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				 arte 
                  
                Lasciate libera la street art 
                  
                intervista a Clet Abraham di Patrizia “Pralina” Diamante 
                    
                Parlando con l'artista bretone Clet Abraham di segni, sogni e disegni nell'arredo urbano. 
				 
				
                   
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                    |   Clet Abraham nel suo atelier  | 
                   
                 
                 Incuriosita e divertita da 
                  vari cartelli stradali “detournati” e reinterpretati, 
                  che da tempo ormai vedo in giro nelle strade di Firenze, finalmente 
                  tramite la sua pagina Facebook riesco a mettermi in contatto 
                  con il “colpevole” di queste opere/azioni notturne 
                  che si chiama Clet Abraham. È nato e ha completato i 
                  suoi studi artistici in Bretagna, ma da molto tempo risiede 
                  in Italia. 
                  Lo incontro nel suo atelier negozio in via dell'Olmo numero 
                  otto rosso in zona San Niccolò. Arrivo all'appuntamento 
                  emozionata perché Clet sta diventando una sorta di Zorro 
                  dei cartelli stradali con quel suo tratto tipico scanzonato 
                  e irriverente, anche se la sua aria un po' introversa e tranquilla 
                  suggerisce piuttosto l'immagine di un artista, artigiano, che 
                  lavora da tanti anni con passione e che ha lavorato pure come 
                  restauratore e falegname. 
                  Clet è un eccellente disegnatore, riesce a cogliere il 
                  movimento e la metamorfosi sotto la superficie staticamente 
                  millenaria di questi grandi monumenti. In una sua stampa il 
                  Battistero di Firenze trae la sua intima origine da una caffettiera... 
                  in un'altra il Duomo viene sapientemente “traghettato” 
                  verso lidi sconosciuti forse di ispirazione dantesca ma con 
                  un senso contemporaneo di instabilità, precarietà, 
                  reso da una distorsione di linee che lo comprendono in senso 
                  classico e nello stesso tempo lo allontanano dall'ovvio. 
                  “È così, tutto cambia” dice Clet guardando 
                  i suoi disegni “anche se noi continuiamo a vedere le cose 
                  in un certo modo, e Firenze è una città che vogliono 
                  interpretare in questo modo, ferma, statica, senza che nulla 
                  possa disturbare questa quiete falsa, commerciale, per turisti”. 
                  Sarà per questo che decide di diventare un grattacapo 
                  per i poteri piccoli e grandi che vorrebbero conservare questa 
                  (e altre) città dentro una bolla di immobilismo. E pratica 
                  varie azioni dirette di tipo artistico, coi cartelli stradali 
                  e non solo, volte a comunicare, ironizzando e giocando, sul 
                  tema della trasgressione.
                 
                   
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                    |   Cartelli stradali rivisitati e s/corretti  | 
                   
                 
				 
                  Guardando le tue opere mi vengono in mente alcune cose. 
                  Innanzi tutto un amore grandissimo per l'arte grafica, e una 
                  ricerca continua di idee nuove, idee che si concretizzano in 
                  una sorta di “assalto gentile” ai simboli convenzionali 
                  utilizzati dal potere urbano. Già dal 1968 le scritte 
                  murali verranno utilizzate per comunicare il dissenso e anche 
                  la volontà di cambiamento radicale da una parte di questa 
                  società. La A cerchiata diventò un esempio di 
                  stilizzazione straordinaria di un ideale, un segno semplice 
                  e efficace comprensibile in ogni lingua. Ma queste scritte e 
                  simboli raramente vengono posti sopra un cartello stradale, 
                  come se ci fossero due spazi distinti, uno per esprimere il 
                  dissenso o il desiderio, l'altro per contenerlo. Cosa ne pensi? 
                  «È carino questo discorso dei due spazi, potere 
                  e contropotere, penso che il cartello stradale sia un tabù. 
                  Tantissime persone pensano che il cartello stradale sia intoccabile 
                  perché può mettere in pericolo la gente. Come 
                  se il cartello stradale potesse salvare la vita delle persone, 
                  che è il sintomo dell'obbedienza, non osano nemmeno metterlo 
                  in questione, come non osano mettere in questione tutto ciò 
                  che il potere fa.» 
                   
                   Sono 
                  esistiti – forse tuttora – piccoli movimenti di 
                  guerriglia artistica urbana che riutilizzavano anche i segnali 
                  stradali, poi c'è sempre qualche mano e qualche tratto 
                  individuale in maniera estemporanea e in qualche caso assolutamente 
                  esilarante... 
                  «Non sono l'unico a essere intervenuto, ma forse sono 
                  l'unico a averlo fatto in modo decisivo e stilisticamente in 
                  sintonia. Ho integrato la stilistica del cartello con la mia, 
                  per me è molto importante relazionarsi al contesto, creando 
                  una interazione tra lo scontato e il non scontato.» 
                   
                  Quanto c'è in te di groucho-marxista? 
                  «Ah! L'ironia è fondamentale, è questione 
                  di sopravvivenza, e di comunicazione. È una componente 
                  indiscutibile della natura umana, l'essere umano non è 
                  una macchina da produzione!» 
                   
                  Qual è la reazione delle istituzioni, dei vigili 
                  urbani certamente, ma anche delle Belle Arti alle tue opere? 
                  «Be', quella delle forze dell'ordine è prevedibile, 
                  ciò che è preoccupante invece è quella 
                  delle istituzioni che dovrebbero tutelare e promuovere l'arte. 
                  Le istituzioni hanno un problema con me, hanno questo tabù 
                  di non sapere affrontare la legalità se non attraverso 
                  l'obbedienza. Non riescono ufficialmente a scostarsi da questa 
                  impostazione, anche se intimamente, a livello personale, possono 
                  apprezzare il mio lavoro. Le Belle Arti e istituzioni culturali, 
                  assessorati alla cultura, ecc. non hanno alcun rapporto con 
                  me, L'assessorato alla cultura non ha mai fatto una mossa nei 
                  miei confronti, e io per orgoglio mi guardo bene dal chiedergli 
                  qualcosa...» 
                   
                  (mentre parla entra un giovanissimo studente che gli dice che 
                  a scuola hanno parlato tutta la mattina di lui, i turisti fotografano 
                  ogni giorno le sue opere: evidentemente l'ufficialità 
                  non è la vita reale delle persone e non ne rappresenta 
                  gli interessi, i sentimenti, la curiosità, la voglia 
                  di sperimentare, né tantomeno la vitalità di questo 
                  ragazzino sorridente). 
                   
                  In una intervista ho letto che non vuoi lo scontro violento 
                  con il potere, provochi riflessioni sul suo aspetto di arbitrarietà 
                  mostrando che l'essere umano può avere altri percorsi 
                  differenti da quelli obbligati. I tuoi segni sono una sorta 
                  di desacralizzazione, una specie di eresia nel tessuto urbano? 
                  «Hai detto bene, una desacralizzazione.» 
                   
                  Parlami della scultura del Ponte alle Grazie... 
                  «L'uomo comune in 3D, il vero eroe della vita, quello 
                  che paga l'affitto, porta i bambini a scuola... il passo è 
                  il rischio, il ponte va in una direzione e lui va in un'altra, 
                  perché vuole uscire dalle regole. Faccio un paragone 
                  con la legge, per difendermi dalla legge devo usare la legge. 
                  È un circuito chiuso. Io ho collocato la scultura a spese 
                  mie e senza autorizzazione, ho avuto due multe, la prima era 
                  perché impediva la fruibilità del ponte... 
                  !» 
                   
                  Be', grandioso, temevano che impedisse qualche suicidio? 
                  «Ma sì, ah ah! probabilmente... ho fatto ricorso 
                  senza avvocato, dopo un anno è arrivata lo stesso l'ingiunzione 
                  di pagamento, la scultura era stata rimossa e me l'hanno restituita 
                  e come reazione l'ho rimontata sul ponte. Mi hanno rifatto la 
                  multa, ho fatto di nuovo ricorso, questa volta hanno trovato 
                  una motivazione meno demenziale: era senza autorizzazione. È 
                  da almeno tre mesi che è lì, non so che intenzioni 
                  abbiano, c'è stata la raccolta di firme per la Sovraintendenza 
                  alle Belle Arti, però non ha dato risultati. Nel senso 
                  che non c'è stata una risposta. Di quella serie di tre 
                  sculture c'è anche l'Uomo che cammina sull'acqua 
                  al Parco dei Renai a Lastra a Signa, questo l'hanno comprato.»
				   
                
                   
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                    |   Un 
                        passo avanti, la scultura in vetroresina 
                        sul Ponte delle Grazie  | 
                   
                 
                  
                  Parliamo ancora di immobilismo fiorentino e italiano, un “grande 
                  museo a cielo aperto”, un paese dove si continua a far 
                  pagare il biglietto per l'arte del passato senza incentivare 
                  quella del presente. 
                  Mi dice: “Le accademie italiane negli anni 60 e 70 hanno 
                  sfornato gli ultimi nomi di artisti famosi, poi più niente!”. 
                  Parliamo di coraggio. “Bisogna avere il coraggio, senza 
                  il coraggio non si può fare niente”. E si capisce 
                  che senza il coraggio non esisterebbe nemmeno l'arte. 
                  Sotto alle firme raccolte online perché Firenze riconosca 
                  la scultura di Ponte alle Grazie c'è questa bellissima 
                  dedica firmata da Massimo De Matthaeis: “Perché 
                  Clet mi ha insegnato che puoi essere un uomo comune, ma anche 
                  un uomo straordinario. Come la sua scultura, che fa un passo 
                  verso l'arte, ma trova come ostacolo naturale un fiume. Un fiume 
                  ideale, di parole, di infondate denunce e della stupidità 
                  più misera di chi non accetta un dono da una persona 
                  che ama Firenze. Da quando Firenze non è più 
                  la città degli artisti?”.  
                 Patrizia “Pralina” Diamante
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