rivista anarchica
anno 47 n. 418
estate 2017


Cuba

La canzone all'opposizione

con scritti di Sergio Secondiano Sacchi e Steven Forti


Radio Contrabanda di Barcellona sta trasmettendo una lunga serie di puntate sulla musica a Cuba negli ultimi 70 anni. In gran parte musica filo-castrista. Ma c'è anche quella in vario modo non filo. Ce ne riferisce il responsabile artistico del Club Tenco. E di Radio Contrabanda ci parla Steven, nostro collaboratore e voce della radio.

Cuba, 1959 - Due dei leader della rivoluzione cubana, a sinistra Camilo Cienfuegos e
a destra il futuro dittatore Fidel Castro. Cienfuegos era noto per le sue tendenze
libertarie e morì in un sospetto incidente aereo il 28 ottobre 1959


È stato davvero intrigante costruire una serie massiccia di puntate intorno a un unico argomento di carattere storiografico, tracciandone una cronologia che copre un arco di sessantaquattro anni, dalla presa del potere di Batista alla morte di Fidel Castro. Innanzitutto perché si tratta di un'operazione abbastanza insolita: non è, infatti, molto usuale la ricostruzione di un periodo attraverso la canzone, una tipologia di documentazione tenuta in scarsa considerazione dagli studiosi. Eppure la canzone ha sempre svolto un ruolo parallelo a quello dei giornali, ha contribuito a formare le strutture morali delle società perché i parolieri popolari, anche se spesso ingenui nelle loro esposizioni, hanno il vantaggio di andare dritte al cuore dell'ascoltatore.
L'Avana forma storicamente, con New York e Rio de Janeiro, il triangolo musicale più importante del continente americano ed è logico che la rivoluzione cubana, con tutto ciò che ne è derivato, abbia stimolato una produzione particolarmente ricca di canzoni, al pari di quelle sorte durante la Rivoluzione francese, la Comune di Parigi, la Guerra civile americana e la Rivoluzione messicana. Ma, mentre nei primi due casi si trattava di brani che descrivevano un clima di fervore rivoluzionario più che gli avvenimenti, negli altri due la cronaca ha cominciato a ricoprire un ruolo primario, soprattutto in Messico grazie ai cantastorie e i loro corridos.
Il materiale a disposizione per raccontare il periodo castrista è, conseguentemente, di due tipi: da un lato le canzoni di cronaca, con riferimento a un fatto specifico, e dall'altro canzoni che raccontavano un'atmosfera, una tensione, un sentire comune nemmeno tanto imprecisato. La cronologia si costruisce, quindi, attraverso fatti espressamente narrati o avvenimenti cui è possibile abbinare una canzone.

Guillermo Portabales

Due periodi storici, due repertori

Va subito fatta una separazione tra due repertori: da una parte, quello della fase cospirativa e rivoluzionaria, che possiamo comprendere tra il 1952 e il 1961, e dall'altra quello connesso al regime. Il primo, anche se a volte caotico ed espresso un po' rozzamente e dove non manca anche un certo conformismo stilistico, è comunque sospinto dall'entusiasmo e dalla partecipazione emotiva e viene soprattutto alimentato da un desiderio di cambiamento e di rinnovamento morale, da una decisa volontà di voltare pagina rispetto alla società di Batista. Dall'altra, quello connesso al regime, è sorretto invece da un'adesione ideologica e, quindi, è costruito in maniera più razionale e organizzata. In ambedue i casi la discografia a disposizione è molto cospicua.
A fare da denominatore comune tra le due fasi ci sono le canzoni di Carlos Puebla che rappresentano la colonna sonora di tutte le grandi manifestazioni popolari: già critico cantore durante il periodo batistiano, autore di canzoni che reclamavano una dignità etica che sembrava del tutto assente nella società cubana, è poi diventato l'interprete canoro di tutte le speranze e le promesse legate alla presa di potere dei barbudos, per aderire infine alla svolta socialista impressa da Fidel Castro.
Lo ritroviamo quindi a celebrare sia la riforma agraria, antico miraggio dei contadini e promessa decisa dei rivoluzionari già al tempo della guerriglia, che della campagna di alfabetizzazione. Poi è fautore della lotta contro l'imperialismo statunitense, posizione largamente condivisa da decenni presso larghi strati della popolazione e, infine, sostenitore della fase comunista voluta da Fidel. Diventerà famoso in tutto il mondo grazie ad Hasta siempre, scritta nel 1965 per il congedo definitivo di Che Guevara dall'isola. Con il suo talento, sia narrativo che musicale, e la sua ironia, Puebla ha costruito una serie di canzoni didattiche che uniscono la pubblicistica alla creazione poetica, smentendo le teorie che vorrebbero la seconda sempre in ritardo rispetto alla prima.

Mariel - 1980

A queste canzoni si aggiungono poi quelle che arrivano da altri paesi. In buona parte si tratta di brani di solidarietà internazionale con la rivoluzione. Nell'America Latina per la posizione fortemente anti-yankee, in Europa per l'entrata di Fidel nell'orbita comunista. Ma ci sono anche canzoni di esponenti radicali statunitensi, come Phil Ochs e Bob Dylan, che raccontano le tensioni della crisi dei missili o dell'isteria anti-castrista che aveva aggredito una parte della società statunitense dopo lo sbarco fallito a Baia dei Porci.
Non è necessariamente un'operazione apologetica quella di raccogliere canzoni che raccontano, in toni spesso entusiastici, l'avvento di Fidel sulla scena cubana, è semplicemente una fotografia realistica del periodo, la misura dell'immensa popolarità goduta dalle forze rivoluzionarie che prendono il potere. Il periodo di massimo consenso è sicuramente quello dei primi due anni, quando sembrava che tutte le vecchie incrostazioni della società cubana venissero spazzate via insieme all'analfabetismo e ai vecchi monopolisti statunitensi.

Grupo experimentaciòn sonora ICAIC

Chi resta...

In questo periodo iniziano a sparire dalla scena molti cantanti che sono così destinati all'oblio. Operazioni come Buena Vista Social Club di Wim Wenders e Ry Cooder ci fanno credere che questa sia un'emarginazione del regime, ma non è affatto così (a parte il fatto che personaggi come Omara Portuondo hanno continuato a cantare con successo). Castro sale al potere nel 1959, un periodo in cui, il mondo sta completamente cambiando dal punto di vista musicale e culturale. L'avvento del rock and roll e di altre forme musicali che segnano un nuovo gusto, come la bossa nova, mettono in disparte il canto popolare e tanta musica tradizionale. Tutto si snellisce: le big band scompaiono e Nat King Cole raccoglie successi con un trio.
Compay Segundo, del resto, aveva già abbandonato la musica qualche anno prima e il suo posto nel duo Los Compadres era stato preso da Reinaldo Hierrezuelo. Dopo la chiusura dei casinò della mafia statunitense, anche i leader delle grandi orchestre, che qui lavoravano, se ne vanno altrove, tranne Benny Moré, ormai segnato dalla cirrosi epatica, e la sua decisione di permanenza nell'isola lo trasforma in un'icona popolare. Ma ormai, anche per tutti loro, l'età aurea è scaduta. Bebo Valdés finisce per fare il pianista in alberghi svedesi, Xavier Cugat si ritira nella natia Catalogna e si occupa di gestione di Casinò, ambienti che conosce benissimo. Arsenio Rodríguez, che vive già negli Stati Uniti da tanti anni, è relegato nell'ombra e nell'ombra muore, Pérez Prado sopravvive con qualche apparizione discografica in Giappone. Più che un regime, è cambiato il gusto. E non è certo Wim Wenders a riscoprire generi accantonati come il bolero e il filin (spagnolizzazione di feeling), in patria l'aveva già fatto, da almeno quindici anni, Pablo Milanés. Al quale si deve anche la riscoperta di vecchie glorie come Compay Segundo che, prima di incontrare Ry Cooder, era già stato alla Carnegie Hall di New York con il Cuarteto Patria di Eliades Ochoa.
Del resto, quello castrista è l'unico dei regimi socialisti a non avere mai avuto un'arte ufficiale. Non ha conosciuto le cappe del periodo staliniano e i suoi leader sono molto giovani e culturalmente lontani dalle umbratili atmosfere zdanoviane. “Si può dire quel che si vuole, purché non sia contro la rivoluzione”. Questa massima di Fidel, di apparente libertà espressiva, trova però anche dei riscontri nella politica culturale, primo tra tutti, quello della creazione dell'ICAIC, Instituto Cubano del Arte e Industria Cinematográficos, fondato nello stesso 1959, al cui interno si forma il Grupo de Experimentación Sonora dove giovani musicisti capitanati da Leo Brouwer formano un gruppo di ricerca musicale che fonde musica tradizionale, rock, sperimentazione, jazz. Si tratta di un'operazione decisamente d'avanguardia, in quegli anni abbastanza insolita non solo in un paese socialista, e qui si segnalano musicisti come Sergio Vitier, Eduardo Ramos ed Emiliano Salvador e anche i due maggiori cantautori-poeti del paese (e dell'intera America): Silvio Rodríguez e Pablo Milanés. Questi sì sono artisti cresciuti con la rivoluzione di cui diventano ambasciatori canori.

Sìlvio Rodrìguez
... e chi parte

Se l'attività musicale e culturale è di grande apertura, lo stesso non si può dire per la situazione politica. E già nel 1960 cominciano a prendere le distanze da Fidel anche cantanti come Celia Cruz che, in un primo tempo aveva appoggiato la rivoluzione sostenendo apertamente la riforma agraria. Altre dive, come Olga Guillot o La Lupe, preferiscono la sicurezza economica che possono offrire loro paesi come il Messico o gli Stati Uniti. Il maggiore musicista del paese, quell'Ernesto Lecuona considerato il Gershwin dei Caraibi, con la caduta di Batista non mette più piede nell'isola. Resta all'estero il padre della musica campesina, Guillermo Portabales, che si era ritirato a Puerto Rico per dissidio con Batista e che lì resta diffidando anche di Fidel Castro.
Il repertorio che canta la rivoluzione cubana inizia a farsi meno intenso dopo la morte del Che ed è proprio in questo periodo che comincia a prendere fiato anche una canzone d'opposizione. Non sono pochi i musicisti che, appena possono, riparano all'estero. Alcuni, come il leader degli Afrocuba Oriente López, sono anche famosi, ma da loro non arrivano mai canzoni anti-castriste. Che invece crescono soprattutto a Miami, patria discografica di tutta la musica centro-americana. In tutti gli anni Sessanta e Settanta l'odio per Fidel non aveva partorito cantanti o canzoni significative, al massimo si riesumava la nostalgia insita in una canzone come Cuando salí de Cuba, trasformata abbastanza impropriamente in un canto politico. Ma è con l'esodo dei marielitos del 1980, la crisi dei balseros, che cominciano a circolare vere e proprie canzoni “politiche” di un certo spessore. Sicuramente la prima freccia arriva da uno dei re della salsa, il panamense Roberto Blades, fratello di Rubén con Se va a caer, Sta cadendo, che profetizza un po' troppo ottimisticamente il crollo del regime. Mentre anche in patria in certe canzoni vengono colte alcune allusioni anti-regime, come Guillermo Tell di Carlos Varela che viene in certo modo emarginata, si scatena la guerra propagandista che vede contrapposti da un lato il cubano di Miami Willy Chirino e il dominicano El Canario, e dall'altro il pasdaran castrista Candido Fabre. Una lotta poeticamente inconsistente, fatta di slogan lanciati come stelle filanti che spesso umilia le doti musicali, soprattutto dei primi due. Ma, come spesso succede, la carenza di grandi tensioni provoca anche un rilassamento artistico.
La questione cubana, smettendo di essere un affare internazionale particolarmente sentito, ha finito per trasformare la canzone in manierismo e slogan, ben lontana da tutte quelle tensioni che l'avevano caratterizzata. La volontà di trasformare in pamphlet le varie emozione, magari anche ingenue, ha finito per svuotare tutto il serbatoio ispirativo di tanti artisti e autori di musica popolare.
Con l'allentamento delle tensioni internazionali e nonostante il perdurante embargo, che serve soprattutto come arma di reciproca propaganda, su entrambi i fronti viene progressivamente a esaurirsi quella spinta emozionale, e anche ideologica, in grado di tradursi in ispirazione artistica. Quando nella canzone lo slancio emotivo viene sostituito dal pamphlet, viene a mancare la radice sociale in grado di trasformarsi in efficace esperienza comunicativa, perché ogni creazione poetica e musicale, anche la più ingenua, nasce da rapporti complessi e non come automatica espressione di riunioni o delibere.
E così ci si lancia addosso, dalle trincee opposte, soltanto parole d'ordine di maniera che non fanno avanzare di un solo millimetro né la creazione artistica né la lotta politica.

Sergio Secondiano Sacchi


Cuba a Radio Contrabanda
14 puntate, 28 ore, oltre 300 canzoni

Di Radio Contrabanda abbiamo già parlato sulle pagine di questa rivista. Era un paio d'anni fa in occasione del primo quarto di secolo di questa storica emittente libera affacciata sulla plaça Reial di Barcellona. La vita di Contrabanda FM continua con una mala salud de hierro, per dirla con un'espressione spagnola. Insomma, esiste e soprattutto resiste. E continua anche l'ormai lunga vita di Zibaldone, programma in lingua italiana che quest'autunno compirà ben vent'anni. In uno Zibaldone, in onore al suo nome, ci si può mettere dentro di tutto: dunque, non solo tematiche inerenti all'Italia, ma anche dell'altro.
E infatti durante tutto questo 2017 ci sarà anche uno speciale scritto da Sergio Secondiano Sacchi, responsabile artistico del Club Tenco e fondatore dell'associazione Cose di Amilcare, dedicato alla storia della rivoluzione cubana. Non si tratterà però di una storia ortodossa, ma di una storia molto eterodossa in tutto e per tutto, a partire dalla stessa metodologia su cui si sono costruite le puntate visto che la storia dell'isola caraibica al centro di questo speciale è raccontata attraverso la musica e le canzoni. Il titolo? Ironicamente abbiamo scelto Fidel alla linea. Direi che non c'è bisogno di spiegazioni. Si tratta di 14 puntate, 28 ore di musica e racconti e oltre 300 canzoni. Un lavoro realmente colossale di ricerca che parte dagli anni cinquanta del Novecento con la dittatura di Fulgencio Batista e si conclude con la morte di Fidel Castro lo scorso mese di novembre. Nel mezzo c'è un'epoca, segnata dalla vittoria rivoluzionaria dei barbudos nel gennaio del 1959, che con le sue luci e le sue ombre ha cambiato per sempre Cuba, il continente latinoamericano e, in parte, anche tutto il mondo. Questi i titoli, le tematiche e i periodi storici al centro delle singole puntate: la Cuba di Batista (10 marzo 1952 – 26 dicembre 1955), la guerriglia (9 luglio 1955 – 1 gennaio 1959), la presa del potere (1 – 11 gennaio 1959), la rivoluzione (16 gennaio 1959 – 24 luglio 1959), avanti con la rivoluzione (25 luglio 1959 – 4 marzo 1960), chi parte e chi resta (gli artisti pro e contro Castro), nazionalizzazioni e tensioni con gli USA (5 marzo 1960 – 4 aprile 1961), gli USA versus la Cuba socialista (13 aprile 1961 – 28 ottobre 1962), l'embargo continua (30 ottobre 1962 – 11 gennaio 1964), il Che (31 marzo 1964 – 8 ottobre 1967), Cuba internazionalista (18 ottobre 1967 – 19 luglio 1977), la crisi dei regimi socialisti (29 settembre 1977 – 7 dicembre 1989), dal periodo especial alla morte di Castro (9 settembre 1994 - 25 novembre 2016).
Fidel alla linea, come tutte le puntate di Zibaldone, si può ascoltare in diretta il venerdì dalle 18 alle 20 sulle frequenze di Radio Contrabanda sui 91.4 FM a Barcellona (in streaming: www.contrabanda.org) e, una volta andato in onda, si può scaricare in podcast dalla web zibaldone.contrabanda.org.

Steven Forti