Rivista Anarchica Online
Cronache di un viaggio in Svizzera
di M. M. G.
Tappe: Couvet, La Chaux de Fonds. Motivo: spettacoli per ragazzi
organizzati dal Consolato italiano e destinati a figli di lavoratori italiani. Questo il programma
iniziale. Il consolato italiano a Neuchâtel ci aveva confermato due spettacoli da tenersi le sere
del 5 e 6 maggio
per le comunità italiane di Couvet e La Chaux de Fonds. I miei compagni ed io - cinque in tutto
-
eravamo contenti di poter raggiungere i lavoratori italiani e rappresentare per i loro figli il nostro
spettacolo "Giochiamo a fare il teatro" che, oltre ad essere uno spettacolo didattico sui diversi linguaggi
teatrali, ha un contenuto apertamente anti-autoritario. Le difficoltà sono iniziate già
al nostro arrivo al confine dove i doganieri e la polizia di Losanna, saputo
il motivo del nostro viaggio, non volevano farci entrare. Solo mettendoli di fronte alle conseguenze cui
sarebbero andati incontro con il Consolato si decisero a farci entrare, pregando però la polizia
di
Neuchâtel di controllarci per tutta la durata del soggiorno. Al Consolato ci hanno ricevuto
alcuni funzionari; da loro abbiamo saputo che i ragazzi - fino ai 14 anni -
non possono uscire di casa dopo le 19 se non accompagnati dai genitori. Abbiamo chiesto se per la sera
della rappresentazione i figli degli italiani avrebbero avuto un particolare permesso; niente permesso e,
con tutta probabilità, non ci sarebbero stati neanche i ragazzi. E allora per chi lo facevamo questo
spettacolo? "Per gli adulti", è stata la risposta. "Si divertiranno sicuramente", ha aggiunto
qualcuno. "Qua
sono come dei bambini", ha aggiunto un terzo. Eravamo molto imbarazzati e disorientati: non
perché non si potesse festeggiare la serata con gli adulti,
ma per il tono paternalistico che quelli del consolato avevano per gli italiani. Ci è venuta
spontanea la domanda sull'attività culturale che il consolato italiano svolge per gli italiani: gare
di bocce, serate danzanti, cene collettive, coro e canti di montagna, partite di calcio. Questo il
"programma culturale" che viene offerto alle comunità italiane in Svizzera. Il primo
spettacolo dobbiamo darlo a Couvet. Gli italiani a Couvet sono circa 700, tutti arroccati nella zona
bassa del villaggio, nettamente isolati.
Lavorano tutti per una grande industria metallurgica che costruisce macchine per maglieria. Si ritrovano
tutti al circolo, la sera: cantano e parlano sottovoce perché la polizia dopo le 22 esige un rigoroso
silenzio. Allora dell'appuntamento in sala c'erano circa 150 italiani: pochi giovani tra i 20 e i 25 anni
e tanti anziani. Comincia lo spettacolo: devo spiegare che era stato realizzato per i ragazzi ma che
per ragioni
indipendenti dalla nostra volontà dovevamo proporlo a loro. Lo spettacolo, che prevede
l'intervento dei ragazzi, non è cambiato molto, anzi. Mi ha spaventato un
particolare delle persone che ho chiamato sul palcoscenico: erano tutti in preda a una strana risata
isterica,
la risata di chi entra a far parte di un gioco che non accetta ma che non ha strumenti e coraggio per
rifiutare. Durante la cena che ha seguito lo spettacolo ho capito quali erano i motivi di questa
isteria. Mi diceva un commensale: "Siamo trattati come bestie. Il "buon giorno" per l'italiano, quando
entra
lavoro, è "sporca carogna". Abbiamo penalità assurde per un ritardo di un minuto. Ci
vengono tolti giorni
di ferie con assurdi pretesti. Il Consolato italiano ha le mani legate perché "deve mantenere i
rapporti
diplomatici". Non ci consentono di riunirci in fabbrica per discutere i nostri problemi di lavoro. La polizia
è la nostra ombra. I nostri figli non riescono a integrarsi, vengono allontanati dai giochi. Si vive
in un
clima assurdo, fascista, in questo paese che si dichiara democratico". "Le racconto un fatto di questi
giorni. Un giovane italiano è morto in un incidente stradale, investito da uno svizzero. Abbiamo
chiesto
il permesso di partecipare al rito funebre. Niente permesso. Alcuni di noi ci sono andati lo stesso. Hanno
avuto penalità e sottrazione di giorni di ferie". Ma se vivete nel totale malcontento
perché non vi ribellate, non fate qualcosa? "Qui manca la possibilità di un dialogo.
Se alzi la cresta ti rispediscono e c'è subito qualcuno che ti
rimpiazza. Sanno di avere il coltello dalla parte del manico perché alla fine abbassiamo sempre
la testa
e rinunciamo ai nostri diritti di uomini per quei maledetti franchi svizzeri. Restiamo solamente
perché
siamo pagati bene". Ma non vi sentite prostituiti? "Certo. Quando un italiano arriva in Svizzera
non sa che cosa lo aspetti. Lo Stato italiano non fa nulla
per informarlo sulle condizioni ambientali e sui rapporti con gli svizzeri. Anzi, ci illude; una volta che sei
entrato nel meccanismo non trovi più né il coraggio né la forza per uscirne. Ti
difendi solo arroccandoti
in quel piccolo spazio dove tutti gli italiani si ritirano: il circolo. Ti crei delle illusioni e sopravvivi". Il
governo svizzero come vede questo trattamento dei vostri datori di lavoro? "Il governo svizzero
tende a fare concessioni sempre più importanti alle forze "xenofobe", cioè ai
"mangia-stranieri"; l'accordo italo-elvetico sull'immigrazione, che fu siglato nel 1964, viene
sistematicamente eluso. I lavoratori presenti in Svizzera, oggi - circa 532.000 - hanno in gran parte la
qualifica di "stagionale" che li lascia in una situazione precaria. Nelle vertenze tra padrone e operaio la
"polizia degli stranieri" ha poteri di intervento illimitati e può prendere decisioni senza diritto
d'appello
per i lavoratori. Schwarzenbach e gli altri due che difendono in Svizzera la "purezza della razza" hanno
ottenuto molto. Nel 1970 il governo elvetico ha limitato le concessioni di permessi di soggiorno a 40.000,
nel 1971 a 20.000". Il compagno ci ricorda che al termine dell'anno scorso i governi svizzero e
italiano aprirono un negoziato
per la modifica dell'accordo sull'emigrazione, ma le trattative fallirono. Nell'accordo del 1964 vi sono
alcuni "punti neri" di cui è richiesta l'abrogazione: il controllo medico che è spesso
motivo di
provvedimenti arbitrari, gli ostacoli posti al ricongiungimento dei lavoratori italiani con le loro famiglie
in Svizzera, l'impossibilità per gli stranieri di ricorrere agli uffici di collocamento svizzeri. Ho
avuto l'impressione - dico - che lo Stato italiano non abbia interesse a sviluppare i vostri rapporti
né
coi datori di lavoro né con l'ambiente. "È vero: lo Stato italiano, tramite i suoi
consolati, conduce una politica doppiogiochista: ci circonda di
premure paterne, ci alimenta con avvenimenti di marca prettamente nazionalistica (es. sfilata bersaglieri);
ci informa con una stampa che viene "filtrata" in modo che i fatti non scaldino gli animi. Inoltre, nelle
vertenze, cerca sempre il compromesso, non vuole urtarsi con le autorità elvetiche. Fa di tutto
affinché
il lavoratore italiano si trovi nella più completa ottusità, in modo che non possa creare
incidenti o scontri.
Si capisce benissimo che ha tutto l'interesse a far sì che le rimesse di denaro straniero non
diminuiscano". La serata è terminata come avevo previsto: con alzate di calice e canti che
vanno da "Quel mazzolin di
fiori" a "Sul ponte di Bassano" ecc. e tanti brindisi all'Italia! Verso l'una siamo usciti quatti quatti,
a passi felpati. Come se fuggissimo da una seduta clandestina. La
polizia è onnipresente. L'indomani dovevamo recitare a La Chaux de Fonds. Eravamo
curiosi di vedere come era la situazione
là. Ma naturalmente non abbiamo trovato nulla di diverso: gli italiani isolati dagli altri, il loro
circolo,
unico luogo di ritrovo, imbandierato con il tricolore (tanto per cambiare), con in più il controllo
"gratuito"
dei documenti da parte della polizia. Siamo finalmente partiti da questo paese così evoluto,
democratico, civile; siamo tornati in Italia, dove,
guarda caso, le cose non sono poi tanto diverse.
M. M. G.
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