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                La cultura e gli audaci 
				 
                Sono confusa, ma direi che per 
                  una Guida Apache in questa specifica contingenza culturale la 
                  confusione intima è un dato confortante più che 
                  deprimente. Essa depone a favore della mia sanità mentale. 
                   Sono 
                  confusa perché il mio cervellino registra informazioni 
                  discordanti e non riesce a combinarle in un quadro dotato di 
                  senso. 
                  Facciamo degli esempi. 
                  Leggo che Universiday organizza al Teatro Dal Verme (Milano) 
                  un evento insieme al Corriere della sera, inteso a celebrare 
                  la presenza di studenti stranieri in una rete di 12 università. 
                  Un quadro di questo tipo parrebbe suggerire un luogo di alta 
                  cultura. L'evento, leggo, si conclude con la partecipazione 
                  come ospite d'onore del cantante pop Mika – che personalmente 
                  considero dotato di una voce prodigiosa, paragonabile solo a 
                  quella di Freddy Mercury. Alla stampa, Mika si sente in dovere 
                  di dichiarare: «Che noia gli studenti modello! Io a scuola 
                  sono stato bocciato 3 volte». A dire la verità, 
                  lui neanche vorrebbe ammetterlo, ma l'astuta intervistatrice 
                  lo induce a essere esplicito; essendo una persona intelligente, 
                  Mika un po' se ne vergogna. Ora, e lo dico occupandomi di culture 
                  popolari per mestiere: qualcuno mi può spiegare perché 
                  a un evento finalizzato a dimostrare che esiste, a Milano, un 
                  polo universitario d'eccellenza di livello internazionale, un 
                  ospite importante suggerisce implicitamente – e probabilmente 
                  a ragione – che un titolo di studio non serve nella vita 
                  e che comunque a lui non interessava a suo tempo acquisirlo? 
                  Andiamo avanti. 
                  Valentino Rossi vince il Gran Premio d'Australia. È lo 
                  stesso Valentino Rossi del quale i giornali, nell'agosto del 
                  2007, hanno ipotizzato una evasione fiscale di circa 40 milioni 
                  di euro (http://www.repubblica.it/2007/08/sezioni/sport/valentino-evasione/valentino-evasione/valentino-evasione.html). 
                  Certo, specifica il medesimo giornale, Valentino Rossi non era 
                  solo in questa mirabolante impresa: “Il sito Contribuenti.it, 
                  che fa capo a un'associazione non profit che si occupa dei diritti 
                  dei contribuenti, ricorda che Valentino Rossi si aggiunge a 
                  una lunga lista di sportivi accusati di aver evaso il fisco: 
                  tra questi Diego Armando Maradona, con oltre 30 milioni di euro, 
                  Loris Capirossi con 9 milioni, Alberto Tomba, Max Biaggi, il 
                  tennista Andrea Gaudenzi, il pilota Nicola Larini, Pierfrancesco 
                  Chili (moto) e il ciclista Mario Cipollini”. Sembra che 
                  il successo sportivo abbia in Italia questo spiacevole effetto 
                  collaterale: spiacevole per noi contribuenti, s'intende. Per 
                  i soggetti in questione, se è tutto vero, deve essere 
                  piacevolissimo. 
                  Il cronista televisivo, uno dei tanti, celebrando in evidente 
                  stato di esaltazione la vittoria del “Dottore”, 
                  insisteva su quanto questo trentacinquenne motociclista, presentato 
                  come un eroe, sia un simbolo dell'italianità vincente. 
                  Beh, sì, in effetti, vincente in termini economici di 
                  sicuro. Ecco, volendo, fatico un po' a vederlo come un modello 
                  per i nostri giovani virgulti, a meno che quelli della mia età 
                  e della mia formazione non aspirino a vedersi, nel Brave New 
                  World che ci si prepara, a esseri inutili da ridurre prontamente 
                  in cenere. 
                  Però, in tutto questo, ero rimasta perplessa dall'epiteto 
                  “Dottore”. Perciò ho consultato Google e 
                  ho scoperto un dettaglio che mi era sfuggito: la facoltà 
                  di Sociologia dell'Università di Urbino ha conferito 
                  a Valentino Rossi, qualche anno fa, una Laurea Honoris Causa 
                  in Comunicazione e pubblicità per le organizzazioni. 
                  La “cultura” premia gli audaci, e li laurea. 
                  Sono di sicuro una persona poco flessibile, ma ho imparato qualcosa 
                  che mi sarà utile nel mio mestiere. Quando vedrò 
                  in sede d'esame, uno per uno, i 350 studenti che stanno seguendo 
                  il mio corso di Cultura Inglese I, ad occhi spalancati e senza 
                  che nell'aula voli una mosca, come prima domanda chiederò, 
                  in italiano e in inglese, che sport praticano e con quale successo. 
                  E magari se hanno truffato il fisco in qualche occasione. Poi 
                  formulerò il voto. Perché fermarsi alla banale 
                  crescita culturale? Il mondo cambia e noi, tristemente, con 
                  esso. 
                Nicoletta Vallorani 
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