    
                
  
                Le carceri minorili? Abolirle  
                 Mi hanno chiesto di scrivere qualche riflessione da portare 
                  al tavolo di discussione “Minorenni autori di reati” 
                  degli Stati Generali dell'Esecuzione Penale, che si stanno svolgendo 
                  in questi mesi. 
                   
                  Spesso i giovani che entrano in carcere da minorenni sono ragazzi 
                  difficili. Non credo però che siano cattivi. Penso che 
                  lo diventino dopo, stando in galera. Nella stragrande maggioranza 
                  dei casi i detenuti minorenni vengono da nuclei familiari complicati. 
                  Molti di loro hanno solo sfiorato l'amore di un padre o di una 
                  madre. Molti di loro non hanno conosciuto l'amore di una famiglia. 
                  Hanno solo conosciuto la parte più cinica della società. 
                  Penso che abbiano conosciuto prima la cattiveria innocente dei 
                  bambini, poi quella dispettosa dei ragazzi e alla fine quella 
                  malvagia del carcere. 
                  Credo che molti giovani detenuti diventeranno da adulti dei 
                  delinquenti perché in carcere si sentono soli e indifesi. 
                  E si convincono che nel mondo nessuno gli voglia bene. 
                  La prima volta che entrai in carcere avevo sedici anni e l'impatto 
                  fu tremendo. Fu anche la prima volta che un gruppo di guardie 
                  mi massacrò di botte. A dire la verità un po', 
                  ma solo un pochino, me lo meritavo. Avevo tirato un piatto di 
                  patate in faccia al brigadiere. Non lo dovevo fare. Ma era stato 
                  più forte di me. Non riuscivo a stare zitto se offendevano 
                  mia madre. E il brigadiere mi aveva chiamato figlio di puttana 
                  perché mi ero lamentato, avevo fame, che le patate erano 
                  poche e crude. Mi ricordo che le guardie entrarono in cella 
                  e mi saltarono addosso tutte insieme. Mi riempirono di calci 
                  e pugni. Soffrii più per le parolacce che mi dissero 
                  che per le botte. Non dissi però nulla. Non gridai. E 
                  non mi lamentai come facevano gli altri ragazzi quando venivano 
                  picchiati. Non diedi alle guardie questa soddisfazione. 
                  Loro s'incazzarono ancora di più. E mi picchiarono ancora 
                  più forte. Mi ricordo che mi rannicchiai in un angolo 
                  e mi coprii il viso e la testa con le gambe e le braccia. Il 
                  pestaggio durò dieci minuti, ma mi parve un'eternità. 
                  Quando andarono via piansi come un ragazzino, perché 
                  in fondo, anche se avevo commesso quella cazzo di rapina in 
                  un ufficio postale con una pistola giocattolo, ero solo un ragazzo. 
                  Avevo dolore dappertutto, ma quello che mi faceva più 
                  male era l'umiliazione e l'impotenza. 
                  Mi ricordo che giurai a me stesso che da grande mi sarei vendicato 
                  di tutti e di tutto, contro la società e il carcere. 
                  E credo di esserci riuscito perché quando uscii dal carcere 
                  da maggiorenne avevo appreso la cultura e la mentalità 
                  per diventare un criminale. 
                  Pensavo che certe cose nelle carceri minorili non accadessero 
                  più, ma un giovane detenuto pugliese, Andrea, mi ha raccontato 
                  che le cose non sono cambiate così radicalmente dai miei 
                  tempi. Adesso nelle carceri minorili le punizioni non sono più 
                  fisiche come in passato, sono molto più sottili. E spesso 
                  più che sul corpo ti picchiano sul cuore e sull'anima. 
                  Sono convinto che le carceri minorili sono delle vere e proprie 
                  fabbriche di delinquenza, per creare i detenuti che riempiranno 
                  le carceri da adulti. Non credo che ci sia la possibilità 
                  di migliorare o riformare le carceri minorili, si può 
                  solo abolirle perché chiudere un ragazzo in una cella 
                  è un crimine ancora più brutto di quello che lui 
                  ha commesso. 
                  Penso spesso che forse se non fossi stato in carcere da minorenne 
                  non sarei diventato il criminale che sono diventato dopo. Non 
                  ne sono però sicuro. Forse lo sarei diventato lo stesso, 
                  ma una cosa è certa: i giovani sono più influenzabili 
                  degli adulti. E durante la mia carcerazione da minorenne è 
                  cresciuto il mio odio verso lo Stato e tutte le istituzioni 
                  che lo rappresentano.
                  Carmelo Musumeci 
                  www.carmelomusumeci.com 
                   
                
                   
                    Ragazzi, fuori! 
                        Un report sulla situazione italiana 
                      Il 
                        processo di decarcerizzazione minorile, iniziato negli 
                        anni '50, deve essere ultimato. Ed è necessario 
                        farlo al più presto. A sostenerlo è l'associazione 
                        Antigone “per i diritti e le garanzie nel sistema 
                        penale”, nel suo report sugli istituti penali per 
                        minori, pubblicato lo scorso novembre; il terzo dalla 
                        sua fondazione. 
                        Il titolo “Ragazzi fuori” fa intendere l'obiettivo 
                        auspicato dai suoi redattori; “è il momento 
                        di pensare ogni modalità affinché i ragazzi 
                        rimangano fuori” afferma Patrizio Gonnella, presidente 
                        dell'associazione. Per farlo è necessario riflettere 
                        su una “accoglienza sociale capace di fare a meno 
                        di celle, cancelli e muri”, evitando la stigmatizzazione 
                        legata alla reclusione. In sostanza, concentrarsi maggiormente 
                        su attività educative in grado di scongiurare l'esclusione 
                        sociale, piuttosto che sulla punizione detentiva. 
                        Perché il processo di decarcerizzazione possa avvenire, 
                        è necessario prima di tutto capire il fenomeno 
                        della detenzione minorile, anche da un punto di vista 
                        quantitativo. Ed è quanto si propone di fare il 
                        questo report, fornendo una fotografia dell'attuale situazione 
                        italiana, confrontandola anche con quella passata. I dati 
                        presenti nel documento sono stati raccolti attraverso 
                        osservazione diretta presso gli istituti di pena detentiva 
                        per minori presenti in Italia. 
                        Dagli anni quaranta del novecento ad oggi il numero di 
                        ragazzi reclusi è drasticamente diminuito (si è 
                        passati da 8521 nel 1940 a 449 nel 2015), ma negli ultimi 
                        15 anni ha smesso di decrescere, stabilizzandosi. Si tratta 
                        perlopiù di ragazzi accusati di aver commesso reati 
                        contro il patrimonio e, in misura minore, reati contro 
                        la persona o violazioni della legge sugli stupefacenti. 
                        Secondo i redattori, la progressiva riduzione del numero 
                        ha aumentato ancor più la stigmatizzazione e l'esclusione 
                        legate all'incarcerazione; proprio per questo, è 
                        necessario agire perché le cose cambino. 
                        Secondo Antigone, perché “una diversa filosofia 
                        di intervento” venga implementata, servono dei cambiamenti 
                        sostanziali, a partire dalla configurazione architettonica 
                        delle attuali strutture per minori. L'eliminazione di 
                        sbarre, cancelli e blindati è un primo passo verso 
                        la scomparsa degli istituti detentivi in favore della 
                        creazione di spazi educativi. 
                        Anche la vita all'interno degli istituti penali dovrebbe 
                        cambiare drasticamente, ruotando maggiormente intorno 
                        ad attività educative. Ma sono necessari i giusti 
                        strumenti. Al momento gravi carenze sono state riscontrate, 
                        sia dal punto di vista del personale (che manca) sia da 
                        quello delle strutture (considerate a volte inadeguate). 
                        E anche sotto il profilo degli obiettivi raggiunti; i 
                        redattori riportano che nel 2012, su 1066 iscritti ai 
                        corsi solo 71 hanno conseguito un titolo di studio. 
                        I percorsi di formazione professionale risultano manchevoli 
                        anche a causa della limitatezza di risorse economiche. 
                        In proposito il report segnala una “preoccupante 
                        carenza di fondi” dedicati alla formazione professionale 
                        e una “inadeguata disponibilità di risorse 
                        finanziarie”. 
                        A fronte di quest'analisi, il suggerimento dell'associazione 
                        Antigone per proporre dinamiche di inclusione è 
                        di ripartire dall'educazione. Ma non solo; rivedere anche 
                        la conformazione delle strutture, la natura e l'efficacia 
                        degli strumenti utilizzati. In sostanza, iniziare a ripensare 
                        il tema delle carceri minorili. 
                        Affinché i ragazzi ne restino fuori. 
                      Carlotta Pedrazzini 
                      Il report è reperibile e scaricabile integralmente 
                        al sito 
                        dell'associazione Antigone  | 
                   
                 
                
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