Sobrietà 
                  nell'abbondanza 
                 Il 
                  libro di Pierre Rabhi La sobrietà felice (Add 
                  Editore, Torino, 2013, p. 192, € 15,00) ben si sposa con 
                  quello di Maurizio Pallante, Monasteri del terzo millennio, 
                  recensito lo scorso numero. Addirittura direi che i due si completano 
                  a vicenda avendo entrambi a cuore il comune denominatore di 
                  favorire tutte quelle azioni che aiutino la comprensione della 
                  necessità impellente di smetterla di “crescere”, 
                  ma fondare nuovi paradigmi di pensiero che colleghino passato 
                  e futuro creando nel presente una vita sostenibile per tutti. 
                  Pierre Rabhi è di origini algerine e vive in Francia, 
                  nella zona dell'Ardèche, facendo l'agricoltore, da quando 
                  aveva poco più di vent'anni. Da allora insieme a sua 
                  moglie e alla sua famiglia ha pian piano trasformato un luogo 
                  spoglio e austero, come dice lui stesso, in una modesta oasi, 
                  in un piccolo regno di pazienza che offre loro da vivere e dove 
                  hanno costruito la loro vita legata a quella della natura. È 
                  risaputo che il “miracolo economico” che ha avvantaggiato 
                  - e chissà se continua ad avvantaggiare - solo un quinto 
                  dell'umanità, è potuto avvenire perché 
                  i Paesi del Sud hanno fornito materie prime e manodopera a buon 
                  mercato. Oggi i risultati di questo squilibrio planetario sono 
                  divenuti macroscopici, così «non avendo costruito 
                  il mondo con umanità, si è costretti a fare azioni 
                  umanitarie». Per cercare di limitare proprio questo tipo 
                  di interventi, fra le molte sue attività, Rabhi insegna 
                  tecniche d'agro-ecologia in parecchi Paesi del Sahel (Burkina 
                  Faso, Niger, Mali) e anche nel Maghreb, in modo tale che i contadini 
                  poveri possano fertilizzare una terra difficile senza dover 
                  ricorrere ai concimi chimici per i quali, oltretutto, dovrebbero 
                  indebitarsi. 
                  Nel pensiero di questo “poeta della terra” c'è 
                  l'idea che l'unica cosa veramente utile da fare sia cambiare 
                  l'essere umano, cominciando con l'insegnargli, fin dalla più 
                  tenera età, a essere solidale con il suo prossimo e non 
                  entrare nel circolo vizioso della competizione. Come molti, 
                  anche lui è convinto che l'azione politica sia ovunque, 
                  in ogni atto della vita quotidiana e nel comportamento di ogni 
                  consumatore. Anche coltivare il proprio giardino è un 
                  atto politico, un atto di resistenza che ci riporta al senso 
                  dell'umano. Sull'onda di questi pensieri, dalla sua esperienza 
                  personale e dagli incontri intessuti con altre persone sono 
                  nate diverse e interessanti esperienze collettive di cui si 
                  può avere notizia sul web (vedi: www.lesamanins.com 
                  – www.colibris-lemouvement.org 
                  – www.la-ferme-des-enfants.com 
                  – www.oasisentouslieux.org). 
                  Ma torniamo al libro e all'idea di sobrietà felice. Per 
                  essere chiaro e far comprendere a fondo l'idea di vita sottesa 
                  a queste due parole Rabhi si avvale di racconti e metafore, 
                  confronta antichità e modernità, cercando di non 
                  mitizzare, tantomeno demonizzare, nessuna delle due. Racconta, 
                  e per farlo parte dalla sua storia e da quelle altrui. Non è 
                  un teorico ma un uomo legato alla terra e il suo parlare ha 
                  la stessa risonanza delle fiabe, un linguaggio semplice ma, 
                  proprio per questo, estremamente efficace. Partendo dall'odierna 
                  contingenza chiarisce e rende evidente ciò di cui da 
                  sempre abbiamo bisogno, ciò che è importante perché 
                  costruisce fondamenta nell'animo in subbuglio. 
                  Mi spiego meglio e, come esempio, riporto alcune righe da un 
                  articolo comparso su Il manifesto (del 14/5/14, a proposito 
                  del libro di Hessel Esigete! Un disarmo nucleare): «Il 
                  budget del nucleare militare nel mondo per i prossimi dieci 
                  anni è previsto in mille miliardi di euro. Una cifra 
                  che non include il grande comparto di spesa che finanzia l'intersezione 
                  fra nucleare militare e civile...». Proseguo, citando 
                  dal libro di Rabhi: «Ogni sperpero è proibito dalla 
                  morale sacra in quanto offesa alla natura e ai principi che 
                  la animano [...]Questa sobrietà nell'abbondanza è 
                  una lezione di nobiltà. Pensiamo al magnifico discorso 
                  che il capo indiano Seattle ha indirizzato al presidente degli 
                  Stati Uniti, il quale gli proponeva di acquistare il territorio 
                  del suo popolo [...]: “Io sono un selvaggio e non conosco 
                  altro modo di vivere. Ho visto un migliaio di bisonti marcire 
                  nella prateria, abbandonati dall'uomo bianco che li aveva abbattuti 
                  sparando da un treno di passaggio”». 
                  Trovo questa immagine emblematica di tutto ciò che ci 
                  ha portato alla condizione in cui siamo, e siamo ancora lì, 
                  soltanto con strumenti molto più pericolosi dei fucili 
                  (vedi il nucleare di cui sopra). L'inutile sterminio della vita 
                  (inquinamento del suolo e dei mari, sfruttamento delle risorse 
                  fossili, deforestazione, guerre su guerre e poi, come ciliegina 
                  sulla torta, il nucleare, civile e militare) sembra non aver 
                  fine. Una parte potente dell'umanità è assolutamente 
                  folle e la nostra specie, insieme a tante altre, è a 
                  rischio d'estinzione. 
                  È una lotta impari e tanto vale arrendersi, verrebbe 
                  da dire. Invece sono proprio figure come quella di Pierre Rabhi 
                  – e molte altre affini, anche in ambiti diversi, magari 
                  poco conosciute, ma che esistono e lavorano – che ci sostengono 
                  nello sforzo di opposizione. Sono loro a costituire lo zoccolo 
                  duro che rema al contrario, che alla distruzione oppone costruzione 
                  di realtà vitali e pensiero intelligente, che permette 
                  all'umanità intera di non precipitare completamente nel 
                  baratro. Esempi di persone normali che hanno iniziato ad agire 
                  partendo dalla propria vita, scegliendo di non rinunciare alla 
                  propria libertà in cambio di denaro, inventori di strategie 
                  della sopravvivenza. 
                  «La sobrietà felice non può ridursi ad un'attitudine 
                  individuale, ripiegata su se stessa. Partendo da uno stile di 
                  vita personale, siamo tassativamente invitati a lavorare per 
                  la sobrietà nel mondo. Passare dalla logica del profitto 
                  senza limiti a quella della vita è una questione di cambiare 
                  paradigma, come dicono gli scienziati. [...] Rifondare il futuro 
                  sulla logica della vita implica innanzitutto rinunciare ai miti 
                  fondatori della modernità, incompatibili con tale proposito. 
                  [...] Cambiare paradigma significa, secondo le nostre aspirazioni, 
                  mettere l'uomo e la natura al centro delle nostre preoccupazioni 
                  e mettere tutti i mezzi di cui disponiamo al loro servizio. 
                  [...]”Solo dopo che l'ultimo albero sarà stato 
                  tagliato, che l'ultimo fiume sarà stato avvelenato, che 
                  l'ultimo pesce sarà stato catturato, solo allora scoprirete 
                  che il denaro non si mangia”. Questa profezia è 
                  pura intelligenza, quella delle popolazioni autoctone, primitive, 
                  tradizionali, poco importano gli aggettivi». 
                  Sarebbe utile che ognuno di noi invece che vivere “come 
                  sempre” facesse della propria quotidianità il campo 
                  di sperimentazione, sarebbe utile ricavare le teorie dal confronto 
                  delle pratiche, sono molti quelli che ci stanno provando e anche 
                  su queste pagine sono comparse diverse testimonianze in tal 
                  senso, ma ciò che un libro come questo sollecita è 
                  l'estensione a macchia d'olio, qualcosa che abbia la forza di 
                  allargarsi e allargarsi. La forza dei piccoli che fanno la loro 
                  parte. 
                 Silvia Papi 
                     Rudolf 
                  Rocker, 
                  ovvero l'importanza della cultura per la liberazione 
                 David 
                  Bernardini, l'autore del libro Contro le ombre della notte. 
                  Storia e pensiero dell'anarchico tedesco Rudolf Rocker (Zero 
                  in condotta, Milano, 2014, pp. 148, € 12,00) che scrive 
                  di aver incontrato Rocker per caso, ha colmato una lacuna nel 
                  panorama storiografico italiano relativo al rivoluzionario tedesco, 
                  che fu protagonista delle principali vicende dell'800 e della 
                  prima metà del 900. Trattare di Rocker vuol dire trattare 
                  di un vasto periodo storico, che si snoda dalla presenza di 
                  Bismark in Germania, all'avvento del secondo dopoguerra. Il 
                  libro di Bernardini è prevalentemente rivolto agli aspetti 
                  biografici del pensatore e militante, ma non esclude la descrizione 
                  del più maturo pensiero di Rocker, quale emerge dall'opera 
                  maggiore Nazionalismo e Cultura. 
                  La biografia di Rocker consente al lettore di comprendere come, 
                  in Rocker, si sia sviluppato il concetto, profondamente caratterizzante 
                  la sua teoria dell'anarchismo, della cultura, intesa come valore, 
                  che ha una funzione emancipatrice, antitetica al potere. Il 
                  libro individua le basi della formazione di Rocker nella Germania 
                  bismarckiana, percorsa dalla prime scissioni a sinistra di gruppi 
                  consistenti di giovani socialdemocratici, mentre nella clandestinità 
                  sono diffuse le letture degli scritti di Bakunin, che suscitano 
                  entusiasmi nell'ambiente politico nel quale Rocker muove i suoi 
                  primi passi. A 19 anni Rocker, per le sue idee politiche, è 
                  costretto ad emigrare prima a Parigi, nel periodo tempestoso 
                  della propaganda del fatto e successivamente a Londra, dove 
                  vive e milita, diventando il portavoce dei lavoratori ebrei, 
                  avendo studiato l'yiddish a Parigi e votandosi alla loro causa. 
                  Massimo Ortalli nel libro Ritratti in piedi, dialoghi tra 
                  storia e letteratura, Imola, 2013, in Un giovedì 
                  da anarchici. Attorno all'uomo che fu Giovedi di Gilbert 
                  Keith Chesterton (1908 pag 434), scrive che nei primi anni del 
                  900 “a Londra vivevano ed operavano personaggi quali ad 
                  es. Kropotkin, Malatesta, Rocker, Malato, Tcherkesow, Shapiro, 
                  Tarrida del Marmol”, ... ossia a dire gli esponenti più 
                  noti dell'anarchismo internazionale. 
                  Max Nettlau in Histoire de l'anarchie Paris (p. 235) 
                  scrive che negli ultimi anni dell'800 “uno dei movimenti 
                  anarchici europei fra i più intensi e diffusi fu quello 
                  degli ebrei dell'antica Russia e della Galizia austriaca, che 
                  parlavano l'yiddish, cioè un tedesco mischiato a numerose 
                  parole ebree e slave. Gli emigrati ebrei hanno creato dei forti 
                  movimenti operai, soprattutto a Londra e negli Stati Uniti; 
                  socialisti dal 1885 circa, in gran parte anarchici dal 1890, 
                  provvisti di giornali di lunga durata, di opuscoli, di traduzioni. 
                  La Rivista Germinal fu redatta da Rudof Rocker che, attirato 
                  da questo movimento, seppe dominare la lingua parlata e scritta”. 
                  Sono anni fondamentali nella formazione di Rocker, inserito 
                  nel mondo cosmopolita della immigrazione, bruscamente interrotti 
                  dallo scoppio della I guerra mondiale. L'ondata di sciovinismo, 
                  che si abbatte su tutti quei cittadini che, anche naturalizzati 
                  inglesi da generazioni, provengono dai Paesi belligeranti con 
                  l'Inghilterra, e la Germania è fra questi, non risparmia 
                  Rocker e la sua famiglia, dividendola per la durata della guerra 
                  e imprigionando Rocker, con i suoi connazionali, nei campi di 
                  concentramento allestiti dal governo inglese per i nemici interni. 
                  La cura dettagliata con la quale Bernardini descrive il periodo 
                  londinese, le traversie che seguono all'internamento e la successiva 
                  esperienza, una volta rientrato Rocker in Germania nel primo 
                  dopoguerra, del sorgere e dell'avvento del nazismo mette in 
                  grado il lettore di capire perché Rocker attribuirà, 
                  nella sua opera maggiore, prioritaria importanza alla cultura 
                  per l'emancipazione degli individui e dei popoli. 
                  Cultura della libertà, intesa come strumento forgiato 
                  per opporsi al fanatismo ideologico, dalle caratteristiche populiste, 
                  promosso dal potere, che Rocker riscontrerà di nuovo 
                  operativo sia nella marcia di conquista del nazismo in Germania 
                  che nel suo suggello elettorale. Alla opposizione in linea di 
                  principio, se non all'ostilità di Rocker nei riguardi 
                  della democrazia, e nello specifico delle democrazie occidentali, 
                  impotenti per anni di fronte al sorgere del fascismo e del nazismo, 
                  fa riscontro un vero entusiasmo per il classico pensiero liberale, 
                  del quale Rocker ha illustrato la variante nord-americana nel 
                  libro I pionieri della libertà. 
                  Con la precisazione però che, come scrive Cesare Zaccaria, 
                  nella introduzione al primo volume di Nazionalismo e Cultura 
                  nell'edizione del 1960, “È ovvio che quando Rocker 
                  parla di “liberalismo” come di un movimento che 
                  si separa dalla democrazia e che solo fino ad un certo punto 
                  trova sede nei movimenti socialisti, egli ha in mente i liberali 
                  delle società anglosassoni, non certo i conservatori 
                  nostrani che per noi si mascherano con tale nome”. 
                  L'autore ci mostra come, arrivato dopo il periodo inglese nella 
                  Germania della rivoluzione dei consigli, sorta nel vuoto di 
                  potere seguito alla sconfitta bellica, Rocker contribuisce, 
                  nel congresso tenuto tra il 27 e 30 dicembre 1919 a Berlino, 
                  dalla Libera Unione dei Sindacati tedeschi, all'importante dichiarazione 
                  dei Principi dell'anarcosindacalismo, che si richiama esplicitamente 
                  ai postulati di Saint-Imier. Rocker resta attivissimo durante 
                  la Repubblica di Weimar, battendosi contro il bolscevismo e 
                  le sue persecuzioni antianarchiche e contro il sorgente nazismo, 
                  finchè in circostanze drammatiche, appena insediatosi 
                  Hitler, riesce a sfuggire al nazismo e giungere negli Stati 
                  Uniti, con la compagna ed i figli. 
                  La biografia di Rocker, come scritta dall'autore, non trascura 
                  la personalità di Milly e non la appiattisce nella funzione 
                  di compagna devota, ma la descrive nelle sue relazioni con il 
                  compagno e con il movimento nord-americano ed internazionale, 
                  nonché nella sua autentica personalità e nella 
                  sua tenacia nelle idee condivise con il compagno. 
                  Il rifugio americano è l'ultima tappa dell'esistenza 
                  di Rocker. Con la sua morte il 10/9/1958 non termina la vita 
                  delle sue idee, racchiuse soprattutto nella sua opera maggiore, 
                  che è stata tradotta nella maggior parte delle lingue 
                  del mondo. Senza doversi chiedere ancora se l'anarchismo di 
                  Rocker sia di derivazione liberale o bakuninista, perché 
                  in effetti deriva da ambedue le fonti, è da sottolineare 
                  il suo messaggio universale di condivisione delle sorti dei 
                  più oppressi, come Rocker testimoniò con tutta 
                  la sua vita. Nelle sue memorie Rocker ricorda “gli anarchici 
                  di origine tedesca e francese dei quartieri occidentali di Londra” 
                  che, durante la prima guerra mondiale allestiscono le cucine 
                  economiche “per aiutarsi e soccorrersi vicendevolmente, 
                  mentre nel continente migliaia di proletari, eseguendo gli ordini 
                  dei loro governi, cercavano di togliersi l'un l'altro la luce 
                  della vita” (p. 65, Contro le ombre della notte). 
                  La capacità di pensare per vasti orizzonti, che Rocker 
                  ebbe in sommo grado, pur essendo allo stesso tempo ben radicato 
                  nelle lotte quotidiane di base, a Londra come in Germania, a 
                  Parigi come negli Stati Uniti, venne colta con acutezza e lungimiranza 
                  da Aurelio Chessa nella sua introduzione al libro di Rocker 
                  “Artisti e Ribelli Scritti letterari e sociali”. 
                  Aurelio Chessa, che pubblicò questo libro nel 1996 scrisse, 
                  fra l'altro che; “la lettura di questo testo offre l'occasione 
                  di conoscere alcune delle caratteristiche fondamentali e originarie 
                  dell'anarchismo internazionale a cavallo tra 800 e 900. In particolare 
                  gli scritti di Rocker rappresentano una critica stringente e 
                  puntuale delle correnti socialdemocratiche e autoritarie presenti 
                  nel movimento operaio. Esse, in un periodo storico come quello 
                  attuale, in cui un imperante conformismo tende a distruggere 
                  ogni sana aspirazione all'uguaglianza e alla libertà, 
                  possono rappresentare un importante riferimento ideale per le 
                  giovani generazioni”. 
                 Enrico Calandri 
                     Una 
                  storia mondiale 
                  dell'anarchia 
                Quasi trecento pagine per raccontare e documentare un'appassionante 
                  e coinvolgente storia mondiale dell'anarchia. Lo fa Gaetano 
                  Manfredonia in un libro fresco di stampa (Histoire mondiale 
                  de l'anarchie, Arte Editions/ Editions Textuel, Parigi, 
                  2014, pp. 288, € 45,00). In un'elegante veste tipografica 
                  il volume, con centinaia di foto e immagini di grande qualità 
                  a colori e in bianco e nero, ripercorre la storia dell'anarchia 
                  dalle origini ai giorni nostri. 
                  Dal 1789, l'anno della rivoluzione francese che l'autore considera 
                  la maggiore rottura rivoluzionaria nella storia contemporanea 
                  e un ponte tra le idee e la pratica anarchica, fino alla caduta 
                  del muro di Berlino, Manfredonia ci offre - con una straordinaria 
                  e intelligente capacità di sintesi - l'essenziale dei 
                  valori, delle idee e delle lotte degli anarchici. Dall'Italia 
                  alla Francia, dalla Spagna alla Russia, dall'Argentina gli Stati 
                  Uniti, dall'Egitto a Israele, dalla Cina al Giappone nel volume 
                  si trova per la prima volta insieme la storia mondiale degli 
                  anarchici e dell'anarchia, attraverso storie e vicende di uomini 
                  e di donne, attraverso le copertine dei libri e le prime pagine 
                  dei giornali in ogni lingua, compreso un periodico anarchico 
                  in lingua yiddis, Arbeter fraynt, pubblicato a Londra 
                  dal 1885 al 1914. Una storia di passione e di partecipazione 
                  disinteressata, che si intreccia con persecuzioni e sacrifici, 
                  che non ha eguali nelle altre storie del pensiero politico, 
                  in quanto l'anarchico, in qualunque latitudine e longitudine, 
                  non ha mai lottato per conquistare un qualsiasi potere o per 
                  interessi personali, ma esclusivamente per la libertà 
                  di tutta l'umanità. 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Gaetano Manfredonia  | 
                   
                 
                
                  La qualità e la varietà dell'iconografia conferisce 
                  a questo volume, del quale si auspica anche un'edizione italiana, 
                  un carattere speciale di tensione politica e di documentazione 
                  storica ed archivistica: le foto, le riproduzioni di lettere 
                  e di manoscritti, di canzoni e di caricature, che provengono 
                  da vari archivi anarchici, sparsi nel mondo, testimoniano in 
                  maniera eloquente come l'anarchismo ha contributo a fare evolvere 
                  e a far migliore la società e la vita, rivendicando e 
                  difendendo i valori dell'autonomia, della libertà e della 
                  solidarietà tra tutti gli uomini. Documenti inediti e 
                  vivi, perché parlanti nel loro silenzio, rimettono in 
                  scena uomini e donne che, nel loro contesto sociale e politico, 
                  hanno costruito con coerenza le tappe storiche di un cammino 
                  di libertà. Il volume affronta anche tematiche di grande 
                  interesse e ancora oggi dibattute, come l'individualismo e l'insurrezionalismo, 
                  il collettivismo e l'illegalismo, il sindacalismo, la geografia, 
                  la morale, la solidarietà, il femminismo, ecc. 
                  Il volume è diviso in tre parti. Nella prima parte, dalle 
                  origini al 1914, si parla dell'anarchia e dell'anarchismo, delle 
                  rivolte individuali e delle azioni collettive e di come cambiare 
                  l'individuo per cambiare la società. La seconda parte 
                  riguarda gli anarchici tra guerra e rivoluzione nella morsa 
                  delle due guerre mondiali, la loro opposizione alla guerra e 
                  il loro pacifismo al di sopra delle frontiere, la loro opposizione 
                  concreta al fascismo, al nazismo, al franchismo e al bolscevismo. 
                  La terza parte è dedicata alla continuità della 
                  lotta anarchica, per costruire un mondo nuovo e libero, soffermandosi 
                  sulla difficile ricostruzione del movimento anarchico, sul dopo 
                  franchismo, su Cuba libera, sui kibboutz israeliani, sulle lotte 
                  anticoloniali, sulle lotte per l'obiezione di coscienza al militarismo 
                  fino al maggio 68 e all'ecologia sociale. Una panoramica quanto 
                  mai interessante, nel corso della quale incontriamo - giusto 
                  per citare qualche nome tra i tanti - Charles Fourier, Joseph 
                  Produdhon, Michele Bakunin, Eliseo Reclus, John Most, Max Nettlau, 
                  Errico Malatesta, Nestor Makhno, Rudolf Rocker, Francisco Ferrer, 
                  Pietro Kropotkin, Pietro Gori, Louis Leçoin, Luisa Michel, 
                  Emma Goldman, Voltairine De Cleyre, Leda Rafanelli, Giovanni 
                  Rossi, Giuseppe Pinelli, Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti. 
                  Anche se pubblicato da due case editrici francesi, il libro 
                  è stato stampato da una tipografia italiana e Gaetano 
                  Manfredonia è un anarchico italiano di origini foggiane, 
                  che da molti anni vive e lavora in Francia come professore di 
                  scienze economiche e direttore delle biblioteche territoriali 
                  e della Biblioteca de la Corrèze e, oltre a collaborare 
                  alla stampa anarchica, ha pubblicato in lingua francese ricerche 
                  su Luigi Fabbri, sulle canzoni anarchiche e nel 2001 il volume 
                  L'anarchismo in Europa. 
                  Per le richieste, www.arteboutique.com 
                  oppure www.editionstextuel.com. 
                 Giuseppe Galzerano 
                     Dalla 
                  parte 
                  dei contadini di Biancavilla 
                Quella di Antonio Bruno è stata una delle più 
                  singolari e originali delle esperienze letterarie siciliane 
                  del secolo scorso, iniziata ormai più di cento anni fa, 
                  nel 1913, con la pubblicazione dei suoi due primi libri: il 
                  saggio Come amò e non fu riamato Giacomo Leopardi 
                  e la raccolta di poesie dal titolo More di macchia. 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Antonio Bruno  | 
                   
                 
                
                  Nato a Biancavilla, in provincia di Catania, il 1891, unico 
                  figlio di una famiglia nobile e agiata, Bruno, dopo un'approfondìta 
                  formazione scolastica ricevuta al Convitto Cutelli di Catania, 
                  sotto il magistero del docente e scrittore Francesco Guglielmino, 
                  vivifica i suoi interessi letterari, che poggiano sulla solida 
                  e ben assimilata conoscenza dei classici, guardando al suo tempo 
                  e appassionandosi alle poetiche, ai proclami e ai poemi dei 
                  futuristi che sembrano infiammare, con la loro diffusa presenza, 
                  città e paesi della Sicilia intera; che sono attivi nella 
                  Catania colta e aperta al nuovo che lui frequenta e finanche 
                  nella più vicina e piccola cittadina di Regalbuto, distante 
                  pochi chilometri da Biancavilla, dove proprio nel 1913 si reca 
                  Filippo Marinetti e vi trova un circolo di poeti futuristi che 
                  lo meravigliano per vivacità e creatività, tanto 
                  che, preannunciando in una lettera ad Aldo Palazzeschi che gli 
                  parlerà di loro, lo informa, intanto, che 'fanno cose 
                  da pazzi'. Approdato, quindi, con convinzione e fervore, al 
                  futurismo, Bruno ne diventerà ben presto uno dei migliori 
                  e più partecipi esponenti. Contribuerà a fondare, 
                  a Catania, la rivista Pickwick, il prodotto più raffinato 
                  dell'avanguardia letteraria della città; poi, lasciata 
                  la sua terra odiata-amata e stabilitosi a Firenze, parteciperà 
                  alla redazione de L'Italia futurista, la rivista diretta da 
                  Emilio Settimelli, e nel 1917, scriverà Fuochi di bengala, 
                  uno dei suoi libri migliori - un originalissimo collage di poesie 
                  visive, di pagine di diario, di lamentazioni e provocazioni 
                  e di canti che esaltano l'amore-passione contro le limitazioni 
                  della morale piccolo-borghese, perbenista e provinciale del 
                  suo tempo - che accrediterà il suo genio letterario, 
                  non solo nell'ambiente degli scrittori futuristi ma in generale 
                  nel più vasto mondo della cultura e della critica letteraria 
                  italiana. 
                  A testimoniare gli auguri, gli apprezzamenti e i commenti entusiastici 
                  di scrittori e intellettuali, di vario orientamento culturale, 
                  per questa sua opera e in generale per la sua raggiunta eccellenza 
                  poetica - che rimase però allora, e lo è ancora 
                  oggi, poco conosciuta e valorizzata - sono le carte d'archivio 
                  di Antonio Bruno, recuperate qualche anno fa e adesso conservate 
                  (e messe a disposizione del pubblico e degli studiosi) alla 
                  Biblioteca Comunale di Biancavilla. Artefice dell'operazione 
                  di ritorno al luogo d'origine dei documenti di Bruno, è 
                  stato il cultore di storia locale Placido Sangiorgio, che si 
                  è adoperato affinchè un parente dello scrittore, 
                  Alfio Fiorentino, donasse, nel 2011, al Comune di Biancavilla, 
                  il prezioso tesoro cartaceo che suo nonno aveva ereditato, settantanove 
                  anni prima, dallo scrittore. Lo stesso Sangiorgio ha curato, 
                  sempre nel 2011, la pubblicazione di un bel volume che riproduce 
                  buona parte delle 'carte segrete' che testimoniano della suggestiva 
                  'avventura futurista' di Antonio Bruno e che svelano quanto 
                  ampio e variegato fu il coro di giudizi positivi nei confronti 
                  del suo libro Fuochi di bengala, espressi, in accorate lettere, 
                  da Ada Negri ('vi è una vellutata delicatezza nelle pagine 
                  che lei scrive, vi sento il tocco di un'arte fine, il palpito 
                  di un cuore ancora bambino, gli accenti di una meravigliata 
                  sensibilità'), da Giuseppe Borgese ('le sue pagine sono 
                  piene d'ingegno'), da Dino Campana ('il vostro libro mi piace 
                  perché c'è la saldezza della tempra aristocratica 
                  che è necessaria per salvare il carattere nella letteratura'), 
                  da Giovanni Verga ('ancora molto lei potrebbe darci, anche senza 
                  gli astrattismi futuristici perché il futuro è 
                  in lei') e da tanti altri. 
                  Ma le carte inedite del poeta di Biancavilla offrono la possibilità 
                  di 'leggere' tutto il suo articolato e difficile percorso umano 
                  e poetico. Vi si trovano, infatti, le tracce del suo rapporto 
                  problematico con il paese natio (dove, come gli scrisse, sapendo 
                  di compiacerlo, il suo amico Filippo Leocata 'le anime d 'eccezione 
                  vengono torturate da un' intellettualità grottesca, da 
                  un' imbecillità diffusa e da una delinquenza imperante') 
                  che lo portò per tutta la sua breve vita a fughe disperate 
                  e liberatorie (a Firenze, a Parigi) e a nostalgici ritorni, 
                  quasi sempre deludenti; i numerosi abbozzi di trame e spunti 
                  narrativi; le lettere a donne amate a lungo e follemente e ad 
                  altre che gli furono compagne di poche ore (e quelle, sempre 
                  affettuose indirizzate ai suoi genitori); i disegni e gli schizzi 
                  di futuristiche parole in libertà; tanti fogli di diario; 
                  le diverse testimonianze sulla sua produzione letteraria migliore 
                  (Un poeta di provincia, 50 lettere d'amore alla signorina Dolly 
                  Ferretti, etc.) e sulla sua attività di traduttore (di 
                  un' opera del francese Pierre Louys e del celebre racconto Il 
                  corvo di Edgar Allan Poe); le corrispondenze importanti con 
                  l'artista Giacomo Balla, con Giuseppe Ungaretti etc., ed anche 
                  i reperti grafici e testuali del suo degli ultimi anni della 
                  sua vita (a cui deciderà di porre fine con il suicidio, 
                  avvenuto nel 1932 nella stanza di un modestissimo albergo di 
                  Catania) quando proverà a scrivere un poema dai versi 
                  visionari, utopici e anarchici che intitolò Canti Nuziali 
                  di Maria d'Albaville ad Antonio il Bruno all'alba della Terra 
                  Nuova,, firmandolo con lo pseudonimo di Conte d'Alberville. 
                  Inoltre, il volume, tra tanto e interessante materiale documentario, 
                  riporta anche gli scritti del giovanissimo Bruno, dove l'entusiasmo 
                  per le lettere e le arti si coniugava con la passione politica 
                  e la difesa degli umili e degli oppressi che lo scrittore vedeva 
                  concretamente nei contadini delle campagne di Biancavilla, ai 
                  quali, mostrando la sua sensibilità umana e i suoi convincimenti 
                  egualitari, rivolgeva così le sue parole in un manifestino 
                  pubblico scritto a difesa dei loro diritti e fatto stampare 
                  a sue spese: 'Voi mi piacete quando soggiorno nel luogo dove 
                  sono nato, perché solo in Voi, nei vostri cuori semplici, 
                  vivono per istinto il senso della giustizia e della bontà 
                  che l'uomo porta con sè dalla nascita, e che la società 
                  coi suoi ordinamenti stabiliti dai più potenti e dai 
                  più crudeli rende inutili e dannosi, in una necessità 
                  immorale di lotta per l'esistenza, non dell'uomo contro la natura 
                  inclemente e avara dei suoi beni, ma dell'uomo contro l'altro 
                  uomo, al fine di sopraffarlo e di godere del lavoro di lui e 
                  della sua sopraffazione'. 
                  A più di cent'anni dal suo inizo, l'avventura poetica 
                  di Bruno meriterebbe sicuramente maggiore fama e diffusione 
                  e lo studio ulteriore delle sue carte, consultabili nella sede 
                  della biblioteca di Biancavilla, potrebbe ben servire allo scopo. 
                 Silvestro Livolsi 
                     Poesie 
                  dal profondo carcerario 
                La narrazione in forma poetica della realtà carceraria 
                  è la proposta di questo breve, ma intenso contributo 
                  di Maria Grazia Greco (Matricola n. 20478. Il carcere che 
                  si prende la vita, Sensibili alle Foglie, Cuneo, 2014, pp. 
                  96, € 14,00). 
                   Interessi 
                  su tematiche dell'emarginazione, del disagio sociale e attività 
                  di impegno civile hanno portato di recente l'autrice a decidere 
                  di lavorare come docente a Rebibbia, nel reparto G12-Alta Sicurezza. 
                  Il reparto speciale per mafiosi, camorristi, narcotrafficanti, 
                  per chi è condannato a “fine pena mai”. E 
                  nel reparto G9, quello dei pedofili e stupratori dove chi ci 
                  arriva è emarginato anche dal codice non scritto dagli 
                  stessi carcerati. 
                  
                   “Perché mi avete messo qua 
                    nel reparto speciale 
                    il reparto degli infami 
                    dei paria 
                    degli 'intoccabili' 
                    quelli scansati schifati da tutti 
                    pederasti spie stupratori guardie infedeli 
                    Superiore, te l'ho detto! 
                    Non sono un pederasta, io! 
                    Sì che lo sei. 
                    Se c'è scritto qui è vero.” 
                 
                 Un'esigenza di riflessione e di denuncia, un'altra voce che 
                  decide di restituire attraverso parole in versi la non-vita 
                  del carcere. La lettura, la cantabilità, l'accostamento 
                  più intimo dei versi liberi contribuiscono ad elaborare 
                  nell'immaginario la realtà dei reietti umani. 
                  Uno spiraglio, la scelta di sedersi tra i banchi di scuola in 
                  un carcere. Volontà di elevazione culturale e intellettuale, 
                  e insieme aspirazione al reinserimento nella società. 
                  Un'altra possibilità di vita, una volta scontata la pena: 
                  
                   “la scuola in carcere è un'opportunità 
                    che non si può, 
                    che non si deve perdere 
                    un possibile orizzonte d'umanità, 
                    di elevazione 
                    per chi impara e per chi insegna, 
                    per voi che apprendete da noi 
                    per noi 
                    Sì, anche per noi” 
                 
                 Una pena che suona come una vendetta. Senza speranza. Senza 
                  appello. Ogni istante là, sottratti alla vista, in celle 
                  3x4, si muore di carcere. 
                   
                  “Superiore, se mi lasciate qui con i pederasti...
                 
                   Io...IO M'IMPICCO 
                     
                    E Impiccati! 
                    Sai che perdita? 
                    Solo uno dei tanti 
                    Solo un rifiuto di meno 
                    Un rifiuto puzzolente di meno!” 
                 
                 Una scrittura immediata e profonda, ricca di forza che costringe 
                  a pensare. Parole per un teatro civile, capace di smuovere le 
                  coscienze e svelare allo sguardo pubblico la disumanizzazione 
                  in atto. 
                 Claudia Piccinelli 
                   
                   
                    Alle 
                  origini
                   dell'anarcha-feminism  
                Nel suo libro La donna più pericolosa d'America (La 
                  Fiaccola, Ragusa, 2014, pp. 112, € 12,00), Pamela Galassi 
                  spiega le motivazioni che la portano a considerare l'anarchica 
                  Emma Goldman come la “epioniera del femminismo contemporaneo”. 
                  Ritenuta una delle prime militanti femministe, durante l'arco 
                  della propria vita si prodigò affinché la questione 
                  dell'emancipazione della donna potesse considerarsi argomento 
                  di assoluta importanza, soprattutto all'interno dei movimenti 
                  radicali. 
                  In forte e aperto contrasto con i movimenti suffragisti dell'epoca, 
                  concentrati principalmente sull'acquisizione del diritto di 
                  voto e da lei giudicati “da salotto”, promulgò 
                  la necessità per le donne di un'emancipazione dagli agenti 
                  esterni (patriarcato, restrizioni economiche, restrizioni politiche) 
                  e interni (moralismi), ma anche dalla stessa idea di emancipazione 
                  proposta dalle aderenti al movimento suffragista. 
                   “Goldman, 
                  partendo dalla convinzione che l'indipendenza delle donne prenderà 
                  il via da una rigenerazione dell'individuo-donna non solo a 
                  livello esteriore, attraverso miglioramenti economici e politici, 
                  ma anche, anzi soprattutto, interiore, da una trasformazione 
                  del modo di pensare, afferma che per liberarsi dagli ostacoli 
                  esteriori e interiori è necessario opporsi al dominio 
                  che le istituzioni esercitano sui corpi e le menti, un dominio 
                  che distorce la personalità, che porta alla passività, 
                  all'omologazione. All'interno del processo di rottura da questa 
                  dipendenza economica e psicologica, il tema della sessualità 
                  diviene centrale soprattutto per l'individuo-donna, secolarmente 
                  oppressa dal patriarcato e dalla morale puritana”. 
                  L'autrice sottolinea come il femminismo di Goldman sia diretta 
                  espressione della tipologia di anarchismo di cui si faceva promotrice 
                  e che poneva l'individuo al centro della società. Per 
                  lei, ogni singolo doveva liberarsi da coercizioni di qualsiasi 
                  natura poiché solo in questo modo la rivoluzione avrebbe 
                  potuto compiersi. “L'individuo [...] necessita di operare 
                  una profonda liberazione personale, in quanto mutamento personale 
                  e mutamento sociale sono due elementi inscindibili di un unico 
                  processo rivoluzionario”. 
                  Affinché una rivoluzione potesse avvenire, era indispensabile 
                  il verificarsi dell'affrancamento da tutte le imposizioni che 
                  non permettevano a uomini e donne di vivere liberamente. Per 
                  Goldman, quindi, la questione femminile era elemento indispensabile 
                  per una rivoluzione sociale. Questa sua convinzione la portò 
                  a scontrarsi con molti compagni anarchici e appartenenti a movimenti 
                  radicali convinti che, una volta sovvertito l'ordine sociale 
                  e politico, l'emancipazione della donna sarebbe avvenuta naturalmente. 
                  Per loro era un errore porre la questione femminile al centro 
                  delle battaglie; tutti gli sforzi sarebbero dovuti essere riposti 
                  nella causa dei lavoratori, mettendo da parte, temporaneamente, 
                  il femminismo. 
                  Impegnatissima in campagne di informazione e propaganda, i temi 
                  di cui si trovò a dibattere furono la prostituzione, 
                  l'amore libero, il matrimonio, la libertà sessuale, la 
                  maternità, il controllo delle nascite e i metodi contraccettivi. 
                  Convinta che non potesse esserci progresso senza educazione, 
                  il suo impegno in campo informativo e divulgativo fu molto forte. 
                  Il volume di Pamela Galassi fornisce un quadro delle idee di 
                  Emma Goldman in ambito femminista; dalle idee che l'hanno influenzata, 
                  fino allo sviluppo del suo pensiero, alle battaglie combattute 
                  e ai temi affrontati che hanno fatto di Goldman una delle anarcha-feminists 
                  più combattive del suo tempo. 
                 Carlotta Pedrazzini 
                   
                   
                   Al di qua e al di là 
                  della pena di morte 
                Abbraccia un albero per me di Christine Kaufmann (Effigie 
                  edizioni, Milano, 2014, pp. 127, € 15,00), non è 
                  solo un libro di accusa sull'atrocità e assurdità 
                  della pena di morte, ma è anche e soprattutto la storia 
                  di un rapporto intenso e molto intimo. 
                   L'autrice 
                  è una donna tedesca che, dopo aver vissuto nelle isole 
                  greche, in Messico, alle Canarie e in Costa Rica (dove conosce 
                  un italiano che sarà il compagno della sua vita), si 
                  stabilisce nell'entroterra framurese, in una casa di pietra 
                  che ha più di mille anni. È una scelta drastica 
                  ma coerente con il loro modo di sentire la vita. Tanti animali, 
                  galline, cavalli e cani, il tutto immerso nella quiete di un 
                  bosco meraviglioso. Nessuna televisione. Il luogo ideale per 
                  far nascere e crescere i loro tre figli. 
                  Nel dicembre 1999, in seguito alla lettura dei racconti per 
                  bambini scritti da Running Bear ai propri figli, e sollecitata 
                  da un'associazione che si occupa di diritti umani, Christine 
                  dà il via a una fitta corrispondenza con lo stesso Running 
                  Bear, un indiano Cherokee rinchiuso nella prigione di San Quentin 
                  dal 1976. 
                  Non è uno stinco di santo. Questo va detto subito. Per 
                  quanto a lui piacesse descriversi come un Robin Hood Cherokee, 
                  si trova in prigione perché ha commesso diverse rapine. 
                  Ma non ha mai ammazzato nessuno pertanto sta scontando “solo” 
                  l'ergastolo, e non è nel braccio della morte. Quando 
                  uno dei suoi figli sarà arrestato per omicidio, verrà 
                  convinto di indicare il padre come mandante per evitare a se 
                  stesso la pena di morte. Tanto lui è già in 
                  prigione, gli dicono. Peccato che la deposizione del figlio 
                  farà sì che il padre venga trasferito tout court 
                  nel braccio della morte e a nulla varranno i tentativi del figlio 
                  di ritrattare per evitare un'ingiustizia del genere. 
                  Sin dall'inizio le lettere tra Christine e Running Bear (già 
                  nel braccio della morte) sono intense, profonde e intime, e 
                  tra i due si cementa un'amicizia memorabile. Credo che la scelta 
                  di vita di lei le consentano di entrare in sintonia con lo spirito 
                  di lui. Entrambi capiscono visceralmente il senso di libertà 
                  che può dare il vento tra i capelli durante una passeggiata 
                  a cavallo, il piacere del contatto dei piedi nudi con la madre 
                  terra, l'energia che si sente ad abbracciare un albero. 
                  Comunque, sebbene il linguaggio usato per scrivere le lettere 
                  da parte di entrambi sia essenziale, senza fronzoli ed espedienti 
                  letterari, si ha l'impressione di essere ora sulla spalla dell'uno 
                  ora su quella dell'altra, ad ascoltare i racconti della vita 
                  di entrambi. 
                  Lui con la propria vita in prigione, gli scherzi strafottenti 
                  delle guardie e le privazioni, gli acciacchi della vecchiaia, 
                  i consigli fraterni, la sua vita famigliare fatta di lettere 
                  e visite dei figli, la paura di legarsi a qualcuno nel braccio 
                  della morte perché poi te lo strappano via, i riti con 
                  la salvia e le tradizioni Cherokee. 
                  Lei con i suoi sfoghi sui figli che crescono, sugli alti e bassi 
                  con il proprio compagno, le iniziative affinché si parli 
                  della pena di morte, i disegni sui sassi raccolti in spiaggia 
                  per raccogliere soldi. 
                  Poi la decisione di andare a trovarlo. E il fluire delle lettere, 
                  dei segnali di fumo, come li chiama lui, si interrompe per lasciare 
                  posto al racconto di questo primo viaggio e dell'intenso loro 
                  primo incontro in prigione, cui seguono ancora lettere, sempre 
                  più numerose e più intime. Parrebbe uno scambio 
                  di corrispondenza tra un padre e una figlia. Lui sicuramente 
                  andrà a trovarla non appena uscirà di prigione. 
                  Lei non ha mai creduto neanche per un attimo che lui potesse 
                  davvero essere ammazzato. In fondo è anziano e poi ci 
                  sono i ricorsi, devono essere almeno tre prima che si possa 
                  eseguire una sentenza di morte negli Stati Uniti. 
                  E ancora un altro viaggio, e la sfortuna che lui sia in ospedale 
                  per un infarto. Christine è molto contrariata per non 
                  essere stata avvisata, ma forse, per via della sua salute precaria, 
                  davvero l'esecuzione non avverrà mai. Purtroppo non sarà 
                  così, e l'ottimismo lascerà il posto all'amarezza 
                  di constatare che l'avvocato d'ufficio non ha combinato praticamente 
                  nulla, all'impotenza e alla consapevolezza che un povero indiano 
                  non ha possibilità di difendersi nel paese che si vanta 
                  di essere la più grande democrazia al mondo. Viene stabilito 
                  il giorno dell'esecuzione. 
                  A questo punto Christine deve fare i conti con lo sgomento. 
                  È arrivato il momento di tenere fede a una promessa fatta 
                  quando l'esecuzione pareva essere un'ipotesi remotissima. Tutti 
                  le diranno che è pazza. Che è una follia. Ma lei 
                  ha deciso: presenzierà all'esecuzione. All'assurda realtà 
                  dell'esecuzione. La crudeltà delle guardie, la forza 
                  di Running Bear che accetta di compiere quell'ultimo passo sulle 
                  sue gambe, i dimostranti nativi che cantano davanti all'ingresso 
                  del carcere per salutare un fratello. 
                  Ed è qui che Christine decide di scrivere la sua personalissima 
                  condanna della pena di morte riuscendo ad esprimerne l'assurda 
                  inumanità. 
                 Eugenia Lentini 
                   
                   
                 
                 Anarchico, 
                  fabbro,
                   proletario 
                Un libro di Claudio Venza e Clara Germani, L'anarchico triestino, 
                  edito da Odradek nel 2011, ci aveva fatto conoscere la vita 
                  del fabbro Umberto Tommasini (Vivaro del Friuli, 1896/1980), 
                  militante “di base” costretto dalle circostanze 
                  – il fascismo, la guerra di Spagna, lo stalinismo – 
                  alla prigione e al confino (a contatto con Gramsci e con Bordiga), 
                  all'esilio in Francia, e alla partecipazione convinta e dalla 
                  parte giusta alla guerra civile spagnola, dove era stato vicino 
                  a Durruti al tempo della breve estate dell'anarchia, 
                  (titolo del libro più bello di Enzensberger) e soprattutto 
                  a Berneri (di qui la sua motivata ostilità, protratta 
                  nel tempo, verso il comunista triestino Vidali, emissario del 
                  Pcus e repressore degli anarchici, a lungo considerato dai comunisti 
                  italiani e russi come un eroe). Nel film di Bormann e Toich 
                  (Ivan Bormann, Fabio Toich, An anarchist life) che torna 
                  sulla vita di Tommasini e ne mostra o ricostruisce le vicissitudini, 
                  le immagini di Berneri contrapposte a quelle di Vidali sono 
                  molto eloquenti, i loro sono volti che dicono, che sembrano 
                  corrispondere alle loro anime... 
                  Vita da anarchico, quella di Tommasini, ma anche da fabbro, 
                  da proletario, come risulta dal bel documentario a lungo metraggio 
                  composto con materiali diversi da due giovani triestini, Ivan 
                  Bormann e Fabio Toich, mentre un altro giovane triestino, Fabio 
                  Bobich, commenta la vita spesso sé malgrado avventurosa 
                  di Tommasini con agili disegni animati di “linea chiara”, 
                  dal segno vivo ed essenziale. 
                  I registi hanno giocato sulla diversità e disparità 
                  tra i materiali recuperabili e le riprese ad hoc. Tra 
                  i primi molte foto e una lunga intervista con Tommasini di qualche 
                  anno fa, che ce lo rende vicino e simpatico con la sua faccia 
                  vissuta e pulita, e molte immagini rubate a film e documentari 
                  sulla guerra civile e ad altri, scegliendo tra le meno viste 
                  e le più adeguate. Tra i secondi i commenti di chi l'ha 
                  conosciuto, asciutti ed emozionanti, e quelli veloci e forse 
                  superflui di tre dei non molti artisti che oggi si dichiarano 
                  più o meno anarchici (Celestini, Cristicchi e Cacucci), 
                  lievemente retorici. Nell'incontro conviviale programmato tra 
                  amici conoscenti parenti di Tommasini e ripreso dai due registi 
                  spicca per intima somiglianza un giovane nipote, una maestra 
                  triestina, alcuni vecchi compagni di Umberto, e tra loro c'è 
                  Elis, un fabbro anarchico di oggi che molti lettori di questa 
                  rivista conoscono e apprezzano e che è anche animatore 
                  culturale di rilievo dalle parti di Marghera e di Mestre. L'insieme 
                  è caloroso e simpatico, un degno omaggio alla vita di 
                  un “militante di base” vissuta con pudore e con 
                  coerenza, e per questo esemplare, un modello per tutti e soprattutto 
                  per certi militanti di oggi che amano considerarsi più 
                  di quel che sono e ignorano la virtù (rivoluzionaria) 
                  del sapersi giudicare, in un'idea di militanza piuttosto esteriore, 
                  recitata. Non sembra proprio che Ivan e i due Fabio e il giovane 
                  Tommasini e gli amici del vecchio appartengano a questa categoria 
                  di persone, ed è anche questo uno dei pregi del film. 
                  A esso, se vogliamo trovare dei limiti, possiamo rimproverare 
                  soltanto il titolo inglese, anche se ne capiamo le ragioni in 
                  vista di una possibile circolazione fuori d'Italia, e – 
                  come succede per la maggioranza dei film a impianto documentario 
                  che ci capita di vedere – un montaggio non abbastanza 
                  “stretto”, una tensione che a volte si allenta. 
                  (Ma questo non riguarda il film di cui paliamo, che è 
                  tutt'altro che noioso e la cui visione è sempre appassionante. 
                  Lo diciamo in generale: c'è una sorta di obbligo non 
                  scritto a far durare un film un'ora e mezza di media, per ragioni 
                  di circolazione, e ci sono film che sarebbero molto migliori 
                  se durassero un'ora o mezz'ora e altri che hanno bisogno di 
                  molto più tempo per approfondire il loro progetto. Perché 
                  non devono esserci dei film-poema o dei film-racconto invece 
                  che, sempre, dei film-romanzo, o al massimo dei film-saggio? 
                  È questo un ricatto o una moda di questi anni, che fa 
                  perdere di forza a molte opere degne. La misura di Anarchist 
                  life è però quella giusta.).  
                
                   
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                    |   Umberto Tommasini  | 
                   
                 
                
                  Un motivo invece di grande interesse, oltre a quello della documentazione 
                  e del racconto di storie taciute o censurate del Novecento proletario 
                  e rivoluzionario, è che il film racconti la vitalità 
                  di una storia complessa di un'Italia di più confini, 
                  che come tante storie “di provincia” e di margini 
                  non vengono considerate quanto meritano dai padroni del mercato 
                  della cultura, che stanno a Roma e a Milano. 
                 Goffredo Fofi 
                   
                   
                 
                Brassens 
                  tra Lucania e Francia 
                Una rilettura e una riscoperta del cantautore Georges Brassens 
                  attraverso le sue origini lucane (Mimmo Mastrangelo, Georges 
                  Brassens - il francese lucano, Valentina Porfidio editore, 
                  2013, pp. 90, € 10,00): al già noto profilo biografico 
                  del chansonnier d'oltralpe, scandito e accompagnato da 
                  citazioni delle sue canzoni e corredato da un memoriale degli 
                  autori italiani che a lui si sono ispirati, viene aggiunto un 
                  nuovo “Brassens su misura”, questa volta quasi a 
                  voler rovesciare la prospettiva e rivendicare in poche righe 
                  la natura del suo stile sobrio, delle sue idee anarchiche e 
                  della sua innata musicalità. 
                 Elisa Sciuto 
                
                   
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                    |   A Georges Brassens abbiamo  dedicato un dossier 
                  in “A” 371 (maggio 2012) con contributi di  Alberto 
                  Patrucco, Alessio Lega, Allain Leprest, André Sève, 
                  Elisa Sciuto, Fabio Wolf, Fausto Amodei, Francesco Cannito, 
                  François-Réne Cristiani, Giangilberto Monti,  
                  Gianni Mura, Giuseppe Ciarallo, Jean-Pierre Leloir, Laila Sage, 
                  Laura Monferdini, Lorenzo Valera, Margherita Zorzi, Mariano 
                  Brustio, Nanni Svampa, Paolo Capodacqua  | 
                   
                 
                
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