   
                 
                 
                  Ta-pum 
                “...Ritengo che le canzoni popolari, sia tradizionali 
                  che contemporanee, siano espressione della storia, segno di 
                  come la gente comune vive quegli eventi che spesso ci coinvolgono 
                  profondamente. Sono le cose che succedono attorno a noi e che 
                  ci vedono come spettatori o magari come vittime, incapaci di 
                  intervenire. Alcuni di noi si esprimono scrivendo e cantando, 
                  ed è in questo senso che la canzone popolare si fa portatrice 
                  della storia: è la storia raccontata da quelli che c'erano, 
                  dai testimoni diretti. Più del 90% delle cose che conosciamo 
                  ci sono state raccontate. Prendiamo questa conoscenza dalle 
                  nostre famiglie, dalla scuola, dai libri, dai giornali, dai 
                  film, dalla radio, dalla televisione, dai vicini di casa e dagli 
                  amici. La nostra esperienza diretta è minima. Chi deve 
                  salvaguardare questa cultura sono le istituzioni, e chi comanda 
                  dentro a queste istituzioni ha un potere enorme sulle nostre 
                  vite. Le canzoni popolari sono un antidoto prezioso: portano 
                  in sé i racconti della gente ed offrono una visione alternativa 
                  del mondo: il mondo lo vedono dal di dentro. E queste canzoni 
                  o le si mantiene vive, o saranno perdute...”. 
                  Sono proprio le parole giuste. Queste del vecchio cantastorie 
                  socialista inglese Roy Bailey sono anche le parole più 
                  affilate e roventi, quelle più difficili da “gestire”. 
                  Ma come fa la gente a raccontare la guerra? L'unico modo è 
                  cantarla. Voi che leggete questa rubrica penso che di Paola 
                  Sabbatani già ne avrete sentito parlare: avrete ascoltato 
                  e magari apprezzato quel suo bel lavoro “Non posso riposare” 
                  fatto in tandem con Roberto Bartoli (vedi 
                  “A” 331, dicembre 2007), e quell'altro suo lavoro 
                  su Francisco Ferrer (“A” 
                  353, maggio 2010). Scrivo questa segnalazione con la speranza 
                  di catturare l'attenzione degli altri: se non vi accontentate 
                  della solita minestra e vi piace incuriosirvi e investigare, 
                  come mi auguro e vi auguro, ecco una buona occasione. 
                  Questo cd, manco a dirlo, non lo trovate nei negozi (richiedetelo 
                  all'autrice via Facebook, oppure scrivendole a paola@unacitta.org, 
                  in cambio di un'offerta libera e consapevole). Contiene una 
                  selezione di canzoni registrate dal vivo al teatro Due Mondi 
                  di Faenza lo scorso aprile, con Paola c'erano sul palco ancora 
                  Roberto Bartoli al contrabbasso e Daniele Santimone alla chitarra. 
                  Quel concerto potrebbe essere facile da raccontare: c'era la 
                  voglia forte di scappare lontani dalla retorica che accompagna 
                  le celebrazioni per i cento anni della prima guerra mondiale, 
                  da quella catasta di spiegazioni e ignobili giustificazioni, 
                  di analisi e cifre, corone di fiori e fanfare. C'era la voglia 
                  altrettanto forte di cantare forte l'assurdità e la disumanità 
                  di tutte le guerre. Certo c'era tutto questo eppure, ascoltando 
                  attentamente, avverto che nelle teste e nel cuore dei musicisti 
                  abita la determinazione sì, ma convive con il dubbio, 
                  la paura, la confusione, il disorientamento. Per raccontare 
                  la guerra si ha bisogno di compagnia perché resistenza 
                  e lotta significa avere mani da stringere e sguardi intorno 
                  dove rispecchiarsi. Io, per me, ho deciso. Faccia pure, mandi 
                  i suoi sgherri a cercarmi, egregio presidente: io non andrò 
                  a fare la guerra, non andrò ad ammazzare la gente più 
                  meno come me. E griderò a tutti di non partire, di non 
                  obbedire. 
                  Racconta Paola: “Il tempo che è passato non passerà 
                  mai: ecco perché questi canti non hanno addosso la polvere 
                  degli scavi, ma una nuda, netta, forte e talora dolcissima carica 
                  di verità e di vita”. 
                
                   
                     | 
                   
                   
                    |   da sinistra: Daniele Santimone, Paola  Sabbatani e 
                  Roberto Bartoli  | 
                   
                 
                Quel mostro grande della guerra 
                Se “guerra mondiale” l'hanno chiamata, Paola e 
                  compagni sono andati in cerca d'aiuto in giro per tutto il mondo: 
                  col francese disertore e senz'armi, in ottima compagnia, ritroviamo 
                  l'argentino Leon Gieco, quello che chiede a dio che che la guerra 
                  non gli sia indifferente, guerra come un mostro grande che calpesta 
                  feroce tutta la povera innocenza della gente. C'è il 
                  nostro caro compagno Faber col suo girotondo di migliaia di 
                  ragazzi rimasti senza nome costretti a partire per andare a 
                  morire, per non importa chi. 
                  Mi ha colpito molto la versione di “Christmas in the trenches” 
                  di John McCutcheon, che racconta della “tregua di natale” 
                  del 1914, un episodio sottaciuto, nascosto, fatto sparire: se 
                  se ne fosse saputo in giro avrebbe forse insegnato oggi una 
                  storia diversa da quella di una guerra che alla fine contò 
                  quasi nove milioni di morti. Ne riporto di seguito la traduzione. 
                   
                  “Mi chiamo Francis Tolliver, vengo da Liverpool 
                  due anni fa la guerra mi stava aspettando alla fine della 
                  scuola 
                  dal Belgio, dalle Fiandre, dalla Germania fino a qui 
                  ho combattuto per il re e il paese che amo 
                  era natale in trincea, dove il gelo ci abbracciava duramente 
                  i campi gelati della Francia erano immobili, non c'erano 
                  canti di natale 
                  le nostre famiglie in Inghilterra stavano brindando a noi 
                  in quel giorno 
                  ai loro coraggiosi e gloriosi amici così lontani 
                  ero sdraiato con il mio compagno sul terreno roccioso e freddo 
                  quando attraverso le linee di battaglia è arrivato 
                  un suono strano 
                  dice: “Adesso ascoltatemi ragazzi!” e ogni soldato 
                  si sforzava di ascoltare  
                  mentre una giovane voce tedesca cantava così chiara. 
                  “Sta cantando dannatamente bene, sai!” - mi ha 
                  detto il mio compagno. 
                  Presto a una a una, ogni voce tedesca si è unita a 
                  quel canto. 
                  I cannoni sono rimasti muti 
                  le nubi di gas non si sono alzate 
                  e il natale ha portato una tregua alla guerra. 
                  “Qualcuno viene verso di noi!” - ha gridato la 
                  sentinella in prima linea. 
                  Tutti gli sguardi erano fissi su una alta figura che arrancava 
                  nella nostra direzione 
                  con la sua bandiera bianca, come una stella cometa 
                  che sventolava luminosa sulla pianura 
                  e lui coraggiosamente disarmato avanzava a grandi passi nella 
                  notte. 
                  Ci siamo scambiati cioccolato, sigarette e fotografie di 
                  casa 
                  figli e padri lontani dalle loro famiglie 
                  il giovane Sanders ha suonato la fisarmonica e loro avevano 
                  un violino 
                  Una curiosa e strana banda di uomini. 
                  Presto la luce del giorno è sorta su di noi  
                  e la Francia è stata di nuovo la Francia 
                  con tristi addii ci siamo preparati di nuovo alla guerra 
                  ma una domanda era nel cuore di chi aveva vissuto quella 
                  notte meravigliosa: 
                  “Quale famiglia ho visto con i miei occhi?” 
                  Era natale in trincea, dove il gelo ci abbracciava così 
                  duramente 
                  i campi gelati della Francia erano riscaldati dal canto di 
                  canti di pace 
                  i muri che hanno eretto tra di noi per il mestiere delle 
                  armi 
                  erano stati frantumati e cancellati per sempre. 
                  Mi chiamo Francis Toller, vivo a Liverpool 
                  ogni natale che è venuto dopo la prima guerra mondiale 
                  ho imparato bene la lezione: 
                  quelli che volevano sparare non sono tra i morti e i feriti. 
                   
                  Da entrambi i lati del fucile noi siamo tutti uguali”. 
                 Marco Pandin 
                  stella_nera@tin.it 
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