   
                 
                 
                  Carta stampata che fa rumore 
                È roba che si è accumulata sopra la mia scrivania 
                  in questi ultimi tempi, cose un po' arrivate per posta altre 
                  recuperate nei miei giri, non sono tutte produzioni recentissime 
                  ma non importa – mica vanno a male. Invece che realizzazioni 
                  e progetti che hanno direttamente a che fare con la musica, 
                  tipo dei cd o dischi o concerti come faccio di solito, questo 
                  mese (e il prossimo) vi segnalo alcune cose stampate che con 
                  la musica secondo me hanno comunque delle relazioni, spesso 
                  dirette. 
                  Mi sono accorto che tutte si leggono e si guardano più 
                  volentieri mettendoci una qualche musica di sottofondo o circondandole 
                  di tappezzeria sonica. Funziona per me, dicevo, ma mi piace 
                  pensare che forse, magari, la stessa cosa rientrava un po' nelle 
                  intenzioni degli autori o almeno gli gironzolava nelle retrovie. 
                  E non è una suggestione e basta: tutte queste letture 
                  mettono in movimento gli ingranaggi del ricordo e quelli dell'immaginazione, 
                  e mi ha colpito proprio questo invito - non sempre esplicito 
                  ma in qualche modo tenue e “naturale”, affatto artificioso 
                  - a cercare un ambiente, un colore, una luce, un posto tra musiche 
                  e canzoni familiari oppure tra colonne sonore immaginarie e 
                  possibili. 
                  Sembra che alcune di queste pagine suonino davvero, altre accendono 
                  in testa dei rumori, dei suoni d'ambiente specifici. A 
                  me è piaciuto giocare con l'immaginazione e mettermi 
                  lì a rovistare tra gli scaffali della memoria e della 
                  mia raccolta di musiche. Non ho badato troppo al fatto che le 
                  musiche “giuste” fossero produzioni indipendenti 
                  – nessun invito all'acquisto, ci mancherebbe, è 
                  tutta roba a portata di mano e di click. 
                 
                Cinquanta sfumature diverse 
                Comincio con un'uscita recente: è un libro misto di 
                  già conosciuto e roba nuova, un autore collaudato come 
                  può esserlo Marco Sommariva coinvolto in un esperimento 
                  editoriale in tandem con Bartolomeo Casertano, che non conoscevo 
                  prima ma che si rivela un abile disegnatore, illustratore e 
                  pittore. Il progetto è curato e stampato da Carmelo Neri 
                  di More Nocturne Books, un editore nuovo nuovo - questo è 
                  il suo primo libro, spero con tutto il cuore che ne faccia molti 
                  altri. Non faccio mistero del fatto che mi piace molto come 
                  scrive il genovese, e ve l'ho pure scritto più volte 
                  su queste pagine segnalando volentieri alcuni dei suoi lavori. 
                  Lui questo “Cinquanta sfumature diverse” dice l'avrebbe 
                  voluto intitolare “Sputami addosso una stella” ma, 
                  mi pare di vederlo con quel suo ghigno sarcastico in faccia, 
                  “avrebbe venduto molto meno”. 
                  Marco Sommariva qui dentro offre racconti brevi, alcuni durano 
                  poche frasi, altri solo poche righe: eppure, trovate qui dentro 
                  alcune tra le pagine più suggestive che abbia scritto. 
                  Sembra che dal libro escano all'improvviso delle braccia che 
                  ti afferrano e che ti trascinano proprio dentro alle storie, 
                  ci si ritrova a galleggiarci dentro senza niente sopra cui appoggiare 
                  i piedi, come dopo un tuffo a sorpresa nell'acqua mossa e senza 
                  un salvagente, lontani dalla riva. Ogni pagina del libro ti 
                  attacca da due fronti diversi -le parole, i disegni-, il rumore 
                  arriva dopo, quasi subito, sempre a sorprenderti da sopra, da 
                  dietro, da dentro. A volte certe righe appena lette si accendono 
                  dentro in testa come fuochi improvvisi, e provi a smettere di 
                  pensare e metti giù il libro e cerchi di fare dell'altro 
                  ma non ci riesci: resti lì a bocca aperta e coi piedi 
                  inchiodati a guardare il pavimento intorno che brucia, quasi 
                  un fuoco d'erba basso e insidioso e cattivo, tanta confusione 
                  dentro, l'equilibrio andato a farsi fottere, gli appigli anche. 
                  Oltre a Marco che scrive nel libro come vi dicevo c'è 
                  anche Bartolomeo che dipinge: mi piacerebbe vedere sul serio 
                  questi suoi disegni, le dimensioni ridotte delle pagine del 
                  libro mi seminano dentro curiosità a manciate piene e 
                  me li immagino grandi grandi, che prendono ciascuno tutta una 
                  parete. Mi piacerebbe toccarli, tutto questo rosso che urla 
                  questo bianco morbido questo oro che ti scava negli occhi questi 
                  neri ipnotici e profondissimi, accarezzarli, anche se so che 
                  non si può – mica facile che ti lascino toccare 
                  i quadri, però sarebbe bello. Stavo pensando prima che 
                  mi piacerebbe ritrovare questo, no questo, no aspetta meglio 
                  quest'altro disegno sulla copertina di un disco – ad aggiungere 
                  emozione, a risvegliare sogni, ad aprire porte. 
                  Musiche adatte secondo me: non un singolo pezzo ma almeno due 
                  riuniti in un collage oppure una sovrapposizione oppure riducendoli 
                  in schegge e rimescolandoli, fate come va a voi. Ecco come: 
                  cercate su internet (non è difficile), c'è qualcuno 
                  che la sera del 6 maggio 1976 stava in una stazione radio da 
                  qualche parte in Friuli, aveva messo sul giradischi i Pink Floyd 
                  e c'era qualcun altro che se li stava ascoltando tranquillo. 
                  A un certo punto arriva il terremoto. Prendete adesso quella 
                  puntina che barcolla cercando di mantenersi nel solco, prendete 
                  quello spaesamento, quella sorpresa oscura senza misure né 
                  confini intorno, e sovrapponetelo o mescolatelo come sapete 
                  come potete come volete a quel David Gilmour che suona e canta 
                  da solo senza gli altri “Shine on you crazy diamond” 
                  al Meltdown Festival del 2001 (anche questo non è difficile, 
                  ci mettete un attimo a trovarlo su YouTube), poi costruiteci 
                  un loop eterno con quelle quattro note si bemolle fa do mi che 
                  hanno smaterializzato i soffitti delle nostre stanzette di ragazzi 
                  per mostrarci in sol minore la via verso le stelle. Quattro 
                  note che hanno polverizzato i muri, azzerato distanze, superato 
                  frontiere e cancellato confini. Aiuta immaginare: una sera tardi, 
                  poca luce, montagne intorno, il bosco che si muove come se sotto 
                  ci respirasse qualcuno, piano. 
                  Da leggere e da guardare fuori di casa, lontano da tutto e da 
                  tutti. Meglio ancora se fa freddo, se nevica – aprite 
                  la finestra, sentite quell'aria che accarezza ruvida i capelli 
                  vicino alla radice e scivola sul viso, sugli occhi chiusi, sulle 
                  mani, le dita aperte, si bemolle fa do mi. 
                   
                  Info e contatti: More Nocturne Books, piazza Dante Alighieri 
                  11, 64026, Roseto degli Abruzzi (Te). In rete: www.morenocturne.com, 
                  ancora in costruzione al momento in cui scrivo – tenetelo 
                  buono comunque. Quando si dice il caso: More Nocturne Books 
                  fa riferimento alla libreria Ubik che stava in centro all'Aquila, 
                  in trasferta per forza a Roseto dopo il terremoto. 
                
                   
                     | 
                   
                   
                    |   Roseto degli Abruzzi (Te) - La nuova sede della libreria Ubik dopo il trasferimento  dall'Aquila in seguito al terremoto  | 
                   
                  
                Perugia nascosta 
                Ricorderete senz'altro quella terza pagina di copertina solo 
                  qualche numero fa (“A” 
                  410, ottobre 2016 per la precisione), si raccontava dell'Edicola 
                  518 di Perugia, “il polo culturale più piccolo 
                  del mondo” aperto dall'associazione Emergenze. Quattro 
                  metri quadri di spazio infinito – sono parole di Antonio 
                  Brizioli, che di Emergenze è uno degli ingranaggi – 
                  Antonio che ho potuto incontrare di persona all'ultimo Libersalone 
                  di Milano, così da arrostire d'invidia per l'energia 
                  dei suoi vent'anni e la luce e la consistenza dei progetti del 
                  gruppo di cui è parte. 
                  Andando sul concreto, vi invito senz'altro a procurarvi e leggere 
                  “Perugia nascosta”, una curiosa guida psicogeografica 
                  alla città che Emergenze ha fatto uscire l'estate scorsa. 
                  Le storie qui dentro sono così vere da sembrare inventate: 
                  ci si sofferma volentieri su incomprensioni, su tempi sbagliati, 
                  su quegli scarti di sintonia fatti di quei troppo presto oppure 
                  troppo tardi che impediscono di avvicinare capire leggere imparare 
                  sapere sperimentare. 
                  Uno come me, che si è ritrovato a passare e ripassare 
                  da quelle parti più volte come turista controvoglia, 
                  si ritrova per le mani dei racconti singolari che rimandano 
                  ad una città sconosciuta: mi viene da pensare che ho 
                  consumato tempo e suole camminando per strade che nascondevano 
                  significati e storie, se non addirittura un sottomondo di cui 
                  ero e sono inconsapevole – la prossima volta che ci vado 
                  voglio ficcarmi il libro in tasca e rosicchiarlo ad ogni angolo, 
                  accanto ad ogni porta, seduto su ogni scalino. 
                  In copertina c'è scritto “numero uno”: mi 
                  auguro e auguro a tutti che seguano altre pubblicazioni simili 
                  tutte volte a sussurrare segreti mettendoli in forma libera 
                  di poesia, a svelare quell'invisibile che i frettolosi e gli 
                  avidi non vedranno comunque. Mi sono ritrovato spesso a leggere 
                  questo libro in frammenti, un poco adesso e un altro poco dopo, 
                  perché mi sono accorto che è bello tenerlo a lungo 
                  tra le mani, è fatto di una carta piacevole al tatto 
                  – e guardate anche voi: ha la forma geometrica di due 
                  quadrati vicini che, una volta aperto, formano un quadrato più 
                  grande. 
                   
                  Per accompagnare questa lettura e prolungarne il piacere e lo 
                  straniamento vi propongo ciò che ho ascoltato più 
                  spesso in questi ultimi tempi, la composizione monumentale di 
                  Max Richter “Sleep” (ed. Deutsche Grammophon, 2015 
                  - www.deutschegrammophon.com), un miracolo di suggestione che 
                  dura otto ore e rotti dentro cui trovo sia meraviglioso perdersi, 
                  ritrovarsi e riperdersi – io l'ho fatto spesso. Penso 
                  sia musica da non adoperare, nel senso che non c'è un 
                  preciso inizio, o dei contorni: è musica che la “accendi” 
                  e lasci che accada. Lei ha i suoi tempi, il suo respiro. Tende 
                  ad espandersi, a riempire le fessure, a volte sembra scomparire, 
                  pare proprio di vederla questa musica che si smaterializza, 
                  che lascia il posto a uno spettro di sé per poi ritornare 
                  come acqua agitata e prepotente ad allagare la stanza. Ne circolano, 
                  pubblicate dal medesimo editore, una versione ridotta lunga 
                  solo un'ora circa “From Sleep”, ed un'altra “Sleep 
                  remixes” dove alcune parti sono state sottoposte a trattamenti. 
                  Vanno bene tutte. 
                  Ho letto che alla prima di “Sleep” nel marzo scorso 
                  al BerlinAtonal c'erano a disposizione 450 posti, a teatro invece 
                  che sedersi sulle poltrone la gente poteva stendersi su delle 
                  brandine e, volendo, dormire. D'altra parte, nelle interviste 
                  Richter ha spesso descritto la sua composizione come “una 
                  ninnananna personale”. Ma l'ha chiamata anche “un 
                  rifugio di otto ore dove ripararsi in un mondo frenetico” 
                  e soprattutto una “dichiarazione politica assolutamente 
                  esplicita” sul nostro modo di rapportarci col suono che 
                  ci circonda. Confesso che “Sleep” non mi ha fatto 
                  dormire né mi ha invogliato a farlo. Ha anzi spinto l'acceleratore 
                  della mia curiosità sul suo modo di accadere, di svolgersi, 
                  di occupare il tempo: è stato come ritrovarsi un albero 
                  piantato e cresciuto a sorpresa nel bel mezzo della testa, dove 
                  poco prima c'era solo una distesa d'erba. Ogni nota, ogni battuta, 
                  ogni pagina dello spartito una doppia valenza: foglia nuova 
                  che spunta e si allunga verso il sole, e radice che scava a 
                  trovare nutrimento ed acqua – il lavoro di entrambi a 
                  trasformarsi in vita, movimento, divenire. 
                   
                  Contatti: associazione culturale Emergenze, via Alessi 1, 
                  06122, Perugia. www.emergenzeweb.it; 
                  Max Richter è raggiungibile su www.maxrichtermusic.com. 
                  Anche qui, quando si dice il caso: aveva fatto scalpore la ricostruzione 
                  operata da Richter sulle “Quattro stagioni” di Antonio 
                  Vivaldi. Cercatene l'esecuzione su YouTube, poi ditemi se dentro 
                  la “Spring 1” non trovate tracce di Gigi Masin. 
                
                   
                     | 
                   
                   
                    |   Perugia - La rivista Emergenze, l'Edicola 518 e le sue numerose attività costituiscono  un bel punto di riferimento nella vita culturale e politica del capoluogo umbro  | 
                   
                  
                Il silenzio dei tuoi passi 
                “...Parecchi anni fa passeggiavo in piazza San Marco 
                  con degli amici che vedevano per la prima volta la città. 
                  Ad un certo punto chiesi ad una ragazza cosa ne pensava di Venezia 
                  e lei rispose che era la città più brutta che 
                  avesse mai visto. (...) Venezia non si concede facilmente. Bisogna 
                  andarla a cercare e, almeno un po', meritarsela. Oltre al tragitto 
                  stazione ferroviaria / San Marco. Oltre a un inutile selfie 
                  a Rialto. Oltre l'ammasso di gente che si accalca per il solo 
                  motivo di poter dire di esserci. Venezia, quella che sogno e 
                  desidero, la si può scoprire solo imparando a guardare 
                  oltre. Così, l'ho fatta mia di notte. In quei momenti 
                  in cui si può provare a respirarla. Ho fatto mia una 
                  città che mia non è...”. 
                  È Stefano Gentile che racconta, poche righe in coda al 
                  libro “Il silenzio dei tuoi passi” (ed. 13 / Silentes, 
                  2016) che di parole, tra questa quasi-ultima e la copertina 
                  dov'è stampato il titolo, non ne raccoglie nessuna. Sono 
                  fotografie, sono state scattate da lui, tutte di una Venezia 
                  quasi privata, una Venezia senza sole ma non per questo senza 
                  luce. È un'oscurità strana quella di queste pagine, 
                  un non buio che suggerisce, che rivela sottovoce e sottobanco 
                  piccoli particolari e profili, tutta roba che rimane invisibile 
                  al consumo ed alla sua superficialità veloce. Come una 
                  filigrana di spirito che resta, semitrasparente quando tutti 
                  affondano i denti, strappano brandelli con il gesto cattivo 
                  malgiustificato dall'ignoranza e dal portafoglio appena riempito 
                  al bancomat, pescecani che si allontanano appena ficcata una 
                  qualsiasi cosa in pancia. 
                
                 Anche questo libro fa rumore: nascosto tra l'ultima pagina 
                  e il cartoncino della terza di copertina c'è un cd con 
                  un'opera di Gigi Masin che di quella filigrana di spirito cui 
                  accennavo due righe fa offre il suono. Lui non è nuovo 
                  a dipingere il canto di Venezia: l'aveva fatto esplicitamente 
                  nelle sue “Otto prospettive veneziane” (SubRosa, 
                  1989) delle quali si ritrova un condensato nel doppio album 
                  “Fragile, maneggiare con cura” (autoprodotto da 
                  cinquanta musicisti veneziani contro l'Expo, 1990), ed in maniera 
                  più sottile nelle collaborazioni più recenti con 
                  Mirco Salvadori (vedi 
                  ad esempio “A” 409). In questo cd ritroviamo 
                  mezz'ora di cammino senza fretta in una Venezia svuotata di 
                  turismo e finalmente restituita. Sembra che la città 
                  ti accarezzi e ti abbracci, ti danzi attorno sfiorandoti appena, 
                  ti passi leggera le dita tra i capelli – una sensazione 
                  così straniante che il cd lo lasci lì a girare 
                  in tondo ancora e ancora senza stancare mai, senza stancarti 
                  mai di questa musica che si confonde con l'aria che respiri 
                  e porta nutrimento al tuo sognare. 
                  Ancora, ma non so se è davvero un caso: sul sito di Emergenze, 
                  i perugini raccontano di quella Venezia di notte che i frettolosi 
                  e gli avidi non vedranno mai (http://www.emergenzeweb.it/2016/02/midnight-in-venice). 
                   
                  Contatti: www.silentes.it, 
                  www.gigimasin.com. 
                 Marco Pandin 
                  stella_nera@tin.it 
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