Rivista Anarchica Online
Tre libri per l'estate
di Mirko Roberti
I testi che il nostro collaboratore Mirko Roberti propone ai lettori
sono tutti e tre di lettura abbastanza
agevole, e presentano con chiarezza e relativa semplicità il pensiero di tre classici
dell'anarchismo. Tutti e tre, inoltre, sono facilmente reperibili in qualsiasi libreria; i
titoli dei tre volumi sono: - Pierre Ansart, La sociologia di Proudhon,
Il Saggiatore, Milano, 1972. - Michele Bakunin, Rivolta e
libertà, Editori Riuniti, Roma 1973. - Stefano Arcangeli, Errico
Malatesta e il comunismo anarchico, Jaca Book, Milano 1972.
autore: Pierre Ansart titolo: LA SOCIOLOGIA DI
PROUDHON argomento: le origini
dell'anarchismo collezione: i
gabbiani prezzo: lire 1200 editore: Il
Saggiatore A Pierre Joseph Proudhon è stato riservato un posto fisso nella
critica sociologica ed economica dei
tempi passati, e tale posto egli ha conservato fino ai nostri giorni: una definizione che lo ha qualificato
ora tra gli economisti piccolo-borghesi, ora tra i socialisti utopisti. In tutti i casi è stato
considerato con
grande "sufficienza" e sottovalutazione. Ora il saggio che Pierre Ansart ha dedicato a Proudhon,
non solo ridimensiona molte critiche gratuite,
ma apre una prospettiva nuova per una lettura diversa di questo rivoluzionario. Il punto di vista da cui
parte l'Ansart è che Proudhon assume grande valore teorico qualora lo si consideri non
più come un
economista, ma come sociologo. È questa un'interpretazione già tentata da
Bouglè ancora all'inizio del
secolo, ma però non nel modo e con la convinzione dell'Ansart. Quest'ultimo individua tre
aspetti
qualificanti della sociologia di Proudhon che ora cercheremo di commentare brevemente.
la forza collettiva
Un primo aspetto riguarda la categoria di "forza collettiva", categoria che secondo l'Ansart ha
permesso
a Proudhon di spiegare il meccanismo di sfruttamento capitalista (molto prima di Marx) che risulta
valida
per spiegare altri tipi di sfruttamento non inerenti alla società borghese. Dice Proudhon: "Il
capitalista,
si dice, ha pagato le giornate degli operai; per essere esatti, bisogna dire che il capitalista
ha pagato, ogni
giorno, una giornata per ogni operaio impiegato, ciò che non è affatto la
stessa cosa. Perché questa
forza immensa che risulta dall'unione e dall'armonia dei lavoratori, dalla convergenza e dalla
simultaneità dei loro sforzi, egli non l'ha pagata per niente. Duecento granatieri hanno
alzato sulla sua
base in qualche ora l'obelisco di Luxor; si suppone che un solo uomo in 200 giorni ne sarebbe venuto
a capo? Tuttavia per il conto del capitalista, la somma dei salari sarebbe stata la stessa". Qui, come si
vede, Proudhon più che utilizzare uno schema economico sembra utilizzare uno schema
sociologico.
Tale schema, secondo l'Ansart e anche secondo il sociologo Franco Ferrarotti, è applicabile
anche su
società con una economia diversa da quella capitalista. Un secondo aspetto l'Ansart lo rivela
nella categoria di "ragione collettiva": essa costituisce la base del
concetto di "giustizia" che permise a Proudhon di formulare l'etica rivoluzionaria, in contrapposizione
ai valori dominanti, dopo l'esperienza del '48.. La realizzazione della "giustizia" avviene attraverso
l'armonia e l'equilibrio delle diverse forze sociali inserite in una struttura federalistica e
decentrata. Quest'ultima rientra nella terza categoria sociologica proudhoniana che va sotto il nome
di "essere
collettivo", secondo l'Ansart, e che Proudhon chiamava invece "società economica", in
contrapposizione
alla "società politica". La "società economica" sta in netta contrapposizione allo
Stato che è visto come corpo estraneo: tra di
loro non vi è alcuna possibilità di conciliazione. Infatti tale "società" ha proprie
leggi, propri ritmi di vita,
che sono interni ad essa, ne formano la struttura; quest'ultima si alimenta dalla base, dell'attività
storica,
sociale spontanea dei gruppi articolati nelle forze produttive. La conoscenza di tale meccanismo da
parte degli sfruttati, permetterà loro di realizzare l'autogestione,
liberando le forze produttive dal peso opprimente e parassitario dello Stato. Scrive Proudhon "Chi
attribuisce allo Stato il monopolio dei mezzi di produzione rivela che non c'è niente nel
socialismo
statalista che non si trovi nell'economia politica.... Non è affatto divenendo statale
che la proprietà
diventa sociale. Il comunismo di stato riproduce dunque, ma su un piano rovesciato, tutte
le
contraddizioni dell'economia politica; il collettivismo accentratore non ne ha preso che il lato reazionario
pigliando come tipo di organizzazione industriale l'organizzazione della polizia...".
stato e società
Questa contrapposizione tra Stato e società, presente nel corso di tutto lo sviluppo del
pensiero
anarchico (Bakunin, Kropotkin, ecc.) segna e definisce il naturale sbocco operativo della strategia
rivoluzionaria di Proudhon. La possibilità di costruire una alternativa rivoluzionaria si attua nella
misura
in cui questa contrapposizione si fa più netta e radicale, con il rifiuto di partecipare
all'attività politica
del potere a tutti i livelli, con la creazione di organismi completamente popolari autogestiti, che
riproducano nella lotta le forme della futura "società economica" emancipata.... Con una pratica
e una
teoria che sia in tutti i casi non autoritaria, liberamente autogestita. Proudhon nella sua multiforme (e
diseguale) produzione teorica ci ha lasciato un bagaglio ricchissimo di spunti, intuizioni e modelli che
sono stati ampiamente utilizzati e "saccheggiati" (senza una logica sistematica), e che al contrario, con
un criterio metodologico razionale, potranno diventare fecondi di nuove analisi e di nuove
interpretazioni: leggendo il lavoro dell'Ansart ci si potrà avvicinare all'opera di Proudhon con
maggiore
interesse e comprensione critica.
RIVOLTA E LIBERTÀ I temi fondamentali dell'anarchismo
nell'elaborazione del suo massimo teorico, a cura di Mariella
Nejrotti BAKUNIN Dio, stato, potere e gerarchia sono i termini di
quella generale struttura sociale ideologica che costituisce
la matrice universale di ogni sfruttamento, disuguaglianza e oppressione presente nella
società. La diversa importanza e collocazione come funzione, da essi via via assunta nelle
differenti società
storiche, hanno costituito l'arazzo di fondo su cui Bakunin ha intessuto con discontinuità, ma
con
estrema genialità, la sua analisi e la sua teoria. Questo carattere principale degli intendimenti
teorici bakuniniani è stato ben compreso da Mariella
Nejrotti che ha costruito su tale traccia la prefazione ad una antologia bakuniniana curata da lei stessa
e presentata ora dagli Editori Riuniti. La lettura di tale antologia diverrà più agevole
e comprensibile
qualora si parta, come criterio e metodo di interpretazione, dalla prefazione della Nejrotti; una
prefazione
che secondo noi, a parte alcuni infelici giudizi sul senso dell'attività rivoluzionaria di Bakunin,
ne ha
centrato il duplice piano teorico e operativo. Da una parte infatti c'è il tentativo, ripreso
più volte e mai portato a termine, di definire compiutamente
i rapporti tra Stato, lotta di classe e lotta per il potere, in contrapposizione alla rivoluzione sociale
libertaria delle masse oppresse. A questo proposito è illuminante questa straordinaria pagina di
Bakunin.
"Nel programma menzionato c'è un'altra espressione profondamente antipatica per noi anarchici
rivoluzionari, che vogliamo la completa emancipazione popolare: il proletariato, il mondo dei lavoratori
vi è presentato come classe, non come massa. Sapete che cosa
ciò significhi? Né più né meno che una
nuova aristocrazia.... Classe, potere, Stato, sono tre termini inseparabili, ciascuno dei quali
presuppone
necessariamente gli altri due e che si riassumono nelle seguenti parole: asservimento politico e
sfruttamento economico delle masse.
lotta di classe e rivoluzione
Dall'altra parte invece c'è la continua ricerca di una strategia rivoluzionaria che non
riproduca nella
pratica della lotta la struttura dello sfruttamento, della disuguaglianza e dell'autorità, sotto altre
vesti,
altre forme, altre funzioni. Intrecciata all'analisi teorica c'è la risposta operativa di Bakunin:
sottrarre la strategia rivoluzionaria alla
logica della lotta di classe, per le implicazioni di potere che abbiamo visto, per ridarla sotto forma di
lotta
sociale popolare delle masse oppresse. La lotta rivoluzionaria, liberandosi su un piano più
alto, si trasforma in auto-creatività popolare, si fa
prassi di rivolta e libertà, coinvolgendo tutti gli sfruttati. Rivolta
e libertà diventano altrettanto
inseparabili come lo sono Dio, Stato, potere e gerarchia. Il pensiero di Bakunin svela allora il suo
carattere più profondo, originale e affascinante: essa è la
definizione del significato e della funzione della libertà, della sua capacità dirompente,
quando
generalizzandosi e dispiegandosi attraverso la rivolta materiale, sbocca in rivoluzione sociale aperta,
quando cioè i bisogni materiali e reali degli oppressi, fanno passare la libertà dal regno
della necessità
al regno della creatività. La Nejrotti ha ben compreso questo aspetto estremamente
qualificante non solo del bakuninismo ma
dell'anarchismo, quando scrive "L'anarchismo non è una teoria classica, pur se riconosce
l'esistenza della
lotta di classe e si schiera nella lotta a fianco delle classi oppresse e sfruttate".
la divisione del lavoro
Certo che, per comprendere appieno la dimensione teorica di questa problematica, la Nejrotti
avrebbe
dovuto inserire gli articoli sulla divisione del lavoro tra manuale e intellettuale. Allora i termini
classe
e abolizione delle classi, sarebbero apparsi più chiari, attraverso la proposta di
Bakunin, di integrare le
funzioni intellettuali dominanti con le funzioni manuali-esecutive per tutti, in ogni uomo e donna.
L'abolizione delle classi e l'abolizione dello Stato sarebbero risultati due aspetti di
un'unico disegno
all'interno del processo rivoluzionario, quel disegno che Bakunin perseguì con tenacia e grande
intuizione teorica: l'abolizione dell'uno passa attraverso la radicale soppressione dell'altro e
viceversa.
Stefano Arcangeli: ERRICO MALATESTA E IL
COMUNISMO ANARCHICO ITALIANO Jaca
Book Dalla rivoluzione nazionale alla rivoluzione
sociale Le transizioni socialiste e libertarie 9 Il generale
silenzio sulla vita e sul pensiero di Errico Malatesta, rotto solamente dalla pubblicistica
anarchica, è stato violato in questi ultimi tempi dal libro di Stefano Arcangeli "Errico Malatesta
e il
comunismo anarchico italiano". Questo lavoro si presenta come un tentativo di sintesi dell'intera
opera teorica malatestiana: sotto titoli
diversi come "solidarietà", "organizzazione", "individualismo" ecc., Arcangeli ha tentato di
rendere
contemporaneamente presenti aspetti qualitativamente diversi dello sviluppo teorico del
pensiero
malatestiano. È questo un metodo che permette di cogliere compiutamente il pensiero
malatestiano e
l'azione di Malatesta da un punto di vista "unitario". Sostanzialmente i criteri di tale sintesi non
tentano nessuna ricostruzione storica organica: non vi è cioè,
a nostro avviso, nessun tentativo di sistemazione critica e cronologica dei temi trattati.
leggere Malatesta "nella" storia
Anche l'Arcangeli, evidentemente, è convinto che sia possibile comprendere la
non-sistematicità del
pensiero, facendo cioè ciò che Malatesta non ha voluto o potuto fare. In questo modo
il problema
fondamentale della "lettura" di Malatesta resta ancora aperto: interpretare il rapporto tra
l'attività
teorico-pratica malatestiana con l'attività generale del movimento anarchico, operaio e
rivoluzionario;
attività che è presente alla costituzione di una serie ricchissima di esperienze, di
arretramenti e di
conquiste del movimento socialista. Tale interpretazione si ottiene solamente se si lega
Malatesta alla storia, se si riesce cioè a "leggere"
questa azione che non è solo quella di Malatesta, evidentemente, ma quella di buona parte
dell'anarchismo italiano e internazionale. Questo significa dare senso e illuminazione al suo
insegnamento
che comporta, però, per essere completamente recepito, una scelta tra le varie fasi e
attività di esso. Malatesta infatti dal periodo dell'Agitazione di Ancona (1897),
al periodo di Volontà (1914) e ancora,
più in là, al periodo di Umanità Nova e di Pensiero e
Volontà (1924-26), viene a modificare alcuni punti
di vista fondamentali sulla strategia rivoluzionaria. Basti pensare, ad esempio, al diverso atteggiamento
rispetto al sindacalismo anarchico, atteggiamento che si farà sempre più critico col
passare del tempo,
in confronto alle posizioni espresse nell'Agitazione e prima ancora in altri opuscoli e
articoli. È per questo che mettendo assieme, sotto un unico capitolo, giudizi e pensieri che
si riferiscono a periodi
storici diversi, può capitare di perdere il senso dello sviluppo del pensiero di Malatesta.
Evidentemente
questa evoluzione ha riguardato solo alcuni aspetti del suo pensiero, perché, per altri, egli
mantenne
intatte le sue posizioni dal 1872 al 1932. A questo punto ci sembra di poter affermare che solamente
i nessi organici dell'esperienza, fra l'azione
di Malatesta e le condizioni storiche in cui si svolge di volta in volta la sua straordinaria riflessione
teorica, risultando validi e utilizzabili per una comprensione generale sia sotto il profilo squisitamente
teorico, sia sotto il profilo pratico. In altri termini non vi è tanto una intrinseca
organicità del pensiero
non-sistematico di Malatesta, quanto una organicità insita nel rapporto tra le condizioni
storiche
dell'azione da una parte e la sua volontà anarchica dall'altra. La mancanza di dimensione
storica del lavoro dell'Arcangeli risulta però molto efficace per chi si accosti
per la prima volta all'opera di Malatesta: tale criterio, infatti, è stato utilizzato anche da noi
sull'ultimo
numero della rivista, per la "Lettura di Malatesta". Con il suo libro infatti, l'Arcangeli, è riuscito
a
presentare bene l'immagine di Malatesta uomo, sottolineandone un aspetto fondamentale: la sua
indistruttibile volontà rivoluzionaria e anarchica.
Mirko Roberti
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