rivista anarchica
anno 48 n. 427
estate 2018





Il performatore

Cominciamo con lo sfatare antiche credenze. Quella, per esempio, che una buona ispirazione abbia bisogno di un lungo periodo di gestazione, per cui non servirebbe a nulla invocarla, e neppure tentare di sorprenderla nel buio di certe notti. Puah, dico io. Se manifesto il mio disprezzo onomatopeico per tale radicata scempiaggine da sognatori falliti, è perché conosco il valore del tempo e so che, con esercizio e disciplina, nessun obiettivo ci è precluso.
Credetemi, di queste cose me ne intendo. Di mestiere faccio il performatore. Ho una palestra. Mentre i tradizionali istruttori si applicano al corpo, io mi concentro sulla mente. Alleno i clienti a smaltire i tempi morti delle loro vite, proprio come i suddetti colleghi preparano programmi per lo smaltimento dei grassi superflui. Il mio compito è di agire sulle incrostazioni della vita quotidiana, su abitudini che non vengono mai messe in discussione e impediscono di ottimizzare le energie creative. La tecnologia ci offre già tutto il necessario per ridurre al minimo gli scarti, liberare la mente da occupazioni ingombranti e dispendiose, snellire il cervello e ringiovanirlo.
A che serve ormai dilungarsi oziosamente nelle chiacchiere per strada o sul lavoro, quando possiamo comunicare in modo rapido ed esteso attraverso messaggi brevi e autosufficienti? Sui documenti di riconoscimento, la voce ormai più importante è Numero di visualizzazioni annue, che ci identifica nella nostra vita social. E allora, torno a chiedere, perché perdere tempo nei bar a consumare parole che non valgono neppure un click di apprezzamento?
Nella mia palestra facciamo anche esercizi sui libri. In questo campo si possono conseguire risultati sorprendenti. Ormai possiamo immagazzinare centinaia di volumi con uno scanner mentale che permette di assorbire in pochi secondi un romanzo dell'Ottocento o una vecchia enciclopedia. Eppure, incredibile ma vero, c'è ancora gente che si ostina a leggere.
Il lavoro del perfomatore è dunque semplice e complicato al tempo stesso. Siamo chiamati a individuare le zone d'ombra del cervello del cliente, aiutarlo a reimpostare le sue procedure indiscusse, a vincere la pigrizia. Contano forza di volontà ed esercizio costante, e nessun campo sa aprire nuove strade quanto quello dei sentimenti. Quante energie perse in rapporti inutili che partono con lo scatto bruciante di un centometrista e finiscono nelle sabbie mobili della routine. Quanto spreco di promesse, effusioni e baci. Ecco, appunto, i baci. Viviamo nell'inflazione dei baci, dati spesso per puro calcolo o convenzione. Saluti di circostanza tra colleghi che si odiano, esili ancore di salvataggio per ex amanti che vogliono continuare a illudersi, baci di compleanno senza sentimento, baci di laurea invidiosi, oppure malevoli. La lista dei baci inutili è lunga. E perfino quelli veri si rivelano umidi e imperfetti. Quasi tutti si spengono nel loro ardore dopo poche settimane, e restano come cornice di un rapporto che gli psicoterapeuti chiamano “progetto”.
Come perfomatore qualificato io insisto su una terapia d'urto, assai più efficace. La chiamo “astinenza dai baci superflui”. Si tratta di individuare quelli che possono essere tranquillamente affidati ad appositi corrieri che li consegneranno a nome nostro. Persone bene addestrate, pronte a soddisfare qualunque esigenza: bacetti sulla fronte, affettuosi, materni, languidi, sensuali, profondi... ce n'è per tutti i gusti.
Ecco, questo è il senso del mio lavoro. Sono un uomo che anticipa le tendenze, un visionario che guarda lontano laddove tanti continuano a camminare a occhi chiusi, sospirando nel loro malessere. Sono un pioniere della nuova efficienza, uno che dopo qualche sessione di palestra vi restituirà sani e affidabili. In una parola: performanti. Datemi retta. Tutto attorno a noi evolve. Perché non prenderne atto?

Paolo Pasi