomeno storico) tutte queste caratteristiche vengono a mancare. Di conseguenza il confronto e la verifica fra prassi storica e ideologica, rapporto indispensabile per poter capire qualsiasi movimento storico, lascia il posto alla improvvisazione, alla discontinuità, alla imprevedibilità, tipiche del fenomeno storico. Ecco, è questa una prima considerazione generale che abbiamo ricavato dal fascicolo in esame. Nei singoli temi trattati, sebbene vi sia una ricostruzione abbastanza fedele dei fatti storici, non esiste né un innesto fra essi e il loro contesto più generale, né fra l'insieme di essi e il senso e le ragioni dell'azione anarchica.
Inoltre, la sproporzione fra le parti (un terzo del lavoro è dedicato al "terrorismo anarchico", mentre alla rivoluzione russa e soprattutto a quella spagnola, è dedicato molto meno spazio) ha completato l'immagine ormai stereotipata dell'anarchismo utopia-violenza; del resto ben riassunta nella copertina e nel sottotitolo del fascicolo: utopia, rivolte e attentati da Bakunin ad oggi. Da sottolineare il termine rivolta: gli anarchici, secondo gli estensori del fascicolo, sono evidentemente congeniali solo alle rivolte e non alla rivoluzione.
Comunque vediamo ora alcune conseguenze interpretative del fenomeno storico e per converso le risposte per ridefinire l'anarchismo come movimento storico.

santi o delinquenti

Arturo Colombo e Ugoberto Alfassio Grimaldi si sono assunti il compito di dare un panorama ideologico dell'anarchismo: il primo con una introduzione generale, il secondo con l'esame del pensiero e dell'azione di Bakunin, evidentemente presentato come il teorico più importante.
Nell'introduzione generale l'ideologia storica dell'anarchismo non esiste. Vi si parla dei due poli opposti di esso, santità e violenza, riferendo alla santità personaggi come Tolstoj e Gandhi, alla violenza Stirner e Neciaiev. Ebbene, che cosa hanno a che fare Tolstoj e Gandhi con l'ideologia e il movimento storico dell'anarchismo? Assolutamente nulla. È possibile, del resto, definire Stirner come teorico e apologeta dell'assassinio e dell'attentato politico? Dove mai Stirner, che era un filosofo, ha scritto queste cose? Si potrà casomai interpretare Stirner in un certo modo, e così infatti fu fatto alla fine del secolo scorso, ma questa è una cosa molto diversa. Raccomandiamo al signor Colombo di leggersi un libro uscito recentemente su Stirner, per vedere anche come è possibile interpretarlo in modo completamente diverso (1). Rimane Neciaiev. Un personaggio assolutamente secondario quale Neciaiev viene assunto come secondo rappresentante e teorico della violenza anarchica. Si tenga presente che Neciaiev con l'anarchismo storico ha solo un tenue e passeggero legame: è ricordato, infatti, solo perché per un paio d'anni fu in contatto con Bakunin.
L'aspetto teorico-ideologico dell'anarchismo è esaurito qui. Le sue analisi sullo Stato, la religione, il sistema di sfruttamento, ecc. e, per converso, i mezzi teoricamente concepiti per combattere la disuguaglianza, per costruire una società libera, ecc., non esistono. Gli accenni a Proudhon, Godwin e Kropotkin non aiutano a capire maggiormente l'ideologia anarchica, sempre combattuta fra una visione mitica (il "ritorno" alla vita semplice, quasi agricola-pastorale) e una apocalittica (la palingenesi della distruzione totale in Stirner e Neciaiev).
L'introduzione non ci ha introdotti. Passiamo a Grimaldi. Di Bakunin, Grimaldi ci dà la solita immagine di personaggio sconclusionato e imprevedibile; più che un rivoluzionario egli è presentato come un bohémien edonista. Scrive lo storico Grimaldi: "Poi, mentre s'avvia in carrozza verso Praga, incontrando una folla vociferante attorno ad un castello, scende, prende il comando dell'operazione - egli possiede il fascino del capo, chi lo vede è portato spontaneamente ad obbedirgli -, divide i contadini in squadre, impartisce gli ordini e quando le fiamme avvolgono l'edificio risale soddisfatto sulla sua carrozza: si è dimenticato di chiedere il perché dell'assalto". La vocazione ribellistica di Bakunin è forse possibile, per Grimaldi, spiegarla con l'analisi del complesso di Edipo. Questo il personaggio.
Per la sua azione storica e il suo pensiero, Grimaldi ci dice che essi vanno inquadrati partendo dalla formazione culturale e dal contesto storico in cui essa si sviluppa: Bakunin è il teorico dei declassati, dei contadini, degli slavi, delle jacqueries di stampo populista, ecc.. Sebbene questo sia vero in parte il pensiero di Bakunin nella sua sostanza non è nemmeno accennato. Le sue analisi e le sue straordinarie anticipazioni sullo sfruttamento e sul ruolo storico del movimento operaio e socialista, i limiti dell'azione politica e la teorizzazione della lotta sociale, l'interpretazione magistrale della Prima Internazionale e la funzione rivoluzionaria di essa, ecc., sono ombre pallide nell'articolo di Grimaldi.
La sua azione all'interno dell'Internazionale e lo scontro con Marx, scontro dovuto all'opposta funzione che essi volevano imprimere ai destini storici del proletariato, è ricondotta, per Grimaldi, alla diversità delle menti e dei temperamenti. La mente scientifica di Marx contro la mente vulcanica di Bakunin! Certo, un modo nuovo per definire l'intelligenza: vulcanismo.

gli anarchici italiani

"Le mille vite dei libertari italiani" di Vittorio Emiliani e "Anarchici e operai uniti nello sciopero" di Giovanni Spadolini, sono i due "servizi" che tentano di presentare la storia dell'anarchismo italiano. Il primo ci dà una serie di biografie scritte con simpatia e una certa "benevolenza", tutti bravi, tutti buoni, ecc. Ciò che manca, però, è la storia dell'anarchismo come movimento, la sua azione rispetto agli sfruttati e agli sfruttatori.
Nell'articolo di Emiliani vi è una storia degli anarchici, non una storia dell'anarchismo. Se i due aspetti appartengono ad un unico movimento, quello dell'emancipazione umana, come è possibile scinderli presentandoci una somma di vite individuali? L'anarchismo riappare qui come un fenomeno. Nell'articolo di Emiliani non vi è un confronto fra l'azione storica degli anarchici e le ragioni della loro strategia. Inoltre non c'è un rapporto fra questa azione e le condizioni storiche e sociali dell'Italia di allora.
Così risulta incomprensibile la scelta fatta dagli internazionalisti anarchici per le rivolte nel meridione, scelta necessaria per le condizioni storiche di quel tempo. Oppure, per la "settimana rossa", scaturita da un lavoro colossale di propaganda e di organizzazione, portato su più piani, dall'antimilitarismo alle lotte operaie e contadine. Lavoro costato due decenni, dopo il tradimento e la svolta a destra dei socialisti marxisti. Fatti, questi, né improvvisabili, né imprevedibili.
Tutto questo sarebbe risultato intellegibile se Emiliani avesse fatto vivere i grandi nodi della problematica rivoluzionaria dell'anarchismo, in un quadro organico rispetto alle lotte degli operai e dei contadini italiani.
A differenza dell'articolo di Emiliani, che parla degli anarchici, quello di Spadolini è in buona parte inesaminabile. In esso si parla dei sindacalisti rivoluzionari, di Sorel e delle sue dottrine, e qualche volta anche degli anarchici e dell'anarchismo storico. I pretesi rapporti tra Sorel e il sindacalismo rivoluzionario da una parte, e le dottrine, i metodi e l'azione rivoluzionaria degli anarchici dall'altra, rapporti che Spadolini presenta molto stretti e congeniali, sono invenzioni da giornalista e non analisi da storico. Così risulta assolutamente priva di fondamento l'affermazione che Arturo Labriola, teorico del sindacalismo rivoluzionario, sia stato il "campione più caratteristico e singolare dell'innesto fra sindacalismo e anarchismo". Anche per Spadolini possiamo consigliare un libro molto documentato sulla genesi del sindacalismo rivoluzionario in Italia (2).
Infine, l'affermazione che Malatesta fosse stato completamente ostile verso i "consigli di fabbrica" è talmente grossa che, più che discuterla, è da rimandare Spadolini a leggersi cosa scriveva Malatesta in proposito (3).
Comunque la questione di fondo, anche qui, è un'altra: la presentazione dell'anarchismo non come un movimento storico. Infatti nulla è scritto della sua organizzazione all'interno del movimento operaio (per Spadolini l'U.S.I. aveva "limitate capacità proselitistiche"), né vi è una spiegazione ragionata della sua strategia. Se, infatti, non vengono esaminati i rapporti tra anarchismo e marxismo, all'interno del movimento socialista, è impossibile comprendere la posizione necessariamente "estremistica" degli anarchici costretti a tamponare le fughe in avanti, la svolta a destra, gli errori madornali e le balordaggini più inaudite degli "scientifici marxisti". Spadolini riporta la cronaca dell'occupazione delle fabbriche, ma non spiega il suo fallimento. L'identificazione tra sindacalismo rivoluzionario e anarchismo, è questo il nodo su cui ruota l'articolo di Spadolini, viene assunta sulla base del comune "estremismo". Come è possibile fare un'analisi storica così stupidamente superficiale?

ucraina e catalogna

Le pagine dedicate a Machno se ricostruiscono abbastanza fedelmente la cronaca dei fatti compiuti dal movimento libertario in Ucraina, nulla ci dicono del rapporto fra quest'ultimo e la rivoluzione russa. In questo modo l'anarchismo russo ritorna sotto il segno del fenomeno storico, e non come espressione autenticamente emancipatrice della rivoluzione.
La rivoluzione russa scoppiata dopo un gigantesco lavoro durato oltre cinquanta anni, lavoro di propaganda fra le masse contadine, lavoro di organizzazione fra i lavoratori delle città, lavoro di agitazione permanente verso il fior fiore generoso della gioventù russa, non nacque come monopolio della squallida burocrazia bolscevica. Al contrario, nell'articolo di Uboldi, l'anarchismo russo non figura organicamente all'interno della rivoluzione, ma si presenta come una componente di per sé eccezionale, come un fenomeno, appunto. Eppure il movimento anarchico in questo lavoro di preparazione rivoluzionaria svolse una parte di primo piano. Rettificando la prospettiva: la rivoluzione russa non espresse alcuni fenomeni di estremismo come l'anarchismo, ma fu quest'ultimo, assieme ad altre componenti rivoluzionarie che portò le masse oppresse e sfruttate sul piano della rivoluzione.
Per la Spagna, Tranfaglia, non potendo negare l'importanza del movimento anarchico, lo ha presentato come espressione arcaica del mondo contadino. Egli incomincia citando tendenziosamente Brenan: "In altre parole l'anarchismo spagnolo ha, come il carlismo, un aspetto atavico: esso è in certo senso espressione di nostalgia per il passato e atteggiamento di resistenza alla schiavitù che la moderna struttura capitalista della società e la tensione della vita industriale impongono all'uomo". Tendenziosamente, perché, lo stesso Brenan, scrive venti pagine dopo a conclusione del capitolo: "Diversamente dal carlismo che - nella misura in cui significa ancora qualcosa - rifiuta totalmente la modernità, esso (l'anarchismo) accetta i vantaggi offerti dalla produzione industriale, pur asserendo che nulla dovrebbe ledere il diritto di ogni uomo di vivere in modo umano e dignitoso" (4). Questo, Tranfaglia, ovviamente, non lo ha citato.
Certo, ci vuole un bel coraggio per asserire che gli anarchici furono espressione delle masse contadine, quando si sa che la Catalogna, la regione industriale della Spagna, rimase sempre il punto di forza maggiore dell'anarchismo spagnolo. Contemporaneamente, quest'ultimo, seppe esprimere naturalmente, a differenza del marxismo, anche le tendenze rivoluzionarie delle masse contadine. Questo per confermare, per l'ennesima volta, che l'anarchismo non è l'espressione storica della "piccola borghesia", al contrario dei comunisti spagnoli che nella loro azione di tradimento e sabotaggio della rivoluzione fecero leva sulla piccola borghesia per frenare la collettivizzazione delle terre e la socializzazione delle industrie e per trasformare la rivoluzione sociale in una guerra tradizionale fra Stati. Ecco la ragione principale della sconfitta del proletariato spagnolo, che Tranfaglia non spiega nel suo "Comunisti contro anarquistas".
Falso è poi il giudizio sull'organizzazione dell'anarchismo spagnolo che Tranfaglia definisce "sui generis". Inaudito, se si pensa che questa organizzazione "sui generis" fu per oltre cinquant'anni alla testa di tutte le lotte sociali degli sfruttati spagnoli! Il titolo dell'articolo di Tranfaglia si potrebbe rileggere in due modi: "Comunisti contro rivoluzionari", ma più chiaramente "Comunisti controrivoluzionari".

utopismo

Presentando l'anarchismo come un fenomeno storico, gli estensori del fascicolo hanno indirettamente ed involontariamente messo in evidenza la natura autentica di esso. Inesistenti i legami organici con la storia dell'ultimo secolo, l'anarchismo non ubbidisce alle leggi della naturale evoluzione storica. Esso appare, nel suo ripetersi eguale in condizioni diverse, un soggetto irriducibile ad ogni schema interpretativo classico, fondato sulla spontanea adattabilità alle tendenze obbiettive della storia generale (che rimane sempre la storia dello sfruttamento e della disuguaglianza).
Questa sua contemporanea immodificabilità e presenza nel corso dello sviluppo storico porta gli estensori del fascicolo a due giudizi complementari: alla sua immutabilità viene assegnata tutta la dimensione utopica, alla sua ricorrente persistenza, quella del fenomeno.
L'anarchismo, esprimendosi come soggetto storico non modificabile, a nostro avviso, conduce invece ad una lettura tutta diversa della sua natura. Noi leggiamo, nella sua immodificabilità, tutta la dimensione rivoluzionaria, nella sua contemporanea presenza storica, tutta la certezza del suo essere movimento reale di emancipazione umana.

Mirko Roberti

(1) Vedasi G. Penzo, "Max Stirner", Marietti, Torino, 1971.
(2) L. Briguglio, "Congressi socialisti e tradizione operaista", Tipografia Antoniana, Padova, 1972. Pag.115 sgg.
(3) Errico Malatesta "Scritti", Volume I, Ginevra, Edizione del "Risveglio" 1934, pag. 153 sgg.
(4) G. Brenan, "Storia della Spagna" Einaudi, Torino, 1970, pag. 192.