Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 2 nr. 14
estate 1972


Rivista Anarchica Online

Togliatti insegna l'anarchia
di Camillo Levi

A più riprese, nel corso degli ultimi cent'anni di storia, i marxisti di tutte le sette sono tornati all'attacco contro l'anarchismo, giustamente ritenuto una continua minaccia al trionfo del comunismo autoritario. Da Marx ed Engels fino ai giorni nostri possiamo dunque ritrovare scritti dei più famosi ideologi del marxismo, tutti tesi a ripetere ed a cercare di dimostrare la veridicità della pesante accusa mossa dai comunisti autoritari contro i libertari: essere cioè l'anarchismo una teoria ed una prassi piccolo-borghese, tipica dei paesi arretrati, ed avere quindi gli anarchici una precisa funzione controrivoluzionaria di spaccatura e di disorganizzazione nel movimento operaio.
In questo monotono coro di accuse, calunnie e falsità, assume particolare interesse la pubblicazione (1) della lezione politica tenuta il 10 aprile 1935 per gli allievi italiani della Scuola leninista presso l'Internazionale comunista di Mosca da quel "mostro sacro" del comunismo italiano che è Palmiro Togliatti. È bene essere subito chiari: questo intervento antianarchico non si differenzia molto nella sostanza da tutta la tradizione pubblicistica antianarchica dei marxisti. Eppure, a nostro avviso, questo scritto presenta alcuni lati particolarmente interessanti; innanzitutto per l'importanza storica dell'opera teorico-pratica di Togliatti, tipico esempio di camaleonte marxista, capace cioè di modificare notevolmente - ed anche di capovolgere - le proprie posizioni politiche. In secondo luogo il 1935 è proprio l'anno precedente allo scoppio della rivoluzione spagnola, che avrebbe visto scontrarsi apertamente stalinisti ed anarchici.
Pontificava Togliatti:
"Oggi esamineremo un'altra corrente, quella anarchica. Si tratta di una corrente però non marxista, anzi anti-marxista, che però ha avuto una grande importanza nello sviluppo del movimento operaio.... Il movimento anarchico ha in Italia una grande importanza. Voi sapete che la I Internazionale fu in Italia una corrente prevalentemente non marxista, ma anarchica". Di fronte al continuo tentativo di buona parte della storiografia marxista teso a minimizzare l'importanza storica del movimento anarchico, (2), Togliatti è costretto ad ammetterne l'importanza e la pericolosità. Per spiegarsi meglio, opera anche una distinzione fra due generazioni di anarchici: i diretti seguaci di Bakunin, e gli anarco-sindacalisti dei primi due-tre decenni del nostro secolo. L'attacco contro i primi ricalca esattamente la presa di posizione di Marx ed Engels contro le sezioni antiautoritarie della Prima Internazionale. Secondo lo schema classico di analisi marxista, l'anarchismo (fenomeno legato a condizioni di arretratezza economica e di disorganizzazione proletaria) sarebbe dovuto rapidamente scomparire con lo sviluppo della grande industria e con la presenza nel movimento operaio di grandi organizzazioni di massa dedite alla "lotta politica", cioè alla conquista del potere statale. Invece Togliatti, è costretto a notare che l'anarchismo continua ad operare, e trasforma il problema da sociale in puramente ideologico.
"Anche con lo sviluppo del marxismo, l'anarchismo non viene completamente liquidato. Esso sopravvive anche nelle file del partito socialista. Troviamo elementi dell'ideologia anarchica, delle concessioni all'anarchismo anche nel partito socialista. L'opinione corrente in Italia che l'anarchismo sia qualcosa di più avanzato del socialismo è una concessione all'anarchismo. La lotta per eliminare questi elementi dell'anarchismo non è mai stata fatta nel movimento marxista perché in questo movimento non si era mai condotta una lotta per la purezza della vera ideologia marxista".

Togliatti e l'U.S.I.

Molto più originale ed interessante è la maniera in cui si pone il defunto segretario del Partito Comunista Italiano di fronte all'organizzazione e alle lotte degli anarco-sindacalisti, cioè alla presenza militante anarchica, dai primi del Novecento all'occupazione delle fabbriche (1920).... Il fenomeno che Togliatti si trova ad analizzare ed a combattere sul piano politico è quello di un anarchismo che si radica profondamente sia nel movimento bracciantile sia in quello operaio, con differente intensità, in molte regioni italiane. In questa parte centrale (anche per la sua importanza) della lezione politica, Togliatti è costretto a mantenersi nel vago, preso come dall'esigenza non di capire la realtà, ma di giustificarla alla luce del dogma marxista. Non è certo sufficiente sottolineare il carattere riformista della direzione del Partito Socialista e la sua propensione al compromesso con i gruppi dirigenti borghesi per spiegare perché un vasto strato proletario si impegnò decisamente in lotte anarco-sindacaliste. Togliatti da una parte è costretto a riconoscere che un gran numero di Camere del Lavoro aderì all'Unione Sindacale Italiana (3), dall'altra si affretta a ripetere che comunque il movimento anarco-sindacalista fu sempre minoritario; ed ancora, mentre accusa tale movimento di aver rappresentato una scissione nel movimento operaio, sottolinea che "fra gli operai che militavano nelle file anarco-sindacaliste vi erano non pochi bravi rivoluzionari disgustati dall'opportunismo riformista dei dirigenti del Partito Socialista Italiano e della Confederazione Generale del Lavoro".
Tutto ciò è vero, ma non spiega quasi niente. Quello che Togliatti non ha voluto capire è che l'Unione Sindacale Italiana ha rappresentato storicamente un positivo momento organizzativo rivoluzionario di quella che è oggi detta autonomia proletaria, dell'esigenza cioè dei lavoratori di gestire ed organizzare fin dall'inizio e completamente le proprie lotte, in maniera libertaria.
È questo stretto nesso fra rivoluzione socialista ed organizzazione libertaria proletaria che Togliatti - e con lui tutta la scuola marxista - non solo non ha saputo cogliere, ma anzi ha sempre combattuto con tutti i mezzi, comprendendone il carattere anti-partitico. Il fatto che momenti di lotta rivoluzionaria, come le giornate di Ancona, la Settimana Rossa o l'occupazione delle fabbriche, siano sostanzialmente terminati con una sconfitta del movimento operaio stimolato dagli anarco-sindacalisti, non è motivo sufficiente per criticare la loro attività ed i loro principi; tutto ciò deve anzi essere motivo ulteriore di critica a tutte le componenti del partito socialista (dai massimalisti ai riformisti) che bloccarono nei fatti l'avanzata del movimento operaio. Dove, infatti, questi freni opportunisti non funzionarono, come nella Lunigiana ed in vaste zone della Toscana, fin dai primissimi anni del secolo gli operai ottennero le sei o le sei ore e mezza di lavoro, organizzati sempre dagli anarco-sindacalisti. Dei risultati positivi delle loro lotte per il "maestro" Togliatti è meglio tacere: per lui l'anarchismo non è un oggetto di studio, è innanzitutto sempre un pericoloso nemico da distruggere, anche con il silenzio e la calunnia quando necessario.

L'occupazione delle fabbriche

Originariamente falsa è l'interpretazione che viene data della partecipazione degli anarchici all'occupazione delle fabbriche, che ebbe uno dei suoi momenti centrali a Torino. Secondo Togliatti, di fronte al problema della presa del potere da parte del proletariato, gli anarchici più impegnati e più sensibili, dopo aver rigettato la pratica anarco-sindacalista, avrebbero praticamente superato la scissione storica con il movimento socialista, o almeno con la parte di questo che successivamente avrebbe dato vita al Partito Comunista: a tal proposito cita l'esperienza di Torino, in cui proprio nel 1919-20 alla testa della FIOM (il sindacato dei metallurgici aderenti alla CGL) si trovavano gli anarchici Garino e Ferrero. Certamente in mala fede, Togliatti specula in quest'occasione sulla differente metodologia di intervento libertario nelle fabbriche fra i compagni dell'U.S.I. e quelli che si riconoscevano nelle posizioni di Garino e Ferrero e del loro gruppo libertario torinese: differenze che restarono all'interno del movimento anarchico ed anzi provocarono un fecondo dibattito che mantiene a tutt'oggi viva la sua attualità. Per Togliatti i compagni torinesi non erano più anarchici perché la scissione era già superata nella prassi rivoluzionaria dagli elementi migliori.
Tutto ciò è falso: meglio di tante chiacchiere lo dimostra la relazione sui "Consigli di fabbrica e d'azienda" presentata dal compagno Garino al congresso dell'Unione Anarchica Italiana a Bologna nel luglio del 1920 (4), in cui appare chiarissima la distinzione fra comunisti autoritari e comunisti libertari nella coscienza che lo scontro fra le due tendenze, al momento rinviato, sarebbe comunque scoppiato in futuro. Non solo, ma Garino nella sua relazione, precedentemente già approvata dal convegno anarchico piemontese, sottolinea in conclusione proprio la netta distinzione fra la concezione dei Consigli come organi di potere (propria di tutte le tendenze socialiste) e quella anarchica che vedeva nei consigli dei tipici organi antistatali. Altro che superamento della scissione!
Ci siamo soffermati un po' su questo argomento perché la trattazione che ne fece Togliatti nella sua lezione del lontano 1935 dimostra la naturale propensione di tanti studiosi marxisti a falsificare la realtà, o comunque a confondere i loro desideri con la realtà. Ed è sul medesimo terreno della falsificazione e della calunnia che si pone quando analizza la posizione degli anarchici di fronte alla montante reazione fascista. "Gli anarchici con le armi, con le bombe, con tutti i loro mezzi tradizionali di lotta, non li trovate affatto a frenare l'avanzata del fascismo. Trovate degli operai anarchici negli Arditi del popolo, accanto ai comunisti. Ma come tali, gli anarchici non entrano sul terreno della azione diretta contro il fascismo." Il tentativo è chiaro: si tratta, senza parlare apertamente, di accusare gli anarchici di complicità con i fascisti, nella misura in cui mai gli anarchici in quanto tali avrebbero combattuto contro il fascismo ed anzi avrebbero solo indebolito il movimento operaio. "L'anarchismo - prosegue Togliatti - di fronte all'avanzata del fascismo fa fallimento. Qual è la posizione dei capi anarchici di fronte all'attentato del Diana? Malatesta stesso fa delle dichiarazioni che sono sullo stesso terreno dei riformisti dell'estrema destra. Non soltanto non denuncia come Matteotti le atrocità del fascismo dal lato sentimentale, ma si pone perfino sul terreno dei liberali rivendicando la libertà, l'umanità, ecc., ed in nome di queste idealità borghesi implora pietà." È significativo che l'astio del burocrate stalinista si sfoghi contro un compagno militante come Malatesta, che deve certo essere sempre stato particolarmente odiato dai comunisti autoritari per la rispondenza che i suoi appelli politici hanno spesso trovato fra i lavoratori, e per la linea di intransigente anti-autoritarismo che sostenne sempre con quella coerenza che certo è sconosciuta a tutti i grossi burocrati comunisti.
Ma la costante della netta separazione fra comunisti libertari ed autoritari è la posizione di fronte alla libertà - e Togliatti a modo suo se ne accorge e la mette in rilievo. "Questa libertà, questa lotta contro la tendenza a limitare la libertà, ecc., quando era diretta contro lo stato assoluto, in certi momenti (nel periodo della rivoluzione democratico-borghese), poté legare delle masse, masse che lottavano per la libertà non già come la concepivano gli anarchici, ma per la libertà di spezzare il dominio delle classi reazionarie. Ma questo concetto di libertà lentamente tende a legare l'anarchico al borghese. Questo ideale di libertà fa parte dell'ideologia borghese. Se voi leggete ciò che scrivono i liberisti, per esempio il francese Bastiat e anche, quando scriveva liberamente, Einaudi, voi vedete la stessa ideologia; come gli anarchici essi vedono tutto il male nello Stato, tendono a limitare i suoi interventi, a eliminarlo. Lo stato non viene eliminato come strumento della classe dominante, ma come tale. Su questa base l'anarchismo diventa reazionario, e conduce una politica reazionaria, sotto le vesti della negazione della lotta politica. Questo è particolarmente visibile dove vi è un movimento di massa, e l'abbiamo visto particolarmente in Spagna."

Il pericolo anarchico

È quasi isterica questa necessità dei marxisti delle varie tendenze di non poter mai sentire nemmeno parlare di libertà, senza almeno un qualche aggettivo che la definisca, e nel limitarla la uccida; in Togliatti come in tutti i grandi santoni del comunismo autoritario la libertà resta sempre un concetto borghese, da rigettare quando venga teorizzata e soprattutto attuata nella costruzione del movimento operaio. Ed è alla luce di queste considerazioni che bisogna leggere gli ultimi due capoversi della lezione tenuta dal maestro bugiardo Togliatti, e che gli avvenimenti successivi (rivoluzione spagnola, resistenza europea ed in particolare italiana, disarmo successivo del movimento partigiano, ecc.) hanno avuto il compito di confermare. Afferma infatti il futuro ministro della Giustizia nel secondo dopoguerra, il burocrate Togliatti: "Oggi ci troviamo di fronte gli anarchici nell'emigrazione. Domani li troveremo certamente all'interno come nemici accaniti. E combatteranno certamente sul terreno della libertà: "È caduta la dittatura fascista - diranno - e i comunisti vogliono instaurare un'altra dittatura.
Gli anarchici possono diventare i nemici più pericolosi, che possono collaborare con l'ala destra del partito socialista, con Giustizia e Libertà (in quest'organizzazione troviamo tutta una serie di posizioni di formulazioni anarchiche), faranno premere l'ideologia della borghesia sulla classe operaia stessa. Il problema che si pone di fronte a noi è quello di collegarsi, sulla base del Fronte unico, con i gruppi di operai anarchici. Noi dobbiamo, attraverso questa azione del Fronte unico, riuscire a distruggere le basi reali di massa dell'anarchismo. Le condizioni esistono: noi possiamo trascinare le masse alla lotta sulla base delle rivendicazioni immediate. Così possiamo distruggere le basi di massa dell'anarchismo e prevenire la resistenza di domani."
Queste affermazioni si commentano da sole. È la teorizzazione della politica riformista del PCI nel dopoguerra. Non saranno situazioni contingenti a modificare il sedicente carattere rivoluzionario del PCI, ma la chiara e precisa volontà dei dirigenti comunisti di annullare le aspirazioni rivoluzionarie delle masse con "rivendicazioni immediate" per disperdere quante più energie possibili, per allontanare sempre più il momento rivoluzionario.
Poco più di un anno dopo questa lezione, scoppiò in Spagna quel grandioso motto popolare che è erroneamente conosciuto come la guerra civile spagnola. Si trattò invece di una vera rivoluzione sociale, sconfitta militarmente dal fascismo e sabotata al suo interno dai comunisti autoritari al servizio dello stalinismo moscovita. "In Catalogna - scriverà la Pravda del 17 dicembre 1936 - l'epurazione degli elementi trotzkisti ed anarco-sindacalisti è cominciata; quest'opera sarà condotta con la stessa energia con cui è stata condotta nell'U.R.S.S."
Quando cioè si passò - ci si perdoni la citazione marxiana - "dalle armi della critica alla critica delle armi", le falsità e le calunnie antianarchiche teorizzate dei burocrati stalinisti come Togliatti si trasformarono in violente epurazioni, in delazioni, in assassinii politici operati dagli sbirri della polizia politica staliniana.

Camillo Levi