Rivista Anarchica Online
Lavoro alienato e tempo libero
di Carlo V.
Nella società industriale, per ragioni intrinseche allo sviluppo
tecnologico e alla divisione sempre più specializzata dei compiti, il lavoro si allontana
sempre più dalla sua natura umana. Pensiamo, ad es., alle catene di montaggio ove si
produce un disturbo psichico definito "nevrosi dell'incompiuto". Ogni operaio, cioè compie
una singola operazione nel montaggio del prodotto: un'operazione parziale e al tempo stesso
incompleta. Al contrario del lavoro artigianale, nel quale ognuno porta a termine un intero oggetto,
un'intera azione, sulla catena di montaggio si ha soltanto un'operazione e l'opera resta sempre
incompiuta. Si determina così nell'operaio uno stato di tensione, derivante dall'attesa del
compimento dell'opera, attesa sempre frustrata, delusa, e uno stato di noia, di uggia dovuto alla
ripetizione ossessionante degli stessi movimenti. A rendere il lavoro insoddisfacente concorrono
poi altri fattori: il rapporto con l'autorità, con i colleghi, con l'ambiente di
lavoro. L'autorità si configura come potere irrazionale e nemico, esterno, come un
cancro paralizzante parassitario: si determina uno stato di ansia e di tensione per il pressante impulso
alla ribellione che dev'essere controllato per evidenti ragioni di sopravvivenza, ed il lavoro si fa
monotono, grigio, mortificante. I rapporti con i colleghi vengono caratterizzati da
una costante diffidenza: i colleghi sono visti come rivali da fronteggiare, combattere, neutralizzare. I
rapporti umani si sclerotizzano, si routinizzano, si cristallizzano in rigidi clichés che,
ripetendosi, determinano a loro volta noia e alienazione: un senso di estraneità dall'ambiente
e da se stessi, un distacco dalle cose e dalle persone, un sentirsi ad un tempo attori obbligati e
spettatori inerti, annoiati, impotenti di una colossale, tragica, fatale, universale mascherata. In
queste condizioni il lavoratore diviene alienato, diviene incapace di emozioni ed egoisticamente
autodistruttivo, diffidente nel ricevere e nel dare, diviene refrattario ad ogni tipo di contatto si
affettivo che verbale. Carrierismo, violenza, sopraffazione, ottusità, disperazione e
depressione sono alcune voci che appaiono nella sindrome della nevrosi per lavoro alienato. Da
questa nevrosi di cui soffre nel tempo di lavoro, l'operaio non riesce a staccarsi neppure quando sta
riposando: il tempo libero diviene così alienato come il lavoro. Allora il tentativo di
trovare sollievo dal servilismo, dalla noia e dall'angoscia nel cosiddetto "tempo libero" si rivela vano
e illusorio. Le lunghe file di automobili, gli stadi superaffollati, l'affiorare di desideri repressi e
insoddisfatti determinano la "nevrosi della domenica". (Da statistiche si è appurato che la
maggior parte dei suicidi avvengono nella domenica pomeriggio).
Tedio e abulia, o sfoghi di gruppo, caratterizzano i giorni festivi di chi compie un lavoro
meccanico ed imposto. Nell'ambito familiare l'operaio tende ad estraniarsi, a non partecipare ai
problemi della sua famiglia, si rifugia, meglio si trincera dietro il suo passatempo che nella maggior
parte dei casi non richiede intervento attivo e diretto. L'abitudine a compiere un unico
movimento illogico nell'attività lavorativa e la coattività ed enigmaticità
degli ordini diramati dall'autorità portano all'atonia e all'anchilosi sia della percezione che
della propagazione di stimoli intellettivi, si ha cioè un rapporto diretto fra (a) l'utilizzazione
di una limitata parte del corpo e di una azione muscolare ininterrotta, e (b) l'attivazione meccanica di
una singola unità cerebrale; inoltre è da notare che l'impulso mentale non è
in sintonia con l'atto fisico-automatico, ma è in continua tensione: il subconscio non
chiede perché lo fai? ma come lo fai? e l'ipotetica risposta si
traduce in realtà con: sempre più veloce: poiché è la macchina a
dare il ritmo, non l'uomo. Si ha così un individuo emotivamente impreparato a pensare -
cioè a razionalizzare, a riflettere, a decidere - lasciato in balia del proprio vuoto mentale,
incapace di esprimere se stesso, quello che di più intimo è stato soffocato in lui, e
contemporaneamente il tempo disponibile non-lavorativo va gradualmente aumentando con il
progredire dell'automazione. Il problema dunque nasce solo quando il tempo libero è in
contrapposizione al tempo impiegato in un lavoro noioso, ripetitivo, "al di là" dell'operaio,
dell'uomo che solo nel lavoro inteso come creatività, come esternazione del proprio Io,
come appagazione della propria indole, si realizza ed è se stesso. Puntare sulla terapia del
solo tempo libero è vedere parzialmente il problema, anzi è renderlo insoluto,
insolubile.
Carlo V.
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