  
                
  
                I Gang/ 
                  Storia di una possibile saldatura 
                   
                  La fine del canto sociale 
                La riscoperta e la riproposizione del canto popolare e la nascita 
                  di una nuova canzone politica in Italia furono due fenomeni 
                  strettamente collegati. Fecero capolino e si mantennero in fase 
                  embrionale nella seconda metà degli anni '50, si svilupparono 
                  e divennero realtà solide, con produzioni editoriali 
                  e ovviamente musicali (spettacoli e dischi), nel corso degli 
                  anni '60 e '70. Poi si entrò in una profonda crisi culturale 
                  e sociale nella quale la canzone popolare tornò ad essere 
                  una branca un po' negletta degli studi degli antropologi, e 
                  cantare politica in canzonetta parve essere del tutto passato 
                  di moda. 
                  Erano arrivati gli anni '80. 
                  Ovviamente la fonte profonda della poesia popolare, giacimento 
                  di ballate e canzoni, può nascondersi come un fenomeno 
                  carsico, ma non troppo a lungo. Ovviamente la canzone impegnata, 
                  quella che affronta la realtà che ci circonda, non è 
                  un genere ma un'esigenza che filtra e si confonde in molti generi 
                  musicali e poetici. Ovviamente insomma, presto o tardi, si sarebbe 
                  tornato a cantare popolare e politico... ma intanto? 
                  Mentre la grande epopea della scoperta e della passione civile 
                  degli anni '60/'70 sembrava essersi conclusa nel nostro paese, 
                  ecco che le più celebrate rockstar degli anni '80 – 
                  Peter Gabriel, Sting, Paul Simon – riscoprivano e riproponevano, 
                  sotto la sigla word music, una percezione addirittura 
                  planetaria del fenomeno del folklore musicale, e il nostro Fabrizio 
                  de André non avrebbe tardato a fornire una propria sintesi 
                  di questo fenomeno pubblicando il suo primo lp completamente 
                  in dialetto Crêuza de mä. 
                  Bruce Springsteen nei suoi oceanici concerti di quegli anni 
                  non si stancava di ritornare alle proprie origini folk, celebrando 
                  i suoi “maestri” Woody Guthrie e Pete Seeger, cantori 
                  ancorati al popolo e profondamente politici. 
                  Questi fenomeni, importanti nel tenere viva la fiamma, erano 
                  però rielaborazioni a posteriori dei “figli dei 
                  figli dei fiori”. 
                Il punk 
                 Una rabbia immediata e inarrestabile era intanto già 
                  esplosa nei ghetti bianchi delle periferie londinesi nel 1977 
                  e aveva preso nome di punk: ribelli senza causa, senza 
                  speranza, imbracciavano lo slogan “No future” e 
                  traducevano il loro furioso disagio, presto diventato furia 
                  di vivere, in una cultura di libertà e immediatezza, 
                  iniziando quelle pratiche di autorganizzazione e autoproduzione 
                  che per molti versi stiamo ancora usando. I testi più 
                  direttamente – a volte brutalmente – politici di 
                  quegli anni, sono proprio quelli dei testi dei gruppi del punk 
                  rock. 
                  Era una nuova percezione dell'urgenza espressiva, quella stessa 
                  contenuta nei canti di lavoro e di rivolta di un tempo, che 
                  trovò nuova casa fra i canti di questi nuovi ribelli 
                  rifiutati da una società che non aveva più bisogno 
                  di loro, neanche come carne da cannone o da catena di montaggio. 
                  Il gruppo punk rock forse più maturo che emerse dalla 
                  scena londinese, quello che seppe evolverne le implicazioni 
                  implicite, volgendo l'orecchio al reggae e ai suoni dei 
                  ghetti del mondo, e provando a dare ossigeno rivoluzionario 
                  al fuoco di una rivolta autodistruttiva, fu The Clash. 
                
                   
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                    |   I Gang all'inizio della loro carriera  | 
                   
                 
                 
                I fratelli del punk italiano 
                 I fratelli Marino e Sandro Severini, marchigiani, dalla frazione 
                  di un paese sperduto nell'entroterra maceratese (Filottrano), 
                  avevano seguito dai bordi dell'impero, i bagliori residui del 
                  canto popolare e politico italiano. Quei canti stavano bene 
                  nel loro orizzonte, fatto di cultura contadina, insieme agli 
                  echi dell'epopea partigiana, della morente ondata libertaria 
                  sessantottina, dei cantautori che avevano nutrito la generazione 
                  precedente... 
                  Ma chi, come loro, aveva 20/25 anni nel 1980, era anche irrimediabilmente 
                  lontano da quei codici comunicativi. La strada si era interrotta. 
                  Serviva un nuovo alfabeto musicale e poetico che traghettasse 
                  quella viva eredità al di là del guado. 
                  Il gruppo musicale che in Italia più si è dato 
                  da fare per trovare quell'alfabeto, per raccontare le storie 
                  del presente, per sfidare il potere, per invitare alla festa 
                  del dissenso i nuovi compagni, per fare un'opera di memoria 
                  e di futuro, è proprio il gruppo che i fratelli Severini 
                  fondarono nel 1984: The Gang. 
                  La folgorazione era ovviamente arrivata dall'esempio dei Clash, 
                  ma anche dal confronto con un altro grande cantautore impegnato 
                  inglese, perfettamente inserito nella cultura punk: Billy Bragg. 
                  A questi due artisti sono dedicate due ballate emblematiche 
                  del repertorio dei Gang. La prima – ispirata a Joe Strummer, 
                  il cantante dei Clash – è il ritratto dell'eterno 
                  ribelle cui fa specchio l'eterno cantore, quasi fossero due 
                  figure necessarie l'una all'altra, due facce della stessa medaglia: 
                  il bandito che rompe gli schemi sociali, il cantore popolare 
                  che ne rende esemplare ed eterna la ribellione. 
                   
                  “Un tempo fu un bandito, bandito senza tempo 
                  uccise un presidente ne ferì altri cento. 
                  Forse fu a vent'anni o forse due di meno 
                  era con Gaetano Bresci sopra una nave lungo il Tirreno: 
                  giocarono a tresette, tresette con il morto 
                  il terzo era un gendarme, il quarto un re dal fiato corto. 
                   
                  Un tempo fu a Milano dove si va a lavorare 
                  c'erano tante bande quante banche da rapinare. 
                  Forse fu per caso che con Pietro Cavallero 
                  fece la comparsa in un film in bianco e nero. 
                  Gli diedero fucili e pistole di terza mano 
                  un passaporto falso per fuggire via lontano. 
                   
                  Un tempo per paura o forse per coraggio 
                  si fece catturare alla catena di montaggio. 
                  Quel tempo chi lo ricorda lo Stato aveva mal di cuore 
                  così a Renato Curcio chiese in prestito nuove parole. 
                  Con quelle partì all'assalto di nuovi mulini a vento 
                  incontrò anche un sorriso lungo la strada che porta a 
                  Trento. 
                   
                  Un tempo, questo tempo, con un'arma un po' speciale 
                  una Magnum Les Paul spara canzoni che fanno male 
                  ora ha una nuova banda e un fazzoletto rosso e nero 
                  quando attacca “I fought the law” fa saltare il 
                  mondo intero. 
                  Ma un tempo fu un bandito, bandito senza tempo 
                  veniva con la pioggia e se ne andava via col vento...” 
                   
                  Quasi a riportare alla tradizione questa eterna storia del ribelle 
                  e del suo cantore, l'ultimo verso “Veniva con la pioggia 
                  e se ne andava via col vento” è una citazione dalla 
                  canzone di Woody Guthrie Pastures of planty. 
                  Sesto San Giovanni, città industriale per antonomasia 
                  sita al confine con la periferia nord di Milano, dà il 
                  titolo a una canzone di dolore e di orgoglio per la classe operaia 
                  negli anni della dismissione. Parlare della fatica del lavoro, 
                  mentre il lavoro si sta facendo raro, è una difficile 
                  esigenza cui la poesia dei Gang non si sottrae. 
                   
                  “Primo turno, lunedì, sei di mattina, Sesto San 
                  Giovanni 
                  Billy Bragg che canta nella nebbia consola i tuoi trent'anni. 
                  Lontane son le torri di Milano e le sue luci cieche 
                  in fila, in tangenziale, le promesse si sentono tradite. 
                  La sirena chiama otto ore, così è da una vita 
                  timbri un altro giorno e tiri avanti senza via d'uscita. 
                  I dialetti soffocati nel regno del rumore 
                  al reparto verniciatura non passano le ore. 
                  E la nebbia che ci assale ci confonde giorno e sera 
                  sembra tutta una stagione inverno e primavera. 
                  È la fabbrica che ruba e ci divora i nostri anni migliori 
                  lavorare meno almeno se non puoi starne fuori. 
                  I sogni di mio padre contadino ora alzano le mani. 
                  Mio fratello è in galera da dieci anni ma tornerà 
                  domani. 
                  E la nebbia quando cade tra le braccia della sera 
                  ci fa sentire come dei fantasmi sopra una corriera.” 
                   
                  Vestiti di giubbotti di pelle o di magliette sbrindellate, armati 
                  di chitarre elettriche e batterie, i Gang con canzoni come queste 
                  testimoniano nel modo più evidente la continuità 
                  del segnale nel cambiamento del linguaggio. 
                  I fratelli Severini compongono le prime opere interamente in 
                  inglese, e i loro primi dischi (1984/1989) sono talmente vicini 
                  al lavoro dei loro ispiratori che diventano noti al pubblico 
                  come “i Clash italiani”. Lungi dall'adontarsi i 
                  Gang ne fanno motivo d'orgoglio e appartenenza: la musica è 
                  lo strumento della passione col quale edificare mura (i Severini 
                  appartengono a una famiglia di muratori), viaggiare e fare nuovi 
                  incontri. Essere riconducibili all'esperienza di un gruppo adorato, 
                  era già un modo di accorciare le distanze, di cominciare 
                  a raccontare le proprie vecchie storie “prendendo a prestito 
                  nuove parole”. 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Marino e Sandro Severini  | 
                   
                 
                 
                Cantori senza tempo 
                 La definizione di uno stile originale e classico allo stesso 
                  tempo, non si sarebbe fatta aspettare troppo. Divenuti alla 
                  fine degli anni '80 la più grossa realtà del rock 
                  italiano e firmato un contratto con una grossa etichetta, i 
                  Gang misero a punto tre dischi che sono tre pietre miliari della 
                  musica italiana Le radici e le ali (1991), Storie 
                  d'Italia (1993), Una volta per sempre (1995). Le 
                  canzoni ritrovavano la migliore vena della poesia impegnata 
                  fra slogan coinvolgenti, aperture oniriche, narrazioni in versi. 
                  Soprattutto le musiche rappresentavano l'apertura di un laboratorio, 
                  forse mai del tutto risolto ma appassionante, che fondeva il 
                  distorsore alla fisarmonica. La voce ipnotica di Marino, misteriosamente 
                  trasognata, sta dentro l'impasto sonoro senza prevaricarlo. 
                  Io ero un ragazzo strano, che già allora si sentiva fuori 
                  posto: a 20 anni – tanti ne avevo fra l'uscita di Le 
                  radici e le ali e di Storie d'Italia – ascoltavo 
                  i vecchi Dischi del Sole di Pietrangeli, Della Mea e 
                  di Giovanna Marini, ascoltavo Guccini e de André, ma 
                  già cercavo i cantautori francesi che mi avrebbero dato 
                  la voglia di scrivere a mia volta canzoni. Cominciavo a frequentare 
                  centri sociali e circoli politici, ma poi fuggivo lontano dalla 
                  loro musica, fossero concerti punk o del nascente hip-hop nostrano. 
                  Un pomeriggio il mio amico Alberto Bonanni mi passò Le 
                  radici e le ali registrato su una cassettina, che a mia 
                  volta duplicai. I Gang mi arrivarono così come qualcosa 
                  di assolutamente nuovo, ma nel quale riconoscevo l'aria della 
                  mia famiglia. Credo che a molti ragazzi della mia generazione 
                  sia successa la stessa cosa, magari in modo esattamente speculare: 
                  abituati ad ascoltare i gruppi punk, dei quali percepivano l'ondata 
                  di rabbia esistenziale ma non il sostrato sociale, furono riportati 
                  dai Gang alla casa del padre della tradizione e del futuro. 
                  I fratelli Severini – in un momento complicato della nostra 
                  storia culturale – ci presero per mano e ci accompagnarono 
                  un passo fuori dal presente senza speranza. 
                  Poi ognuno di noi ha seguito la propria strada, se ne è 
                  stato degno e capace. Così hanno fatto i Gang, che hanno 
                  prodotto altri dischi, ma che a un certo punto hanno rotto col 
                  mercato musicale mainstream, tornando a un orgoglioso 
                  regime di autoproduzione e continuando il loro percorso di cavalieri 
                  senza macchia del rock italiano. I rapporti con le tradizioni 
                  musicali popolari oggi sono molto più chiari ed evidenti 
                  per tutti noi, e gli esperimenti in questo senso si sono moltiplicati. 
                  I Gang stessi si sono dedicati a stringere questi legami incidendo 
                  un disco assieme allo storico gruppo di ricerca La Macina (Nel 
                  tempo e oltre cantando 2004), un altro sulla cultura contadina 
                  (Il seme e la speranza 2006), un terzo rielaborando canzoni 
                  della resistenza (La rossa primavera 2011) e intraprendendo 
                  una serie di reading/concerti assieme al giornalista Daniele 
                  Biacchessi. 
                  I Gang però, per chi li segue e per chi ha la fortuna 
                  di conoscerli, restano i più coerenti e stimati menestrelli 
                  del rock, traghettatori di storie ed esperienze, simbolo essi 
                  stessi della dignità di un'arte umile e altissima, quella 
                  della musica, bella perché utile e utile perché 
                  bella: la musica popolare. 
                  Si sono assunti per primi il compito di portare questa tradizione 
                  fuori dal guado, e oggi, liberi dalla loro stessa legenda e 
                  fraterni con chi ha imparato da loro, ci insegnano che questa 
                  non è musica per mestieranti e strumentisti che vivono 
                  della luce riflessa dei riflettori, ma solo una delle possibili 
                  declinazioni attraverso cui si impara ad essere uomo fra gli 
                  uomini.
                  Alessio Lega 
                  alessiolegaconcerti@gmail.com
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