Rivista Anarchica Online
L'anarchico nel benessere
di R. D. L.
Caratteri e vicende del sindacato libertario svedese
L'aspetto forse più curioso del panorama dell'anarcosindacalismo
attuale è che l'unica organizzazione
sindacale libertaria che non sia l'ombra di se stessa, pallido fantasma di quello che fu ed al più
speranza
per il futuro, l'unica organizzazione che abbia un qualche peso (non episodico) nella realtà
sociale la
troviamo laddove meno ci si aspetterebbe di trovarla: nella Svezia del benessere e della socialdemocrazia
trionfante. La S.A.C. (Sveariges Arbetaren Centralorganisatione: organizzazione centrale degli
operai svedesi) è
in effetti oggi, pur con tutti i limiti che vedremo, assai più viva e "reale" che non la ben
più nota C.N.T.
degli esuli spagnoli, l'U.S.I. italiana, la F.O.R.A. Argentina o l'I.W.W. statunitense. Seppur non ha al
suo
attivo una rivoluzione, la S.A.C. può però vantare un'esperienza sessantennale
ininterrotta di lotte sociali
in realtà economica e politica cangiante dal sottosviluppo al welfare state e dalla
reazione alla
socialdemocrazia. È soprattutto la sua più recente ed attuale presenza rivoluzionaria
e libertaria in un
Paese ad economia industriale avanzata (o addirittura post-industriale, secondo taluni economisti) il dato
per noi più fecondo di considerazioni e di indicazioni (positive e negative). Naturalmente
questa tematica merita e necessita ben più di queste note, con le quali solo intendiamo dare
qualche notizia su un movimento pressoché sconosciuto persino alla maggioranza degli
anarchici, fuori
dalla Scandinavia.
Con un reddito annuo pro-capite secondo solo a quello degli U.S.A. (e più che doppio di
quello italiano),
con una fiscalità progressiva che attenua in modo sensibile le disuguaglianze di reddito
più vistose, con
un sistema previdenziale ed assistenziale forse senza uguali per qualità e quantità di
servizi forniti,... la
Svezia non presenta certo un quadro economico di problemi e contrasti drammatici. È vero
che negli ultimi anni l'economia svedese ha mostrato più di una crepa: la disoccupazione
è salita
nel '71 (secondo cifre ufficiali probabilmente inferiori al vero) all'1,4%, con un aumento del 52% rispetto
all'anno precedente (siamo sempre lontani però dal 4,2% dell'Italia - cifre sempre ufficiali); lo
sviluppo
misurato in termini di incremento reale annuo del Prodotto Nazionale Lordo è diminuito in
maniera
rilevante (e nel '71 è stato quasi nullo); il costo della vita aumenta a ritmo vertiginoso, con un
saggio
annuo di inflazione superiore a quello italiano... e purtuttavia la condizione operaia in Svezia (sia per
livelli di consumo che per condizioni di lavoro, di sicurezza, ecc.) resta nel complesso la migliore del
mondo e certo lontana da quella dei lavoratori italiani e lontanissima da quella condizione di miseria e
di sfruttamento bestiale in cui si trovavano all'inizio del secolo anche i lavoratori svedesi.
La Svezia è dunque il monumento al socialismo riformista (quello fatto seriamente) ed
insieme ai suoi
limiti. Perché il riaccendersi di vivaci ed autonome lotte operaie e sociali nell'ultimo quinquennio,
così
come la stessa sopravvivenza tutt'altro che stentata anche nel precedente ventennio di "pace sociale",
dimostrano che la questione sociale non si risolve con le riforme (per quanto seriamente
siano condotte),
che il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori rende forse meno aspri i conflitti,
specialmente
in una prima fase, ma non li elimina. "Sussistono classi sociali e conflitto di classe in ogni
caso in cui
l'autorità sia distribuita in misura disuguale tra le posizioni sociali" (R. Darhendorf, Classi
e conflitto di
classe nella società industriale, pag. 386). Ecco che proprio dove le condizioni da
fame più non condizionano in modo predominante le lotte dei
lavoratori, emerge l'essenza rivoluzionaria della lotta di classe che è nell'insanabile conflitto tra
chi dirige
e chi è diretto, tra chi usa il lavoro altrui e chi è "usato", tra chi detiene il potere e chi
lo subisce. È un
antagonismo che nessuna riforma può eliminare, un antagonismo che esisterà fino a che
esisterà la
disuguaglianza. Ecco dunque evidenziata la funzione rivoluzionaria dell'anarcosindacalismo nella
sua essenza (valida sia
per i Paesi sottosviluppati, sia per i Paesi "opulenti"): organizzare il conflitto, saldando organicamente
i movimenti rivendicativi immediati con il fine emancipatore egualitario, attraverso la pratica
dell'autogestione. Ed ecco chiarita la funzione contro-rivoluzionaria del sindacalismo autoritario e
riformista, che spezza questa unità finalizzando i miglioramenti e riproduce e perpetra la
divisione tra
dirigenti e diretti, funzionale al capitalismo ed allo stato, nella sua stessa organizzazione gerarchica.
Uno degli esempi più sintomatici della funzione del sindacato socialdemocratico svedese
è l'appoggio
da esso dato alla legge anti-sciopero. La legge anti-sciopero, chiamata eufemisticamente "pace del
lavoro", è in effetti una misura antioperaia.
Non è una novità per il movimento operaio svedese, in quanto tale legge che limita il
diritto di sciopero
è attiva dagli anni '50, rendendo di fatto illegali tutti gli scioperi spontanei dei lavoratori,
condannati con
regolare sentenza giudiziaria. A sostenere attivamente questa politica di limitazione al diritto di
sciopero, insieme al governo, è la L.O.,
il sindacato social-democratico svedese, di gran lunga la più forte centrale sindacale svedese.
Né questa
collaborazione sindacato-padroni può stupire chi ha l'abitudine di seguire le vicende del
sindacalismo
italiano, dove la collaborazione è tanto smentita quanto attuata, sulla testa dei lavoratori. In
Svezia
questa situazione si ripresenta con il sindacato riformista: più esattamente, lo sciopero deve
essere
dichiarato illegale dalle due parti contraenti, ed è proprio la L.O., parte contraente del fronte
sindacale
a livello nazionale (tranne alcuni settori, come per esempio quello dei "lavoratori forestali", settore
considerevole in Svezia, nei quali è invece la S.A.C. il sindacato che rappresenta i lavoratori),
che decide
se gli scioperi locali o settoriali, non indetti da loro, siano o no legali, secondo un metro di giudizio
proprio delle organizzazioni autoritarie, che ritengono lesivo ogni sciopero proclamato al di fuori della
strategia voluta dal sindacato. (Ben diverso è naturalmente l'atteggiamento della S.A.C. a questo
riguardo, e ne riparleremo più avanti). Tirando le somme di quanto detto, la Svezia oggi
vive quei problemi che sono propri di tutte le società
a regime tardo-(o post-?)capitalistico, pur avendo eliminato gli aspetti più vistosi e drammatici
dello
sfruttamento economico; non ha risolto, come è logico, il problema della disuguaglianza sociale,
della
libertà individuale.
Prima di vedere come è strutturato all'interno questo sindacato libertario e quali metodi e
azioni porti
avanti, tracciamo una breve storia della S.A.C. e della situazione nella quale ha operato. La ventata
socialista entra tardi in Svezia rispetto alle altre nazioni europee; a portarla è Augusto Palm,
sarto emigrato in Germania, che, tornando in patria dopo essere stato a contatto con la
social-democrazia tedesca, nel 1881 comincia una accesa propaganda socialista. Negli anni
immediatamente
successivi, leader del movimento operaio diventa Hajlmair Branting, fondatore del partito
social-democratico svedese, in cui si sentono gli influssi della socialdemocrazia tedesca dalla quale
veniva Palm
(infatti la politica di questo, che fu e rimase l'unico considerevole partito operaio svedese, fu subito
indirizzata verso una pratica parlamentare e tesa a trovare un punto di incontro con la classe
padronale). Per quanto riguarda la nascita del movimento sindacale, la sua data è il 1898,
quando sotto la spinta del
movimento socialista si forma la "Lands Organisationen" (L.O.). Le lotte operaie scoppiano nel 1900,
tese dapprima al riconoscimento delle organizzazioni sindacali, poi anche a rivendicazioni di carattere
economico. Il primo importante sciopero, indetto dal sindacato nel 1909, segna una sconfitta del
movimento operaio e ha gravi ripercussioni tra i lavoratori; sul fronte sindacale porta alla nascita della
S.A.C. Lo sciopero coinvolse la quasi totalità dei lavoratori per un mese e la classe padronale
rispose,
come in Italia nel '21, con la serrata. La L.O., al suo primo scontro sindacale di proporzioni così
vaste,
pensava di poter battere il padrone solo in nome dei suoi diritti, mancava del tutto un'organizzazione
capillare e una comune tematica di lotta, per la sua inesperienza e per la sua ingenuità dovette
capitolare
davanti alla mossa compatta della classe padronale. Le conseguenze furono disastrose, non tanto
per la repressione fisica attuata su coloro che furono
ritenuti i capi (circa 800 operai furono perseguitati penalmente), ma le misure anti-operaie costrinsero
20.000 svedesi ad emigrare, soprattutto verso gli Stati Uniti. Dopo questa grave sconfitta una
frattura si delineò all'interno della L.O., da una parte gli elementi social-democratici, legati anche
alle direttive del partito, che intendevano seguire una linea di collaborazione
anziché di scontro, facilitata dalla disponibilità del partito social-democratico a entrare
nell'area
governativa, (fatto che poi avverrà); dall'altra parte gli elementi libertari e disposti a continuare
la linea
della lotta di classe. Questa frattura interna durò circa un anno e si tramutava in scissione nel
1910, data
in cui si costituì la S.A.C. L'allontanamento degli elementi rivoluzionari della L.O. la collocava
più
agevolmente verso una politica di collaborazione, sulla scia del partito social-democratico che
riuscì a
conseguire la sua maggiore aspirazione entrando al governo nel 1917. Dapprima in una coalizione
governativa voluta dai padroni nel timore di un estendersi della rivoluzione russa, nel 1920 si arriva al
primo governo minoritario socialista, nel 1932 si raggiunge il primo governo di maggioranza a seguito
di uno sciopero avvenuto l'anno prima e finito tragicamente con l'uccisione di cinque operai, da parte
della polizia; fatto che darà per reazione una vasta maggioranza al partito social-democratico,
maggioranza che manterrà fino ai nostri giorni con poche eccezioni. Al partito
social-democratico si
deve naturalmente il merito di tutti quei miglioramenti economici che hanno creato il mito svedese, ma
per questi miglioramenti economici ha rinunciato a portare la classe operaia alla vittoria finale e a
costituire una società libera e senza classi.
Quando nel giugno 1910 ci fu il congresso straordinario che portò alla fondazione della
S.A.C., i
quarantuno delegati presenti, decisero non solo di uscire dalla L.O. per la sua politica sindacale, ma
vollero soprattutto costruire un sindacato che non fosse un enorme apparato burocratico, come
già allora
era la L.O.; intendevano costituire un'organizzazione che non fosse centralizzate e verticista, ma diretta
dai lavoratori stessi, una organizzazione che fosse un ufficio di collegamento tra le varie organizzazioni
di base dei lavoratori, lasciando ai lavoratori stessi il potere decisionale. La S.A.C. non è quindi
propriamente un sindacato, ma piuttosto una centrale organizzativa e di raccordo tra le sezioni federate;
tali sezioni sono chiamate "Lokal Samorganisation" cioè organizzazioni comunitarie di base,
comunitarie
in quanto comprendono al loro interno tutti i lavoratori della sezione locale, senza distinzione di
categoria. Infatti a differenza dei sindacati italiani le strutture di base non sono articolate sulle
differenziazioni categoriali, ma geograficamente e all'interno di tali sezioni locali l'attività
sindacale è
decisa da tutti gli aderenti, quale che sia la loro attività lavorativa. Se eventualmente in una
categoria
sorgono problemi particolari, si forma una sezione categoriale temporanea che funziona per la durata
delle lotte in quel settore per poi sciogliersi nuovamente nelle sezioni comunitarie. Comunque la
federazione di categoria è sempre sottoposta al potere sovrano delle sezioni comunitarie. Le
uniche federazioni stabili che possono formarsi in posizione intermedia tra la base e l'organizzazione
generale, cioè la S.A.C., sono le federazioni regionali o di agglomerati industriali, le cui
decisioni sono
comunque l'espressione delle scelte comunitarie. Organo decisionale di queste sezioni di base
è naturalmente l'assemblea di tutti gli aderenti. Non vi sono
quindi delegati permanenti che svolgono particolari lavori per periodi continuati, ma delegati eletti volta
per volta per mansioni particolari e che devono scrupolosamente seguire le direttive volute
dall'assemblea. Qui ci possiamo ricollegare al discorso sugli scioperi spontanei. Infatti è chiaro
che non
è la S.A.C. che può indire uno sciopero locale o settoriale, bensì le sezioni di
base che autonomamente
indicono lo sciopero o qualsiasi altra agitazione sindacale e la S.A.C. o meglio l'ufficio di collegamento
federativo ne prende atto. Sarà invece compito di questo organo di collegamento, se la sezione
gli
conferisce il mandato, di condurre le trattative (generalmente questo avviene per trattare a livello
nazionale). È ovvio che su questo tema vi siano continui contrasti tra la S.A.C. e il sindacato
social-democratico, dato che questo, per la sua natura autoritaria e centralizzata, non permette, come
abbiamo
visto, decisioni autonome alle sezioni periferiche, mentre la struttura della S.A.C. si basa appunto su
questa libertà di autogestire le proprie lotte, nei tempi e nei modi voluti dalla base
operaia. Per quanto riguarda i collegamenti a livello nazionale tra le varie sezioni federate vi sono
alcuni congressi
ricorrenti. Da questi congressi ha vita un comitato centrale temporaneo che non fruisce di nessuna
autorità: si deve attenere strettamente alle decisioni prese dal congresso nazionale, che a sua
volta è
espressione della volontà delle organizzazioni di base. Non potendo prendere nessuna iniziativa,
ogni
qual volta si presenti la necessità e l'urgenza di un intervento, il comitato centrale temporaneo
informa
della situazione le organizzazioni comunitarie di base che attraverso le assemblee chiariscono la condotta
da tenere. Spesso, anziché al metodo delle assemblee si ricorre al referendum di tutte le sezioni
su un
dato argomento, e in cinquant'anni di vita la S.A.C. è ricorsa decine di volte a questo metodo
decisionale.
Quanto detto ci indica in maniera sufficientemente chiara quale sia la struttura interna della S.A.C.
Ora
vediamo qualche connotato che meglio la definirà. Attualmente il sindacato si aggira sulle
25.000 unità
(per comprendere il valore di queste cifre e delle seguenti bisogna tenere presente che la popolazione
svedese è di circa 8 milioni). Dalla fondazione ad oggi la cifra degli affiliati è stata
spesso oscillante,
(minima quella di partenza, solo 96 aderenti), ma ben presto il corso riformista intrapreso dalla L.O. fa
per reazione aumentare il numero degli iscritti alla S.A.C.; e non è solo l'incapacità di
condurre una lotta
dura quello che indirizza parecchi lavoratori svedesi verso il sindacato libertario, ma anche le
proporzioni
enormi che raggiunge la burocrazia della L.O. che soffocano del tutto ogni autonomia operaia. Nel 1919
la cifra degli iscritti arriva già alle 20.000 unità e sale ancora fino a raggiungere le
37.000 unità dal 1924
allo scoppio della seconda guerra mondiale. Un calo notevole si ha negli anni del dopoguerra, gli
anni del boom economico svedese, quando sembrò
agli operai che il governo socialdemocratico e la L.O. avessero risolto i loro problemi e garantito il
benessere per tutti; a molti sembrò che tutte queste riforme sociali e politiche fossero la
premessa per
la sconfitta del capitalismo e per la socializzazione dell'economia svedese. Ma in realtà furono
solo
concessioni del capitale per garantirsi un periodo di pace sociale nel quale far sviluppare l'industria; con
molta perspicacia la classe padronale distribuì parte del nuovo benessere alla classe lavoratrice.
In questi
anni, per ritornare alle cifre, gli aderenti alla S.A.C. scendono a sole 16.000 unità. Bisogna
arrivare al
'69, perché gli operai svedesi, delusi dalla politica della L.O., e finito il boom economico, tornino
a
dimostrare interesse per il sindacato libertario e a raggiungere le cifre attuali. Il '69 è anche
l'anno del
ritorno a dure lotte sindacali; è di questo periodo lo sciopero dei minatori, che si protrae fino
all'anno
successivo, chiudendosi con una vittoria della classe operaia. Attualmente non vi sono agitazioni
sindacali di una certa importanza, tranne la lotta condotta dalla
S.A.C. per il ritiro della legge anti-sciopero e per il riconoscimento dell'autonomia alle sezioni
periferiche
anche da parte del sindacato social-democratico.
Gli aderenti alla S.A.C. sono nella quasi totalità operai; il ceto impiegatizio appare in misura
minima. Del
resto gli impiegati sono per lo più iscritti a due sindacati specifici e "autonomi" (cioè
corporativi), il
T.C.O. per i dipendenti di aziende private e la S.R. per i dipendenti statali. Anche la presenza dei
contadini è poco rilevante. L'azione della S.A.C. si svolge nel settore industriale,
eccezione fatta per i minatori e i forestali, di cui, come abbiamo già detto, la S.A.C. è
rappresentante
sindacale nelle contrattazioni a livello nazionale. Mentre la struttura centralizzatrice della L.O.
è costituita e diretta da un esercito di burocrati, mantenuto
dai lavoratori, la S.A.C. grazie alla sua struttura decentralizzata e all'autonomia delle sezioni di base,
si
avvale del lavoro fisso di un numero minimo di impiegati: solo 10. E a dispetto dei teorici che
confondono volutamente burocrazia e organizzazione, la S.A.C. funziona perfettamente, guidata dai
principi dell'autogestione e dell'autonomia operaia. Altro merito dell'attività sindacale della
S.A.C. è la pubblicazione di un settimanale "Arbetaren" (Il
lavoratore), che è insieme un quadro complessivo e riassuntivo delle attività sindacali
e luogo di
discussione e studio. Le sue pubblicazioni cominciarono nel periodo precedente la seconda guerra
mondiale, soddisfacendo un'esigenza sentita da tutti i lavoratori per esprimere liberamente le loro
convinzioni e per un collegamento tra le varie sezioni autonome. Durante il periodo bellico fu un
portavoce dell'antifascismo scandinavo, che incitava i lavoratori danesi e norvegesi alla rivolta contro
il nazismo e quelli svedesi alla solidarietà rivoluzionaria. Attualmente la tiratura settimanale di
"Arbetaren" è di oltre 30.000 copie. Per quanto riguarda i rapporti con il mondo politico
e sindacale la S.A.C. non si aggancia a nessuna
formazione, non mantiene buoni rapporti nemmeno con la L.O. per la attitudine monopolistica del
sindacato social-democratico. Gli unici rapporti amichevoli sono naturalmente con il movimento
anarchico svedese (in realtà non esiste oggi un movimento anarchico organizzato a livello
nazionale: i
vari gruppi anarchici operano e collaborano con la S.A.C. e all'interno della S.A.C. nelle varie sezioni
locali). A livello internazionale la S.A.C. privilegia naturalmente i rapporti con gli altri movimenti
anarco-sindacalisti, pure essendo uscita dall'A.I.T. (Association Internationale des Travailles) verso la
metà degli
anni '50, per divergenze strategiche e tattiche con le organizzazioni consorelle (non essendo soprattutto
riuscita ad introdurre negli statuti internazionali delle modifiche che attenuassero il categorico rifiuto
della pratica elettoralistica). Sempre a livello internazionale la S.A.C., fedele all'internazionalismo
anarchico, è tradizionalmente attiva
non solo nella solidarietà rivoluzionaria ma anche nell'appoggio alle lotte dei popoli oppressi.
Essa ha
costituito od appoggiato comitati di sostegno alla lotta antifascista in Spagna ed in Grecia, alla lotta anti
imperialista nel Vietnam aiutando p. e. i disertori americani.... Nel corso degli ultimi tre anni ha curato
una campagna di controinformazione per la strage di piazza Fontana e per l'assassinio di Pinelli.
Anche a un primo approccio la S.A.C. mostra alcuni aspetti discutibili. Così la sua
partecipazione
indiretta alle elezioni amministrative in un certo numero di centri (in appoggio a liste locali
"municipaliste", fautrici cioè di una più ampia autonomia dei comuni dallo Stato, liste
formate spesso,
in tutto o in parte, da militanti S.A.C.) non è certo "ortodossa" rispetto al tradizionale rifiuto
anarcosindacalista della "politica" (ed infatti è stata, come abbiamo visto, la causa dell'uscita
della S.A.C.
dall'A.I.T.). Spesso il rigore rivoluzionario lascia il posto ad un gradualismo quasi riformista. Spesso
il vigore della S.A.C. lascia a desiderare, perlomeno agli occhi di chi come noi è abituato a livelli
elevati di durezza delle lotte. Inoltre, se pure la S.A.C. in confronto alla L.O. social-democratica
è un
modello di pratica libertaria nei confronti delle masse, è accaduto talora che anch'essa si vedesse
"scavalcare a sinistra" da lotte spontanee. Prevale attualmente nel sindacato libertario svedese una
generazione di militanti di mezza età, formatasi
negli anni '50 e nei primi anni '60, in un periodo cioè di stagnazione dei conflitti sociali, di quasi
inesistenza della lotta di classe, e questa è forse la causa della relativa "fiacchezza" della S.A.C.
In effetti
sia la vecchia generazione di anarcosindacalisti svedesi sia la nuova (quella formatasi dalla fine degli anni
'60 in poi) dimostrano una "grinta", un rigore ed una disponibilità alla lotta più coerenti
con l'immagine
di un sindacato rivoluzionario.
In conclusione, parlando della S.A.C., si è voluto soprattutto sottolineare l'importanza che
ha ancora il
sindacalismo rivoluzionario in una società, ricca e avanzata come quella svedese, dove situazioni
economiche e sociali come quelle del Meridione italiano sono state cancellate da una seria
politica di
riforme sociali. Si è voluto riaffermare la vecchia verità che le riforme se e
quando vengono fatte, non risolvono
comunque i problemi delle società classiste. D'altro canto il ragionamento è semplice.
Se esiste una
burocrazia sindacale, cui è stato delegato il compito di dirigere le masse, questa burocrazia
tende alla
conservazione e al potenziamento di se stessa, e la sua esistenza è legata alla divisione in classi
della
società; se tale divisione sparisse la sua funzione cadrebbe e dovrebbe scomparire. Per questo
motivo
la burocrazia sindacale tende oggettivamente a perpetuare la disuguaglianza. Rimane quindi un'unica
alternativa per il rilancio della lotta di classe emancipatrice: il sindacalismo rivoluzionario. Ce l'ha
indicata la Svezia che, anticipando le tappe che dovrebbero seguire i movimenti operai per giungere ai
suoi livelli sociali, ha dimostrato che la politica riformista non è una politica di vittoria, ma di
integrazione e di resa al sistema della disuguaglianza (seppure resa più tollerabile). Per pochi
benefici
economici e sociali si rinuncia alla costituzione di una società libera ed egualitaria. Il nuovo
volto del
sindacalismo deve essere, non solo rivoluzionario nei fini e nei metodi, ma libertario nella
organizzazione. Il popolo deve condurre la lotta in prima persona e non delegare ad alcuno il proprio
potere decisionale: sempre i dirigenti del popolo divennero i suoi padroni, quando non ne furono i
traditori. Solo l'autogestione delle proprie organizzazioni, porta al superamento di questi pericoli, e
dà
la reale capacità di condurre vittoriosamente la rivoluzione. L'unica alternativa per uscire dalla
situazione
stagnante in cui sono le masse lavoratrici è l'alternativa della lotta rivoluzionaria alla politica
riformista,
è l'alternativa dell'autogestione alla delega del potere e alla pratica autoritaria, cioè
appunto il ritorno
all'azione e ai principi dell'anarco-sindacalismo. Queste indicazioni sono contenute nel primo articolo
dello statuto programmatico-organizzativo della S.A.C. che dice: "Il movimento sindacalista è
diretto
dalla classe lavoratrice per salvaguardare i suoi interessi, e con il fine di indirizzare la società
verso il
socialismo anarchico, che implica la maggiore libertà possibile e la giustizia economica per
tutti".
R. D. L.
|