   
                 
                 
                  Due proposte e un addio  
				Hazkarà 
                “...Io sono un partigiano  
                  e uso la memoria,  
                  così come mio padre  
                  usava la mitraglia.” 
Molti di voi lo conoscono già da tempo come una delle firme sulle pagine di Rockerilla, questa è la sua prima raccolta di scritti di una certa consistenza. Mirco Salvadori racchiude in “Hazkarà” (libro e cd, ed. 13/Silentes, 2016 – distr. Audioglobe) numerosi pensieri, appunti e riflessioni in versi liberi, spingendosi anche a raccontare qualche storia breve. Di uno dei brani lo scorso marzo era stata data una lettura-con-sottofondo-musicale dai microfoni di radio Sherwood, durante un interessante esperimento di trasmissione dal vivo con pubblico in sala. Alcuni di questi scritti erano già presenti in “The infant t(h)ree”, un cd a tiratura limitata che risale al 2010 (download libero e gratuito su www.laverna.net), che con questo progetto recente ha più di qualche caratteristica comune. Penso costituiscano uno la mutazione dell'altro - o un proseguimento forse, uno spostamento nella rotta di navigazione. 
Dello stile espressivo di Mirco colpisce senz'altro l'uso degli aggettivi e degli avverbi, che lui annoda volentieri alle parole per metterne in risalto le colorazioni e le sfumature. Frasi lunghe e angolari di intimità intermittente le sue, di attenzione all'altro resa scostante dall'agitazione dei pensieri e dall'affrettarsi dei battiti del cuore. Sembrano trascrizioni di un discorso fatto a quattr'occhi, come un “devo parlarti” detto a voce bassa, flusso di suoni suadenti e frenetico di carezze, di sguardi, desideri, respiri, timori. Parole accatastate, raggrumate, raccolte con le mani, o meglio con la punta delle dita così come si raccolgono i sassi o le conchiglie sulla riva del mare d'inverno. Parole costrette in forma di riga sul foglio, mentre alla bidimensionalità preferirebbero il volo, l'aria, il cielo come le rondini. Parole che sanno raccontare anche occasioni semplici, banali se vogliamo come un dialogo polveroso di noia, un pomeriggio passato in casa in compagnia di un disco che gira mentre fuori piove piano, o momenti privati come il contrasto emotivo soffocante tra i rumori attutiti di una stanza d'ospedale e l'assalto affannoso dei pensieri, l'assalto dei vari “mi ricordo” come ondate che si abbattono gridando sui murazzi appena prima della burrasca. 
Parole che si ramificano e si fanno immagine (nel libretto sono offerte parecchie belle fotografie di Monica Testa e di Stefano Gentile, che di 13/Silentes è la mente ed il braccio) e che si trasformano in suono con il meraviglioso contributo di Gigi Masin, uno che è rimasto a lungo troppo al di sotto dell'orizzonte, per il quale non nascondo una grande ed affettuosa ammirazione. Qualche parola ancora per sottolineare quanto sia riuscito l'intreccio fra la parte scritta, la parte grafica e la parte sonora: un lavoro davvero suggestivo ed emozionante, che offre uno sguardo su una Venezia grigioscuro non vista e non disponibile a farsi azzannare dai turisti, città murata d'acqua e abitata da spettri indecisi se rivelarsi oppure rimanere di là. O andarsene via, fuggire. Proprio come quell'apparizione bizzarra sulla copertina. Un brivido sospeso nel mezzo di una corsa in una Rialto che il buio e l'occhio del fotografo trasformano in calle stretta. Proprio come questa musica che ti afferra, ti fa alzare in volo sopra ai tetti delle case e non ti riporta più indietro. Da leggere, da rileggere, da guardare, da toccare, da ascoltare, da riascoltare, “Hazkarà” sembra complessivamente un dono: un lavoro sognato, pensato, organizzato e realizzato unicamente sotto la spinta propulsiva dell'amore. 
Contatti: per 13/Silentes cliccate su 13.silentes.it oppure su store.silentes.it, Mirco Salvadori e Gigi Masin li trovate senz'altro su social network. 
                  Minafric 
                Cd arrivato a sorpresa (mi sento sempre un po' così 
                  quando mi accorgo di essere finito nell'indirizzario di qualcuno...). 
                  Me lo manda Livio Minafra, figlio di quel Pino Minafra trombettista 
                  che ha suonato con mezzo mondo e che spero anche voi abbiate 
                  come me amato nell'Italian Instabile Orchestra (un supergruppissimo 
                  con dentro il meglio del meglio) e successivamente col Sud Ensemble. 
                  Questo si chiama “Minafric”, ed appare come un brillante 
                  proseguimento delle scorribande precedenti. 
                  Il progetto usa come espediente l'etimologia del cognome del 
                  nostro, un po' di più che una strizzata d'occhio (“Un 
                  vecchio dubbio, un vecchio sospetto durato una vita. Una vecchia 
                  sensazione sempre più insistente” – spiega 
                  Livio nelle note d'accompagnamento – “E poi mio 
                  nonno e mio bisnonno erano di carnagione scura...”), così 
                  che la big band rivolge lo sguardo dalla Puglia verso la grande 
                  madre Africa. Una specie di ponte immaginario sopra il Mediterraneo: 
                  un arcobaleno su cui non si cammina ma si può solo volare. 
                  La prima parola che mi viene in mente per raccontare questa 
                  musica è: energia. La seconda: entusiasmo. Seguono poi: 
                  gioia, colori, festa, sole, radici, vitalità. Gli arrangiamenti 
                  sono a dir poco vorticosi, complicati il giusto per sorprendere 
                  ed assai godibili. L'intero cd è un alternarsi felice 
                  dei contributi dei molti musicisti partecipanti, ciascuno impegnato 
                  a portare fuoco all'incendio. Sì, perché di fuoco, 
                  un grande immenso fuoco si tratta: questa musica ti abbraccia, 
                  ti avvolge e ti si accende in testa, ti libera, ti spinge ad 
                  immaginare, a sciogliere la fantasia senza mai ingannare né 
                  ammiccare, senza farsi ruffiana, senza trasformarsi in uno slideshow 
                  di cartoline da consumare. 
                  Durante gli ascolti mi sono ritrovato spesso a sorridere, e 
                  a sorridere mentre guardavo le foto del libretto, che ritraggono 
                  musicisti sorridenti: difficile immaginarli diversi. Immagino 
                  che ascoltare quest'orchestra dal vivo sia un'esperienza mistica, 
                  una gioia grande, grandissima, sconfinata. 
                  Contatti: click su www.minafrasprod.com. 
                
                   
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                    |   Vi Subversa (Londra-Uk, 1935 – Brighton-Uk, 2016)  | 
                   
                 
                Vi Subversa 
                Infine, anche se con ritardo, mi dispiace segnalare la perdita di Vi Subversa. Si chiamava Frances Sokolov, molti la ricorderanno come l'agguerrita cantante/chitarrista e motore delle Poison Girls, uno dei primi gruppi anarcopunk inglesi che aveva fondato già ultraquarantenne e madre single di due figli (in seguito pure loro impegnati con Omega Tribe e Rubella Ballet). Femminista dissacrante e irrispettosa, voce di corvo e di volpe, le canzoni della “vecchia” Vi suonavano proprio strane alle nostre orecchie di ventenni: non erano inni punk di facile presa e di facile digestione, sembravano piuttosto degli stracci acidfolk da indossare per strada con disinvoltura. Ce ne saremmo accorti più avanti, crescendo. 
                 Marco Pandin 
                  stella_nera@tin.it 
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