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				 pensiero anarchico 
                  
                Il ruolo dello stato 
                  
                di Colin Ward  
con introduzione di Francesco Codello 
                    
                Scuole private (magari “libertarie”) o scuola di stato? 
E con che soldi? Obbligatorie o facoltative? 
I temi affrontati in questo articolo uscito quarant'anni fa sono in buona parte ancora attuali. 
E rileggere oggi l'architetto e intellettuale anarchico inglese è sempre stimolante. 
 
				Questo testo di Colin Ward (1924-2010) dal titolo The 
                  role of the state è apparso in un libro di autori 
                  vari (tra i quali va ricordato Ivan Illich), curato da Peter 
                  Buckman del 1973 in Inghilterra, con il proposito già 
                  evidente nell'intestazione, Education without schools. 
                  In premessa occorre sottolineare due aspetti di contesto 
                  importanti, per coglierne la portata e la validità, evitando 
                  un approccio troppo ideologico. Il primo è appunto relativo 
                  all'anno di pubblicazione, siamo agli inizi degli anni settanta 
                  e Ivan Illich (1926-2002) ha da poco (1970) editato il suo testo 
                  forse più famoso, Deschooling Society (Descolarizzare 
                  la società, tradotto in italiano nel 1972) e la discussione 
                  scaturitane è molto vivace e animata; l'altro è 
                  che l'approccio al problema è tipicamente anglosassone 
                  e quindi fortemente pragmatico. 
                  Al netto di queste due semplici ma doverose considerazioni, 
                  il saggio di Ward affronta in maniera pertinente e puntuale 
                  una delle questioni cruciali in tema di organizzazione dell'educazione 
                  e dell'istruzione in una prospettiva libertaria. Questo argomento 
                  è particolarmente importante in Italia, dove il dibattito 
                  sul sistema di istruzione e di educazione si è da sempre 
                  focalizzato tra due prospettive inconciliabili e fortemente 
                  ideologizzate: quella privatistica e quella statalista. A gestire 
                  la scuola, quindi a determinarne i contenuti e le modalità 
                  organizzative, dovevano essere o il privato (confessionale prevalentemente) 
                  o lo stato (teoricamente neutro e assimilato al concetto di 
                  pubblico). La prospettiva, che ormai sta caratterizzando decisamente 
                  gli anarchici, è invece quella della gestione pubblica 
                  ma non statale del sistema di istruzione. Ciò significa 
                  che il carattere pubblico (aperto a tutti) dell'organizzazione 
                  dell'apprendimento si deve coniugare con il rifiuto della confessionalità, 
                  ideologica e religiosa, e, al contempo, consentire che la gestione 
                  dello sviluppo educativo e di istruzione, veda una coordinazione 
                  diretta e paritaria dei vari attori del processo stesso. Naturalmente 
                  queste questioni sono di rilevante importanza e meritano una 
                  disamina più approfondita e ampia di quanto non sia qui 
                  possibile sviluppare. 
                  Ecco perché questa saggio di Colin Ward si presta 
                  così bene a introdurre una discussione e una riflessione 
                  sulla gestione della scuola e offre l'occasione, a quanti lo 
                  desiderino, di uscire dalle strettoie soffocanti, e per nulla 
                  libertarie, di una discussione che accomuna trasversalmente 
                  destra e sinistra, intorno a una presunta esclusiva alternativa: 
                  o con il privato o con lo stato. 
                  La storia delle esperienze di educazione libertaria peraltro 
                  testimonia molto bene invece la ricerca di una prospettiva terza, 
                  plurale, diversificata, sperimentale, di gestione dell'intero 
                  sistema di istruzione e di educazione, in modi più coerenti 
                  e conseguenti ai principi generali dell'antiautoritarismo. Le 
                  varie esperienze attuali, che si ricollegano idealmente a questo 
                  filone di pensiero, sono qui a dimostrare che questo non solo 
                  è possibile ma anche necessario, se si vuole, assieme 
                  ovviamente ad altre questioni (prima fra tutte quella dell'uscita 
                  dalla logica adulto-centrica), realizzare una autentica educazione 
                  libertaria. 
                  Rileggere dunque questo testo di Ward, coniugandolo a tutte 
                  le varie espressioni del pensiero della descolarizzazione (da 
                  Paul Goodman a Ivan Illich, solo per citare i più noti 
                  autori), riflettere criticamente sulla storia e l'attualità 
                  di queste esperienze alternative, sperimentare qui e ora modalità 
                  e pratiche ispirate a questa prospettiva, è il compito 
                  che attende tutti coloro che, a vario titolo, sono interessati 
                  e coinvolti nelle problematiche educative e dell'istruzione. 
                  Una prospettiva libertaria non può mai accontentarsi 
                  di farsi rinchiudere in logiche dualistiche, senza osare e tentare 
                  di sperimentare altre soluzioni, che meglio avvicinino i nostri 
                  valori coerentemente interpretati alla nostra vita quotidiana. 
                 Francesco Codello 
                 
                 Come mai lo stato ha assunto 
                  quel ruolo di primo piano? 
                  Storicamente, in Gran Bretagna, la lotta per rendere l'istruzione 
                  gratuita, obbligatoria, universale, e liberarla dall'esclusivo 
                  controllo delle organizzazioni religiose fu lunga e aspra. 
                  L'effettiva opposizione non veniva da critici libertari, ma 
                  dai sostenitori del privilegio e del dogma nonché da 
                  coloro (genitori e datori di lavoro) che avevano un interesse 
                  economico nel lavoro minorile o uno inconfessato a favorire 
                  l'ignoranza. L'Inghilterra, di fatto, arrivò in ritardo: 
                  l'idea che l'istruzione dovesse essere gratuita, obbligatoria 
                  e universale precede di molto il definitivo Education Act, che 
                  fu approvato solo nel 1870. 
                  Martin Lutero si era rivolto “ai membri del Consiglio 
                  di tutte le città tedesche affinché fondassero 
                  e tenessero in vita scuole cristiane”, osservando che 
                  i giovani in corso di formazione si trovano a loro agio se si 
                  cerca di “renderci migliori attraverso l'esperienza”, 
                  un compito per il quale la vita intera sarebbe troppo breve, 
                  ma che poteva essere semplificato un'istruzione sistematica 
                  per mezzo dei libri. 
                  L'istruzione obbligatoria e universale nacque nella calvinista 
                  Ginevra nel 1536 e lo scozzese John Knox, discepolo di Calvino, 
                  “fondò una scuola accanto a una chiesa in ogni 
                  parrocchia”. Nel puritano Massachusetts l'istruzione elementare 
                  obbligatoria fu introdotta nel 1647. Federico Guglielmo I di 
                  Prussia rese obbligatoria l'istruzione elementare nel 1717 e, 
                  in Francia, una serie di ordinanze di Luigi XIV e Luigi XV imposero 
                  una frequenza regolare nelle scuole. 
                  La scuola per tutti, nota Lewis Mumford, “contrariamente 
                  al credo popolare, non è il tardivo prodotto della democrazia 
                  del XIX secolo: essa svolgeva un ruolo indispensabile nella 
                  formula meccanica dell'assolutismo (...) l'autorità centralizzata 
                  riprendeva in ritardo l'opera che era stata trascurata con lo 
                  smantellamento delle libertà municipali in gran parte 
                  dell'Europa”. In altre parole, avendo soffocato l'iniziativa 
                  locale, lo stato agiva secondo i propri interessi. Storicamente, 
                  l'istruzione obbligatoria progredì non solo grazie alla 
                  stampa, all'ascesa del protestantesimo e del capitalismo, ma 
                  anche con lo sviluppo dell'idea stessa di stato nazionale. 
                  Tutti i grandi filosofi razionalisti del XVIII secolo avevano 
                  riflettuto sul problema dell'istruzione popolare e due tra i 
                  più acuti pensatori si erano schierati sui versanti opposti 
                  del dibattito sull'organizzazione della scuola: Rousseau 
                  dalla parte dello stato e William Goodwin contro. L'Emilio 
                  di Rousseau postula una formazione completamente individuale 
                  (la società umana è ignorata e tutta l'esistenza 
                  dell'educatore è dedicata al povero Emilio); ciò 
                  nondimeno Rousseau, nel suo Discorso sull'economia politica 
                  (1758), sostiene un'istruzione pubblica “basata su regole 
                  stabilite dal governo... se i giovani sono educati nel seno 
                  dell'uguaglianza, se vengono loro istillate le leggi dello Stato 
                  e i precetti della Volontà Generale... Non possiamo dubitare 
                  che nutriranno un reciproco affetto come fratelli... per diventare 
                  a suo tempo difensori e padri del paese del quale sono stati 
                  tanto a lungo i figli”. 
                  Goodwin, nella sua Inchiesta sulla giustizia politica (1793) 
                  critica nel suo insieme l'idea di una educazione nazionale. 
                  Ne riassume gli argomenti a favore, che sono quelli utilizzati 
                  da Rousseau, e solleva questo interrogativo: “Se l'educazione 
                  dei nostri giovani fosse completamente affidata alla prudenza 
                  dei genitori o all'occasionale benevolenza di privati, non sarebbe 
                  una conseguenza necessaria che alcuni siano formati alla virtù, 
                  altri al vizio, e altri ancora siano completamente trascurati?” 
                  Vale la pena di citare completamente la risposta di Godwin, 
                  perché si tratta dell'unica voce, alla fine del XVIII 
                  secolo, che ci parla con gli accenti della descolarizzaizone 
                  dei nostri giorni: 
                  “Le piaghe provocate da un sistema di educazione nazionale 
                  riguardano il fatto, in primo luogo, che tutte le istituzioni 
                  pubbliche recano in sé un'idea di permanenza (...) l'educazione 
                  pubblica ha sempre speso le proprie energie a sostegno del pregiudizio; 
                  insegna agli allievi non la forza che sottopone ogni proposta 
                  alla verifica di un esame, ma l'arte di riprendere i concetti 
                  che siano già stati casualmente stabiliti (...) Anche 
                  nella modesta istituzione delle scuole parrocchiali, le principali 
                  lezioni che vengono impartite riguardano una venerazione superstiziosa 
                  della Chiesa d'Inghilterra e l'ossequio a chiunque indossi una 
                  giacca elegante... 
                  In secondo luogo, l'idea di educazione nazionale si fonda su 
                  una incomprensione della natura dell'intelletto. Qualsiasi cosa 
                  faccia il singolo uomo per se stesso è ben fatta; qualsiasi 
                  cosa decidano di fare per lui il suo prossimo e il suo paese 
                  è mal fatta (...) Chi apprende perché desidera 
                  apprendere, ascolterà le istruzioni che riceve e ne imparerà 
                  il significato. Chi insegna perché desidera insegnare, 
                  svolgerà il proprio compito con entusiasmo ed energia. 
                  Ma il momento in cui l'istituzione politica decide di attribuire 
                  a ognuno il proprio posto, le funzioni di ciascuno si svolgeranno 
                  in modo supino e indifferente... 
                  In terzo luogo, il progetto di un'educazione nazionale dovrebbe 
                  essere uniformemente scoraggiato in ragione della sua evidente 
                  alleanza con il governo nazionale (...) Il governo non mancherà 
                  di sfruttarlo per rafforzare la propria mano e per perpetuare 
                  le proprie istituzioni (...) La concezione che lo pone come 
                  promotore di un sistema educativo sarà evidentemente 
                  analoga al giudizio sulle capacità politiche di chi governa.” 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Colin Ward  | 
                   
                 
                  Istituzioni gerarchiche e coercitive 
                 I critici contemporanei dell'alleanza tra governo nazionale 
                  ed educazione nazionale sarebbero d'accordo e dichiarerebbero 
                  che la tesi dell'esistenza di un ruolo positivo dello 
                  stato nel sistema educativo tradisce una totale incomprensione 
                  dell'argomento in questione, che la natura delle autorità 
                  pubbliche è di gestire istituzioni gerarchiche e coercitive, 
                  la cui funzione ultima consiste nel perpetuare la disuguaglianza 
                  sociale e di fare il lavaggio del cervello dei giovani perché 
                  accettino il posto loro assegnato nel sistema organizzato. 
                  Un secolo fa l'anarchico Bakunin caratterizzava “il popolo” 
                  in relazione allo stato come “l'eterno bambino, l'allievo 
                  che si confessa per sempre incapace di superare l'esame, di 
                  arrivare al livello di conoscenze dei suoi insegnanti e di poter 
                  fare a meno della loro disciplina”. Oggi aggiungerebbe 
                  un'altra critica al ruolo dello stato come educatore in tutto 
                  il mondo: l'affronto alla giustizia sociale. Uno sforzo immenso 
                  di riformatori benintenzionati ha portato al tentativo di modificare 
                  il sistema per assicurare pari opportunità, ma questo 
                  ha prodotto soltanto una partenza alla pari, illusoria e puramente 
                  teorica, in una competizione che spinge a diventare sempre meno 
                  uguali. Quanto più grande è la quantità 
                  di denaro riversata nei sistemi scolastici in tutto il mondo, 
                  tanto minori sono i vantaggi per le persone al livello più 
                  basso della gerarchia educativa, occupazionale e sociale. Il 
                  sistema educativo mondiale finisce per essere un altro modo 
                  con cui i poveri sovvenzionano i ricchi. 
                  Everett Reimer, per esempio, osservando che le scuole sono una 
                  forma di imposizione fiscale inversamente proporzionale al reddito, 
                  nota come i figli del dieci per cento più povero della 
                  popolazione degli Stati Uniti costano al pubblico 2.500 dollari 
                  a testa per tutta la vita, mentre quelli del dieci per cento 
                  più ricco costano circa 35.000 dollari. “Ipotizzando 
                  che un terzo si riferisca alla spesa privata, il dieci per cento 
                  più ricco riceve comunque per l'istruzione denaro pubblico 
                  dieci volte di più del dieci per cento più povero.” 
                  Nel suo pamphlet censurato del 1970, Michael Huberman era arrivato 
                  a identiche conclusioni per la maggioranza dei paesi del mondo. 
                  In Gran Bretagna, anche ignorando del tutto l'università, 
                  spediamo il doppio per chi frequenta l'ultimo biennio di una 
                  grammar school rispetto ai diplomandi di una modern 
                  school, mentre se includiamo la spesa per l'università, 
                  si è calcolato (Labour Inequality, Fabian Society, 
                  London 1972) che la spesa per un anno di studi di uno studente 
                  universitario è pari a quella di tutta la vita scolastica 
                  dalla prima elementare alla licenza media superiore. “Mentre 
                  il gruppo sociale più ricco beneficia diciassette 
                  volte di più di quello più povero della spesa 
                  per l'università, il suo contributo di reddito è 
                  solo di cinque volte superiore.” 
                  Possiamo così concludere che un ruolo notevole dello 
                  stato nel sistema scolastico nazionale nel mondo è quello 
                  di perpetuare l'ingiustizia sociale ed economica. 
                  Ma il sistema scolastico in Gran Bretagna è un sistema 
                  statale? Il fatto è che da noi non una sola scuola è 
                  posseduta o gestita dallo stato. Le scuole sono di proprietà 
                  e mantenute (con l'eccezione di quelle indipendenti e delle 
                  cosiddette direct grant schools) da organismi scolastici 
                  locali. Questi ultimi ricevono il proprio reddito da una speciale 
                  imposta sugli immobili, ma siccome non è sufficiente 
                  per fare fronte alle spese attuali, questa imposta deve essere 
                  integrata da sovvenzioni del governo centrale, e così 
                  lo stato esercita un controllo effettivo ma occulto sulle attività 
                  degli organismi locali. Nonostante il teorico decentramento, 
                  le nostre scuole sono in sostanza simili, non solo nei termini 
                  in cui le definisce Ivan Illich, di “processo specifico 
                  per età e dipendente da insegnanti, che impone una frequenza 
                  a tempo pieno a corsi obbligatori”, ma per migliaia di 
                  particolari relativi alla gestione istituzionale e agli obiettivi. 
                  I ricchi, a differenza dei poveri... 
                 Per quanto il sistema decentrato britannico sia importante 
                  per chi vuole sperimentare un'educazione senza scuole, perché 
                  se vuole ricevere un aiuto ufficiale o una sponsorizzazione, 
                  o quanto meno tolleranza per un esperimento radicale, deve fare 
                  i conti con l'ente scolastico locale, e la pressione locale 
                  è molto meno pesante ed è possibile conquistarsi 
                  molto più interesse e sostegno sul posto che cercare 
                  di sgretolare il monolitico ministero dell'educazione e della 
                  scienza. 
                  La questione centrale, nella discussione sull'istruzione alternativa 
                  in relazione con il sistema scolastico ufficiale in Inghilterra, 
                  come in gran parte dei paesi, è che tutte le possibilità 
                  sono vanificate dal fatto che ogni proprietario di casa e ogni 
                  contribuente sono costretti a finanziare il sistema così 
                  com'è. Questo fatto compiuto non sono inibisce lo sviluppo 
                  di alternative, ma comporta anche che queste alternative dipendano 
                  dal reddito marginale dei potenziali fruitori, oltre e al di 
                  là delle imposizioni obbligatorie per tenere in vita 
                  il sistema organizzato. 
                  I ricchi che, a differenza dei poveri, dispongono di un reddito 
                  marginale, sono in grado di scegliere e mandano i propri figli 
                  nelle scuole indipendenti (John Vaizey ha calcolato che un terzo 
                  del costo dell'istruzione nel settore privato è recuperato 
                  con l'elusione fiscale). Anche qualcuno non tanto ricco ne segue 
                  l'esempio, convinto di fare del proprio meglio per i figli o 
                  perché è stato capace di capire come sia possibile 
                  far ottenere borse di studio per i figli. Ovviamente, però, 
                  gran parte delle scuole “indipendenti” (con l'eccezione 
                  di pochi istituti “progressisti”) sono identiche 
                  per tutte le caratteristiche importanti a quelle del sistema 
                  ufficiale, con l'unica differenza del numero di studenti per 
                  classe. 
                  I critici radicali del sistema ufficiale possono far proprio 
                  uno di questi tre atteggiamenti. Il primo consiste nel fare 
                  pressione per far riversare nei sistemi alternativi una quota 
                  della spesa e delle strutture per l'istruzione. Il secondo è 
                  un tentativo di modificare il sistema o con un rivolgimento 
                  interno o con una pressione dall'esterno. I terzo è di 
                  procedere per conto proprio, ignorando il sistema ufficiale 
                  ma continuando, probabilmente, a finanziarlo con le imposte 
                  e le tasse. Nella pratica è probabile che si prenda un 
                  poco dei tre atteggiamenti contemporaneamente. Per esempio, 
                  quando John Ord e i suoi amici hanno fondato la Scotland Road 
                  Free School a Liverpool, hanno compreso in fretta la necessità 
                  di trovare l'assistenza dell'ente locale per l'istruzione. La 
                  stampa locale trovò irresistibilmente comico questo fatto, 
                  che invece era perfettamente logico. Se i genitori optavano 
                  per un'istruzione cattolica, questa sarebbe stata finanziata 
                  dall'ente locale. Se avessero scelto una grammar school 
                  con contributo diretto (e se i loro figli ne fossero stati ammessi) 
                  la loro istruzione sarebbe stata finanziata dal governo centrale. 
                  Perché mai la Free School, come qualsiasi esperimento 
                  di descolarizzazione, non avrebbe avuto i titoli per ricevere 
                  i soldi che la Liverpool Corporation aveva comunque da spendere 
                  per i propri studenti? (Tutto quello che chiedeva era infatti 
                  una sede, la mensa scolastica e l'arredo, e tutto quello che 
                  ottenne fu un prestito di tavoli e sedie usati). Un membro della 
                  Commissione educazione dichiarò: “Se ci chiederanno 
                  di sostenere la scuola, ci chiederebbero di indebolire il tessuto 
                  di quello che si suppone dovremmo sostenere... Potrebbe 
                  andare a finire che in pratica nessuno studente voglia più 
                  frequentare le nostre scuole.” 
                  Nei primi anni sessanta del secolo scorso, Paul Goodman elencava 
                  una mezza dozzina di esperimenti che un consiglio o un ente 
                  scolastico avrebbe potuto far propri se avesse avuto abbastanza 
                  coraggio. Sintetizzando un poco, questi erano: 
                  1. “Niente scuola” per certe classi (senza danni 
                  culturali, perché ci sono ottime prove che i bambini 
                  normali apprendono le nozioni dei primi sette anni di scuola 
                  in un periodo tra i quattro e i sette mesi di buon insegnamento). 
                  2. Fare a meno dell'edificio scolastico per qualche classe; 
                  fornire gli insegnanti e usare la città stessa come scuola. 
                  3. Dentro e fuori dell'edificio scolastico, ricorrere ad adulti 
                  non qualificati della comunità – il farmacista, 
                  il bottegaio, il meccanico – come educatori che introducano 
                  i giovani al mondo degli adulti. 
                  4. Rendere non obbligatoria la frequenza scolastica, come a 
                  Summerhill. 
                  5. Utilizzare una quota dei fondi scolastici per mandare gli 
                  studenti in aziende agricole economicamente marginali per un 
                  paio di mesi all'anno. 
                  La prima è un'idea fallita in partenza. Può essere 
                  popolare tra i ragazzi, ma i genitori penserebbero ovviamente 
                  di essere presi in giro. L'ultima proposta sarebbe probabilmente 
                  interpretata come un modo per sfruttare manodopera a buon mercato. 
                  Ma gli altri sono stati positivamente adottati da consigli scolastici 
                  americani e hanno trovato applicazioni in Gran Bretagna: le 
                  scuole speciali sono le più evidenti candidate alla loro 
                  adozione. 
                  Il diritto a pratiche educative alternative 
                 L'idea di una scuola senza muri, per esempio, è stata 
                  messa in pratica per più di un triennio dal Parkway Education 
                  Program nella città di Philadelphia con il totale sostegno 
                  dell'autorità scolastica. Gli studenti non sono selezionati, 
                  ma scelti per sorteggio tra i richiedenti di otto distretti 
                  scolastici della città decisi per criteri geografici, 
                  per le classi dalla nona alla dodicesima (cioè dai 14 
                  ai 18 anni) senza tenere conto del rendimento scolastico e della 
                  condotta. Non ci sono edifici scolastici. Ognuna delle otto 
                  unità (che operano in modo indipendente) ha una propria 
                  sede con un ufficio per il personale e armadietti per gli studenti. 
                  La didattica si svolge all'interno della comunità: la 
                  ricerca di spazi è considerata parte del processo educativo. 
                  “La città offre un numero incredibile di laboratori 
                  di apprendimento: l'arte si studia nell'Art Museum, la biologia 
                  al giardino zoologico; i corsi commerciali e professionali si 
                  svolgono sui luoghi di lavoro, per esempio quelli di giornalismo 
                  nelle redazioni dei giornali, quelli di meccanica nei garage 
                  eccetera.” Il Parkway Program dichiara: “Per quanto 
                  si ritenga che le scuole preparino alla vita sociale, per lo 
                  più invece isolano gli studenti dalla comunità 
                  al punto da rendere loro impossibile capire come questa funziona 
                  [...] Poiché la società come gli studenti 
                  soffre per le carenze del sistema scolastico, non è parso 
                  irragionevole chiedere alla comunità di assumersi qualche 
                  responsabilità nella formazione dei suoi giovani.” 
                  Qualsiasi autorità scolastica locale potrebbe dar vita 
                  a un progetto Parkway domani, se lo volesse. 
                  Ma il più probabile incentivo al cambiamento, per indurre 
                  le autorità scolastiche locali a sostenere l'avvio di 
                  esperimenti di descolarizzazione, non sarà dato dall'esempio 
                  o dalla critica dall'esterno, ma dalla pressione dal basso. 
                  La massa di scolari e studenti recalcitranti e ribelli, ingabbiati 
                  dal sistema per un anno in più con l'allingamento dell'obbligo 
                  scolastico, rappresenteranno l'argomento più forte a 
                  favore del cambiamento. 
                  È sempre esistita una certa percentuale di studenti che 
                  frequentano contro voglia, che mal sopportano l'autorità 
                  della scuola e le regole arbitrarie, e che attribuiscono uno 
                  scarso valore al processo educativo, perché l'esperienza 
                  personale dice loro che si tratta di una corsa a ostacoli, nella 
                  quale sono così spesso i perdenti che sarebbero stupidi 
                  a mettersi in competizione. Hanno appreso questa lezione proprio 
                  a scuola e non gli va di entrarci a cinque anni e a uscirne 
                  a quindici. 
                  Che cosa succederà quando questo esercito di tagliati 
                  fuori in partenza, non più intimoriti dalle minacce, 
                  non più gestibili con le lusinghe, non più riducibili 
                  a una cupa acquiescenza con la violenza fisica, diventerà 
                  abbastanza numeroso da impedire il funzionamento della scuola 
                  tradizionale con una minima sembianza di efficienza? Sir Alec 
                  Clegg ci ha prospettato per anni questo scenario per avvertirci 
                  che dovremmo cambiare le nostre priorità in campo educativo 
                  e sociale. La crisi di autorità della scuola ci renderà 
                  tutti, insegnanti e studenti, descolarizzati e uniti nella richiesta 
                  di stare altrove. 
                  Tutte queste piccole iniziative di centri di non frequenza, 
                  di laboratori collettivi e di alternative alla scuola, verranno 
                  allora assunte e sostenute dalle autorità, non perché 
                  si saranno convertite a una diversa teoria pedagogica, ma per 
                  sfruttarle come espedienti per togliere i ragazzi dalla strada 
                  e dalla scuola, che a sua volta sarà ben lieta di sbarazzarsi 
                  di quegli elementi che le impediscono di portare avanti il compito 
                  di preparare gli studenti più docili a occupare i propri 
                  posti nella meritocrazia certificata. Temo che lo stesso valga 
                  per l'idea del ruolo creativo per il sistema scolastico ufficiale, 
                  nello sviluppo di una formazione extra-scolastica in una società 
                  del tempo libero: la sua occupazione pratica funzionerebbe solo 
                  da terapia occupazionale per chi è disoccupato a vita. 
                  È sciocco cercare di convincere i vari ministri dell'educazione 
                  o della pubblica istruzione di tutto il mondo di smontare il 
                  sistema: un sistema che rispecchia e tutela i valori dello stato. 
                  Sarebbe come se l'estinzione dello stato avvenisse per una legge 
                  del parlamento. E non dobbiamo nemmeno cadere nella trappola, 
                  avendo indicato nello stato un'istituzione restrittiva a protezione 
                  del privilegio, di rivendicare una legge che vieti la discriminazione 
                  nella scuola. Quello che dobbiamo rivendicare è il diritto 
                  a pratiche educative alternative per concorrere su un piano 
                  di parità. Quando l'Imperatore chiese al filosofo che 
                  cosa potesse fare per lui, il filosofo rispose: “Spostati 
                  un po' in là: mi togli la luce.”
                  Colin Ward  
                
                   
                    Leggere 
                        Colin Ward  
                        (in italiano) 
                       Anarchia 
                        come organizzazione, Elèuthera, Milano, 2013, 
                        I ed. 1996. 
                        (a cura di Colin Ward), P. Kropotkin, Campi, fabbriche, 
                        officine, Antistato, Milano, 1975. 
                        Dopo l'automobile, Elèuthera, Milano, 1992. 
                        La città dei ricchi e la città dei poveri, 
                        e/o, Roma, 1998. 
                        Il bambino e la città, Ancora del Mediterraneo, 
                        Napoli, 2000. 
                        Acqua e comunità, Elèuthera, Milano, 
                        2003. 
                        David Goodway e Colin Ward, Conversazioni con Colin 
                        Ward, Elèuthera, Milano, 2003. 
                        L'anarchia. Un approccio essenziale, Elèuthera, 
                        Milano, 2008. 
                        Per una efficace introduzione al suo pensiero consigliamo 
                        di leggere di Stuart White, L'anarchismo pragmatico 
                        di Colin Ward, Bollettino dell'Archivio Pinelli, n. 
                        30, Milano.  
                       Leggere 
                        Colin Ward su “A” 
                         
                        Di e su Colin Ward sono apparsi, negli ultimi quattro 
                        anni, su “A”:
						
                        - “La lezione 
                          di Colin Ward”, di F. Codello, in “A” 
                          n. 352 (aprile 2010)
 
                         - “Mio 
                          padre e Colin”, di P. Finzi, in “A” 
                          n. 352 (aprile 2010)
 
                         - “Leggere 
                          Colin Ward”, di F. Codello, in “A” 
                          n. 362 (maggio 2011)
 
                         - “Luoghi dove s'impara”, 
                          di C. Ward, in “A” n. 362 (maggio 2011)
 
                         - “Ricordando 
                          Colin Ward” di AA. VV., in “A” 
                          n. 364 (estate 2011)
 
                         - “Martin 
                          Buber. Un filosofo contro (e per)”, di C. Ward, 
                          in “A” n. 366 (novembre 2011)
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