Rivista Anarchica Online
Classi e lotta di classe
di A. di Solata
La struttura sociale nei paesi tardo-capitalisti - Linee evolutive della società italiana
Questo articolo è tratto da una relazione che, assieme ad
altre, è stata discussa all'Assemblea dei
Gruppi Anarchici Federati (G.A.F.) del 16-17 giugno. Tali relazioni saranno prossimamente
pubblicate in un "quaderno" edito da L'Antistato, con il titolo: "Anarchismo '70: un'analisi
nuova per
la strategia di sempre". L'anarchismo ha derivato i suoi valori ed il suo progetto dalle
aspirazioni emancipatrici espresse dalle
classi inferiori (1) cioè dalla storia della lotta di classe. Nel fare riferimento alla lotta di classe
però è bene
chiarire che esistono perlomeno due categorie di conflitto sociali definibili in tale modo. Un tipo di
lotta di classe è quella tra sfruttatori e sfruttati, tra oppressori e oppressi; un altro tipo, ben
diverso, è quello tra classi concorrenti al dominio. La prima è lotta per l'emancipazione,
la seconda è
lotta per l'affermazione di una forma di oppressione e di sfruttamento su un'altra. Lo studio di
entrambe le categorie di conflitto ci è necessario: per ricavare dalla prima indicazioni sulle
tendenze oggettive delle classi inferiori; per trarre dalla seconda elementi conoscitivi sui
meccanismi
dinamici della disuguaglianza. Dalla confusione tra le due categorie, non solo diverse ma
addirittura opposte nel loro significato storico
di fondo, possono sorgere - e sono sorti - pericolosi equivoci, come l'identificazione di lotta di classe
e progetto socialista (e conseguentemente di coscienza di classe e volontà rivoluzionaria), come
l'inevitabilità storica del socialismo, ecc.
lo schema a due classi
Una delle conseguenze più importanti della confusione tra le due categorie di conflitto
sociale è la
generalizzazione dello schema sociologico "bipolare", cioè la suddivisione
di ogni società in due classi
antagonistiche. Ora la suddivisione in classi della società è legata al parametro
scelto, dipendente a sua volta dallo scopo
per cui viene eseguita tale suddivisione. A seconda del parametro (o dei parametri) scelto, si possono
identificare nella piramide sociale due, tre, dieci, venti classi, cioè gruppi sociali con determinate
affinità
interne (interessi economici, prestigio, funzione, cultura) e disaffinità esterne. È tipico
in genere dei
sociologi apologeti del sistema l'identificare numerosi gruppi sociali, così infatti la realtà
dilacerante della
lotta di classe antagonistica si confonde e diluisce in una molteplicità di conflitti minori non
contradditori
con la perpetuazione del sistema. Questi schemi sociologici "graduati" (2) sono il riflesso in sede
ideologica della tendenza attuale del sistema a disinnescare l'antagonismo di classe moltiplicando le
separazioni, in una stratificazione continua dello sfruttamento e del privilegio. È viceversa
tipico dei rivoluzionari assumere uno schema "bipolare" (3) che esalta, privilegiandola da
un contesto sociale più complesso, la contrapposizione antagonistica inconciliabile delle
due classi
fondamentali (o ritenute tali). Tale schema non è necessariamente definito in rapporto alla
proprietà
giuridica dei mezzi di produzione, come nell'ideologia marxista: tale riferimento è d'altronde
palesemente
inutilizzabile in sistemi socio-economici (come i Paesi a "socialismo di stato"), dove la disuguaglianza
non si presenta nella forma della proprietà privata (4). Questo schema bipolare, che parte
da una realtà indiscutibile (anche se parziale) e che si offre come
strumento utile soprattutto al fine di identificare l'interlocutore del movimento
rivoluzionario, cioè la
classe (o l'insieme delle classi) dominata e sfruttata, deve però essere utilizzato con chiara
consapevolezza dei suoi limiti teorici e pratici. I limiti sono dati innanzitutto dalla sua
applicabilità solo
a sistemi sociali relativamente "statici" (quale, ad esempio, il capitalismo del secolo scorso e forse il
"socialismo" di stato di tipo russo). Sistemi, cioè, nei quali non solo il conflitto bipolare
individuato è
il conflitto sociale dominante (perché si riferisce al modo di produzione dominante) ma in cui,
anche e
soprattutto, il cosiddetto "ceto medio" sia solo un "diaframma" inerte e graduato tra le due classi
antagonistiche e non sia, in tutto o in parte, agente di trasformazione socio-economica,
cioè classe esso
stesso, in lotta per il potere.
lo schema a tre classi
Nelle fasi storiche di transizione, come quella che stiamo attraversando, lo schema classista bipolare
diviene strumento inutile, in quanto non consente di vedere e comprendere le nuove forme di
sfruttamento e di potere che nascono all'interno delle vecchie strutture, o addirittura mistificatorio, in
quanto maschera la realtà del conflitto di classe tra i due gruppi sociali concorrenti al
dominio. Per la rappresentazione essenziale di questi periodi "dinamici", la distinzione tra le due
categorie,
precedentemente viste, di lotta di classe, ci porta ad uno schema "tripartito" della società, ci
porta a
distinguere cioè in termini di conflitto antagonistico tre classi contrapposte le une
alle altre
contemporaneamente: una classe dominata, una classe dominante ed una classe in ascesa
(5). Per una corretta comprensione della dinamica sociale, non bisogna dimenticare che le due forme
fondamentali di conflitto si presentano spesso intrecciate. Così, poiché come norma
generale il gruppo
sociale tendente al potere si appoggia, nella sua lotta contro la classe detentrice del potere, alle classi
inferiori (6), la sua lotta di classe si intreccia per tratti storici con quella di queste
ultime. Più raramente ed episodicamente può anche darsi, viceversa, che sia la
classe dominante ad
"appoggiarsi" a strati delle classi inferiori contro la classi in ascesa: ad esempio l'aristocrazia ha talvolta
strumentalizzato il proletariato ed il sottoproletariato rurale contro la borghesia. Un altro elemento di
contatto tra le due forme di lotta di classe è dato dal fatto che generalmente le classi in ascesa
si
generano, per lo meno in parte, dagli strati superiori delle classi dominanti, esprimendo perciò
spesso,
anche per confusione soggettiva oltre che per ideologia mistificatrice, l'aspirazione emancipatrici ed
insieme una nuova volontà dominatrice.
i paesi tardo-capitalisti
Quali sono, nelle società industriali avanzate di tipo occidentale (cioè
tardo-capitalistiche), le tre classi
dello schema tripartito e, soprattutto, come si identifica la classe (o gruppo di classi) inferiore,
cioè il
nostro interlocutore? La prima classe è costituita dai "vecchi" padroni della borghesia
capitalistica: essa è sufficientemente
nota perché si debba descriverla. La seconda classe è la
tecnoburocrazia che va progressivamente erodendo il predominio della borghesia.
Essa, beninteso, non è costituita dai tecnici e dai funzionari amministrativi, i quali, nella loro
maggioranza sono e restano (assieme ad altre categorie) ceto medio (7), pur sfumando in alto nella
tecnoburocrazia ed in basso nella classe inferiore, ma solo da quella parte di essi che hanno funzione e
potere dirigenziale nella divisione aziendale e sociale del lavoro. La terza classe costituita da tutte
quelle categorie sociali subalterne che comprendono il proletariato,
sia urbano che rurale, ed il sottoproletariato, gli addetti ai lavori manuali in senso lato (comprendendo
cioè anche gli impiegati con mansioni puramente esecutive) e tutti gli "esclusi" (disoccupati,
sottoccupati, ecc.). È a questa classe (o gruppo di classi), cioè alle categorie dominate
e sfruttate
contemporaneamente dal morente capitalismo e dal nascente assetto tecno-burocratico, che, qui
ed ora,
fa riferimento e si rivolge il nostro discorso ed il nostro progetto rivoluzionario. Proviamo ora a
definire la struttura di classe italiana e le sue tendenze evolutive, utilizzando quello
schema tripartito che abbiamo visto essere adatto ad un'interpretazione dinamica della realtà
sociale dei
Paesi tardo-capitalisti. Tale stima identifica nella piramide sociale italiana una classe
dominante in declino
(borghesia), una classe dominante in ascesa (tecno-burocrazia), una classe
dominata (proletariato +
sottoproletariato) ed un ceto medio.
la struttura di classe in Italia
Per quantificare questo schema ed attribuire gli individui alle diverse classi e categorie ci siamo
avvalsi
di un criterio funzionale, partendo dalla fonte del reddito (e non dal suo
livello) che corrisponde
abbastanza fedelmente alla funzione svolta nel processo produttivo sociale. Questa
funzione, a sua volta,
corrisponde grosso modo, a nostro avviso, all'effettiva posizione di classe, cioè i contenuti di
potere e
di privilegio (positivi o negativi) di ogni categoria nella piramide sociale. Rielaborando i dati statistici
più recenti, aggregati da Sylos Labini in una sua recente pubblicazione, abbiamo ottenuto uno
schema
(vedi tabella 1) che, con le dovute cautele e le inevitabili approssimazioni, ci sembra rappresentare la
realtà sociale italiana in modo plausibile. Abbiamo, come si vede, disaggregato il ceto medio
in due categorie funzionali, individuando accanto
e per analogia con una piccola "borghesia" vera e propria, una "piccola tecno-burocrazia". Mentre
la prima è il substrato socio economico della borghesia (e con essa tende ad identificarsi anche
ideologicamente), la seconda è il substrato socio-economico della tecno-burocrazia (e con essa
tende
ad identificarsi anche ideologicamente). I livelli superiori delle due categorie del ceto medio, del resto,
si confondono con i livelli inferiori delle due classi dominanti. Una osservazione importante va fatta a
riguardo dei livelli inferiori della "piccola tecno-burocrazia", che si confondono, funzionalmente, con
la
classe proletaria. Non sono però disponibili dati statistici per quantificare questa sotto-categoria
e d'altro
canto noi stessi non abbiamo ancora messo a punto un parametro (che non sia il livello di reddito) per
identificarla chiaramente. Grosso modo, comunque, un buon terzo della "piccola tecno-burocrazia"
dovrebbe a nostro avviso
essere riclassificato come "proletariato". Se dal parametro "funzionale" passiamo al parametro
"ricchezza", possiamo riclassificare le categorie
della società italiana, in base ai livelli di reddito, come nella tabella 2. Come si vede
c'è una certa, prevedibile, corrispondenza con lo schema funzionale, ma anche qualche
discordanza. Si può inoltre osservare come il rapporto di disuguaglianza economica sia
rilevante. Anche
trascurando le due categorie estreme, i ricchissimi ed i poverissimi (questi ultimi quasi tutti concentrati
nel Centro-Sud e nelle Isole), rimane un rapporto fra "ricchi" e "poveri" di 1 a 13.
la dinamica sociale in Italia
Considerando dinamicamente anziché statisticamente, la situazione di classe italiana,
possiamo effettuare
due confronti, uno nel tempo, con la situazione italiana di cinquant'anni fa, ed uno nello spazio, con la
situazione di un paese tardo-capitalista (noi prenderemo la Francia) simile ma leggermente più
avanzato
dell'Italia. Potremo così, dal passato e ad un probabile futuro, identificare le principali linee di
tendenza. Paragonando la situazione di classe al 1971 con quella al 1921, si può notare
innanzitutto un incremento
numerico pressoché pari del proletariato (che è passato da 8.400.000 attivi a 9.500.000)
e del ceto medio
(che è passato da 9.000.000 attivi a 9.800.000). Interessante è l'evoluzione interna al
ceto medio, che
ha visto una forte riduzione della "piccola borghesia" (da 7.600.000 a 5.600.000), a tutto vantaggio
della
"piccola tecno-burocrazia" (che è passata da 1.250.000 a 3.900.000) ed in particolare degli
impiegati
(passati da 520.000 a 3.100.000). Per la borghesia e la tecno-burocrazia al 1921 non abbiamo dati
disponibili. È però probabile che la loro
somma all'inizio degli anni '20 fosse pressoché pari alla loro somma attuale, una prevalenza della
borghesia sulla tecno-burocrazia e che alla crescita di quest'ultima abbia corrisposto in questi
cinquant'anni il declino anche numerico della prima. L'evoluzione interna del ceto medio e delle
classi dominanti corrisponde alla trasformazione della
struttura economica. Il processo di concentrazione oligopolistica, infatti, e la contemporanea forte
espansione delle funzioni dello Stato e soprattutto del suo intervento nell'economia, hanno portato ad
un rafforzamento sostanziale della classe tecno-burocratica (dirigenti tecnici ed amministrativi, pubblici
e privati) e ad una vistosa espansione del ceto impiegatizio (impiegati tecnici ed amministrativi, pubblici
e privati). All'interno del proletariato si è avuta una variazione qualitativa corrispondente
alla trasformazione del
sistema produttivo da agricolo-industriale ad industriale-terziario: i salariati in agricoltura sono scesi da
3.900.000 a 1.200.000, quelli dell'industria sono saliti da 3.300.000 a 4.300.000, quelli dell'edilizia da
700.000 a 1.700.000, quelli del commercio, dei trasporti e dei servizi vari da 500.000 a
2.300.000. Osserviamo, infine, che il calo della piccola borghesia è stato indotto
esclusivamente dalla diminuzione
dei coltivatori diretti (dimezzati in cinquant'anni), mentre pressoché costanti sono rimasti
artigiani e
piccoli industriali e sono raddoppiati i piccoli commercianti. Il confronto con i dati francesi ci
consente di prevedere nel prossimo decennio un ulteriore aumento della
piccola tecno-burocrazia (che era nel '68 in Francia già il 31% degli attivi, contro i 20% in Italia
nel '71)
a scapito della piccola-borghesia (in Francia solo il 22,8% contro il 27,7% in Italia) e del proletariato
(in Francia il 42,6% contro il 48,7% in Italia) la diminuzione della piccola borghesia sarà
verosimilmente
più accentuata per la sotto-categoria dei piccoli commercianti e di quei piccoli industriali che
producono
in concorrenza con la grande industria. La diminuzione dei proletari veri e propri (salariati) sarà
dovuta
all'incremento del settore terziario (più "ricco" di impiegati dell'industria) a spese del settore
secondario.
Anche il rapporto tra borghesia e tecno-burocrazia si modificherà in favore di quest'ultima, ma
ci è
impossibile quantificare il fenomeno, non avendo i corrispondenti dati statistici per la Francia.
A. di Solata
1) Il che non significa, beninteso, che l'anarchismo ha semplicemente esplicitato tali aspirazioni,
così
come inventare una macchina per volare non significa semplicemente esplicitare l'aspirazione dell'uomo
al volo. 2) Cfr. Ossowsky, Struttura di classe e coscienza sociale, Torino, 1966, Cap.
III. 3) Cfr. Ossowsky, Op. cit., cap. II. 4) Cfr. Dahrendorf, Classi e conflitto di classe
nella società industriale, Bari, 1970, Cap. VII e VIII
("Le classi nella società post-capitalista"). 5) Cfr. Arscinov, La rivoluzione anarchica
in Ukraina, Milano, 1972, Cap. I. 6) Cfr. Pareto, Introduzione a I sistemi
socialisti, Torino, 1963. 7) Il ceto medio non è "classe" nel senso usato sinora, in
quanto non si definisce in termini antagonisti
con altre "classi". Esso è quindi una specie di "scatolone" sociologico che comprende diverse
categorie
con diversi interessi.
Tab. 1 - STRUTTURA DI CLASSE IN ITALIA
(1) |
I. CLASSI DOMINANTI
A. Borghesia (2) B. Tecno-burocrazia (3) 200.000
200.000 |
II. CETO MEDIO A. Piccola borghesia (4)
B. Piccola tecno-burocrazia (5) 5.800.000
3.850.000 |
III. PROLETARI (6) 9.500.000 |
IV. SOTTOPROLETARI (7) 1.500.000
|
(1) Da: P. Sylos Labini, "Sviluppo economico e classi sociali in Italia",
in Quaderni di Sociologia,
ottobre-dicembre 1972, tabb. I, III, IV. Elaborazione nostra. Le cifre si riferiscono agli individui
"attivi". (2) Imprenditori, proprietari terrieri, "rentiers". (3) Dirigenti pubblici
(50.000) e privati (100.000) alti ufficiali dell'esercito e della polizia, vertici della
burocrazia politico-sindacale e della magistratura (50.000). (4) Professionisti, commercianti,
artigiani (compresi i piccoli industriali) coltivatori diretti, ecc. (5) Impiegati pubblici e privati,
militari, religiosi, funzionari di partiti e sindacati, ecc. (6) Lavoratori salariati dell'agricoltura,
dell'industria, dell'edilizia, del commercio, dei trasporti, ecc. (7). Sono stati qui inclusi: una parte
(la più povera e la più precaria) dei braccianti agricoli, una parte
di coloro che lavorano a domicilio, una parte dei commercianti ambulanti. |
TAB. 2 - LA
DISUGUAGLIANZA ECONOMICA IN ITALIA (1) |
Qualifica |
Categorie |
Reddito medio mensile
(in migliaia di lire) |
n° redditi |
Ricchissimi |
Quintile più alto degli imprenditori e dei
rentiers. |
4.000-4.500
(?) |
40.000 (?) |
Ricchi |
Imprenditori tecno-burocrati, rentiers, grandi
professionisti. |
1.400-1.500 |
560.000 |
Medi |
Impiegati tecnici ed amministrativi dei livelli
superiori, parte degli artigiani, parte dei
coltivatori diretti, piccoli professionisti, ecc. |
200-250 |
8.620.000 |
Poveri |
Lavoratori salariati, impiegati dei livelli
inferiori, parte dei commercianti, parte degli
artigiani, parte dei coltivatori diretti, ecc. |
100-120 |
7.540.000 |
Poverissimi |
Parte dei coltivatori diretti, lavoratori salariati
precari, sotto proletari, ecc. |
50-60 (?) |
4.240.000 (?) |
(1) Da: P. Sylos Labini, "Sviluppo economico e classi
sociali in Italia", in Quaderni di Sociologia,
ottobre-dicembre 1972, tabb. III. Elaborazione nostra. Le cifre si riferiscono al 1971. Tra i
"redditieri"
(percettori di reddito) non sono stati compresi i pensionati delle diverse
categorie. Nota: trattandosi di dati medi nazionali, essi appiattiscono gli estremi di
ogni categoria ed in
particolare alcune centinaia di redditi elevatissimi ed alcune centinaia di migliaia di redditi miserabili
(soprattutto nel Sud e nelle Isole), così come mascherano le differenze settoriali la base di
statistiche
incomplete ed imprecise, sono necessariamente approssimati. I più incerti sono quelli (segnati
con un
punto interrogativo) relativi alle due categorie estreme. |
|