Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 3 nr. 22
giugno 1973


Rivista Anarchica Online

Tre libri per l'estate
di Mirko Roberti

I testi che il nostro collaboratore Mirko Roberti propone ai lettori sono tutti e tre di lettura abbastanza agevole, e presentano con chiarezza e relativa semplicità il pensiero di tre classici dell'anarchismo.
Tutti e tre, inoltre, sono facilmente reperibili in qualsiasi libreria; i titoli dei tre volumi sono:
- Pierre Ansart, La sociologia di Proudhon, Il Saggiatore, Milano, 1972.
- Michele Bakunin, Rivolta e libertà, Editori Riuniti, Roma 1973.
- Stefano Arcangeli, Errico Malatesta e il comunismo anarchico, Jaca Book, Milano 1972.

autore: Pierre Ansart
titolo: LA SOCIOLOGIA DI PROUDHON
argomento: le origini dell'anarchismo
collezione: i gabbiani
prezzo: lire 1200
editore: Il Saggiatore
A Pierre Joseph Proudhon è stato riservato un posto fisso nella critica sociologica ed economica dei tempi passati, e tale posto egli ha conservato fino ai nostri giorni: una definizione che lo ha qualificato ora tra gli economisti piccolo-borghesi, ora tra i socialisti utopisti. In tutti i casi è stato considerato con grande "sufficienza" e sottovalutazione.
Ora il saggio che Pierre Ansart ha dedicato a Proudhon, non solo ridimensiona molte critiche gratuite, ma apre una prospettiva nuova per una lettura diversa di questo rivoluzionario. Il punto di vista da cui parte l'Ansart è che Proudhon assume grande valore teorico qualora lo si consideri non più come un economista, ma come sociologo. È questa un'interpretazione già tentata da Bouglè ancora all'inizio del secolo, ma però non nel modo e con la convinzione dell'Ansart. Quest'ultimo individua tre aspetti qualificanti della sociologia di Proudhon che ora cercheremo di commentare brevemente.

la forza collettiva

Un primo aspetto riguarda la categoria di "forza collettiva", categoria che secondo l'Ansart ha permesso a Proudhon di spiegare il meccanismo di sfruttamento capitalista (molto prima di Marx) che risulta valida per spiegare altri tipi di sfruttamento non inerenti alla società borghese. Dice Proudhon: "Il capitalista, si dice, ha pagato le giornate degli operai; per essere esatti, bisogna dire che il capitalista ha pagato, ogni giorno, una giornata per ogni operaio impiegato, ciò che non è affatto la stessa cosa. Perché questa forza immensa che risulta dall'unione e dall'armonia dei lavoratori, dalla convergenza e dalla simultaneità dei loro sforzi, egli non l'ha pagata per niente. Duecento granatieri hanno alzato sulla sua base in qualche ora l'obelisco di Luxor; si suppone che un solo uomo in 200 giorni ne sarebbe venuto a capo? Tuttavia per il conto del capitalista, la somma dei salari sarebbe stata la stessa". Qui, come si vede, Proudhon più che utilizzare uno schema economico sembra utilizzare uno schema sociologico. Tale schema, secondo l'Ansart e anche secondo il sociologo Franco Ferrarotti, è applicabile anche su società con una economia diversa da quella capitalista.
Un secondo aspetto l'Ansart lo rivela nella categoria di "ragione collettiva": essa costituisce la base del concetto di "giustizia" che permise a Proudhon di formulare l'etica rivoluzionaria, in contrapposizione ai valori dominanti, dopo l'esperienza del '48.. La realizzazione della "giustizia" avviene attraverso l'armonia e l'equilibrio delle diverse forze sociali inserite in una struttura federalistica e decentrata.
Quest'ultima rientra nella terza categoria sociologica proudhoniana che va sotto il nome di "essere collettivo", secondo l'Ansart, e che Proudhon chiamava invece "società economica", in contrapposizione alla "società politica".
La "società economica" sta in netta contrapposizione allo Stato che è visto come corpo estraneo: tra di loro non vi è alcuna possibilità di conciliazione. Infatti tale "società" ha proprie leggi, propri ritmi di vita, che sono interni ad essa, ne formano la struttura; quest'ultima si alimenta dalla base, dell'attività storica, sociale spontanea dei gruppi articolati nelle forze produttive.
La conoscenza di tale meccanismo da parte degli sfruttati, permetterà loro di realizzare l'autogestione, liberando le forze produttive dal peso opprimente e parassitario dello Stato. Scrive Proudhon "Chi attribuisce allo Stato il monopolio dei mezzi di produzione rivela che non c'è niente nel socialismo statalista che non si trovi nell'economia politica.... Non è affatto divenendo statale che la proprietà diventa sociale. Il comunismo di stato riproduce dunque, ma su un piano rovesciato, tutte le contraddizioni dell'economia politica; il collettivismo accentratore non ne ha preso che il lato reazionario pigliando come tipo di organizzazione industriale l'organizzazione della polizia...".

stato e società

Questa contrapposizione tra Stato e società, presente nel corso di tutto lo sviluppo del pensiero anarchico (Bakunin, Kropotkin, ecc.) segna e definisce il naturale sbocco operativo della strategia rivoluzionaria di Proudhon. La possibilità di costruire una alternativa rivoluzionaria si attua nella misura in cui questa contrapposizione si fa più netta e radicale, con il rifiuto di partecipare all'attività politica del potere a tutti i livelli, con la creazione di organismi completamente popolari autogestiti, che riproducano nella lotta le forme della futura "società economica" emancipata.... Con una pratica e una teoria che sia in tutti i casi non autoritaria, liberamente autogestita. Proudhon nella sua multiforme (e diseguale) produzione teorica ci ha lasciato un bagaglio ricchissimo di spunti, intuizioni e modelli che sono stati ampiamente utilizzati e "saccheggiati" (senza una logica sistematica), e che al contrario, con un criterio metodologico razionale, potranno diventare fecondi di nuove analisi e di nuove interpretazioni: leggendo il lavoro dell'Ansart ci si potrà avvicinare all'opera di Proudhon con maggiore interesse e comprensione critica.



RIVOLTA E LIBERTÀ
I temi fondamentali dell'anarchismo nell'elaborazione del suo massimo teorico, a cura di Mariella Nejrotti
BAKUNIN
Dio, stato, potere e gerarchia sono i termini di quella generale struttura sociale ideologica che costituisce la matrice universale di ogni sfruttamento, disuguaglianza e oppressione presente nella società.
La diversa importanza e collocazione come funzione, da essi via via assunta nelle differenti società storiche, hanno costituito l'arazzo di fondo su cui Bakunin ha intessuto con discontinuità, ma con estrema genialità, la sua analisi e la sua teoria.
Questo carattere principale degli intendimenti teorici bakuniniani è stato ben compreso da Mariella Nejrotti che ha costruito su tale traccia la prefazione ad una antologia bakuniniana curata da lei stessa e presentata ora dagli Editori Riuniti. La lettura di tale antologia diverrà più agevole e comprensibile qualora si parta, come criterio e metodo di interpretazione, dalla prefazione della Nejrotti; una prefazione che secondo noi, a parte alcuni infelici giudizi sul senso dell'attività rivoluzionaria di Bakunin, ne ha centrato il duplice piano teorico e operativo.
Da una parte infatti c'è il tentativo, ripreso più volte e mai portato a termine, di definire compiutamente i rapporti tra Stato, lotta di classe e lotta per il potere, in contrapposizione alla rivoluzione sociale libertaria delle masse oppresse. A questo proposito è illuminante questa straordinaria pagina di Bakunin. "Nel programma menzionato c'è un'altra espressione profondamente antipatica per noi anarchici rivoluzionari, che vogliamo la completa emancipazione popolare: il proletariato, il mondo dei lavoratori vi è presentato come classe, non come massa. Sapete che cosa ciò significhi? Né più né meno che una nuova aristocrazia.... Classe, potere, Stato, sono tre termini inseparabili, ciascuno dei quali presuppone necessariamente gli altri due e che si riassumono nelle seguenti parole: asservimento politico e sfruttamento economico delle masse.

lotta di classe e rivoluzione

Dall'altra parte invece c'è la continua ricerca di una strategia rivoluzionaria che non riproduca nella pratica della lotta la struttura dello sfruttamento, della disuguaglianza e dell'autorità, sotto altre vesti, altre forme, altre funzioni.
Intrecciata all'analisi teorica c'è la risposta operativa di Bakunin: sottrarre la strategia rivoluzionaria alla logica della lotta di classe, per le implicazioni di potere che abbiamo visto, per ridarla sotto forma di lotta sociale popolare delle masse oppresse.
La lotta rivoluzionaria, liberandosi su un piano più alto, si trasforma in auto-creatività popolare, si fa prassi di rivolta e libertà, coinvolgendo tutti gli sfruttati. Rivolta e libertà diventano altrettanto inseparabili come lo sono Dio, Stato, potere e gerarchia.
Il pensiero di Bakunin svela allora il suo carattere più profondo, originale e affascinante: essa è la definizione del significato e della funzione della libertà, della sua capacità dirompente, quando generalizzandosi e dispiegandosi attraverso la rivolta materiale, sbocca in rivoluzione sociale aperta, quando cioè i bisogni materiali e reali degli oppressi, fanno passare la libertà dal regno della necessità al regno della creatività.
La Nejrotti ha ben compreso questo aspetto estremamente qualificante non solo del bakuninismo ma dell'anarchismo, quando scrive "L'anarchismo non è una teoria classica, pur se riconosce l'esistenza della lotta di classe e si schiera nella lotta a fianco delle classi oppresse e sfruttate".

la divisione del lavoro

Certo che, per comprendere appieno la dimensione teorica di questa problematica, la Nejrotti avrebbe dovuto inserire gli articoli sulla divisione del lavoro tra manuale e intellettuale. Allora i termini classe e abolizione delle classi, sarebbero apparsi più chiari, attraverso la proposta di Bakunin, di integrare le funzioni intellettuali dominanti con le funzioni manuali-esecutive per tutti, in ogni uomo e donna. L'abolizione delle classi e l'abolizione dello Stato sarebbero risultati due aspetti di un'unico disegno all'interno del processo rivoluzionario, quel disegno che Bakunin perseguì con tenacia e grande intuizione teorica: l'abolizione dell'uno passa attraverso la radicale soppressione dell'altro e viceversa.



Stefano Arcangeli:
ERRICO MALATESTA E IL COMUNISMO ANARCHICO ITALIANO
Jaca Book
Dalla rivoluzione nazionale alla rivoluzione sociale
Le transizioni socialiste e libertarie 9
Il generale silenzio sulla vita e sul pensiero di Errico Malatesta, rotto solamente dalla pubblicistica anarchica, è stato violato in questi ultimi tempi dal libro di Stefano Arcangeli "Errico Malatesta e il comunismo anarchico italiano".
Questo lavoro si presenta come un tentativo di sintesi dell'intera opera teorica malatestiana: sotto titoli diversi come "solidarietà", "organizzazione", "individualismo" ecc., Arcangeli ha tentato di rendere contemporaneamente presenti aspetti qualitativamente diversi dello sviluppo teorico del pensiero malatestiano. È questo un metodo che permette di cogliere compiutamente il pensiero malatestiano e l'azione di Malatesta da un punto di vista "unitario".
Sostanzialmente i criteri di tale sintesi non tentano nessuna ricostruzione storica organica: non vi è cioè, a nostro avviso, nessun tentativo di sistemazione critica e cronologica dei temi trattati.

leggere Malatesta "nella" storia

Anche l'Arcangeli, evidentemente, è convinto che sia possibile comprendere la non-sistematicità del pensiero, facendo cioè ciò che Malatesta non ha voluto o potuto fare. In questo modo il problema fondamentale della "lettura" di Malatesta resta ancora aperto: interpretare il rapporto tra l'attività teorico-pratica malatestiana con l'attività generale del movimento anarchico, operaio e rivoluzionario; attività che è presente alla costituzione di una serie ricchissima di esperienze, di arretramenti e di conquiste del movimento socialista.
Tale interpretazione si ottiene solamente se si lega Malatesta alla storia, se si riesce cioè a "leggere" questa azione che non è solo quella di Malatesta, evidentemente, ma quella di buona parte dell'anarchismo italiano e internazionale. Questo significa dare senso e illuminazione al suo insegnamento che comporta, però, per essere completamente recepito, una scelta tra le varie fasi e attività di esso.
Malatesta infatti dal periodo dell'Agitazione di Ancona (1897), al periodo di Volontà (1914) e ancora, più in là, al periodo di Umanità Nova e di Pensiero e Volontà (1924-26), viene a modificare alcuni punti di vista fondamentali sulla strategia rivoluzionaria. Basti pensare, ad esempio, al diverso atteggiamento rispetto al sindacalismo anarchico, atteggiamento che si farà sempre più critico col passare del tempo, in confronto alle posizioni espresse nell'Agitazione e prima ancora in altri opuscoli e articoli.
È per questo che mettendo assieme, sotto un unico capitolo, giudizi e pensieri che si riferiscono a periodi storici diversi, può capitare di perdere il senso dello sviluppo del pensiero di Malatesta. Evidentemente questa evoluzione ha riguardato solo alcuni aspetti del suo pensiero, perché, per altri, egli mantenne intatte le sue posizioni dal 1872 al 1932.
A questo punto ci sembra di poter affermare che solamente i nessi organici dell'esperienza, fra l'azione di Malatesta e le condizioni storiche in cui si svolge di volta in volta la sua straordinaria riflessione teorica, risultando validi e utilizzabili per una comprensione generale sia sotto il profilo squisitamente teorico, sia sotto il profilo pratico. In altri termini non vi è tanto una intrinseca organicità del pensiero non-sistematico di Malatesta, quanto una organicità insita nel rapporto tra le condizioni storiche dell'azione da una parte e la sua volontà anarchica dall'altra.
La mancanza di dimensione storica del lavoro dell'Arcangeli risulta però molto efficace per chi si accosti per la prima volta all'opera di Malatesta: tale criterio, infatti, è stato utilizzato anche da noi sull'ultimo numero della rivista, per la "Lettura di Malatesta". Con il suo libro infatti, l'Arcangeli, è riuscito a presentare bene l'immagine di Malatesta uomo, sottolineandone un aspetto fondamentale: la sua indistruttibile volontà rivoluzionaria e anarchica.

Mirko Roberti