Hannah e Mary, due amiche con riserva  
                 1.  
                  Nel 2012, Margareth Von Trotta ha dedicato un film alla filosofa 
                  tedesca Hannah Arendt, intitolandolo con il suo nome. Con un 
                  paio di anni di ritardo – e sottotitolato – abbiamo 
                  potuto vederlo nelle sale cinematografiche italiane. Si tratta 
                  di un film dall'impianto narrativo solido e accurato – 
                  fin nella fotografia e nelle ben ponderate ricostruzioni di 
                  interni – nel tentativo di proporsi come documentazione 
                  storica relativa ad un periodo specifico della vita di Arendt 
                  – quello che va dal 1960 al 1964, ovvero il periodo che 
                  ruota intorno alla cattura del nazista Adolf Eichmann da parte 
                  dei servizi segreti israeliani ed al successivo processo, svoltosi 
                  a Gerusalemme, cui la filosofa, accreditata come giornalista, 
                  assistette. È da quell'episodio, d'altronde, che nascerà 
                  il suo libro più noto, La banalità del male. 
                  Moralmente ineccepibile per quel che concerne la tematica di 
                  fondo – interpretato da una credibilissima Barbara Sukowa 
                  –, al film posso rimproverare poche cose, ma una di queste mi 
                  “sta qui”. E concerne la figura di Mary McCarthy, 
                  scrittrice americana, grande amica di Arendt, che, interpretata 
                  da Janet McTeer, dal film non ne esce benissimo. Anzi. 
                 2.  
                  Si erano conosciute nel 1944. Lo racconta Carol Brightman nel 
                  saggio introduttivo a Care amiche, titolo assegnato alla 
                  corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy scambiata tra 
                  il 1949 e il 1975, anno della morte della prima. Arendt era 
                  giunta in America nel 1940 e McCarthy era una giovane intellettuale 
                  curiosa ancora in cerca della forma più idonea per esprimersi, 
                  ma già dotata di quel “dono dell'osservazione e 
                  dell'analisi” che “le donne sviluppano praticamente 
                  in quanto specie” (e che, non di rado, aggiungerei, dalla 
                  struttura dei rapporti sociali sono spesso costrette a rintuzzare). 
                  I commenti di Arendt al processo Eichmann destarono scandalo 
                  perché non si allinearono affatto con i desiderata dello 
                  stato di Israele e perché, in particolare, misero in 
                  rilievo “il ruolo che i consigli ebraici avevano avuto 
                  nella cooperazione con l'ufficio di Eichmann”. Tale scandalo 
                  – come ben raccontato nel film di Von Trotta – finì 
                  presto per assumere i toni della minaccia e, forse, la stessa 
                  vita della scrittrice fu in pericolo. 
                
                   
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                    |   Hannah Arendt  | 
                   
                 
                 3.  
È noto che i rapporti tra le due amiche non sempre furono perfettamente amichevoli. Si vorrebbe che questo loro dissidio fosse circoscritto ad una festa newyorkese, nel 1945, allorquando – durante una conversazione sull'atteggiamento dei francesi nei confronti degli occupanti - McCarthy disse che “provava pena per l'assurda pretesa di Hitler di volere l'amore delle sue vittime”. Arendt se ne infuriò: “Come puoi dire questo davanti a me – una vittima di Hitler, una persona che è stata in un campo di concentramento!”. A me l'argomentazione di McCarthy non parrebbe così gravida di implicazioni, ma posso anche ammettere che alla sensibilità di ciascuno non è facile mettere regole. A quanto pare, ci vollero tre anni perché le due si rappacificassero. Arendt definì giustamente “sciocchezze” l'oggetto del contendere e, confessando che in un campo di concentramento tedesco non c'era mai stata – era stata in un campo francese - ne concluse che loro due la pensavano “allo stesso modo”. 
                  Più serio, a mio avviso, fu invece il dissidio conseguente 
                  al caso Eichmann. E ciò per due ordini di motivi. Da 
                  un lato, quando Arendt attribuisce ad Eichmann non “stupidità”, 
                  ma “inabilità a pensare”, McCarthy insorgeva, 
                  dicendo che l'espressione riduceva il comportamento di Eichmann 
                  ad una specie di “delitto minore”: affermando che 
                  non era uguale al resto dell'umanità perché “incapace 
                  di riflettere”, Arendt lo ritrasformava in quel “mostro” 
                  che tanto comodo faceva ai ben pensanti dell'epoca almeno quanto 
                  comodo farebbe ai benpensanti di oggi. Dall'altro lato, McCarthy 
                  ha lamentato più volte il silenzio con cui Arendt cercò 
                  di barricarsi dall'ondata di critiche e di insulti ricevuti. 
                  “Fingeva di non prestarvi le minima attenzione” 
                  – “ma era vero”, ovviamente – 
                  e la redarguiva, addirittura, allorché lei, reagendo, 
                  ne prendeva le difese. Più restìa alla relazione, 
                  d'altronde, Arendt si dimostra anche nella corrispondenza: spesso 
                  le sue lettere sono sbrigative, tanto da non dover essere neppure 
                  conservate, mentre quelle di McCarthy sono approfondite, sentite, 
                  animate sempre da una gran voglia di chiarezza mai disgiunta 
                  da energica passione civile. 
                 4.  
                  Arendt passa alla storia come grande filosofa ma non McCarthy. 
                  Eppure, “la chiarezza di esposizione non era il forte 
                  di Arendt”, dice Brightman, mentre alcuni saggi di McCarthy 
                  – e ciò che può esser ricavato in quanto 
                  sapere dai suoi romanzi (penso, soprattutto, a Cannibali 
                  e missionari per il significato politico dell'arte e dell'esperienza 
                  estetica) - sono straordinari per lucidità e coraggio 
                  nell'opporsi alle convenzioni della buona società (penso 
                  a Vivere con le cose belle). Fra gli scheletri del suo 
                  armadio, McCarthy avrà avuto anche tanti e tumultuosi 
                  amori, ma nessuno di questi può esser paragonato al grande 
                  amore di Arendt che, in gioventù, da allieva, si innamorò 
                  del “Maestro” Martin Heidegger, avviato inesorabilmente 
                  ad una totale adesione al nazismo – un rapporto che neppure 
                  Von Trotta ha potuto ignorare del tutto risolvendolo nei chiaroscuri 
                  e nelle ambiguità del ricordo. Fra le argomentazioni 
                  della McCarthy non si ritroveranno mai fumosi e misticheggianti 
                  elogi dell'ineffabile e neppure quella paccottiglia stantìa 
                  di autocelebrazione che parla del filosofo che condurrebbe una 
                  “vita solitaria”, perché la filosofia stessa 
                  – come la masturbazione ? - sarebbe “qualcosa di 
                  solitario” (si veda La vita della mente, opera 
                  fortunatamente incompiuta di Arendt, curata da McCarthy nella 
                  sua veste di esecutrice testamentaria). Confrontandone il pensiero, 
                  dunque, si può anche comprendere come il loro editore 
                  americano, William Javanovich, abbia potuto ritenere “incredibile” 
                  il fatto che “queste due donne abbiano continuato il loro 
                  rapporto”. 
                
                   
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                    |   Mary McCarthy  | 
                   
                 
                 5.  
La McCarthy, insomma, vale di più di quanto non si possa evincere dal film di Von Trotta ed è quantomeno ingeneroso considerarla una “irrefrenabile grafomane” come, pur tra tanto rispetto, fa Brightman. 
                 6.  
                  Pochi anni fa – racconta Brightman -, un passeggero salì 
                  sul treno Francoforte-Amburgo e venne accolto da un annuncio: 
                  “Vi diamo il benvenuto sull'Espresso Intercity Hannah 
                  Arendt – chiunque fosse – e vi auguriamo buon 
                  viaggio”. Più tardi la stessa voce apportò 
                  una correzione al tiro precedente: “Hannah Arendt era 
                  una Dichterin” (Dichterin vale per scrittore o 
                  poeta) e “incidentalmente ho saputo che era anche una 
                  Philosophin”. Nota la Brightman che “negli 
                  Stati Uniti, non diamo nomi di poeti o filosofi ai treni, ma 
                  gli scienziati della NASA che stanno rilevando la mappa di Venere 
                  intitolano i crateri del pianeta a donne celebri: Pearl Buck, 
                  Margaret Mead, Claire Booth Luce, Lillian Hellman, Gertrud Stein 
                  e Mary Stuart regina di Scozia”, ma sia alla Arendt che 
                  alla McCarthy, “è stato risparmiato questo onore”. 
                  Per il momento, dunque, le due condividono questo destino. Condivideranno 
                  per sempre, invece, un altro aspetto della loro vita. Come Arendt, 
                  nata nel 1906 e morta nel 1975, si innamorò di Martin 
                  Heidegger, nato nel 1889 e morto nel 1976, McCarthy, nata nel 
                  1912 e morta nel 1989, si innamorò – e sposò 
                  – il critico Edmund Wilson (ne fa un ritratto terrificante 
                  in Vita stregata), nato nel 1895 e morto nel 1972: diciassette 
                  anni di differenza per ambedue le coppie, allora – e nessuna 
                  delle due destinata a durare.  
                 Felice Accame 
                 Nota 
                  Tra amiche è pubblicato da Sellerio, Palermo 2008. 
                  La banalità del male, pubblicato per la prima 
                  volta nel 1963, di ristampa in ristampa prosegue il suo successo. 
                  I libri di Mary McCarthy – compreso Il gruppo che 
                  la rese famosa nei primi anni Sessanta del secolo scorso e che 
                  le attirò non poche critiche – sono reperibili 
                  solo spulciando fra le bancarelle. 
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