Rivista Anarchica Online
La via cilena al golpe
di S. Parane
Dalla elezione di Allende al colpo di stato militare: un'altra dimostrazione di socialismo
"scientifico"
L'autore di questo articolo, che si cela dietro lo pseudonimo di
Parane, è un anarchico cileno che da
molti anni vive a Parigi, dopo avere viaggiato e lavorato in vari Paesi dell'America Latina, dell'Africa,
del Medio Oriente e dell'Europa. Con questo articolo "Parane" inizia la sua collaborazione alla
rivista.
L'esperienza cilena di Unità Popolare, conclusasi con il colpo di Stato militare, ha
già fatto scorrere fiumi
di inchiostro (e spesso questa abbondanza di parole è dovuta ad una mancanza di informazioni
e
all'ignoranza dei problemi cileni) e di lacrime (e queste ultime sono state spesso lacrime di
coccodrillo). Per parlare chiaro, le reazioni europee, che siano di destra o di sinistra, sono motivate
dalla situazione
elettorale e dalle cucine politiche di ciascun paese e non da una autentica solidarietà verso il Cile
operaio
e contadino, che rimane in generale sconosciuto ed interessa alla maggior parte dei partiti e delle
pubblicazioni come pretesto, non come realtà.
Lasciamo a Berlinguer ed a Marchais le interpretazioni di circostanza e lo sfruttamento razionale
di un
sentimentalismo a eclissi. Vediamo piuttosto quali sono per il Cile le caratteristiche essenziali
dell'evoluzione sociale. Dopo la grande crisi mondiale degli anni 1929-30, come la maggior parte
dei paesi dell'America Latina,
il Cile ha visto la sua classe dirigente tradizionale (proprietari terrieri, industriali che limitavano le loro
ambizioni alla fabbricazione di prodotti di uso corrente, banchieri che si occupavano di speculazioni e
di risparmi, ma non investimenti) da una parte perdere il potere politico o trovarsi nella necessità
di
dividerlo e dall'altra parte di mostrarsi incapace di rispondere alle imperiose necessità di
ammodernamento dell'economia. Ma l'evoluzione non è assicurata da una borghesia
dinamica, da una classe di capitalisti intraprendenti.
Vi sarà naturalmente un inizio di industria nazionale, quando le importazioni diventano difficili
o
impossibili, o troppo onerose, come durante la grande crisi e in seguito durante la seconda guerra
mondiale, ma questo settore rimarrà sempre minoritario e non giocherà un ruolo
trainante. In questa
mancanza di capacità e di iniziative private, è lo Stato che cercherà di sostituirsi
ad esse. Particolarmente
con la creazione della CORFO - Corporacion de Fomento - cioè di un organismo
pubblico che si
sforzerà di creare una infrastruttura indispensabile allo sviluppo economico, di organizzare, a
beneficio
della nazione, lo sfruttamento delle fonti di energia, di creare delle industrie di base. La CORFO nasce,
con il Fronte Popolare nel 1939, ma corrisponde alla volontà ed ai progetti di un certo numero
di
economisti, di tecnici, di universitari che da una decina di anni sostengono il progetto. Il carattere
stesso della CORFO esclude ogni partecipazione popolare, ogni intervento delle
organizzazioni dei lavoratori. È un progetto di intellettuali di buona volontà e di
ingegneri molto spesso
di grande dedizione e di alto livello.
Il ritorno a governi "moderati" o di destra riduce le attività creatrici della CORFO, che
tende a
comportarsi come una "agenzia di credito" per le imprese private, ma non perde completamente le sue
proprie funzioni e "inventa" ancora molti progetti. Questa pausa spinge gli animatori della CORFO
ad interessarsi agli aspetti, alle condizioni politiche che
favoriscono o sfavoriscono le imprese. Essi saranno consenzienti con le correnti politiche partigiane di
un cambiamento, con i partiti che accordano una importanza primaria allo Stato proprietario ed
imprenditore. In questo corrispondono ad un settore sociale importante che si è convenuto
di chiamare "classi medie",
le quali si sentono limitate nella loro ascesa sociale per i tassi mediocri di sviluppo economico, per la
mancanza di uno sfruttamento metodico delle ricchezze nazionali, per la dipendenza dei circuiti di
esportazione ed importazione dalle grandi potenze industriali, gli Stati Uniti in primo luogo. Questa
pressione è evidentemente rafforzata dalle rivendicazioni della classe operaia, in parte formata
dai lavoratori delle corporazioni tradizionali (edili, conciatori e tipografi), in parte dai salariati della
nuova industria (tessile e metallurgica), e infine da un gran numero di proletari venuti dalle zone rurali
e che vivono letteralmente ai bordi delle grandi città, soprattutto della capitale, in attesa di una
casa e
di un lavoro. Malgrado l'importanza e l'ampiezza, questo movimento, che risulta da strati sociali
differenti, non prende
carattere rivoluzionario nel senso violento del termine, né nel senso socialista. Rimane
frantumato e
canalizzato nel sistema elettorale. È rivoluzionario nel senso che esige l'allontanamento o la
morte della
vecchia oligarchia impotente (ancora padrona della maggior parte dei mezzi di informazione ed
estremamente abile nel gioco delle istituzioni non ancora riformate). È invece straordinariamente
ambiguo nel formulare quale sarà la nuova classe dirigente. Il vocabolario operaista, le
citazioni dai vangeli marxisti o leninisti, le manifestazioni a favore di Castro
non devono far dimenticare la provenienza di classe dei dirigenti dei diversi partiti popolari, siano
socialisti, democratico-cristiani o comunisti. La maggior parte delle dirigenze politiche è
composta da
universitari, figli della piccola e media o grande borghesia. Costoro hanno una stessa concezione della
loro funzione sociale: quella di amministratori, di gerenti, di orientatori dell'economia e della nuova
struttura sociale. E, si potrebbe aggiungere, essi hanno anche in comune lo stesso modello, qualunque
sia l'ideologia a cui si richiamano. È il modello della società post-industriale, sia di tipo
nord-americano,
sia di tipo sovietico. Fenomeno notevole, che segna la differenza dalle situazioni ed evoluzioni
europee, è che l'estensione del
settore terziario, la proliferazione dei "colletti bianchi", il peso sempre maggiore dei professionisti e dei
salariati non manuali precede, nel Cile come nella maggior parte dei paesi dell'America
Latina,
l'industrializzazione. Non è lo sviluppo economico che fa sorgere una classe di "managers",
è una
popolazione di "intellettuali" che si considera come adatta e chiamata a modernizzare l'economia, che
vuole il cambiamento. Altro aspetto di questo fenomeno, la classe operaia non è una classe
politicamente
agguerrita. È numericamente minoritaria; è in formazione e i suoi componenti sono in
larga parte dei
candidati a trovare lavoro, perché lo sviluppo demografico, la stagnazione delle regioni agricole,
la lenta
industrializzazione contribuiscono ad aumentare la disoccupazione, la sottoccupazione. Questi rapporti
di classe spiegano l'aspetto elettoralista dei mutamenti sociali. Alcuni partiti non si presentano come
partiti della classe operaia, nemmeno lo stesso Partito Comunista. Tutti si dichiarano poli-classisti,
vogliono esserlo ed effettivamente lo sono, tutti considerano la via elettorale come essenziale. I partiti
sono incoraggiati dal fatto che l'elettorato cileno non fa che gonfiarsi, con il cadere progressivo delle
limitazioni e delle restrizioni legali, triplicandosi praticamente in vent'anni. Cosa che autorizza tutte le
speranze per ogni partito concorrente, esclusi i conservatori. Ma la "via elettorale" si spiega anche con
un altro aspetto della importanza delle "classi medie". Infatti una parte di queste classi si trova integrata
nella vecchia società, ed ha garantiti dei vantaggi, anche se le condizioni di lavoro, gli
emolumenti e le
prospettive sono mediocri. Tutto questo perché i governi "d'ancien regime" hanno
favorito, con un
sistema di assicurazioni particolari e di migliori salari, parecchi strati di impiegati, di funzionari
sottoccupati e di "colletti bianchi". Per contro, la maggior parte di queste classi aspira al cambiamento,
ma per migliorare il loro stato, aprire delle prospettive, favorire la propria mobilità, non per
essere ridotti
allo stato di salariati manuali.
Esiste dunque, al di là delle polemiche e delle recriminazioni, un certo
consenso tra le tre parti popolari.
È l'indispensabile cambiamento della struttura sociale, è la nazionalizzazione delle
industrie chiave e delle
fonti delle materie prime, è il disimpegno dalle società straniere che hanno dei privilegi
esorbitanti, è il
ruolo dello stato come regolatore, pianificatore e motore dello sviluppo economico. Ma già su
questo
si osservano delle sfumature, che concernono i ritmi del processo di cambiamento ed il ruolo riservato
al settore privato "desarrollista". Per contro, alcuni dei partiti popolari non accordano né
propongono
un ruolo specifico alla classe operaia, una responsabilità ai sindacati, una funzione ai comitati
di fabbrica,
in questo cambiamento sociale. Così, durante il governo democratico-cristiano, non si
prende alcuna misura per far saltare la legge che
limita e intralcia l'attività sindacale. La DC cilena si limita ad esigere che i posti di
responsabilità nella
C.U.T.Ch. (Centrale Unica) siano ripartiti secondo l'influenza dei partiti, vale a dire che intende dividere
i posti con il PC e il PS che si sono già piazzati. E da parte di Unità Popolare,
bisognerà attendere il
giugno 1972 - dopo molte infelici esperienze - perché sorgano dei progetti di legge
concernenti
l'autogestione - anche se è una parola troppo grande per il contenuto proposto - nelle fabbriche
statali.
Non vi è niente di stupefacente quando alle ultime elezioni presidenziali, mentre 600.000
astensioni sono
da sottrarre ai 3.540.000 elettori iscritti, il candidato di Unità Popolare, Salvador Allende, che
ha
ottenuto 1.075.616 voti, contro 1.036.278 a Jorge Alessandri, candidato dei "nazionalisti", ed 824.849
a Rodomiro Tomic, democratico-cristiano, sia finalmente designato come Presidente della Repubblica
dai voti del parlamento, con l'appoggio dei deputati e dei senatori appartenenti ai partiti di Unità
Popolare e della Democrazia Cristiana. Questa elezione, nella tradizione politica cilena, sottolinea
come la nuova esperienza tragga beneficio
da un largo appoggio. Il voto era stato preceduto da negoziati serrati tra Allende ed una rappresentanza
della DC, quest'ultima esigeva ed otteneva delle garanzie per il mantenimento delle libertà
pubbliche
essenziali: stampa, riunioni, associazioni. Radicali e comunisti sostengono questo patto, mentre i
socialisti si mostrano reticenti. Il solo punto sul quale il futuro presidente e la DC non riescono a trovare
un accordo - e la DC deve cedere - è la ricusazione di una delle prerogative presidenziali: quella
di
designare gli alti capi militari. Allende intende disimpegnarsi da quest'incarico e non intervenire nel
normale gioco delle promozioni nelle diverse armi.
Nello spirito degli economisti e pianificatori della équipe di Allende - formatisi
per la maggior parte in
organismi internazionali, soprattutto nel CEPAL - Commissione Economica per l'America Latina,
dipendente dalle Nazioni Unite -, era necessario agire il più velocemente possibile. Cioè
prendere, nel
minimo tempo, quelle misure di ristrutturazione che avrebbero reso impossibile qualsiasi regressione.
La nazionalizzazione delle banche, delle miniere, delle grandi imprese. La creazione di un settore
"socializzato", con limitazione dell'iniziativa privata alle piccole e medie industrie; un programma di
riforma agraria con ridistribuzione delle terre, secondo il criterio che il diritto di proprietà non
avrebbe
dovuto superare gli 80 ettari di terre irrigue; orientazione della produzione e degli scambi esteri sotto
il controllo di organismi di pianificazione. La CORFO diveniva l'organismo più importante per
la
gestione del settore socializzato; l'ODEPLAN (Ufficio di Pianificazione) tracciava le linee e definiva il
tasso di sviluppo. Sebbene non disponga della maggioranza alle Camere, Allende ottiene voti
favorevoli per tutte le sue
grandi riforme. La nazionalizzazione delle miniere di rame, ad esempio, è votata dalla quasi
totalità dei
parlamentari. Questo appoggio condizionato nasce evidentemente da laboriosi accordi, contrattazioni,
discussioni, per tutti i problemi e a tutti i livelli. D'altra parte, all'Università, nei sindacati, nelle
associazioni contadine, si sviluppa una lotta di influenza fra comunisti, socialisti, democristiani e, presto,
l'estrema sinistra, e più particolarmente il M.I.R. (Movimento di sinistra rivoluzionaria) di
tendenze
castriste (per quanto è possibile definirlo).
Presto intervengono due fattori che risentono del gioco parlamentare: in primo luogo la
politicizzazione
delle imprese e dei servizi, dove le nuove direzioni sono scelte secondo un criterio di tendenza (il
direttore sarà socialista, il segretario generale comunista, il capo del personale della sinistra
dissidente
democristiana, ecc.) e non secondo le competenze. Tutto questo ha per conseguenza quasi immediata
la partenza di numerosi tecnici e, molto rapidamente, un calo della produzione. È egualmente
la rottura,
o più semplicemente l'assenza di coordinazione fra direzioni politiche di governo e le
équipes dirigenti
più edificatrici. Con tutte le sue speculazioni e le sue previsioni, la "testa economica pensante"
ha
sviluppato delle operazioni di cui non ha valutato le conseguenze a medio termine. Così un
primo
aumento dei salari - per creare un mercato interno capace di assorbire la produzione di una industria in
via di sviluppo - vuote i magazzini, le riserve e gli stocks, e riduce infine il paese alla penuria. Le
importazioni, il peso del debito con l'estero danno fondo rapidamente alle riserve di divise. Il ribasso del
costo del rame alla Borsa di Londra non permette alla bilancia di ritrovare il suo equilibrio. Si comincia
a battere moneta. Queste difficoltà non impediscono affatto lo sviluppo di un nuovo strato
sociale che
va a popolare gli uffici, i servizi e i dipartimenti ministeriali o para-ministeriali e che sarà presto
chiamata
dallo scherno popolare "Los Gringos del Mapocho", cioè gli "stranieri" - per il
loro livello di vita - del
Mapocho, nome dato a volte al corso d'acqua che attraversa Santiago ma anche a uno dei quartieri
più
poveri della capitale. Si assiste ad una forte politicizzazione delle aziende e delle campagne: le
riunioni, le assemblee, le uscite
per sfilate, gli scontri tra frazioni avverse mobilitano il personale in qualsiasi momento, mentre
l'organizzazione del lavoro è raramente discussa. Alcuni tipi di produzione crollano. Gli operai
e gli
impiegati, che partecipano di buon grado a queste giostre oratorie nel corso dei primi mesi, finiscono
per stancarsi e per considerarsi solo come massa di manovra. Infine, le frazioni socialiste di sinistra ed
i militanti del MIR, alla ricerca di una base popolare, chiedono sempre di più. Non come
espressione
della volontà e delle aspirazioni operaie, ma nel gioco di pressioni sul potere. I
termocéfalos (le "teste
calde") giocano in realtà su due piani: l'opposizione (che permette loro di utilizzare certi
malcontenti)
e la partecipazione (che fornisce loro delle cariche amministrative e dei mezzi materiali).
Mano a mano che la situazione economica peggiora (inflazione galoppante, razionamenti e mercato
nero,
scioperi dei minatori di rame) i rapporti tra i partiti di governo e i partiti di opposizione si deteriorano.
I nazionalisti passano all'attacco, ritenendo l'atmosfera favorevole per costringere Allende a dimettersi
e cercando di coinvolgere la DC in una lotta frontale. Diverse frazioni politiche dell'Unità
Popolare -
radicali, indipendenti - lasciano una nave che essi giudicano in pericolo. Allende continua a fare
l'arbitro di situazioni che controlla sempre meno, tanto in seno all'alleanza
governativa che nel Paese. Per guardarsi da una estrema sinistra che egli a volte utilizza tecnicamente
-
guardia personale, servizi di informazioni - e dall'estrema destra (che sfrutta il timor panico di cui
è preda
l'oligarchia, ma anche il bisogno di "ordine" di una parte delle classi medie), egli chiama dei militari ad
occupare dei ministeri importanti. Egli ha sempre seguito attentamente le Forze Armate,
accogliendo frequentemente i loro pareri,
esaltando il loro spirito civico e la loro lealtà, accordando generosamente dei vantaggi
economici ai
militari e ai carabinieri. Ma facendoli entrare nel gioco politico, affidando loro dei posti chiave (gli
Interni!), egli conferma la propria debolezza e riconosce la loro importanza. Cosa ancora più
grave, egli
spezza in realtà lo spirito di corpo, l'unità della società militare, essenziale per
le Forze Armate in
America Latina. Poiché in seno alle tre armi ed ai carabinieri esistono delle frazioni
pro-Allende, filo-democristiane, filo-nazionaliste e filo-fasciste, e poiché i quadri ufficiali
comprendono che le forze armate non sono più una
forza, una macchina essenziale allo stato, ma un insieme di tendenze legate a dei partiti, il colpo di stato
è inevitabile. Meno, forse per le ragioni avanzate (arrestare il caos) che per
necessità di sopravvivenza. Tutta l'abilità
di Allende, cui non restava altro che questa abilità, non poteva armonizzare gli appelli del
segretario del
suo partito, il senatore Altamirano, con la formazione di milizie rivoluzionarie e con l'organizzazione
di
cellule nella marina e nell'esercito, e la sua volontà di presentarsi come un presidente
preoccupato del
rispetto della costituzione, che si appoggiava sulla disciplina degli ufficiali.
Nell'America Latina esistono due tradizioni nell'avvento dei colpi di stato militari. L'una avviene per
riportare "l'ordine" dopo il caos creato dai "politicanti" e precede la ritirata dei militari che si piegano
davanti a una consultazione elettorale "onesta". È questa una tradizione che si sta perdendo.
L'altra, più
recente, consiste nella installazione di una Giunta Militare che ha l'intenzione di restare al potere e di
gestire il paese, assicurandone lo sviluppo. Le notizie più recenti lasciano credere che il
secondo caso è quello del Cile. Questo non significa
necessariamente un passo indietro per quanto riguarda le nazionalizzazioni essenziali. Ma sarà
mortale
per i primi sintomi di gestione diretta operaia e contadina, nati da poco tempo, malgrado
e contro gli
strateghi ed i pianificatori del socialismo di stato.
S. Parane
Il golpe e l'I.T.T.
Le multinazionali non sono solo imprese, ma le dimensioni mastodontiche raggiunte, gli interessi
articolati e diversificati in decine e decine di paesi, hanno trasformato queste società in nuovi
stati.
Stati in continua guerra per la conquista dei mercati del terzo mondo, che non indietreggiano dinnanzi
a nulla e i cui dirigenti sono privi di qualsiasi senso morale come lo sono tutti i capi di stato. Uno dei
più o amorali è Harold Geneen, il presidente dell'I.T.T. (International Telephon and
Telegraph). L'I.T.T. possedeva in Cile la rete telefonica e inoltre aveva interessi nei settori
più qualificati
dell'economia di quel paese. Come qualsiasi stato, l'I.T.T. ha una sua politica: mantenere lo status
quo (sempre conservatore o
reazionario) nei paesi dove ha interessi e investimenti. Era quindi evidente che l'I.T.T. non avrebbe
accettato a cuor leggero l'elezione di Allende e per
prevenire questo fatto, per lei negativo, sviluppò un'azione, in concerto e tramite la CIA, per
ostacolare la vittoria di Allende. Ma Allende vinse lo stesso, e l'I.T.T. vide in pericolo i suoi interessi
in quella nazione e offrì alla CIA un milione di dollari per eliminare il Governo di Unità
Popolare. Nel frattempo Allende iniziava le opere di nazionalizzazione, colpendo gli interessi delle
imprese
statunitensi in Cile, non rimborsando le società espropriate e rendendo note le manovre
dell'I.T.T. e
della CIA contro il suo governo. A questo punto la lotta da sotterranea passò allo scoperto.
L'I.T.T. fece pressione sulla Export Import
Bank e sulla Banca Mondiale affinché queste non concedessero crediti al Cile, e poiché
questa
manovra coincideva con quella della Casa Bianca e del Pentagono, Allende si vide rifiutare i crediti
richiesti. La crisi cilena, il finanziamento alla destra, i finanziamenti al giornale (sempre di destra)
"El
Mercurio", l'abile lavoro di dissenso tra le forze armate, vedono tra i principali artefici l'I.T.T.. Un'altra
vittoria delle multinazionali. |
Il Cile e noi
Fallita la "via cilena al socialismo" è facile prevedere il futuro fallimento di quella italiana.
Questo, grosso
modo, è il pensiero di molta parte dell'opinione pubblica di sinistra. Per troppo tempo il Cile
era stato visto come un paese a conformazione politica simile, perché oggi a
golpe avvenuto, molti non si chiedano se questo non scoppierà anche da noi,
quando in un prevedibile
futuro il PCI andrà al governo. La paura del golpe anche in Italia è
determinata dal peso vincolante e condizionante degli USA, e della
CIA in prima persona, sulle scelte di politica interna. Che all'indomani dell'entrata del PCI nell'area
governativa la CIA faccia scattare la sua azione
anticomunista è una ipotesi legata a tante variabili da non poter entrare agevolmente in un
discorso
necessariamente basato su dati più chiaramente individuabili. Al di là
dell'affermazione che il pericolo esiste e che questo può manifestarsi, null'altro possiamo dire.
La CIA è una realtà che agisce, a volte, superando la logica degli equilibri e degli
accordi internazionali. I punti di contrasto tra i due paesi sono dati dall'assetto politico, dai partiti,
dal grado di politicizzazione
e soprattutto dal fatto che l'Italia è un paese industriale avanzato con forti sacche arretrate in
via di
sviluppo, mentre il Cile è un paese in via di sviluppo che presenta in alcune zone gli aspetti tipici
di una
industrializzazione avanzata. Questa considerazione ci permette di cogliere nel suo pieno significato
tutti quegli elementi di stimolo
e di contrasto presenti in entrambi i paesi. Comunque le linee di sviluppo dei due paesi non erano e,
ancor più oggi, non sono parallele. Innanzitutto il PCI non gestirà in esclusiva (o in
partecipazione con
gli altri partiti di sinistra) il potere, ma una eventuale futura coalizione vedrà i suoi cardini nel
tandem
DC-PCI, fattore che la renderà molto più stabile del governo di Allende. Le forze
economiche e sociali
che si riconosceranno in quel governo saranno molto più diversificate e composite e quindi
agirà più
potentemente lo spirito di collaborazione tra le classi. I centri vitali e più qualificati della
economia
italiana non sono in mano a imprese multinazionali straniere (se non per poche, anche se importanti,
eccezioni) e quindi per iniziare un processo di più elevato sviluppo e di riforme strutturali i
nostri padroni
non dovranno nazionalizzare le imprese estere, ma queste potranno agevolmente inserirsi nei dettami
e
nelle linee della programmazione, come d'altronde fanno oggi. Per di più l'Italia, oltre a non
essere alla
completa dipendenza delle imprese straniere, è essa stessa paese d'origine di molte imprese
multinazionali
pubbliche e private, il cui peso è in grado di bilanciare le pressioni politiche ed economiche di
quelle
estere. È evidente allora che risulterebbe molto più difficile, se non quasi impossibile,
isolare
economicamente l'Italia, come invece è stato fatto per il Cile. Un altro punto di
differenziazione tra l'Italia e il Cile è determinato dalla composizione e localizzazione
delle classi medie. Queste, in Cile, non sono ancora stabilizzate entro strutture socio-economiche
definite, ma sono in una fase di "aspettativa" aperta sia a destra sia a sinistra. I punti su cui abbiamo
fermato la nostra attenzione danno un'idea, anche se incompleta, di alcune delle
differenze sostanziali esistenti tra i due paesi e in parte spiegano le difficoltà che incontrerebbero
manovre di tipo golpista, da noi molto improbabili anche se non impossibili. Non
bisogna inoltre dimenticare che l'esercito in Italia ha interessi molto più articolati e
capacità di
pressioni maggiori che non quello cileno. Il tardivo ingresso dei militari nel governo Allende non aveva
modificato sostanzialmente la situazione di potere dell'esercito nella società cilena, ma aveva
incautamente aperto gli occhi ai militari sulle loro possibilità future di potere.
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