Rivista Anarchica Online
Togliatti insegna l'anarchia
di Camillo Levi
A più riprese, nel corso degli ultimi cent'anni di storia, i marxisti
di tutte le sette sono tornati all'attacco
contro l'anarchismo, giustamente ritenuto una continua minaccia al trionfo del comunismo autoritario.
Da Marx ed Engels fino ai giorni nostri possiamo dunque ritrovare scritti dei più famosi ideologi
del
marxismo, tutti tesi a ripetere ed a cercare di dimostrare la veridicità della pesante accusa mossa
dai
comunisti autoritari contro i libertari: essere cioè l'anarchismo una teoria ed una prassi
piccolo-borghese,
tipica dei paesi arretrati, ed avere quindi gli anarchici una precisa funzione controrivoluzionaria di
spaccatura e di disorganizzazione nel movimento operaio. In questo monotono coro di accuse,
calunnie e falsità, assume particolare interesse la pubblicazione (1)
della lezione politica tenuta il 10 aprile 1935 per gli allievi italiani della Scuola leninista presso
l'Internazionale comunista di Mosca da quel "mostro sacro" del comunismo italiano che è
Palmiro
Togliatti. È bene essere subito chiari: questo intervento antianarchico non si differenzia molto
nella
sostanza da tutta la tradizione pubblicistica antianarchica dei marxisti. Eppure, a nostro avviso, questo
scritto presenta alcuni lati particolarmente interessanti; innanzitutto per l'importanza storica dell'opera
teorico-pratica di Togliatti, tipico esempio di camaleonte marxista, capace cioè di modificare
notevolmente - ed anche di capovolgere - le proprie posizioni politiche. In secondo luogo il 1935
è
proprio l'anno precedente allo scoppio della rivoluzione spagnola, che avrebbe visto scontrarsi
apertamente stalinisti ed anarchici. Pontificava Togliatti: "Oggi esamineremo un'altra
corrente, quella anarchica. Si tratta di una corrente però non marxista,
anzi anti-marxista, che però ha avuto una grande importanza nello sviluppo del
movimento operaio....
Il movimento anarchico ha in Italia una grande importanza. Voi sapete che la I
Internazionale fu in
Italia una corrente prevalentemente non marxista, ma anarchica". Di fronte al continuo tentativo
di
buona parte della storiografia marxista teso a minimizzare l'importanza storica del movimento anarchico,
(2), Togliatti è costretto ad ammetterne l'importanza e la pericolosità. Per spiegarsi
meglio, opera anche
una distinzione fra due generazioni di anarchici: i diretti seguaci di Bakunin, e gli anarco-sindacalisti dei
primi due-tre decenni del nostro secolo. L'attacco contro i primi ricalca esattamente la presa di posizione
di Marx ed Engels contro le sezioni antiautoritarie della Prima Internazionale. Secondo lo schema
classico di analisi marxista, l'anarchismo (fenomeno legato a condizioni di arretratezza economica e di
disorganizzazione proletaria) sarebbe dovuto rapidamente scomparire con lo sviluppo della grande
industria e con la presenza nel movimento operaio di grandi organizzazioni di massa dedite alla "lotta
politica", cioè alla conquista del potere statale. Invece Togliatti, è costretto a notare che
l'anarchismo
continua ad operare, e trasforma il problema da sociale in puramente ideologico. "Anche con
lo sviluppo del marxismo, l'anarchismo non viene completamente liquidato. Esso
sopravvive anche nelle file del partito socialista. Troviamo elementi dell'ideologia anarchica, delle
concessioni all'anarchismo anche nel partito socialista. L'opinione corrente in Italia che l'anarchismo
sia qualcosa di più avanzato del socialismo è una concessione all'anarchismo. La lotta
per eliminare
questi elementi dell'anarchismo non è mai stata fatta nel movimento marxista perché in
questo
movimento non si era mai condotta una lotta per la purezza della vera ideologia marxista".
Togliatti e l'U.S.I. Molto più originale ed interessante
è la maniera in cui si pone il defunto segretario del Partito Comunista
Italiano di fronte all'organizzazione e alle lotte degli anarco-sindacalisti, cioè alla presenza
militante
anarchica, dai primi del Novecento all'occupazione delle fabbriche (1920).... Il fenomeno che Togliatti
si trova ad analizzare ed a combattere sul piano politico è quello di un anarchismo che si radica
profondamente sia nel movimento bracciantile sia in quello operaio, con differente intensità, in
molte
regioni italiane. In questa parte centrale (anche per la sua importanza) della lezione politica, Togliatti
è costretto a mantenersi nel vago, preso come dall'esigenza non di capire la realtà, ma
di giustificarla alla
luce del dogma marxista. Non è certo sufficiente sottolineare il carattere riformista della
direzione del
Partito Socialista e la sua propensione al compromesso con i gruppi dirigenti borghesi per spiegare
perché un vasto strato proletario si impegnò decisamente in lotte anarco-sindacaliste.
Togliatti da una
parte è costretto a riconoscere che un gran numero di Camere del Lavoro aderì
all'Unione Sindacale
Italiana (3), dall'altra si affretta a ripetere che comunque il movimento anarco-sindacalista fu sempre
minoritario; ed ancora, mentre accusa tale movimento di aver rappresentato una scissione nel
movimento
operaio, sottolinea che "fra gli operai che militavano nelle file anarco-sindacaliste vi erano non
pochi
bravi rivoluzionari disgustati dall'opportunismo riformista dei dirigenti del Partito Socialista Italiano
e della Confederazione Generale del Lavoro". Tutto ciò è vero, ma non
spiega quasi niente. Quello che Togliatti non ha voluto capire è che l'Unione
Sindacale Italiana ha rappresentato storicamente un positivo momento organizzativo rivoluzionario di
quella che è oggi detta autonomia proletaria, dell'esigenza cioè dei lavoratori di gestire
ed organizzare
fin dall'inizio e completamente le proprie lotte, in maniera libertaria. È questo stretto nesso
fra rivoluzione socialista ed organizzazione libertaria proletaria che Togliatti - e
con lui tutta la scuola marxista - non solo non ha saputo cogliere, ma anzi ha sempre combattuto con
tutti i mezzi, comprendendone il carattere anti-partitico. Il fatto che momenti di lotta rivoluzionaria,
come le giornate di Ancona, la Settimana Rossa o l'occupazione delle fabbriche, siano sostanzialmente
terminati con una sconfitta del movimento operaio stimolato dagli anarco-sindacalisti, non è
motivo
sufficiente per criticare la loro attività ed i loro principi; tutto ciò deve anzi essere
motivo ulteriore di
critica a tutte le componenti del partito socialista (dai massimalisti ai riformisti) che bloccarono nei fatti
l'avanzata del movimento operaio. Dove, infatti, questi freni opportunisti non funzionarono, come nella
Lunigiana ed in vaste zone della Toscana, fin dai primissimi anni del secolo gli operai ottennero le sei
o le sei ore e mezza di lavoro, organizzati sempre dagli anarco-sindacalisti. Dei risultati positivi delle
loro
lotte per il "maestro" Togliatti è meglio tacere: per lui l'anarchismo non è un oggetto
di studio, è
innanzitutto sempre un pericoloso nemico da distruggere, anche con il silenzio e la calunnia quando
necessario.
L'occupazione delle fabbriche Originariamente falsa è
l'interpretazione che viene data della partecipazione degli anarchici
all'occupazione delle fabbriche, che ebbe uno dei suoi momenti centrali a Torino. Secondo Togliatti, di
fronte al problema della presa del potere da parte del proletariato, gli anarchici più impegnati
e più
sensibili, dopo aver rigettato la pratica anarco-sindacalista, avrebbero praticamente superato la scissione
storica con il movimento socialista, o almeno con la parte di questo che successivamente avrebbe dato
vita al Partito Comunista: a tal proposito cita l'esperienza di Torino, in cui proprio nel 1919-20 alla testa
della FIOM (il sindacato dei metallurgici aderenti alla CGL) si trovavano gli anarchici Garino e Ferrero.
Certamente in mala fede, Togliatti specula in quest'occasione sulla differente metodologia di intervento
libertario nelle fabbriche fra i compagni dell'U.S.I. e quelli che si riconoscevano nelle posizioni di Garino
e Ferrero e del loro gruppo libertario torinese: differenze che restarono all'interno del movimento
anarchico ed anzi provocarono un fecondo dibattito che mantiene a tutt'oggi viva la sua
attualità. Per
Togliatti i compagni torinesi non erano più anarchici perché la scissione era già
superata nella prassi
rivoluzionaria dagli elementi migliori. Tutto ciò è falso: meglio di tante chiacchiere
lo dimostra la relazione sui "Consigli di fabbrica e
d'azienda" presentata dal compagno Garino al congresso dell'Unione Anarchica Italiana a Bologna nel
luglio del 1920 (4), in cui appare chiarissima la distinzione fra comunisti autoritari e comunisti libertari
nella coscienza che lo scontro fra le due tendenze, al momento rinviato, sarebbe comunque scoppiato
in futuro. Non solo, ma Garino nella sua relazione, precedentemente già approvata dal convegno
anarchico piemontese, sottolinea in conclusione proprio la netta distinzione fra la concezione dei
Consigli
come organi di potere (propria di tutte le tendenze socialiste) e quella anarchica che vedeva nei consigli
dei tipici organi antistatali. Altro che superamento della scissione! Ci siamo soffermati un po' su
questo argomento perché la trattazione che ne fece Togliatti nella sua
lezione del lontano 1935 dimostra la naturale propensione di tanti studiosi marxisti a falsificare la
realtà,
o comunque a confondere i loro desideri con la realtà. Ed è sul medesimo terreno della
falsificazione e
della calunnia che si pone quando analizza la posizione degli anarchici di fronte alla montante reazione
fascista. "Gli anarchici con le armi, con le bombe, con tutti i loro mezzi tradizionali di lotta, non
li
trovate affatto a frenare l'avanzata del fascismo. Trovate degli operai anarchici negli Arditi del
popolo, accanto ai comunisti. Ma come tali, gli anarchici non entrano sul terreno della azione diretta
contro il fascismo." Il tentativo è chiaro: si tratta, senza parlare apertamente, di accusare
gli anarchici
di complicità con i fascisti, nella misura in cui mai gli anarchici in quanto tali avrebbero
combattuto
contro il fascismo ed anzi avrebbero solo indebolito il movimento operaio. "L'anarchismo -
prosegue
Togliatti - di fronte all'avanzata del fascismo fa fallimento. Qual è la posizione dei capi anarchici
di
fronte all'attentato del Diana? Malatesta stesso fa delle dichiarazioni che sono sullo stesso terreno dei
riformisti dell'estrema destra. Non soltanto non denuncia come Matteotti le atrocità del fascismo
dal
lato sentimentale, ma si pone perfino sul terreno dei liberali rivendicando la libertà,
l'umanità, ecc.,
ed in nome di queste idealità borghesi implora pietà." È significativo che
l'astio del burocrate stalinista
si sfoghi contro un compagno militante come Malatesta, che deve certo essere sempre stato
particolarmente odiato dai comunisti autoritari per la rispondenza che i suoi appelli politici hanno spesso
trovato fra i lavoratori, e per la linea di intransigente anti-autoritarismo che sostenne sempre con quella
coerenza che certo è sconosciuta a tutti i grossi burocrati comunisti. Ma la costante della
netta separazione fra comunisti libertari ed autoritari è la posizione di fronte alla
libertà - e Togliatti a modo suo se ne accorge e la mette in rilievo. "Questa
libertà, questa lotta contro
la tendenza a limitare la libertà, ecc., quando era diretta contro lo stato assoluto, in certi
momenti (nel
periodo della rivoluzione democratico-borghese), poté legare delle masse, masse che lottavano
per la
libertà non già come la concepivano gli anarchici, ma per la libertà di spezzare
il dominio delle classi
reazionarie. Ma questo concetto di libertà lentamente tende a legare l'anarchico al borghese.
Questo
ideale di libertà fa parte dell'ideologia borghese. Se voi leggete ciò che scrivono i
liberisti, per esempio
il francese Bastiat e anche, quando scriveva liberamente, Einaudi, voi vedete la stessa ideologia; come
gli anarchici essi vedono tutto il male nello Stato, tendono a limitare i suoi interventi, a eliminarlo. Lo
stato non viene eliminato come strumento della classe dominante, ma come tale. Su questa base
l'anarchismo diventa reazionario, e conduce una politica reazionaria, sotto le vesti della negazione
della lotta politica. Questo è particolarmente visibile dove vi è un movimento di massa,
e l'abbiamo
visto particolarmente in Spagna."
Il pericolo anarchico È quasi isterica questa
necessità dei marxisti delle varie tendenze di non poter mai sentire nemmeno
parlare di libertà, senza almeno un qualche aggettivo che la definisca, e nel limitarla la uccida;
in Togliatti
come in tutti i grandi santoni del comunismo autoritario la libertà resta sempre un concetto
borghese,
da rigettare quando venga teorizzata e soprattutto attuata nella costruzione del movimento operaio. Ed
è alla luce di queste considerazioni che bisogna leggere gli ultimi due capoversi della lezione
tenuta dal
maestro bugiardo Togliatti, e che gli avvenimenti successivi (rivoluzione spagnola, resistenza
europea
ed in particolare italiana, disarmo successivo del movimento partigiano, ecc.) hanno avuto il compito
di confermare. Afferma infatti il futuro ministro della Giustizia nel secondo dopoguerra, il burocrate
Togliatti: "Oggi ci troviamo di fronte gli anarchici nell'emigrazione. Domani li troveremo
certamente
all'interno come nemici accaniti. E combatteranno certamente sul terreno della libertà:
"È caduta la
dittatura fascista - diranno - e i comunisti vogliono instaurare un'altra dittatura. Gli
anarchici possono diventare i nemici più pericolosi, che possono collaborare con l'ala destra del
partito socialista, con Giustizia e Libertà (in quest'organizzazione troviamo tutta una serie di
posizioni
di formulazioni anarchiche), faranno premere l'ideologia della borghesia sulla classe operaia stessa.
Il problema che si pone di fronte a noi è quello di collegarsi, sulla base del Fronte unico, con
i gruppi
di operai anarchici. Noi dobbiamo, attraverso questa azione del Fronte unico, riuscire a distruggere
le basi reali di massa dell'anarchismo. Le condizioni esistono: noi possiamo trascinare le masse
alla
lotta sulla base delle rivendicazioni immediate. Così possiamo distruggere le basi di massa
dell'anarchismo e prevenire la resistenza di domani." Queste affermazioni si commentano da
sole. È la teorizzazione della politica riformista del PCI nel
dopoguerra. Non saranno situazioni contingenti a modificare il sedicente carattere rivoluzionario del
PCI, ma la chiara e precisa volontà dei dirigenti comunisti di annullare le aspirazioni
rivoluzionarie delle
masse con "rivendicazioni immediate" per disperdere quante più energie possibili, per
allontanare sempre
più il momento rivoluzionario. Poco più di un anno dopo questa lezione,
scoppiò in Spagna quel grandioso motto popolare che è
erroneamente conosciuto come la guerra civile spagnola. Si trattò invece di una vera rivoluzione
sociale,
sconfitta militarmente dal fascismo e sabotata al suo interno dai comunisti autoritari al servizio dello
stalinismo moscovita. "In Catalogna - scriverà la Pravda del 17 dicembre 1936 - l'epurazione
degli
elementi trotzkisti ed anarco-sindacalisti è cominciata; quest'opera sarà condotta con
la stessa energia
con cui è stata condotta nell'U.R.S.S." Quando cioè si passò - ci si perdoni
la citazione marxiana - "dalle armi della critica alla critica delle
armi", le falsità e le calunnie antianarchiche teorizzate dei burocrati stalinisti come Togliatti si
trasformarono in violente epurazioni, in delazioni, in assassinii politici operati dagli sbirri della polizia
politica staliniana.
Camillo Levi
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