  
                
  
				Stato di polizia 
                  
                  “Assisterete ora a uno spettacolo inconsueto: un nero che corre senza essere inseguito da una volante della polizia!” 
(Teatro Hip-Hop a Central Park, New York, un sabato qualsiasi d'autunno inoltrato) 
                Columbus Circle, nel cuore di Manhattan, all'angolo sudoccidentale 
                  di Central Park, è probabilmente uno dei posti più 
                  frequentati di New York incrociato com'è, ogni giorno, 
                  da tanta gente intenta alle sue quotidiane occupazioni e da 
                  turisti esausti ed entusiasti. Al centro della grande rotonda, 
                  lontano, in cima a una colonna, il navigatore genovese sembra 
                  guardare attonito al triste risultato della sua intuizione. 
                  Alle sue spalle, molto più in basso, luccica un mappamondo, 
                  saldato nel metallo lucido della modernità. Broadway 
                  incrocia qui per poi perdersi a sud, verso Times Square, nel 
                  glamour dei suoi teatri. A pochi passi si incontrano l'American 
                  Bible Society, il New York Institute of Technology e il Lincoln 
                  Centre, tempio delle arti dall'architettura imperiale, come 
                  piace qui. Un fragoroso intreccio di metropolitane scarica e 
                  carica viaggiatori incessantemente e quando si emerge dalla 
                  stazione sotterranea il colpo d'occhio è notevole: siamo 
                  nella New York che colpisce l'immaginazione, coi suoi grattacieli 
                  scagliati verso il cielo. A cercare con attenzione si incontrano 
                  persino due giganteschi Adamo ed Eva fusi nel bronzo dallo scultore 
                  colombiano Botero: nudi e con l'espressione vagamente ebete, 
                  stazionano nell'atrio di un lussuoso centro commerciale, evidentemente 
                  l'Eden dei nostri tempi. 
                
                   
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                        York, Manhattan (USA) - Il  mappamondo d'acciaio alla 
                  base della  torre della Trump International Hotel  | 
                   
                 
                Grazie al filmato di un passante 
                Nella piazza è vietato andare in bicicletta o sullo 
                  skateboard, ma i ciclisti di New York sono indisciplinati, va 
                  detto, sono anarcociclisti, e anche a chi scrive è capitato 
                  di essere fermato e invitato a scendere. Quella volta mi è 
                  andata bene, ma non sempre le cose vanno lisce: a volte la polizia 
                  deve vedersela con ragazzi che sanno essere più impudenti 
                  e combattivi di noi adulti. Infatti qui, in un giorno d'autunno, 
                  un ragazzo dai tratti asiatici ha continuato a correre sullo 
                  skateboard ignorando gli ordini di un poliziotto. Era un bravo 
                  schettinatore, non ha travolto nessuno e la piazza, quel pomeriggio, 
                  era insolitamente sgombra. Ma la legge è legge e disobbedire 
                  a un agente è mancanza di rispetto, sembra. Perciò 
                  il poliziotto-sceriffo ha inseguito il ragazzo, lo ha scaraventato 
                  a terra, lo ha bloccato al suolo faccia in giù, afferrandolo 
                  al collo con una brutta presa, gli ha spruzzato negli occhi 
                  uno spray urticante, lo ha ammanettato con le braccia dietro 
                  alla schiena e lo ha portato via, sequestrando l'arma del delitto: 
                  una pericolosa tavola di legno con quattro rotelle avvitate 
                  sul fondo. 
                  Tutto questo lo hanno visto in tanti, grazie al filmato di un 
                  passante: il ragazzo non ha provato a resistere, ha ceduto alla 
                  brutalità inutile dell'agente, la voce era la sua unica 
                  arma, mentre continuava a domandare: “Cosa ho fatto di 
                  male?” Ma il fatto più sconvolgente è che 
                  quell'arresto era perfettamente legale. Il colpevole è 
                  il ragazzo, non l'agente che lo ha trattato alla stregua di 
                  un pericoloso criminale: benedetti siano allora i telefonini 
                  che ogni tanto rivelano al mondo le sue assurdità. 
                  È degli stessi giorni un episodio accaduto in una scuola 
                  del South Carolina dove una studentessa afroamericana, certamente 
                  un po' maleducata e strafottente, come sanno essere a volte 
                  gli studenti, usava il telefonino in classe a dispetto dei divieti 
                  e l'insegnante non ha saputo fare di meglio che chiamare il 
                  poliziotto in servizio nella scuola. Al rifiuto della ragazza 
                  di alzarsi e seguirlo l'agente, senza pensarci due volte, l'ha 
                  rovesciata violentemente a terra trascinando sedia e banco, 
                  l'ha letteralmente lanciata attraverso la classe facendola quasi 
                  volare per alcuni metri, l'ha infine ammanettata. 
                  Anche questo filmato ha fatto il giro del mondo, santi telefonini. 
                
                   
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                        York (USA) - Rip: riposate in pace. Un manifestante  espone 
                  un cartello con una lista di afroamericani assassinati  dalla 
                  polizia. Spicca fra gli altri il nome di Michael Brown  | 
                   
                 
                La linea che divide il lecito dall'illecito 
                Il poliziotto della scuola è stato poi licenziato per 
                  uso eccessivo della forza, ma fra gli esperti c'è chi 
                  lo difende, sostenendo che abbia agito legittimamente, perché 
                  se un poliziotto deve eseguire un arresto sta a lui decidere 
                  il modo più appropriato. Anche in questo caso sulla legalità 
                  dell'arresto non si discute: la ragazza ha disturbato la lezione, 
                  un reato penale nella Carolina del Sud!1 
                  “Che vi aspettate? Siamo addestrati a neutralizzare, arrestare. 
                  Se non è questo che volete, non chiamateci”, ha 
                  poi dichiarato amareggiato un anonimo agente e forse non aveva 
                  torto. Infatti, a quale professore assennato verrebbe mai in 
                  mente di chiamare la polizia per uno studente che disturba? 
                  Per quel che mi ricordo di certe tediose giornate scolastiche, 
                  in proporzione, sarebbe stato necessario far intervenire l'esercito. 
                  Ma è necessario cambiare registri interpretativi: ciò 
                  che a me pare assurdo qui è la norma. Gli aneddoti che 
                  ho raccontato sono balzati alla ribalta della cronaca solo grazie 
                  a quelle riprese diventate virali nel web, ma sono due fra decine 
                  di episodi simili che restano soffocati nelle cronache di qualche 
                  giornaletto di provincia. 
                  Sono fatti minori, ne sono consapevole: sono venuto a vivere 
                  negli USA quando si era da poco consumato l'omicidio del giovane 
                  nero Michael Brown e l'indignazione di Ferguson era stata repressa 
                  addirittura con le squadre antiterrorismo, trasformandone le 
                  strade in campi di battaglia. Ma questi piccoli episodi sono, 
                  per me, colmi di significato, raccontano di questa civiltà, 
                  inducono a riflettere su aspetti culturali, ancor prima che 
                  politici, su come questa società, nata da un atto di 
                  libertà, si sia incatenata in una fitta rete di regole, 
                  inchiodata a una visione maniacale, ossessiva del bene e del 
                  male, asservita a una certa idea di legge ed ordine, conformista, 
                  acquiescente, acritica. Libertà vigilata a vista dal 
                  potere poliziesco. 
                  Sento di vivere in uno stato di polizia, non come nel Cile fascista 
                  o nella Germania comunista, dove la polizia controllava anche 
                  i pensieri della gente. Qui il pensiero è libero, ma 
                  la quotidianità è costretta in regole sacre come 
                  comandamenti. I benestanti pagano la loro tranquillità 
                  accettando un minuzioso e spietato controllo sociale in una 
                  guerra a bassa intensità le cui vittime sono qualche 
                  volta gli stessi poliziotti, più spesso le minoranze, 
                  i poveri, i disadattati, gli inconsapevoli. 
                  Troppo sottile è la linea che divide il lecito dall'esecrabile, 
                  troppo facile oltrepassarla e trasformarsi, quasi inavvertitamente, 
                  in un criminale. L'unica salvezza è volare bassi, appiattirsi 
                  nella lugubre sequela di immutabili comportamenti quotidiani. 
                  La presenza della polizia qui è capillare per le strade, 
                  nelle metropolitane, nei giardini pubblici. L'NYPD, il famigerato 
                  dipartimento di polizia di New York2, 
                  conta circa 45.000 effettivi: un esercito per pattugliare la 
                  città dove i più ricchi del mondo percorrono le 
                  stesse strade nelle quali i più poveri si trascinano 
                  nel gelo dell'inverno. 
                  Questi tutori dell'ordine, generalmente rozzi e spavaldi, a 
                  dispetto dello slogan che portano scritto sulle loro automobili3, 
                  li ho visti spesso in azione, perché si danno da fare 
                  per poco: è sufficiente che ci sia in giro qualcuno un 
                  po' troppo esagitato e la repressione è pronta a scattare. 
                  Nel luogo stesso dove lavoro sono arrivati un giorno sette energumeni 
                  per portare via una donna, un po' fuori di testa, ma innocua, 
                  che aspettava rassegnata su un divanetto. Lei se n'è 
                  andata in manette al suo destino, che fosse una cella o una 
                  stanza d'ospedale psichiatrico e io sono rimasto lì affranto, 
                  violato nell'intimo, indignato, perduto, silenzioso. 
                  Le piccole manifestazioni di protesta che spesso provengono 
                  dai viali di Harlem e, dirigendosi verso il centro, passano 
                  proprio sotto le mie finestre, arrivano sempre attorniate da 
                  un coro di auto coi lampeggianti accessi, le sirene lamentose. 
                  Volanti che, con violenta arroganza, percorrono le strade contromano, 
                  salgono sui marciapiede, circondano minacciose i manifestanti; 
                  viste dall'alto sembrano prendere vita, pronte ad assalire e 
                  mordere, quasi fossero i personaggi di uno spaventoso film di 
                  animazione. I ragazzi ci sono abituati, non se ne danno pena 
                  e continuano per la loro strada senza farsi scoraggiare. Io 
                  li guardo sfilare ammirato. 
                  Già varie volte ho assistito ad arresti: se sei preso 
                  non ha alcuna importanza che tu opponga resistenza o ti mostri 
                  docile e arrendevole, in ogni caso ti ritroverai ammanettato 
                  come nei film, il corpo violato da mani esperte. Innocente o 
                  colpevole, sano o malato di mente, dovrai subire questa umiliazione, 
                  coi passanti che ti guardano e sfilano via, fino a quando le 
                  porte del cellulare si chiuderanno alle tue spalle per un viaggio 
                  poco rassicurante fino alla stazione di polizia. A volte l'autista 
                  è un sadico: un amico fotografo è arrivato alla 
                  stazione pieno di contusioni procurate cadendo dal sedile nelle 
                  curve, al collo recava i segni delle cinte delle macchine fotografiche, 
                  lasciate penzolare a bella posta. 
                
                   
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                        York (USA), dicembre 2014 - Un richiamo a John Lennon:  
                  “immagina la giustizia” contro “la tirannide 
                  poliziesca”  | 
                   
                 
                Il disagio di vivere 
                Le umiliazioni continuano poi per molte ore in una sorta di 
                  gabbia, sotto lo sguardo di tutti, con le mani ammanettate ad 
                  una sbarra, in attesa di conoscere il capo d'imputazione e la 
                  data dell'udienza. Un trattamento riservato anche alla giovane 
                  trovata senza biglietto nella metro, all'anziano colto a orinare 
                  in un giardino pubblico, al ragazzo in gita scolastica che per 
                  fare il buffone ha scavalcato una barriera protettiva sul ponte 
                  di Brooklyn, al tizio arrestato per intralcio alla circolazione4. 
                  Mi ha spiegato un avvocato, che da questa ossessione ricava 
                  buoni guadagni, che quasi tutti questi casi minori si risolvono 
                  in un proscioglimento alla prima udienza o, al massimo, nel 
                  pagamento di una multa. Ma dopo bisogna stare attenti: la seconda 
                  volta il giudice non sarà più così comprensivo 
                  e, in alcuni stati, dopo il terzo arresto, vengono comminate 
                  pesanti condanne, anche se i reati contestati sono così 
                  lievi che in un paese normale darebbero luogo a una semplice 
                  sanzione amministrativa5. 
                  Dove nasce tanto accanimento? Secondo la criminologa Lorie Fridell: 
                  “i poliziotti qui vengono formati a una cultura guerriera, 
                  quasi fossero soldati impegnati in un perenne conflitto contro 
                  gli elementi criminali della società”. Marines 
                  di città, dunque, che in ogni passante vedono un potenziale 
                  nemico. I risultati sono nelle statistiche, sebbene non in quelle 
                  ufficiali: oltre 2200 cittadini ammazzati dalla polizia negli 
                  ultimi due anni, fra cui oltre 300 disarmati6. 
                  Ma anche senza andare su aspetti drammatici che del resto il 
                  mondo intero già conosce, voglio raccontare il disagio 
                  di vivere in una città sfavillante dove però lo 
                  stesso sindaco, l'italoamericano De Blasio, praticamente il 
                  capo della polizia, sposato con un'afroamericana, ha pubblicamente 
                  dichiarato di tremare per l'incolumità del figlio ogni 
                  volta che questi esce da casa, perché per chi ha la pelle 
                  scura ogni incontro con la polizia può essere letale. 
                  E quando ha provato a riformare quella “sua” polizia, 
                  cercando di sostituire il modello repressivo con uno più 
                  orientato al servizio della comunità, ha ottenuto un 
                  umiliante ammutinamento ed è stato costretto a fare marcia 
                  indietro. Questa è la potente polizia di New York, quella 
                  che incontro ogni giorno sul mio cammino, nella mie uscite da 
                  apprendista anarcociclista, col fiato grosso e il cuore in gola. 
                  La gente che conosco, per lo più, trova tutto questo 
                  normale. Molti considerano indispensabile il ferreo controllo 
                  di una società multietnica piena di contraddizioni: il 
                  melting pot affascina sì, ma anche spaventa. Qualcuno 
                  si rende conto che questo potere sulle nostre vite è 
                  pericoloso ma anche fra questi ha la meglio una sorta di fatale 
                  rassegnazione: visto dal centro dell'impero il potere appare 
                  inattaccabile e immutabile, troppo esile la speranza in un cambiarmento. 
                  Così, nel cuore dell'impero, mi ritrovo sorvegliato da 
                  moderni centurioni che al posto delle lance hanno pistole e 
                  sotto l'elmo portano occhiali scuri specchiati. Si muovono con 
                  fare spavaldo, hanno modi secchi e sono pronti a punire ogni 
                  intemperanza. “Chi indossa una divisa qui sviluppa presto 
                  la sindrome di G.I. Joe”7, 
                  mi rivela un amico sconsolato, “si sentono degli Action 
                  Men, hanno il mito dell'eroe onnipotente sempre nel giusto”. 
                  Io non vedo eroi ma guardiani. Vengono dalla strada essi stessi, 
                  dai ghetti e dalla povertà, ma sono i sacerdoti di un 
                  ordine che mi fa paura e non sopporto le loro liturgie. 
                  Quando passo per Columbus Circle, ora, smonto prontamente dalla 
                  bicicletta, anche se in giro non ci sono pedoni da travolgere. 
                  Ma non riesco proprio a capire come facciano Adamo ed Eva a 
                  mantenere quella loro espressione indifferente, mentre osservano 
                  le stelle artificiali del loro nuovo Eden. 
                 Santo Barezini 
				
                
                   
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                        York (USA), Time Warner Centre a Columbus Circle -  Adamo 
                  e Eva contemplano le stelle del loro paradiso artificiale  | 
                   
                 
                Note 
                 
                  - La legge “Disturbing Schools” risale al 1976 
                    e prevede pene fino a tre mesi di reclusione e multe fino 
                    a 2000 dollari per chiunque disturbi l'andamento delle lezioni. 
                  
 - In uno slogan comune nelle manifestazioni a New York un 
                    solista grida: “Come si scrive razzista?” e il 
                    coro risponde: “N-Y-P-D”! 
                  
 - “Cortesia, Professionalità, Rispetto”. 
                  
 - Episodi che ho avuto modo di conoscere nel dettaglio per 
                    motivi professionali. 
                  
 - Queste normative, conosciute come “three-strikes laws” 
                    (il nome è mutuato dal linguaggio del baseball), sono 
                    applicate in 24 stati e prevedono pesanti condanne minima 
                    obbligatorie per i recidivi. La corte federale le ha recentemente 
                    dichiarate incostituzionali. 
                  
 - Si veda, sul sito del The Guardian (guardian.com), il progetto 
                    The counted, agghiacciante, dettagliato elenco delle 
                    vittime della polizia, dove si possono anche incrociare i 
                    dati delle vittime riguardo al sesso, età, provenienza 
                    etnica, stato, ecc. Si veda anche killedbypolice.net. 
                  
 - G.I. Joe, a Real America Hero: si tratta della serie 
                    di figurine Action Men lanciata con grande successo 
                    negli anni sessanta, famosa in tutto il mondo, icona incrollabile 
                    della cultura popolare americana. G.I. indica genericamente 
                    il soldato americano. 
  
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