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				 editoria 
                  
                 Anarchiche  
                  
                di Lorenzo Pezzica con nota a margine 
                  di Martina Guerrini 
                    
                Con questo titolo è da poco uscito per shake edizioni un libro (scritto da un maschio). Quindici biografie, la vita e le idee, l'impegno e le lotte, di militanti anarchiche in molti casi sconosciute (o quasi). 
 
Ne presentiamo qui tre: 
la statunitense Virginia Bolten, la giapponese Noe Ito e l'italiana Luce Fabbri. 
 
Abbiamo chiesto un commento a Martina Guerrini, che partendo dal libro affronta alcuni nodi “di genere”, dentro e fuori l'anarchismo. 
Il dibattito è aperto. 
                
  
                Virginia Bolten 
                  (1870-1960)  
                “Ni Dios, ni patrón, ni marido.” 
                  Virginia Bolten  
                
                   
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                    |   Virginia 
                        Bolten  | 
                   
                 
                Il Primo maggio del 1890 è 
                  un giovedì. Da giorni, nella città di Rosario, 
                  le organizzazioni operaie locali, i socialisti e gli anarchici 
                  della città fremono per i preparativi di un'importante 
                  manifestazione. Vogliono essere sicuri che vada tutto per il 
                  meglio e che il suo successo sia certo. 
                  Rosario, detta anche la “Barcellona argentina” per 
                  la presenza di un combattivo movimento operaio, è in 
                  quel momento storico un centro industriale emergente, la città 
                  più grande e popolosa della provincia argentina di Santa 
                  Fe, capoluogo dell'omonimo dipartimento, e il suo porto, sul 
                  margine occidentale del fiume Paraná, è fra i 
                  più importanti del paese. Rosario è la città 
                  dove 38 anni dopo, sempre di giovedì, nascerà 
                  Ernesto Guevara detto il Che. 
                  La manifestazione era stata decisa nell'estate dell'anno precedente, 
                  non a Rosario ma a Parigi e riguardava tutti i paesi del mondo. 
                  Nella capitale francese dal 14 al 20 luglio 1889 si era svolto 
                  il primo congresso della Seconda Internazionale1. 
                  Nell'ultimo giorno dell'incontro era stata lanciata l'idea di 
                  organizzare una grande iniziativa per la riduzione della giornata 
                  lavorativa a otto ore, da tenersi simultaneamente in tutti i 
                  Paesi. La scelta della data era caduta sul 1 maggio. Una scelta 
                  simbolica che voleva ricordare la tragedia della rivolta di 
                  Haymarket del 1886, la grande manifestazione operaia di Chicago 
                  repressa nel sangue. 
                  Quel giorno a Rosario, in Plaza López, si presenta sul 
                  palco allestito per gli interventi una giovane donna. Ha i capelli 
                  neri corvino raccolti in una crocchia, lo sguardo severo aiutato 
                  da un viso appuntito. Avanza con passo fiero, nascosto dalla 
                  lunga e grande gonna scura, portando sulla spalla una bandiera 
                  nera con la scritta “1° maggio: Fratellanza Universale”. 
                  Ha vent'anni ed è anarchica. In Argentina l'evento passerà 
                  alla storia perché sarà la prima donna oratrice 
                  del nascente movimento operaio. 
                  Il suo nome è Virginia Bolten. Il suo comizio le costa 
                  l'arresto; l'accusa è quella di violare l'ordine sociale 
                  esistente e di diffondere propaganda anarchica. Ma Virginia 
                  non è donna da lasciarsi facilmente intimidire dalla 
                  repressione. Presto rilasciata, riprende subito la sua attività 
                  propagandistica, scrivendo per il periodico “La Protesta 
                  Humana” e tenendo conferenze e comizi in diverse città 
                  argentine: San Nicolás de los Arroyos, Campana, Tandil, 
                  Mendoza. 
                  Con tutta la società e la cultura patriarcale contro 
                  di lei, Virginia dà inizio, nei suoi scritti anarco-femministi, 
                  alla voce di rivendicazione femminile, comunicando la sua natura 
                  ribelle – Né dio, né padrone, né 
                  marito – non solo attraverso gli articoli pubblicati nei 
                  periodici creati da lei stessa, ma anche tramite l'attivismo 
                  reale, appassionato, intenso e di piazza. Soprannominata la 
                  Luise Michel di Rosario, è una di quelle donne controcorrente, 
                  in anticipo sui tempi, su cui la storia ufficiale calerà 
                  una coltre di silenzio. 
                  Virginia Bolten nasce nel 1870 da Enrique Bolten, un emigrato 
                  tedesco che di mestiere fa il venditore ambulante, e Dominga 
                  Sánchez. Non è chiaro quale sia stato il suo luogo 
                  di nascita, forse San Luis o San Juan oppure Rosario in Argentina, 
                  ma potrebbe anche essere nata in Uruguay. 
                  Da ragazza lavora in una fabbrica di scarpe e poi per una compagnia 
                  di raffinazione dello zucchero di Rosario. Giovanissima si sposa 
                  con Manuel Manrique, un anarchico uruguayano attivista in uno 
                  dei quartieri più popolari della città, e abbraccia 
                  gli ideali del comunismo anarchico2 
                  e femministi. 
                  Nella sua idea di lotta contro ogni forma di dominio, a partire 
                  da quello patriarcale, per il cambiamento della società, 
                  anarchismo e femminismo paiono inscindibili. È la strada 
                  che decide di percorrere anche all'interno di un movimento anarchico 
                  e operaio argentino che da parte sua fatica ad accettare l'impegno 
                  politico e sindacale di una donna. Per Virginia infatti, alle 
                  lotte del movimento era necessario affiancare in modo ancor 
                  più radicale la rivendicazione femminista. 
                  Nel 1896, a Buenos Aires, incontra Teresa Marchisio, Pepita 
                  Gherra, Maria Calvia, Josefa Martinez e altre operaie di una 
                  fabbrica tessile. Si crea intorno a Virginia un gruppo di pioniere 
                  in lotta per il libero amore, la parità di diritti e 
                  la fine di ogni dominio, all'alba del Ventesimo secolo. Virginia 
                  persegue un obiettivo di lotta che vuole condividere con loro: 
                  la pubblicazione di un giornale fatto dalle donne per le donne 
                  che si rivolgesse alle migliaia di lavoratrici che lottavano 
                  per la propria autonomia all'interno e all'esterno della casa. 
                  Un giornale che denunciasse il doppio sfruttamento a cui sono 
                  sottoposte le donne rispetto al loro status di classe e di genere. 
                  Al gruppo presto si aggiunge anche un'altra donna. È 
                  Lucia Boldoni, stella del canto lirico nazionale. Appartiene 
                  alla classe borghese, è famosa in Argentina. Non se la 
                  sente di presentarsi per quella che è. Nasconde la sua 
                  identità ma si butta a capofitto nell'impresa. 
                  Nasce così “La Voz de la Mujer”, La Voce 
                  della Donna, il primo giornale latino americano anarco-femminista. 
                  Con lo slogan “Né Dio, né padroni, né 
                  marito”, il periodico, finanziato da sottoscrizioni e 
                  donazioni individuali, viene pubblicato e diffuso in semiclandestinità 
                  tra il 1896 e il 1897.3 
                  Nel breve periodo di vita del giornale, Virginia cambia città 
                  di frequente: Buenos Aires, Rosario, Montevideo. La rivista 
                  segue gli spostamenti della sua fondatrice. Teresa, Pepita, 
                  Maria e Josefa diventano le principali collaboratrici, ma Virginia 
                  riesce anche ad avere la collaborazione di Louise Michel ed 
                  Emma Goldman. 
                  Il giornale, quattro pagine fitte, viene distribuito in duemila 
                  copie (per ciascuno dei nove numeri pubblicati) nelle fabbriche, 
                  nei laboratori, negli opifici della città, conquistando 
                  spazio per la propaganda dei principi di libertà e di 
                  giustizia sociale, innescando il dibattito sul libero amore, 
                  sul matrimonio, sull'abuso di potere, cercando di insegnare 
                  alle madri a educare i propri figli nell'uguaglianza dei diritti, 
                  invitando le donne a ribellarsi contro l'oppressione maschile 
                  senza abbandonare la lotta operaia, diffondendo gli ideali del 
                  comunismo anarchico e della rivoluzione sociale, denunciando 
                  apertamente le ingiustizie subite dai lavoratori e in particolare 
                  dalle donne, criticando gli atteggiamenti misogini di molti 
                  uomini anarchici. 
                  I temi sollevati da Virginia nelle pagine del suo giornale provocano 
                  una certa tensione all'interno del movimento anarchico argentino. 
                  L'anarchismo, sostenevano i militanti anarchici uomini, in quanto 
                  teoria della rivoluzione, conteneva già implicitamente 
                  ed esplicitamente l'idea della liberazione della donna. Bolten 
                  rispondeva loro che proprio per questo motivo, se la volontà 
                  anarchica era quella di abolire i rapporti di autorità, 
                  di distruggere lo stato, di costruire una società non 
                  repressiva, la volontà anarchica si doveva anche tradurre 
                  in azioni che impedissero il riproporsi, all'interno del movimento, 
                  dei rapporti di dominio uomo/donna. L'essere umano può 
                  e deve essere libero. La rivoluzione sociale esige la distruzione 
                  dello stato per abolire lo sfruttamento, ma comporta anche l'abolizione 
                  del patriarcato affinché il dominio non possa risorgere 
                  sulle rovine della società classista. 
                  Per contrastare l'avanzare del movimento operaio e anarchico, 
                  il governo conservatore argentino adotta numerose misure repressive, 
                  in particolare nel 1902 promulga la Ley de Residencia4 
                  che autorizza l'espulsione di molti anarchici immigrati. Virginia 
                  organizza immediatamente una campagna di opposizione al provvedimento 
                  governativo. 
                  A Buenos Aires entra a far parte del Comité de huelga 
                  femenino (Comitato dello sciopero femminile), che è parte 
                  del sindacato della Federación Obrera Argentina, impegnato 
                  nella difesa dei lavoratori del mercato della frutta di Buenos 
                  Aires. La sua frenetica attività le costa qualche problema 
                  di salute, ma i compagni del gruppo Germinal non la lasciano 
                  sola e si auto-organizzano per sostenerla moralmente ed economicamente. 
                  Quando, in ragione del suo intervento in favore del movimento 
                  degli inquilini nel 1907, le viene applicata la famigerata Ley 
                  de Residencia, Virginia si vede costretta all'esilio in Uruguay 
                  insieme al compagno Manuel Manrique e alla figlia Mary Milagra. 
                  Si trasferisce così a Montevideo. La sua casa diviene 
                  un punto di riferimento per molti anarchici argentini esiliati 
                  e non solo. Pur vivendo in Uruguay Virginia mantiene vivi i 
                  contatti con il movimento anarchico e sindacale argentino, informandosi 
                  e seguendo le sue iniziative di lotta. Nel maggio del 1909 apprende 
                  con angoscia e rabbia degli eventi tragici della “Semana 
                  Roja”.5 
                  Non c'è tregua nella lotta per la giustizia sociale. 
                  Virginia senza perdersi d'animo si mobilita immediatamente e 
                  organizza nel centro di Montevideo una pubblica protesta contro 
                  la brutale repressione del 1 maggio a Buenos Aires. 
                  Nel luglio dello stesso anno un altro evento tragico investe 
                  il movimento anarchico e rivoluzionario. Non più in Argentina 
                  ma oltre oceano, in Spagna, a Barcellona. È la “Settimana 
                  Tragica”.6 
                  Quando diventa di dominio pubblico la notizia della condanna 
                  a morte di Françisco Ferrer7, 
                  iniziano in tutto il mondo corpose manifestazioni di protesta 
                  che degenerano talvolta in scontri di piazza. 
                  Virginia si mobilita e partecipa alla campagna pro-Ferrer, organizzando 
                  manifestazioni a Montevideo contro l'esecuzione del pedagogista 
                  libertario spagnolo che, dopo essere stato sottoposto a un processo 
                  farsa da parte del tribunale militare, sarà fucilato 
                  a Barcellona, nella fortezza di Mont- juich il 13 ottobre 1909. 
                  All'impegno diretto nelle lotte anarchiche Virginia continua 
                  ad affiancare anche quello, mai interrotto, della lotta per 
                  l'emancipazione femminile, a cui aveva dato inizio alla fine 
                  dell'Ottocento con la sua rivista. Collabora con il periodico 
                  anarco-femminista La Nueva Senda diretto da Juana Buela Rouco 
                  che, nella sua autobiografia Historia de un ideal vivido 
                  por una mujer, ne ricorderà l'impegno e la tenacia 
                  nella sua attività propagandistica. Si impegna con l'Asociación 
                  femenina-emancipación, appoggiando le donne anticlericali, 
                  le operatrici telefoniche e impegnandosi contro il riformismo 
                  delle suffragette. 
                  Nel marzo del 1911 il riformista José Batlle y Ordóñez 
                  viene eletto per la terza volta presidente dell'Uruguay. Resterà 
                  al potere fino al marzo del 1915. Con l'elezione di Batlle y 
                  Ordóñez, Virginia entra a far parte del gruppo 
                  anarco-battlista di Francisco Berri, Adrian Zamboni e Orsini 
                  Bertani, cioè di quel gruppo di anarchici che decidono 
                  di sostenere le politiche di laicizzazione dello stato e di 
                  nazionalizzazione dei capitali stranieri sostenute dalla politica 
                  dal presidente uruguayano. Durante questo periodo l'anarchismo 
                  uruguaiano entra in crisi, perdendo l'appoggio popolare a favore 
                  del Partito socialista del paese. Il giornale El Socialista 
                  attaccherà duramente Virginia e il gruppo dell'anarco-battlismo, 
                  accusandoli esplicitamente di aver tradito la causa rivoluzionaria 
                  del movimento operaio. 
                  Da quel momento la Bolten sembra scomparire dalla scena pubblica. 
                  Ancora nel 1923 entra a far parte del Centro internazionale 
                  di studi sociali, un'associazione libertaria con sede nella 
                  capitale uruguaiana, ma poi se ne perdono le tracce. Poco o 
                  nulla si conosce circa gli altri anni della sua vita che continuerà 
                  a trascorrere nel barrio Manga di Montevideo fino alla sua morte, 
                  avvenuta intorno al 1960. 
                  
                Note
				 
                  - La Seconda Internazionale è fondata nel 1889 a Parigi 
                  dai partiti socialisti e laburisti europei e scioltasi di fatto 
                  il 4 agosto 1914. Erede della Prima Internazionale (caratterizzata 
                  dallo scontro tra anarchici e marxisti, venne sciolta nel 1876), 
                  al contrario dell'organismo che la precedette, fu dominata dal 
                  Partito Socialdemocratico tedesco, di indirizzo riformista.
                  
 - Il movimento anarchico si era da poco sviluppato in Argentina 
                  in seguito all'immigrazione di massa, che aveva coinvolto tutto 
                  il continente sud-americano dalla fine dell'Ottocento ai primi 
                  del Novecento, di lavoratori, lavoratrici e militanti anarchici 
                  e socialisti in fuga dalle persecuzioni politiche attuate dai 
                  governi europei. Le masse lavoratrici, influenzate dagli anarchici, 
                  numericamente prevalenti rispetto ai socialisti, avevano cominciato 
                  a organizzarsi nei sindacati, utilizzando come armi di lotta 
                  lo sciopero generale, il sabotaggio e il boicottaggio. L'anarchismo 
                  argentino ha un forte impulso quando nel 1885 giunge in Argentina 
                  Errico Malatesta. Dopo la sua partenza, nel 1889, si accentuano 
                  tutta una serie di polemiche interne al movimento anarchico 
                  che cessano temporaneamente solo quando giunge nel 1898 un altro 
                  anarchico italiano: Pietro Gori.
                  
 - Parte dei numeri del giornale sono oggi conservati presso 
                  l'Istituto internazionale di storia sociale di Amsterdam.
                  
 - La Ley de Residencia sancita dal Congresso di Argentina 
                  nel 1902 permetteva al governo di espellere gli immigrati senza 
                  processo. La legge è stata utilizzata dai successivi 
                  governi argentini per frenare l'organizzazione sindacale dei 
                  lavoratori del commercio, guidata soprattutto da anarchici e 
                  socialisti. Essa era nata da una richiesta fatta dall'Unione 
                  Industriale di Argentina nel 1899, a seguito della quale il 
                  senatore Miguel Cane presenta al Congresso Nazionale la proposta 
                  di espulsione degli stranieri.
                  
 - Per la ricorrenza della festa dei lavoratori la Federación 
                  obrera regional argentina (Fora) – il sindacato più 
                  grande del paese, controllato dagli anarchici – e il Partito 
                  socialista, insieme all'Union general de trabajadores (Ugt) 
                  – il sindacato controllato dal Partito socialista – 
                  convocano a Buenos Aires ognuno una distinta manifestazione. 
                  La manifestazione socialista si svolge normalmente, mentre quella 
                  della Fora, prima che possa iniziare a muoversi, viene brutalmente 
                  repressa dalla polizia, guidata dal colonnello Ramón 
                  Lorenzo Falcón. Ci sono 12 morti, 70 feriti e 150 arresti. 
                  Le organizzazione sindacali proclamano congiuntamente lo sciopero 
                  generale a tempo indeterminato. Il 4 maggio i funerali delle 
                  dodici vittime sono accompagnati da oltre trecentomila persone. 
                  Solo l'8 maggio il governo argentino accetta, per la prima volta, 
                  di negoziare con i sindacati. Il 14 novembre viene ucciso Ramón 
                  Lorenzo Falcón da una bomba fatta esplodere dal giovane 
                  anarchico Simon Radowitzky, che in questo modo intende vendicare 
                  le uccisioni dei compagni e dei lavoratori.
                  
 - In seguito alla dichiarazione della legge marziale nel 1909 
                  durante la “Settimana Tragica”, una rivolta scoppiata 
                  il 26 luglio quando la popolazione si ribellò alla Guardia 
                  Civile che aveva il compito di far imbarcare i coscritti (per 
                  la quasi totalità appartenenti alle classi povere) mandati 
                  a combattere nelle guerra coloniali in Africa. Françisco 
                  Ferrer fu arrestato il 31 agosto con l'accusa di essere il fomentatore 
                  della rivolta.
                  
 - Françisco Ferrer (1859-1909) è stato un anarchico, 
                  pedagogista e libero pensatore spagnolo. Su Françisco 
                  Ferrer vedi Giuliana Iurlano, Da Barcellona a Stelton. Francisco 
                  Ferrer e il movimento delle scuole moderne in Spagna e negli 
                  Stati Uniti, M&B, Milano 2000.
  
                 
                Noe Ito (1895-1923)  
                “Era giovane e bella... Dora le chiese: 
                  'Ma non hai paura che le autorità ti possano fare qualcosa?'. 
                  Lei si portò le mani alla gola e rispose: 'So bene che 
                  lo faranno prima o poi'.” 
Bertrand Russell1  
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Noe 
                        Ito   | 
                   
                 
                Noe Ito nasce a Imajuku, sull'isola 
                  di Fukuoka, in Giappone, il 21 gennaio 1895. L'aspetta una vita 
                  di obbedienza assoluta ad ogni tipo di autorità in una 
                  società rigidamente gerarchica, codificata, ritualizzata: 
                  come geisha, come madre, come prigioniera, come esclusa. 
                  Ito prende un'altra strada, assolutamente impervia. 
                  Dotata di temperamento artistico, si iscrive alla scuola femminile 
                  di Ueno, a Tokyo. A 15 anni, mentre è ancora a scuola, 
                  sposa un uomo di vent'anni più vecchio di lei; Fukutaro, 
                  che si impegna a sostenere la sua formazione artistica e culturale, 
                  ma che in realtà non è minimamente in grado di 
                  tenere fede a quanto sottoscritto. Del resto, Noe non era innamorata 
                  di lui; lo aveva sposato con la speranza di emigrare negli Stati 
                  Uniti. In seguito, confiderà alla sorella, una volta 
                  arrivati in America, che lo avrebbe immediatamente lasciato. 
                  Poco dopo il matrimonio, Noe stringe amicizia con il suo insegnante 
                  di inglese, Jun Tsuji. È un anarchico dichiarato; poeta, 
                  saggista, drammaturgo, traduttore, dadaista, nichilista, femminista 
                  e bohemien. È il primo traduttore in giapponese dell'Unico 
                  e la sua proprietà di Max Stirner e delle opere di 
                  Cesare Lombroso. 
                  Una sedicenne che si avvicina all'anarchismo è qualcosa 
                  di assolutamente impensabile nel Giappone dei primi anni del 
                  Novecento; l'amicizia con Jun Tsuji si trasforma in amore e 
                  impegno politico. Man mano che il suo matrimonio va a rotoli, 
                  Noe cerca sempre più il sostegno morale ed economico 
                  di Tsuji. I due allacciano una relazione amorosa, così 
                  lei decide di lasciare Fukutaro e sposare il suo ex insegnante. 
                  La coppia avrà due figli: Makoto e Ryuji. 
                  Dopo il diploma Noe entra nella Seito-sha, una sorta di scuola 
                  artistica femminile con cui immediatamente collabora alla pubblicazione 
                  della rivista Seito, di cui ben presto diventa caporedattrice, 
                  imprimendole una svolta radicale: da blanda rivista artistica 
                  femminile, seppure “tenuta d'occhio” e invisa alle 
                  autorità, Seito diviene una pubblicazione di critica 
                  sociale radicale e femminista. Ito si distingue per i suoi articoli 
                  e per la traduzione di The Tragedy of Woman's Emancipation 
                  di Emma Goldman. 
                  Nel 1916 la rivista viene chiusa d'autorità. Nel periodo 
                  d'impegno nella rivista Noe conosce e si innamora di un altro 
                  giovane anarchico, di otto anni più grande di lei e già 
                  sposato: Osugi Sakae. È con lui che decide di tradurre 
                  lo scritto della Goldman. Instaurano un rapporto basato sul 
                  libero amore, che trova coerentemente d'accordo anche Jun Tsuji. 
                  Nel Giappone tradizionale e conservatore il fatto genera un 
                  autentico terremoto; lo scandalo si amplifica ancora di più 
                  quando Osugi viene ferito a coltellate in una casa del tè 
                  dalla sua prima amante, Masaoka Itsuko, a sua volta militante 
                  femminista. Come è prevedibile attendersi, se pure lo 
                  scandalo non risparmia nessuno dei due protagonisti, un accanimento 
                  maggiore viene riservato a Noe, in quanto donna. 
                  Noe decide di convivere con Osugi da cui avrà quattro 
                  figli e per il quale prenderà le sue difese dopo che 
                  Shimbun Heimin (“Giornale dell'uomo del popolo”), 
                  la rivista fondata da Osugi, viene chiusa dalla polizia giapponese. 
                  Il turbinio della sua vita sentimentale e le critiche feroci 
                  ricevute per la sua condotta “morale” non impediscono 
                  a Noe Ito di impegnarsi sempre di più sia nelle lotte 
                  del movimento anarchico, che in quegli anni sta assumendo dimensioni 
                  tali da preoccupare seriamente le autorità, sia in quelle 
                  di rivendicazione dell'emancipazione femminile, contribuendo 
                  alla fondazione e alla crescita del movimento femminista anarchico 
                  giapponese. Nel 1921 fonda un gruppo di donne socialiste a Sekirankai, 
                  e continua a tradurre le opere di Emma Goldman e di Pëtr 
                  Kropotkin. 
                  Nell'ottobre del 1922, Osugi Sakae raggiunge clandestinamente 
                  Shanghai per discutere della creazione di un'Unione degli anarchici 
                  dell'Asia orientale e partecipare alla Conferenza dei socialisti 
                  dell'Estremo oriente. Parte poi per l'Europa, dove resterà 
                  per tre mesi, per partecipare alla Conferenza anarchica internazionale 
                  di Berlino del febbraio 1923. Il ritorno in Giappone di Osugi, 
                  nel luglio dello stesso anno, è preceduto da una lettera 
                  di Ito in cui lo esorta a tornare il prima possibile. A parte 
                  le complicazioni derivanti dalla sua quinta gravidanza, quello 
                  che più preoccupa la giovanissima anarchica sembra essere 
                  l'emergere di attriti all'interno del gruppo anarchico Rodo 
                  Undo che insieme ad Osugi aveva fondato ed animato prima della 
                  sua partenza per il vecchio continente. 
                  Il ritorno di Osugi, il loro incontro a Tokyo, i racconti della 
                  sua permanenza a Parigi, l'incontro con Nestor Makhno, la febbrile 
                  raccolta di articoli, riviste, giornali che parlassero dei makhnovisti 
                  e la stesura dell'ultimo scritto sull'impresa dell'anarchico 
                  ucraino (Museifu Shugi Shogun: Nesutoru Mafuno). Sono 
                  questi gli impegni che riempiono i giorni di due lunghi mesi 
                  d'estate che Ito e Osugi passano insieme. 
                  La mattina del primo settembre 1923 la pianura del Kanto sull'isola 
                  maggiore del Honshu in Giappone è colpita da un terribile 
                  terremoto. La scossa è infinita. I morti sono più 
                  di 100.000, i dispersi circa 37.000. Tokyo è devastata. 
                  Il sisma colpisce all'ora di pranzo, quando nelle cucine delle 
                  case il focolare è acceso per preparare il pranzo. Gli 
                  incendi divampano ovunque, crescono rapidamente, fondono l'asfalto 
                  delle strade, assumono dimensioni enormi in tutti i quartieri 
                  della città. Migliaia di persone radunate in uno spazio 
                  aperto a Rikugun Honjo Hifukusho vengono incenerite da un tornado 
                  di fuoco proprio quando ormai credevano di essere in salvo. 
                  Il panico e la confusione si propagano come il fuoco, alimentando 
                  dicerie e false leggende. Una di queste sostiene che i coreani 
                  stessero traendo vantaggio dal disastro, commettendo furti, 
                  appiccando incendi e avvelenando i pozzi. Si scatena una caccia 
                  al coreano. Il numero totale di morti coreani delle rappresaglie 
                  xenofobe è incerto; per il governo le vittime sono 231, 
                  mentre altre fonti parlano di 2500 vittime. Una delle primissime 
                  preoccupazioni del governo e delle forze armate giapponesi è 
                  quella di dichiarare ai superstiti del disastro sismico che 
                  gli anarchici ne avrebbero approfittato per prendere il potere 
                  e rovesciare l'Imperatore. La crescita del movimento anarchico 
                  e socialista, iniziata con il sorgere del nuovo secolo, preoccupava 
                  da sempre il governo giapponese. Il clima di panico e confusione 
                  creatosi con il terremoto era un'occasione da non lasciare passare. 
                  È dichiarata la legge marziale. 
                  Nelle ore immediatamente successive al sisma, squadre della 
                  polizia militare vengono inviate non a prestare soccorso alla 
                  popolazione colpita dal terremoto, ma a dare la caccia ai pericolosi 
                  sovversivi; una di esse raggiunge Noe Ito e Sakae Osugi. La 
                  squadra militare è guidata dal tenente Masahiko Amakasu, 
                  che arresta Noe e Sakae insieme a suo nipote, un bambino di 
                  soli sei anni. 
                  Ito capisce subito che le cose si mettono al peggio; si sente 
                  un animale in trappola. Alla domanda di Dora Russell “ma 
                  non hai paura che le autorità ti possano fare qualcosa?”, 
                  Ito aveva risposto “so bene che lo faranno prima o poi”. 
                  La paura è un'emozione intensa, una delle emozioni primarie. 
                  Nel momento in cui la paura diviene travolgente ed estrema, 
                  si trasforma in panico o terrore. L'impulso è quello 
                  di scappare correndo via alla cieca oppure di rimanere paralizzati. 
                  Ito ha paura – è naturale – resta immobile, 
                  non tenta di scappare, e guarda dritto negli occhi il tenente 
                  Amakasu. 
                  I militari agiscono ferocemente, non hanno alcun ritegno nei 
                  suoi confronti così come nei confronti di Osugi e del 
                  bambino. Vengono strattonati violentemente, ammanettati, insultati. 
                  Una volta presi non vengono portati al vicino comando di polizia. 
                  Vengono trascinati poco più distante in un vicolo cieco 
                  della città. Lì vengono brutalmente picchiati 
                  a morte, strangolati e i loro corpi gettati in un pozzo, dove 
                  vengono ritrovati il giorno dopo. È il 16 settembre 1923, 
                  Noe aveva 28 anni. 
                  L'uccisione di Noe Ito, del suo compagno Sakae Osugi e del piccolo 
                  nipote di lui viene definita, naturalmente, dalle autorità 
                  di polizia, un “incidente”. Così, infatti, 
                  passa alla storia: l'Incidente di Amakasu. Pur nel caos del 
                  dopo terremoto però succede qualcosa di difficilmente 
                  immaginabile dagli esponenti del governo: l'episodio guadagna 
                  grande risonanza. Il Giappone intero insorge indignato per l'assassinio 
                  dei due anarchici e di un bambino, anche perché era stato 
                  fatto brutale scempio dei cadaveri. 
                  Per fare fronte all'enorme indignazione popolare, le autorità 
                  governative sono costrette ad arrestare il tenente Amakasu, 
                  che viene condannato a dieci anni di carcere da scontare nel 
                  penitenziario di Chiba. Dopo soli due anni, però, Amakasu 
                  viene liberato, beneficiando dell'amnistia generale in occasione 
                  dell'ascesa al trono dell'imperatore Hirohito. 
                  Nel 1969, la vicenda di Noe Ito e Osugi Sakae è narrata 
                  dal regista Yoshishige Yoshida2 
                  nel film Eros + massacro (Erosu purasu gyakusatsu), 
                  considerato uno dei primi capolavori della Nouvelle Vague giapponese. 
                  Protagonisti del film sono due giovani studenti interessati 
                  a conoscere la verità sui fatti accaduti ai due anarchici 
                  nel lontano 1923. Iniziano la loro ricerca storica e nello stesso 
                  tempo riflettono sull'anarchismo e sul libero amore. I due ragazzi 
                  si appassionano a tal punto delle sorti di Ito e Osugi da non 
                  riuscire più a tenere distinti passato e presente. Noe 
                  Ito torna di nuovo e con lei la sua storia. 
                  
                Note 
				
                  - Bertrand Russell, nella sua Autobiografia, ricorda così 
                  l'incontro avuto nel 1921 con Noe Ito. Bertrand Russell, L'Autobiografia. 
                  Da Freud a Einstein: 1914-1944, vol. 2, Longanesi, Milano 
                  1970. Dora Black Russell (1894-1986) è stata una scrittrice, 
                  attivista femminista e socialista inglese e la seconda moglie 
                  del filosofo Bertrand Russell.
                  
 - Yoshishige Yoshida (Fukui, 16 febbraio 1933), conosciuto anche 
                  come Kiju Yoshida, è un regista e sceneggiatore giapponese. 
                  È stato uno dei membri più importanti della Nouvelle 
                  Vague cinematografica giapponese, insieme ai colleghi Nagisa 
                  Oshima e Masahiro Shinoda. Nel 1964 fonda una propria compagnia 
                  di produzione. Nel 1973 il grande insuccesso di Kaigenrei 
                  gli costa oltre dieci anni di inattività prima di riuscire 
                  a riprendere la sua carriera con Ningen no yakusoku, 
                  con cui viene selezionato per Un Certain Regard dal Festival 
                  di Cannes 1986. Oltre all'attività di regista ha scritto 
                  libri sul cinema. È sposato con l'attrice Mariko Okada, 
                  figlia dell'attore Tokihiko Okada.
  
                 
                Luce Fabbri (1908-2000)  
                Questa è la strada, o non c'è 
                  nessuna strada.” 
                  Luce Fabbri1  
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Luce Fabbri  | 
                   
                 
                Luce Fabbri è oggi considerata 
                  una tra le figure intellettuali più significative dell'anarchismo 
                  italiano e internazionale del Novecento. Nonostante ciò 
                  il suo pensiero, seppur accolto su numerose riviste del movimento, 
                  per lungo tempo non è stato compreso e dibattuto quanto 
                  avrebbe meritato, anche se, per esempio, Pier Carlo Masini, 
                  critico nei confronti di alcuni aspetti del suo pensiero,2 
                  ne aveva già riconosciuto l'originalità e la profondità 
                  tanto da ricordare molti anni più tardi la “boccata 
                  d'ossigeno” che ne aveva provocato l'impatto.3 
                  Masini però resta uno dei pochi e le idee della Fabbri 
                  sono passate sostanzialmente inosservate. Anche quando, nel 
                  movimento anarchico italiano della fine degli anni Sessanta, 
                  c'è chi riprende per esempio il tema della “tecnoburocrazia”, 
                  riscoprendo pensatori anarchici come Luis Mercier Vega o personaggi 
                  come Bruno Rizzi, non si accorge delle pagine scritte dalla 
                  Fabbri sullo stesso tema. Così come poco dibattuta sarà 
                  la sua riflessione sul totalitarismo,4 
                  svolta tra gli anni Trenta e Sessanta, che le permetterà 
                  anche di ripensare l'essenza stessa dell'anarchismo. 
                  Testimone sensibile e consapevole degli eventi e delle tragedie 
                  che attraversano tutto il Ventesimo secolo, Luce Fabbri “nasce” 
                  anarchica, favorita dallo speciale ambiente familiare in cui 
                  cresce. Tutto il suo percorso esistenziale, intellettuale e 
                  politico si iscrive all'interno dell'ideale anarchico, cosa 
                  che non le impedisce comunque di ancorare il suo pensiero a 
                  un forte principio di realtà e al contesto sociale e 
                  politico di appartenenza. Essere anarchica “da sempre” 
                  è ciò che rende Luce Fabbri un personaggio estremamente 
                  significativo per la pregnanza con cui ha vissuto e concretizzato 
                  la sua visione libertaria del mondo. 
                  Luce Fabbri sostiene nei suoi scritti una nozione dell'agire 
                  libertario visto come espressione diretta della volontà 
                  dell'uomo. Per descrivere la sua riflessione si può utilizzare 
                  il giudizio che Alessandro Dal Lago ha espresso a proposito 
                  del pensiero di Hanna Arendt: “una teoria libertaria dell'azione 
                  nell'epoca del conformismo sociale”.5 
                  Ancorata alla radice socialista dell'anarchismo di Errico Malatesta 
                  e del padre Luigi,6 al contempo 
                  Luce lo sviluppa e per alcuni aspetti lo supera, affrontando 
                  nel corso della sua esistenza alcuni tra i nodi centrali delle 
                  vicende storiche della realtà contemporanea. In lei ha 
                  convissuto sia una solida cultura politica, storica e letteraria 
                  che, per esempio, le permette nel 1949 di accedere all'insegnamento 
                  universitario a Montevideo, sia la massima apertura mentale 
                  verso i problemi del presente e del futuro. 
                  Un elemento centrale che caratterizza l'esistenza e il pensiero 
                  della Fabbri è anche rappresentato dalla condizione dell'esilio, 
                  da lei vissuto con grande sofferenza. Nel 1932 pubblica I 
                  canti dell'attesa, pubblicato a Montevideo dall'editore 
                  Bertani, una raccolta di poesie da cui traspare soprattutto 
                  la nostalgia per il paese natale e lo sdegno per il fascismo 
                  e le sue imprese. 
                  La sua esistenza si è svolta infatti tra l'Italia, che 
                  lascia insieme alla famiglia a vent'anni esule del fascismo, 
                  e l'Uruguay, la sua seconda patria. Dal 1929, anno di arrivo 
                  a Montevideo, la sua condizione “binaria” diventa 
                  centrale per la sua esistenza e il suo pensiero. Nonostante 
                  questa sua scelta esistenziale, il movimento anarchico italiano 
                  resta un punto di riferimento fondamentale della sua azione 
                  di militante ed intellettuale anarchica. Alla fine della Seconda 
                  guerra mondiale Luce comunque decide di non tornare in Italia 
                  a differenza di altri esuli antifascisti. In Italia tornerà 
                  solo tre volte nel 1954, nel 1981 e nel 1993. 
                 Nel movimento anarchico uruguayano 
                 Luce Fabbri nasce a Roma il 25 luglio 1908, figlia di Luigi 
                  Fabbri e di Bianca Sbriccioli. Nell'ottobre del 1910 a Bologna, 
                  dove la famiglia si era nel frattempo trasferita, nasce il fratello 
                  Vero. Luce cresce in un ambiente libero e culturalmente stimolante, 
                  testimone privilegiata dell'intensa attività politica 
                  e culturale del padre, esponente di primo piano dell'anarchismo 
                  italiano ed internazionale, a contatto con i numerosi compagni 
                  e amici che frequentano la sua casa, in particolare Errico Malatesta. 
                  Ancora giovanissima pubblica sulla rivista “Pensiero e 
                  Volontà” il suo primo articolo che firma con lo 
                  pseudonimo Epicari. 
                  Nell'autunno del 1926, dopo la definitiva affermazione del fascismo 
                  in seguito alle leggi del 1925 dette “fascistissime”, 
                  il padre Luigi è costretto ad espatriare clandestinamente 
                  attraverso la frontiera svizzera, recandosi in Francia dove 
                  lo raggiungerà nell'anno successivo la moglie Bianca. 
                  Luce rimane da sola a Bologna per terminare gli studi universitari, 
                  ospite in casa di un amico di famiglia, il socialista Enrico 
                  Bassi. Due mesi dopo la laurea, ottenuta nel 1928, anche Luce 
                  decide di lasciare clandestinamente l'Italia, raggiungendo la 
                  famiglia a Parigi i primi di gennaio del 1929. 
                  Nel marzo dello stesso anno il padre Luigi è nuovamente 
                  costretto ad attraversare clandestinamente la frontiera con 
                  il Belgio, sotto la minaccia di un arresto da parte della polizia 
                  francese. In aprile Luce e la madre lo raggiungono a Bruxelles 
                  e il mese successivo la famiglia parte dal porto di Anversa 
                  per l'Uruguay. 
                  Fin dall'inizio del suo arrivo nel nuovo paese Luce si impegna 
                  attivamente nel movimento anarchico uruguayano, scrivendo articoli 
                  e libri, tenendo conferenze e impegnandosi in svariati ambiti. 
                  L'anarchismo nei paesi del cono sud dell'America latina agli 
                  inizi degli anni Trenta appare ancora forte. In grande maggioranza 
                  il movimento è di ispirazione anarcosindacalista, e trova 
                  espressione soprattutto in due organizzazioni sindacali controllate 
                  dagli anarchici, la Fora (Argentina) e la Foru (Uruguay), ma 
                  era presente anche una minoranza agguerrita di anarchici “illegalisti” 
                  e “espropriatori” come Severino Di Giovanni,7 
                  che proprio in quegli anni sta concludendo in Argentina la sua 
                  tragica parabola. 
                  I primi anni a Montevideo sono difficili per problemi economici 
                  e di inserimento, mentre la nostalgia dell'Italia si fa sentire 
                  in modo acuto. Per aiutare la famiglia, Luce impartisce lezioni 
                  private di italiano e greco, e partecipa alle commissioni annuali 
                  d'esame per l'italiano, che era materia curricolare nelle scuole 
                  secondarie superiori dell'Uruguay, ottenendo nel 1933 l'incarico 
                  di professoressa di storia in molte scuole, che svolgerà 
                  fino al 1970. Durante la prima estate nel nuovo paese, per ristabilirsi 
                  nella salute compromessa dal lungo viaggio, Luce trascorre un 
                  periodo di vacanza sulle montagne di Cordoba, in Argentina, 
                  ospite di Diego Abad de Santillan.8 
                  È l'inizio di una lunga amicizia che durerà tutta 
                  la vita. Nel frattempo Luigi Fabbri avvia una nuova importante 
                  iniziativa editoriale, la pubblicazione della rivista “Studi 
                  Sociali”, il cui primo numero esce nel marzo del 1930. 
                  Alla redazione collaborano Ugo Fedeli e Torquato Gobbi e Luce, 
                  che scrive alcuni articoli firmati con lo pseudonimo Lucia Ferrari. 
                  Il 6 settembre 1930, con il colpo di stato del generale Uriburu 
                  in Argentina, si scatena una feroce repressione contro gli anarchici. 
                  In pochi giorni l'intera organizzazione della Fora vene spazzata 
                  via. Molti militanti vengono uccisi, torturati, deportati. Quelli 
                  che riescono a fuggire vanno a Montevideo, dove va a ingrossare 
                  la comunità degli esiliati. Tra i profughi c'è 
                  anche Ermacora Cressatti, un muratore anarchico di origini friulane, 
                  di cui ben presto Luce si innamora e che diventa suo marito 
                  nel 1933. Alcuni anni dopo nasce la figlia Luisa. 
                  Il 22 giugno 1935 muore Luigi Fabbri. Luce, gravemente ammalata, 
                  non può assistere ai suoi ultimi istanti e neppure prendere 
                  parte al funerale. La perdita del padre, che adorava, rappresenta 
                  uno dei più grandi dolori della sua vita. Cerca di reagire 
                  continuando l'opera iniziata dal padre, in particolare “Studi 
                  Sociali”. 
                  Tra il 1936 e il 1939 Luce si impegna nel sostegno agli anarchici 
                  spagnoli che lottano sul doppio fronte della guerra contro Franco 
                  e della rivoluzione. Nel 1937 pubblica, con lo pseudonimo Luz 
                  d. Alba, il volume 19 de julio. Antologìa de la revolución 
                  española, con lo scopo di informare l'opinione pubblica 
                  dell'America latina su ciò che sta realmente accadendo 
                  in Spagna. L'anno successivo esce a Lugano, a cura di Carlo 
                  Frigerio, l'opuscolo Gli Anarchici e la rivoluzione spagnola, 
                  contenente l'articolo di Luce Il problema del governo, 
                  improntato a una certa comprensione nei confronti delle ragioni 
                  di quegli esponenti anarchici spagnoli che nel corso della Guerra 
                  civile avevano accettato di fare parte del governo di Madrid 
                  e di quello autonomo della Catalogna, e che aveva suscitato 
                  dissensi e critiche da parte di molti esponenti del movimento 
                  libertario internazionale. La stessa Luce preciserà in 
                  seguito che si trattava di comprendere il dramma umano e politico 
                  di quei compagni, e non della accettazione del ministerialismo 
                  che anche lei non condivideva. 
                  La Rivoluzione spagnola, che aveva suscitato all'inizio tante 
                  speranze, si conclude infine tragicamente, seguita poco dopo 
                  dallo scoppio della Seconda guerra mondiale. Durante la guerra 
                  Luce compila in italiano la rivista “Rivoluzione libertaria” 
                  (giornale spedito clandestinamente in Italia e di cui escono 
                  cinque numeri), e subito dopo la pagina italiana di “Socialismo 
                  y libertad”, un interessante esperimento di periodico 
                  trilingue, a cui collaborano socialisti, anarchici e repubblicani 
                  uniti dalla comune lotta al fascismo. 
                 Analisi originale del totalitarismo 
                 Anche se negli anni Trenta, tra moltissime difficoltà, 
                  Luce Fabbri cerca di mantenere i contatti con l'Italia, è 
                  però solo con la fine della Seconda guerra mondiale che 
                  riprende in modo più continuativo i contatti con il movimento 
                  anarchico italiano. 
                  Fin dal 1944 segue con entusiasmo i tentativi di diversi militanti 
                  impegnati nella riorganizzazione del movimento nella parte dell'Italia 
                  liberata, in particolare da parte di Pio Turroni, Giovanna Berneri 
                  e Cesare Zaccaria, tentativi che si concretizzano nel settembre 
                  del 1945 con il primo Congresso nazionale di Carrara che dà 
                  vita alla Federazione anarchica italiana9 
                  e alla fondazione della rivista “Volontà”.10 
                  Luce Fabbri comunica il suo entusiasmo a Giovanna Berneri, aderendo 
                  al progetto della nuova rivista. Pensa che “Volontà” 
                  possa essere la naturale prosecuzione di quella che era stata 
                  la rivista del padre. L'ultimo numero di “Studi sociali” 
                  esce infatti nel maggio del 1946, due mesi prima dell'uscita 
                  del primo numero di “Volontà”. La collaborazione 
                  di Luce alla rivista italiana rappresenta uno dei momenti più 
                  importanti del suo percorso esistenziale e di riflessione teorica. 
                  I suoi articoli apparsi sulla rivista tra il 1946 e il 1960, 
                  oltre ad affrontare argomenti legati all'attualità politica 
                  e sociale italiana e uruguayana, ai temi della pedagogia libertaria, 
                  sono incentrati sul fenomeno del totalitarismo. 
                  Negli anni della Guerra fredda e del mondo diviso in due blocchi, 
                  Luce Fabbri vuole trovare “il luogo attuale dell'anarchismo”, 
                  ripensandone l'essenza, e ritiene di trovarlo considerandolo 
                  la naturale confluenza di due linee evolutive: il liberalismo 
                  e il socialismo. 
                  Pur saldamente ancorata alla tradizione socialista dell'anarchismo 
                  Luce Fabbri intende recuperare al pensiero anarchico ciò 
                  che chiama “una parentela più remota”: il 
                  liberalismo, inteso nel suo valore profondamente etico di difesa 
                  dell'uomo e di lotta per la libertà. Il liberalismo così 
                  inteso potrà dirsi compiuto, secondo la Fabbri, quando 
                  avrà eliminato i presupposti del dominio economico: la 
                  libera impresa e la proprietà privata. In questo senso, 
                  la tradizione liberale, nel suo momento più alto, non 
                  potrà che confluire nel socialismo. 
                  Nel proporre queste sue idee Luce Fabbri non manca di richiamarsi 
                  sia al liberalismo radicale di Gobetti sia al socialismo liberale 
                  di Carlo Rosselli; ma è soprattutto il pensiero di Camillo 
                  Berneri a cui la Fabbri si richiama direttamente.11 
                  Questa riflessione, che aveva avuto inizio fin dagli anni Trenta, 
                  giunge nel periodo della sua collaborazione alla rivista “Volontà” 
                  a una completa formulazione. Il suo originale contributo al 
                  tema del totalitarismo la pone sullo stesso piano dei maggiori 
                  pensatori e la inserisce a pieno titolo all'interno della storia 
                  di quel dibattito che ha profondamente segnato la cultura del 
                  Ventesimo secolo. 
                  Per far ciò, Luce Fabbri attinge alle più diverse 
                  e stimolanti correnti del pensiero “critico”, dimostrando 
                  così la sua particolare apertura mentale e culturale. 
                  Al fianco del padre Luce aveva acquisito la conoscenza delle 
                  problematiche scaturite dal dibattito sulla Rivoluzione russa 
                  e l'avvento del regime fascista in Italia; fa proprio e rielabora 
                  il pensiero dei classici dell'anarchismo ma si dimostra sensibile 
                  anche alle suggestioni emerse dal “laboratorio parigino” 
                  degli anni Trenta, indipendentemente dall'estrazione politico 
                  culturale di quei pensatori. Tra le letture di Luce Fabbri in 
                  quegli anni vi è per esempio Emmanuel Mounier, filosofo 
                  cattolico del personalismo. Tra le fonti a cui attinge vi sono 
                  anche le opere di George Orwell, Ernst Cassirer, James Burnham 
                  e Milovan Gilas. Molte delle sue intuizioni sul fenomeno del 
                  totalitarismo paiono molto vicine a quelle espresse da Simone 
                  Weil o anticipano per alcuni aspetti quelle di Hanna Arendt. 
                  Parlare di totalitarismo come fa Luce, comparando fascismo, 
                  nazismo e comunismo, nell'Italia in quegli anni, significa esporsi 
                  al bando della società intellettuale e, nella sinistra, 
                  all'isolamento sanitario. La riflessione della Fabbri appartiene 
                  infatti a quella che lo storico Enzo Traverso chiama la “caratteristica 
                  paradossale”12 all'interno 
                  del dibattito sul totalitarismo, cioè il ruolo del tutto 
                  marginale nell'articolazione del dibattito svolto dall'Italia, 
                  paese in cui la parola totalitarismo aveva trovato la sua origine.13 
                  Nell'Italia postbellica, caduto il fascismo, il tema del totalitarismo 
                  infatti resta fuori dalla porta anche se il termine totalitarismo 
                  circola comunemente, ma in un'accezione “autarchica”.14 
                  Ai dogmatismi e alle certezze manichee di quegli anni Luce Fabbri 
                  risponde con un'indagine critica e analitica, insoddisfatta 
                  della vulgata corrente, animata da una costante problematicità 
                  e da una prospettiva culturale aperta. 
                  Per Luce il fenomeno totalitario trova le sue origini storiche 
                  nel contesto creato dalla Prima guerra mondiale. Constata che 
                  le esigenze connesse alla guerra del 1914 avevano portato a 
                  una profonda modificazione della struttura sociale dei paesi 
                  capitalisti. La necessità di rendere omogenei gli sforzi 
                  di pianificare l'economia in funzione della guerra aveva comportato 
                  un massiccio accrescimento delle prerogative dello stato e una 
                  conseguente espansione degli apparati burocratici. Un processo 
                  che sostanzialmente ricalcava le dinamiche di accentramento 
                  del potere “attraverso una casta di funzionari economicamente 
                  privilegiati e [...] partecipi – secondo la loro gerarchia 
                  – delle funzioni cosiddette di direzione, cioè 
                  in verità del potere. Tale casta comprende tutta la burocrazia 
                  governativa nei suoi diversi settori, compresi i tecnici e gli 
                  organizzatori della produzione e della distribuzione, la polizia, 
                  l'esercito e col tempo, senza dubbio, il clero”.15 
                  È il fenomeno tecnoburocratico. Luce Fabbri e Louis Mercier 
                  Vega sono stati i primi a introdurre nel movimento anarchico 
                  di lingua italiana il concetto di tecnoburocrazia e fin dal 
                  1933 quando, a partire dallo studio comparato degli stati fascista 
                  e sovietico, aveva già individuato come uno dei tratti 
                  unificanti delle società contemporanee l'ascesa della 
                  classe tecnoburocratica.16 Il 
                  totalitarismo del Ventesimo secolo, secondo Luce Fabbri, gestiva 
                  il passaggio in campo economico dal capitalismo al collettivismo 
                  burocratico.17 
                  Dopo aver inquadrato il tema tecnoburocratico all'interno del 
                  fenomeno totalitario, Luce Fabbri rivolge la sua analisi all'aspetto 
                  più genuinamente “politico” e “ideologico” 
                  del totalitarismo. Per lei fascismo, nazismo e stalinismo fanno 
                  leva, insieme a un'espansione ipertrofica della sfera pubblica 
                  in economia, al potenziamento esponenziale della violenza dello 
                  stato attraverso la guerra, interna ed esterna, sull'irreggimentazione 
                  sistematica delle coscienze e sull'imbarbarimento dei rapporti 
                  sociali, che porta all'annichilimento dell'individuo in nome 
                  di ingannevoli e falsi ideali collettivi. In particolare sono 
                  tre gli elementi che definiscono il regime totalitario: la neolingua, 
                  la visione ufficiale della storia, la militarizzazione delle 
                  intelligenze. 
                  Il primo elemento mantiene il potere attraverso la trasformazione 
                  profonda e unilaterale del “vocabolario”, sfigurando 
                  e a volte invertendo senza dichiararlo i termini dei vecchi 
                  e dei nuovi problemi. E a questo proposito parla della “semantica 
                  artificiale del nazionalsocialismo tedesco” diretta a 
                  creare quella “neolingua” che impedisce ogni pensiero 
                  eretico. Lo stato totalitario, in altri termini, una volta conquistato 
                  il potere lo consolida a “colpi di linguaggio”,18 
                  trasformandosi in una vera e propria “logocrazia di massa”. 
                  In secondo luogo, il regime totalitario impone una visione ufficiale 
                  della storia contemporanea e di quella passata, utilizzando 
                  il suo potere per manipolare le informazioni e distruggere la 
                  memoria storica. La realtà viene vagliata, selezionata, 
                  costruita, prodotta. Infine, nello sforzo di militarizzare le 
                  intelligenze individuali fondendole in una massa omogenea, costringe 
                  le persone a un lavoro di investigazione solitario, privo del 
                  beneficio dell'interscambio spirituale e della discussione. 
                  Da una parte quindi il potere onnipervasivo dell'ideologia totalitaria 
                  rende “omogenea” la massa degli individui e dall'altra 
                  “isola” il pensiero dal rapporto tra idea e realtà. 
                  Nel formulare queste sue idee Luce Fabbri fa riferimento a Orwell, 
                  ponendo direttamente al centro delle sue argomentazioni, le 
                  tesi di 1984.19 
                 Insegnamento e militanza 
                 Luce Fabbri non si limita, nella sua riflessione, ad analizzare 
                  il fenomeno totalitario nel solo significato di nuovo regime. 
                  Si apre verso una prospettiva ermeneutica, cercando non soltanto 
                  l'intensità e la struttura dell'oppressione politica 
                  ma la sua essenza. Interrogando le responsabilità del 
                  passato Luce Fabbri fa emergere la continuità tra totalitarismo 
                  e tradizione occidentale, tra la logica del potere tout-court 
                  e la logica totalitaria. 
                  Rispetto alla Arendt è interessante qui sottolineare 
                  il diverso accento posto sulla continuità o discontinutà 
                  del totalitarismo, che avvicina, non a caso, il giudizio della 
                  Fabbri a quello di Simon Weil. 
                  Se è possibile vedere elementi di unità di giudizio 
                  da parte della Fabbri e della Arendt nei confronti del totalitarismo, 
                  le due pensatrici si differenziano sull'originalità e 
                  l'unicità del fenomeno. Per la Arendt il totalitarismo 
                  è sì implicato nella mentalità politica 
                  e filosofica moderna, ma non è assolutamente necessitato 
                  né iscritto come destino nei suoi geni. Per la Fabbri 
                  invece, il fenomeno totalitario è un esito estremo di 
                  quella logica del potere che ha segnato la nostra storia. Insomma, 
                  dove per la Arendt si tratta di novità, per la Fabbri 
                  si deve parlare dell'ennesima ripetizione, portata alla sua 
                  estrema efferatezza, di una violenza che da sempre abita nel 
                  potere. 
                  Ma riconoscere l'onnipotenza del potere totalitario non significa 
                  dichiarare impossibile l'azione. Soprattutto quando si è 
                  anarchici. Contro le strutture di comando e le pratiche violente 
                  del potere è possibile gettare in aria le carte, con 
                  il coraggio e la forza di una volontà ritrovata. 
                  In questo senso la Rivoluzione spagnola del 1936 è una 
                  preziosa lezione storicamente praticata di lotta contro il totalitarismo, 
                  dimostrando, nella realtà storica concreta, la possibilità 
                  dell'alternativa anarchica di una società libera, sperimentale, 
                  federativa, capace di rivalorizzare (in seno a un'economia socializzata) 
                  la più ampia autonomia degli individui e degli organismi 
                  locali. La macchina del potere sempre più sofisticata 
                  e oppressiva che rafforza le gerarchie e i poteri burocratici, 
                  anche se vissuta come una ferita dolorosa, non deve quindi mai 
                  tradursi in senso di impotenza. Da un lato lo impedisce la prospettiva 
                  anarchica, dall'altro l'impegno ad agire in favore della liberazione 
                  dell'uomo.la guerra, all'inizio del 1946 Luce si reca in Brasile, 
                  a Rio de Janeiro, in visita agli anarchici italiani Nello Garavini 
                  ed Emma Neri. Lì contrae, insieme a Nello, la malaria, 
                  rischiando seriamente di morire. Debilitata, Luce rientra a 
                  Montevideo, dove riesce a recuperare la salute. 
                  Nel 1949 Luce ottiene la cattedra di Letteratura Italiana all'Università 
                  di Montevideo, che terrà fino al 1991, esclusa la parentesi 
                  di dittatura militare (1975-1985). Numerosi sono i suoi saggi 
                  pubblicati su Dante, Machiavelli e Leopardi. 
                  Negli anni Cinquanta e Sessanta, accanto all'insegnamento, Luce 
                  si dedica alla militanza nel movimento locale, pur non trascurando 
                  contatti con gli ambienti italiani e internazionali. In particolare 
                  s'impegna in un movimento pedagogico per la riforma autonomistica 
                  della scuola secondaria; Luce vive questa sua attività 
                  come parte integrante del suo concreto impegno politico in senso 
                  libertario, un impegno che la vede critica nei confronti della 
                  scelta della lotta armata. Dalla seconda metà degli anni 
                  Sessanta infatti in Uruguay si delinea un periodo di forte tensione 
                  interna, caratterizzata dalla lotta armata dei Tupamaros e dalla 
                  conseguente dura reazione della classe dirigente che porterà 
                  alla dittatura militare tra il 1975 e il 1985. 
                  La sua posizione critica nei confronti dei Tupamaros e della 
                  Rivoluzione cubana del 1959, di cui Luce Fabbri denuncia la 
                  deriva autoritaria e antilibertaria, si inserisce in un'accesa 
                  discussione e polemica all'interno della Federazione anarchica 
                  uruguayana (Fau). Luce, trovandosi in minoranza su una questione 
                  per lei imprescindibile, lascia l'organizzazione con pochi altri 
                  compagni e fonda un proprio gruppo autonomo, il Grupo de Estudio 
                  y Accion Libertaria e la rivista “Opción libertaria”. 
                  A partire dal 1985, con l'inizio del processo di democratizzazione 
                  dell'Uruguay, riprende la sua attività militante, a partire 
                  dalla riapertura di “Opción libertaria”. 
                  Riprende anche i contatti con l'Italia, diventando per esempio 
                  collaboratrice della rivista “A rivista anarchica” 
                  di Milano. 
                  Nel 1993 Luce compie il suo ultimo viaggio in Europa, per prendere 
                  parte alla Esposiciòn internacional anarquista di Barcellona. 
                  L'intervento che legge al Convegno, Una utopìa para 
                  el siglo XXI, viene pubblicato sul n. 205 di “A rivista 
                  anarchica” e può essere inteso come il suo testamento 
                  spirituale. Approfittando del viaggio a Barcellona si reca per 
                  qualche settimana in Italia, e sarà per lei l'ultima 
                  volta che rivedrà il paese natale. Negli ultimi anni 
                  Luce si dedica alla scrittura della biografia del padre, Luigi 
                  Fabbri. Storia di un uomo libero, pubblicato nel 1996. Attiva 
                  sino agli ultimi giorni della sua vita, Luce Fabbri muore a 
                  Montevideo il 19 agosto 2000 nella sua casa, in J.J. Rousseau 
                  3659.
                  Lorenzo Pezzica 
                 Note
				 
                  - Luce Fabbri, Socializzazione e libertà, “A 
                  Rivista Anarchica”, xxix, 1999, n. 255.
                  
 - Luce Fabbri, Obiezioni a una recensione, “Volontà”, 
                  1952, n. 9, pp. 524-527.
                  
 - Pier Carlo Masini, Introduzione a Luce Fabbri, Luigi 
                  Fabbri. Storia d'un uomo libero, Bfs, Pisa 1996, p. 9.
                  
 - Sulla riflessione di Luce Fabbri sul tema del totalitarismo 
                  vedi Lorenzo Pezzica, La collaborazione di Luce Fabbri alla 
                  rivista Volontà (1946-1960), in Maurizio Antonioli, 
                  Roberto Giulianelli (a cura di), Da Fabriano a Montevideo. 
                  Luigi Fabbri: vita e idee di un intellettuale anarchico e antifascista, 
                  Bfs, Pisa 2006, pp. 223-234.
                  
 - Alessandro Dal Lago, La città perduta, introduzione 
                  a Hanna Arendt, Vita activa. La condizione umana, Bompiani, 
                  Milano 2004, p. X.
                  
 - Luigi Fabbri (1877-1935) è considerato uno dei pensatori 
                  più originali dell'anarchismo italiano. Nel 1903 fonda 
                  con Pietro Gori la rivista “Il Pensiero” alla quale 
                  collaborano i nomi di maggior rilievo dell'anarchismo internazionale. 
                  Nel 1921 pubblica Dittatura e Rivoluzione, prima opera 
                  critica sul bolscevismo, e nel 1922 La controrivoluzione 
                  preventiva, una delle analisi più complete sulla 
                  nascita del fascismo. Duramente perseguitato, espatria clandestinamente 
                  in Francia nel 1926, morendo esule a Montevideo.
                  
 - Osvaldo Bayer, Severino Di Giovanni. C'era una volta in 
                  America del Sud, Agenzia X, Milano 2011.
                  
 - Sinesio Baudilio García Fernández (1897-1983), 
                  noto con lo pseudonimo di Diego Abad de Santillán, è 
                  stato importante esponente dell'anarchismo argentino e spagnolo. 
                  Editore e scrittore, partecipa alla Guerra civile spagnola.
                  
 - Ugo Fedeli, Congressi e Convegni, Ed. fai, Genova 1963, 
                  pp. 43-68.
                  
 - “Volontà” è titolo malatestiano: 
                  era infatti il titolo dato da Errico Malatesta al suo giornale 
                  pubblicato ad Ancona tra il 1911 e il 1914, ma anche il titolo 
                  del giornale di Luigi Fabbri tra il 1919 e il 1920; nel 1924 
                  infine Malatesta, con Fabbri, dà vita a “Pensiero 
                  e volontà” che uscirà fino al 1926. In effetti 
                  la rivista era stata preceduta da tre brevi esperienze giornalistiche: 
                  “La Rivoluzione libertaria”, “Risveglio libertario” 
                  e “Volontà” giornale. Oltre a Malatesta la 
                  rivista si richiamava fortemente anche al pensiero di Luigi 
                  Fabbri e a quello di Camillo Berneri. A partire dal 1946 “Volontà” 
                  uscirà quasi ininterrottamente fino al 1996. Dopo il 
                  1996 “Volontà” è stata sostituita 
                  da una nuova iniziativa editoriale: la rivista “Libertaria”. 
                  Molti sono i collaboratori italiani e stranieri quali per esempio: 
                  Armando Borghi, Ugo Fedeli, Lamberto Borghi, Pier Carlo Masini, 
                  Luis Mercier Vega, Gaston Leval, Carlo Doglio, Albert Camus, 
                  George Woodcock.
                  
 - Cfr. Luce Fabbri, Sotto la minaccia totalitaria: democrazia, 
                  liberalismo, socialismo, anarchismo, RL, Napoli 1955.
                  
 - Enzo Traverso, Il totalitarismo: Storia di un dibattito, 
                  Bruno Mondadori, Milano 2002, p. xii.
                  
 - Dopo avere forgiato il concetto negli anni Venti la cultura 
                  italiana si astenne dal discuterlo nel dopoguerra, fino a un'epoca 
                  recente. Percepito prima come un vocabolo irrimediabilmente 
                  contaminato dal fascismo, poi come una parola d'ordine anticomunista 
                  durante la Guerra fredda, il termine sarà a lungo messo 
                  al bando e coltivato da pochi spiriti anticonformisti. Per avere 
                  un'idea del ritardo con il quale questo dibattito è giunto 
                  in Italia, basti pensare che il libro della Arendt Le origini 
                  del totalitarismo viene tradotto in Italia solo nel 1967, 
                  sedici anni dopo l'edizione originale, così come Le 
                  origini della democrazia totalitaria di Jacob Talmon, tradotto 
                  anch'esso nel 1967. L'opera di Carl Joachim Friedrich e Zbignew 
                  Brzezinski, Totalitarian Dictatorship and Autocracy, 
                  del 1956 non è ancor oggi pubblicato, mentre occorre 
                  aspettare il 1997 per l'organizzazione, a livello universitario, 
                  del primo convegno italiano dedicato al tema del totalitarismo.
                  
 - Lelio Basso, Due totalitarismi: fascismo e democrazia 
                  cristiana, Garzanti, Milano 1951.
                  
 - Luce Fabbri, Sotto la minaccia totalitaria: democrazia, 
                  liberalismo, socialismo, anarchismo, RL, Napoli 1955, p. 
                  40.
                  
 - Luce Fabbri, Camisas negras: estudio critico historico 
                  del origen y evolucion del fascismo, sus hechos y sus ideas, 
                  Buenos Aires 1934.
                  
 - Bruno Rizzi, Il collettivismo burocratico, Ed. Galeati, 
                  Imola 1967; Bruno Rizzi, La burocratizzazione del mondo, 
                  Colibrì, Paderno Dugnano 2002; James Burnham, La rivoluzione 
                  dei tecnici, Mondadori, Milano 1946; Id., I difensori 
                  della libertà, Mondadori, Milano 1947.
                  
 - Czeslaw Milosz, La mente prigioniera, Adelphi, Milano 
                  1981.
                  
 - George Orwell, 1984, Mondadori, Milano 2004.
                  
  
				  
                   
                
                   
                    nota 
                        a margine 
					Il rischio:  
                        un teatro delle pari opportunità 
                      di 
                      Martina Guerrini 
                       È 
                        questo il rischio che si corre nel mettere su di un piedistallo 
                        le “brave compagne” accanto ai “bravi 
                        compagni”. 
                        Mentre le riflessioni critiche che ci servono ci interrogano 
                        su ben altri piani. 
                         
                        Il libro di Lorenzo Pezzica, Anarchiche. Donne ribelli 
                        del Novecento, può essere inserito nel filone 
                        di renaissance del protagonismo femminile dell'Otto 
                        e Novecento, uno “strano” caso di uscita dalla 
                        minorità dei cultural studies di genere 
                        che sembra letteralmente “scoppiato” in Italia 
                        negli ultimi anni, e sul quale sarà inevitabile 
                        soffermarsi. 
                        Tuttavia questo interessante lavoro parte in vantaggio 
                        rispetto ad altre pubblicazioni, per la scelta di evidenziare 
                        le responsabilità politiche degli anarchici nell'aver 
                        emarginato il contributo femminile nella teoria e nella 
                        pratica antiautoritaria. 
                        Scrive con parole essenziali Ida Farè nella bella 
                        prefazione al testo: “possiamo dire che queste donne 
                        hanno preso molto sul serio i proclami dei loro compagni 
                        di lotta, portando alle estreme conseguenze le loro istanze 
                        e ponendosi in modo critico rispetto al loro naturale 
                        e spesso inconsapevole maschilismo”. 
                        Questa traccia interpretativa è assai utile per 
                        leggere non solo il libro di Pezzica, ma tanta parte della 
                        contemporanea rimozione del contributo delle compagne 
                        all'anarchia. 
                        Se da una parte esiste un problema concreto e reale di 
                        sessismo nel movimento, non solo in Italia e da più 
                        parti è stato sollevato con forza, dall'altra è 
                        urgente fare i conti sia con la eleborazione storiografica 
                        sia con il metodo che si sceglie per indagare i motivi 
                        della presenza persistente della discriminazione di genere. 
                        Mi chiedo se sia sufficiente, soprattutto da parte maschile, 
                        ri-scoprire le biografie femminili scontatamente rilevanti 
                        (Emma Goldman, per esempio, non è mai stata dimenticata 
                        dalle compagne anarchiche, come testimoniano le pubblicazioni 
                        curate dalle edizioni Bfs, La Fiaccola e Zero in Condotta), 
                        mentre non muta un metodo classificatorio secondo il quale 
                        alcune, più “notabili” di altre, meritino 
                        una rievocazione. Non è forse questo un approccio 
                        storiografico che ha privilegiato la mitizzazione di alcune 
                        figure fondative dell'anarchismo, favorendo una gerarchia 
                        indebita, e nella quale è stato largamente favorito 
                        il fantasma femminile? Era questo il sentire delle epoche 
                        così narrate? E come si spiega la considerazione 
                        nella quale Carlo Cafiero teneva Anna Kuliscioff, o la 
                        fiducia che Malatesta riponeva in Maria Luisa Minguzzi, 
                        detta “Gigia”, che a Firenze ebbe un ruolo 
                        essenziale nella nascita del movimento femminile italiano 
                        e dell'Internazionale, o in Elena Melli, capace di sostituirlo 
                        in un comizio degli Arditi del Popolo a Roma? Siamo davvero 
                        sicuri che questa gerarchia della fondazione sia priva 
                        di conseguenze, sia sul piano di genere, che in quello 
                        più ampio della corretta ricostruzione storica? 
                        Più volte ho avuto l'impressione – confesso 
                        che mi è stata talvolta suggerita da ricercatori 
                        storici del movimento, ad esempio l'amico Gigi Di Lembo 
                        – che nei primi anni del Novecento vi fosse una 
                        diversa messa in questione della relazione mista della 
                        militanza. Sfogliando le pagine dei giornali livornesi 
                        come Il Seme o il Sempre Avanti!, ad esempio, fin dai 
                        primi anni del secolo passato possono leggersi interventi 
                        ben più anticonformisti e avanzati rispetto a quanto 
                        la controriforma del dopoguerra permetteva sulla relazione 
                        tra i sessi, sul problema dell'autonomia delle donne e 
                        dell'eguaglianza (che niente aveva a che vedere, è 
                        bene chiarirlo una volta per tutte, con quella formale 
                        sostenuta dalla sinistra comunista e socialista). 
                         
                        Altri linguaggi, altri soggetti 
                        L'epoca precedente al fascismo e, soprattutto, alla restaurazione 
                        repubblicana parlava altri linguaggi e altri soggetti 
                        avevano voce e ascolto. Eppure questa storia appartiene 
                        all'anarchismo tanto quanto le esperienze e le vicende 
                        dei vari Malatesta, Cafiero, Fabbri ecc... perché 
                        essi stessi respiravano e si formavano in quelle medesime 
                        discussioni. 
                        Esiste tuttavia anche un problema rispetto all'analisi 
                        urgente di questa rimozione e oblio. La tendenza diffusa, 
                        se non fraintendo, mi pare quella di utilizzare il paradigma 
                        femminista-marxista del cosiddetto “sospetto epistemologico”, 
                        ovvero analizzare il sessismo del movimento anarchico 
                        ricercando le eventuali impostazioni sessiste del pensiero 
                        dei Padri fondatori, esacerbando la stortura storiografica, 
                        Dunque può essere sufficiente questo approccio 
                        analitico per capire quel che è accaduto? 
                        È proprio perché occorre aggredire il nodo 
                        che tiene insieme le discriminazioni che percorrono la 
                        nostra storia recente e contemporanea, che dobbiamo scegliere 
                        opportunamente i nostri più utili strumenti, evitando 
                        facili scorciatoie che spesso si rivelano come la conseguenza 
                        dell'assenza di una autonoma riflessione e pratica su 
                        questi temi, in particolare sulla questione di genere. 
                        Senza contare che un sano dubbio epistemologico dovrebbe 
                        al contrario coglierci di fronte al dominante fiorire 
                        di parole e pensieri su tale problema, indicato sempre 
                        e soltanto come il nesso tra donne e potere e la loro 
                        esclusione storica dalle istituzioni. 
                        Se esistono caratteri comuni capaci di legare indissolubilmente 
                        femminismo e anarchia, metodo ed esperienza occupano un 
                        ruolo indispensabile e prioritario. Se donne e uomini, 
                        nel movimento anarchico, hanno sfidato oppressioni intrecciate 
                        di vario ordine, e se le loro biografie parlano di questo, 
                        non sono forse tanto i loro nomi e cognomi che dobbiamo 
                        ricordare e mettere su di un piedistallo, quanto cogliere 
                        nella loro esperienza elementi utili a comprendere e modificare 
                        l'esistente. 
                         
                        In Turchia come in Spagna 
                        En passant, mettere su di un piedistallo un'idea, 
                        oltre che una persona, è un modo per sterilizzarla, 
                        pulirne le imperfezioni, dimenticando che spesso – 
                        nel tempo – quelle stesse imperfezioni germogliano 
                        nuovi fiori, più resistenti e consapevoli. Se per 
                        le terribili convinzioni misogine di Camillo Berneri sulle 
                        relazioni tra i sessi oggi il movimento anarchico è 
                        capace di provare insofferenza, pur senza proporre un 
                        autonomo dibattito antisessista, è forse perché 
                        la storiografia che abbiamo ereditato non è stata 
                        capace di far saltare il metodo, il cuore dell'anarchismo. 
                        Un metodo che ha offerto, come evidenzia Ida Farè 
                        nella ricostruzione degli eterni ritorni delle lotte femministe, 
                        “percorsi intricati”, “astuzie” 
                        “spesso all'ombra del potere patriarcale, per esprimere 
                        (...) la nostra ancora lontana libertà”. 
                        Pensiamo al fatto, emergente anche nel testo di Lorenzo 
                        Pezzica, che un numero non irrilevante di anarchiche erano 
                        individualiste. Un caso? Può darsi. Resta il fatto 
                        che il metodo anarchico offre molte vie di fuga a chi 
                        si sente stretto tra i compagni di viaggio. 
                        Queste riflessioni hanno guidato la mia lettura di Anarchiche, 
                        nel tentativo di allontanare la tentazione di mettere 
                        sullo stesso piedistallo altrettante figure femminili, 
                        con il rischio di allestire un brutto teatro delle pari 
                        opportunità del quale possiamo fare a meno, ed 
                        evitando di sospirare malinconicamente sulla odierna mancanza 
                        di figure così epiche, mentre molte, troppe compagne 
                        finiscono in galera lottando contro il Tav, o si difendono 
                        coraggiosamente contro un compagno oppressore e l'immancabile 
                        omertà/complicità maschile del centro sociale 
                        o circolo politico nel quale militano. 
                        Mentre sospiriamo, migliaia di persone con lingue diverse 
                        e calpestando piazze diverse insorgono in Africa, in Grecia, 
                        in Turchia come in Spagna. E le bandiere, se stringiamo 
                        gli occhi per la messa a fuoco, dalla Valsusa fino ad 
                        oriente sono spesso nere e parlano di metodo ed esperienza. 
                       
                        Martina Guerrini  
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