rivista anarchica
anno 43 n. 385
dicembre 2013 - gennaio 2014


chiesa cattolica/1

Furbi et orbi

di Francesca Palazzi Arduini


Forse non siete tra i pochi fortunati che hanno sentito squillare il telefono di casa e dall'altra parte c'era “lui”.
Nell'attesa di quei trilli, leggetevi questo scritto un po' irriverente, ben poco in linea con il generale entusiasmo per questo gesuita.


Verso l'inizio del 1950 Eichmann riuscì a mettersi in contatto con l'Odessa... e venne in Italia, dove un francescano che sapeva perfettamente chi era gli procurò un passaporto da profugo, intestato a 'Richard Klement', e lo mandò a Buenos Aires.
Arrivò alla metà di luglio, e senza alcuna difficoltà ottenne documenti d'identità e un permesso di lavoro col falso nome di Ricardo Klement (...)
Nell'estate del 1952 sua moglie e i figli finalmente lo raggiunsero. (...) quando gli nacque il quarto figlio, 'risposò' la moglie, a quanto si dice sempre col falso cognome di Klement. La cosa è però improbabile perché il bambino fu registrato all'anagrafe come Ricardo Francisco (forse in omaggio al religioso italiano) Klement Eichmann

La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme
di Hannah Arendt (1963)


Il salvataggio in corner della chiesa cattolica tramite la “decadenza” di Joseph Ratzinger dal ruolo di papa è stato il segnale della rottura pubblica della fiducia della chiesa in se stessa come organismo di Dio.
Potevamo dire poco di questo inedito Francesco se non che sembrava che il collegio dei votanti l'avesse eletto ascoltando i mormorii dei pensatori laico-devoti più accreditati, coloro che bramavano il paradosso del “papa povero”, mentre sdegnavano il “premier operaio” e rimpiangevano il “prete anarchico”.
Da quel momento è partita la campagna di riabilitazione vaticana che pare preludere o a uno scisma tra protestanti relativisti e tradizionalisti, o a una ripetizione del Concilio Vaticano II.
Una cosa è certa: i media possono fare piccolo ciò che è grande e grande ciò che è piccolo: anche per cattolici ora sembrerà più importante del credere in Dio il credere se il papa farà o no cose straordinarie.
Vediamo quindi, a prescindere dal giudizio, di certo negativo, sull'uso del paradosso e dello pseudonimo da parte dei papi (e di alcuni altri) l'uscita di corsa da un modello di chiesa che aveva scommesso tutto su una geopolitica della fede intransigente e viriloide, con Giovanni Paolo II, il transito attraverso un'epoca di raffinati sofismi e poetica reazione con Ratzinger (il fagocita bianco), l'imboccare a rotta di collo la costruzione d'una nuova immagine popolare. I consigli dell'Economist (la chiesa ha bisogno di nuovi investimenti in aree a rischio, come il Sudamerica) non potevano essere meglio seguiti: informalità invece di rigida etichetta, un palazzo stile seminario invece dell'appartamento dorato, e soprattutto sfrondare il carnet dello Ior entro l'anno dando il via ad una politica economica meno sportiva, anche se foriera di pericolosi rancori.
Il dato più significativo di queste ultime settimane è l'operazione di pulizia a tutto campo dell'immagine di papa Bergoglio dalle ombre argentine del regime di Videla. Ora possiamo capire di più del problema, a partire dal libro La lista di Bergoglio, punta della manovra mediatica per presentare questo papa come una specie di Schindler sudamericano. Peccato che questo tentativo, a ben guardare, si morda la coda.
È questo che suggerisce Hannah Arendt nel nostro incipit: ricordare come in passato il gioco dei “lasciapassare” sia servito a ben altro, e come però, tragicamente, si trattasse sempre del paese di origine di Bergoglio, ci presenta vivida la realtà di un clero ben consapevole di essere integrato in un sistema politico che gli dà delle possibilità di azione... conveniente per sé per chi si decide di “salvare”, purché si usi il silenzio, e la prudenza che è sempre d'obbligo per l'autoconservazione.
Il paragone con Schindler pare debole. Non ci interessa vedere nel Bergoglio di allora alcun segno di santità e una vocazione al martirio. Sottolineiamo semplicemente l'ipocrisia di questa narrazione politica che ripropone ancora una volta una chiesa non certo “madre” o “sorella” ma anzi “patrigna”, capace ancora una volta di far valere le proprie leggi (e i propri passaporti) su quelle di “Cesare” solo quando vuole e per chi vuole.

“Azione e contemplazione”

Che poi Bergoglio ami continuare a parlare contro il “sistema”, e ammonire i suoi nemici, dichiarando “quando vedo un clericale divento di botto anticlericale”, confermando così la sua capacità di mimetizzazione a seconda delle sollecitazioni, ci dà la conferma di una personalità gesuitica a tutto tondo.
Per continuare un'analisi abbiamo bisogno di considerare almeno tre elementi: la filosofia pratica del gesuita, il dibattito tra papa e Scalfari (quest'ultimo definito 'papa del liberalismo'), e la lista dei desideri dell'audience.
“Sono un peccatore” dice quasi fosse in confidenza Bergoglio nella sua intervista strategica a Civiltà cattolica, “Sì, posso forse dire che sono un po' furbo, so muovermi, ma è vero che sono anche un po' ingenuo. Sì, ma la sintesi migliore, quella che mi viene più da dentro e che sento più vera, è proprio questa: sono un peccatore al quale il Signore ha guardato”. La suggestione del gesuita Matteo Ricci, mandarino alla corte cinese, è chiara, la rianima Bergoglio stesso nel colloquio sull'organo della compagnia Gesù. Il gesuita, dice Bergoglio, è un uomo di azione e di contemplazione, il suo è un pensiero aperto, rivolto a un orizzonte... Così, il mandarino gesuita, uomo di mondo, si avventura verso il non credente o l'altrimenti credente, ne impara la lingua, ne rintraccia (e rivendica) l'etimologia divina, è capace di piccole concessioni e anche di genuini gesti scenografici, come padre Arrupe che pregava per terra “alla maniera dei giapponesi”.
Solo alcune certezze restano scolpite: che il gesuita debba fedeltà alla chiesa, sia intesa essa come “popolo di Dio” ovvero il gregge, che alla “santa madre chiesa gerarchica”, cioè il clero. E che la “luce della fede” sia superiore e in qualche maniera al lume della ragione, un po' come la capacità di bluffare sulla mnemonica nel poker (o era il contrario?).
La fede-lanterna ha una lunga storia, anche questa non nuova per la chiesa: non solo le encicliche Veritatis splendor e Fides et ratio di Giovanni Paolo II (1998), ma anche la costituzione dogmatica Lumen gentium del Concilio Vaticano II (1964), ripropongono in nuove versioni il tema della fede come luce guida verso la verità e il corretto agire.
Certo Bergoglio non è il primo a sottolineare la possibilità che la legge divina si possa interpretare, che la luce possegga prismatiche sfumature, e che i poco fortunati esclusi dal contratto di fornitura possono essere guardati con comprensione. “Dio è nella vita di ogni persona”, afferma Bergoglio, pur se non ancora baciate/i dalla fede siamo quindi considerate/i sul mercato.
In God we Trust (“Noi abbiamo fiducia in Dio”), anche le vittime di Lampedusa hanno beneficiato della benedizione papale: “Nei giorni scorsi Krajewski (l'elemosiniere del papa) si è recato a benedire i corpi ricuperati dal mare, a visitare i superstiti, a far percepire loro la vicinanza del papa e a dare a ciascuno un consistente aiuto per le necessità più immediate. Ogni sommozzatore che scendeva in acqua per ricuperare un corpo – ha informato L'Osservatore Romano – portava con sé una coroncina del rosario benedetta da papa Francesco”.
Niente di nuovo sotto il sole se, di nuovo, il cattolicesimo tenta la carta della tolleranza dialogica e dell'italica indulgenza condita da sapienti passi di valzer: uno, definire tutti Figli di dio, due, propugnare comunque la morale tradizionale cattolica, tre, benedire chi la sgarra e perdonare coloro che si ravvedono: “Penso alla situazione di una donna che ha avuto alle spalle un matrimonio fallito nel quale ha pure abortito. Poi questa donna si è risposata e adesso è serena con cinque figli. L'aborto le pesa enormemente ed è sinceramente pentita. Vorrebbe andare avanti nella vita cristiana. Cosa fa il confessore?”, chiede Bergoglio. Ovviamente sarà misericordioso, come Dio.
Nella sua enciclica Lumen fidei (2013), rabberciata da appunti ratzingeriani, si cita a pagina quattro Nietzsche come propugnatore della divisione insanabile tra credere e cercare, provando poi di nuovo a recuperare la distanza dal protestantesimo e dalle nuove religioni, e a seppellire per sempre l'onta galileiana.
Bergoglio è un papa che apre alla monarchia costituzionale ma accentra fortemente, con decisioni autoritarie ed esternazioni rapide, questo processo centrato sulla sua individualità, è lui infatti colui che “non ama i documenti colti ma è per un cattolicesimo di popolo”, è lui che interpreta la volontà di recupero della fiducia popolare sia in Europa, attanagliata dalla miseria, che nei paesi in via di sviluppo, teatro di grande divario sociale. Dalle periferie dove alcuni parroci ormai ti offrono la colazione se vai a messa, si pende dalle sue labbra.
È lui che sceglie di non dare la priorità al discorso etico scomodo (aborto, matrimonio omosessuale, uso dei metodi contraccettivi ..., “Quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il parere della chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione”) ma alla predicazione contro peccati più impopolari (l'estrema ricchezza, l'avidità) e a una funzione di servizio. Attenzione però, perché la sussidiarietà sociale è già stata oggetto di rivalità in Vaticano, nella guerra intestina che ha generato le dimissioni papali.

Vignetta tratta da Towanda! Rivista lesbica

Gli “altri” e il papa

Primo laico a emozionarsi per il nuovo papa buono è Eugenio Scalfari sulle pagine de La Repubblica, agente di quello che è stato definito, citando Prezzolini “un colloquio tra bugiardi”.
Scalfari scrive per due volte al nuovo papa, la prima il 7 luglio e la seconda, con un titolo più provocatorio, “Le domande di un non credente al papa gesuita chiamato Francesco”, il 7 di agosto. Alla seconda il papa ha risposto, per forza, all'annoiato giornalista (“La politica e l'economia non forniscono novità in questo week-end estivo (...) tutto considerato, il tema che più mi appassiona è l'enciclica Lumen Fidei...”). Le tre domande poste da Scalfari a Bergoglio, sul perdono di Dio ai non credenti, sul 'peccato' del non credere, e sulla scomparsa di Dio nel momento della scomparsa dell'umanità, sembrano più un artifizio retorico per dire altro, che enigmi veri da risolvere.
Ecco come Scalfari descrive Papa Bergoglio: “Di politica non si occupa, non l'ha mai fatto né in Argentina da vescovo né dal Vaticano da papa. Criticò Videla sistematicamente, ma non per l'orribile dittatura da lui instaurata ma perché non provvedeva ad aiutare i poveri, i deboli, i bisognosi. Alla fine il governo, per liberarsi di quella voce fastidiosa, mise a sua disposizione una struttura assistenziale fino a quel momento inerte...”.
La risposta di Bergoglio quindi arriva per autotutela. E invoca la visione di una fede cristiana “al servizio dell'uomo”, spiega la sua ampia visione del concetto di “peccato” e si spinge ad arditi (e sbrigativi) paragoni: non esiste verità “assoluta” nemmeno per i cattolici, perché la conoscenza consiste in una relazione, e l'amore di Dio tramite Gesù Cristo è una relazione.
Qui si confondono un pochino i piani della realtà umana e della fede ma tant'è, Bergoglio ribadisce che per lui c'è sempre un “cammino” verso la verità, e che ognuno deve seguire la propria coscienza che sa cosa è male e cosa è bene (non apriamo qui il capitolo sulla malafede, che è diabolica come il cavaliere).
Scalfari esulta emotivo alla risposta papalina ma più che altro tira un sospiro di sollievo per quelle parole che stanno a rassicurare che il papa non intende ingerire in politica ma solo farsi i fatti suoi gestendo la baracca sociale sussidiaria.
Degne di nota sono le ultime righe di Scalfari, tutto assoluti magici “anch'io vorrei che la luce riuscisse a penetrare e a dissolvere le tenebre anche se so che quelle che chiamiamo tenebre sono soltanto l'origine animale della nostra specie (...) guai quando incliniamo troppo verso la bestia da cui proveniamo”, oltre cent'anni di psicanalisi buttati alle ortiche, e rispuntano le corna.
Da questi paludamenti, prendiamo le distanze concordando con il filosofo Giovanni Fornero: questo dialogo tra sordi messo in atto è concettualmente ambiguo, presenta due punti di vista differenti, una la coscienza personale e l'altra la verità secondo i principi dottrinali cattolici. L'unica cosa su cui entrambi i patriarchi sono d'accordo è la salvaguardia dei ruoli di entrambi.
In quanto allo slogan “più angeli meno diavoli”, niente di nuovo sotto il sole.
Già nel 2010 il vaticanista Giancarlo Zizola ricordava che era già Caterina da Siena, sostenitrice del ritorno del papa a Roma, a gridare a Gregorio XI ai tempi di Avignone che il papa avrebbe dovuto “divellere” quei papaveri del clero puzzolenti e pieni di avidità che infestavano la chiesa. Occorre mettere in penitenza i preti cattivi e formare i buoni missionari.

Quasi fosse babbo natale

Ma questo impegno comune del “formare i buoni” cosa ci porterà per il futuro? Possiamo ipotizzare che sarà l'élite reazionaria e saranno gli interessi finanziari a dar vita a uno scisma tra chiesa Jekyll e chiesa Hyde? Oppure che l'attenzione di Bergoglio al concetto di “chiesa di servizio” e missionaria darà la mazzata finale alla concezione del welfare e della laicità, in Italia già abbondantemente tradito, vilipeso e smantellato.
È difficile dire se e quando le scelte di Bergoglio per una chiesa non romanocentrica, più poliglotta, innescheranno quelle scissioni che forse già Ratzinger, prendendo il nome di Benedetto, prefigurava. Del resto si chiama proprio Benedetto il pontefice che lo scrittore Jean Raspail immagina quale ultimo papa avignonese.
Intanto tutti scrivono al e sul papa: alcuni quasi fosse Babbo Natale, altri chiedono udienze nel tentativo di perorare la propria causa, altri per sollecitare riforme e cambiamenti o provocare reazioni.
Critica liberale chiede al nuovo papa, vista la promessa francescana, che “rinunci a tutti gli introiti che alla chiesa, a corretti termini di legge, ma contro ogni logica, provengono dal sistema dell'8 per mille attraverso il cosiddetto 'inoptato' (...) Chieda di scomputare dai versamenti annuali dello stato alla chiesa un importo pari alle retribuzioni degli insegnanti di religione nelle scuole di stato (...). Promuova Ella sua sponte un censimento delle attività economicamente profittevoli di enti e istituzioni ecclesiastiche e dia una direttiva inderogabile in ordine al pagamento, su di esse, di ogni tassa e contributo, da quelle sugli immobili a quelle sul lavoro”.
Marcello Veneziani depreca questo inno alla povertà e questo camminare a piedi (“come la Boldrini”, dice svelando le sue paure di misogino quasi la Santanchè invece andasse in Mercedes anche al cesso), e invita i media a non trasformare Bergoglio in un pauperino.
Sandro Magister nutre dei dubbi sulla capacità di “discernimento” di questo papa e sottolinea l'affidamento di un incarico vaticano a uno strano personaggio, Francesca Immacolata Chaouqui, informatrice legata all'Opus Dei, e la nomina come uomo di fiducia per lo Ior di monsignor Battista Ricca che ha scatenato i media rivelatori delle vicende omosessuali e di corruzione del monsignore. Cose che il papa, pur essendo queste avvenute in Sudamerica, pareva non conoscere.
Vito Mancuso vede in Francesco la spoletta dell'unione tra cattolici e laici quasi in virtù di una nuova religione panteista, che creda nell'Essere, e depreca il solito povero Nietzsche ritenuto causa di tutti i mali del relativismo. “I credenti sono chiamati a rinnovarsi (...) anche i non credenti però sono chiamati a rinnovare la loro mente alla luce dell'Essere non solo caos ma anche logos”.
Don Giovanni Franzoni auspica che oltre alla retorica pauperista arrivino le decisioni vere: la riabilitazione dei preti “repressi”, la collegialità vera attraverso il potere del Sinodo che deve essere decisionale, più autorità femminile (ma non il sacerdozio, precisa, pure lui).
Noi siamo chiesa” ricorda l'appello alla chiarezza lanciato da Franzoni e presentato nel 2007 in Vaticano, e protesta circa la decisione di canonizzare cerchio e botte, papa Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II (il 27 aprile 2014) dissociandosene.
Massimo Faggioli descrive l'empatia mediatica per il papa come “Un effetto che non si misura ad audience, a presenze eccellenti, a best seller venduti. Si misura a lacrime e sorrisi”. Accento deamicisiano.
Pietro De Marco critica il papa per il “linguaggio liquido” adottato per compiacere la stampa, che pare annunciare la rinuncia del papa cattolico alla certezza dottrinale “Inoltre, o nessuno è legittimato, mai, al giudizio, perché lo è solo Dio, o non si vede perché soltanto nel caso dell'omosessualità non si trovi l'istanza giudicante”.
Piero Stefani, partendo dall'analisi dell'esternazione del papa sull'attentato suicida in Pakistan del 23 settembre, fa notare che: “In virtù di una vera e propria eterogenesi dei fini di Francesco rischia di identificare il messaggio evangelico con se stesso. Nel mondo massmediatico è raro che ci sia l'ottimo, tuttavia quando c'è non vi è nulla di più facile che si trasformi in pessimo”.
Don Luigi Ciotti auspica che si avveri la promessa di una chiesa meno legata ai giochi della politica che spesso usa “l'alibi del cielo”.
Marco Marzano, su Il manifesto, trascende immaginando una chiesa canterina e empatica, scivolando verso la pericolosa estasi di massa: “Una spiritualità, quella del papa, anticipata dai rituali di guarigione dei gruppi carismatici, con l'entusiastica forza emotiva dei canti e della glossolalia”.
Francesco Santoro chiede al papa un giudizio e l'amnistia sulle sue “colpe” di prete che ha celebrato unioni gay.

e le donne?

In questo calderone ecumenico, in attesa della nuova cardinala (anche senza portafoglio) che sarebbe un colpaccio venisse eletta prima della presidente della repubblica, e della fine delle donne di servizio in chiesa, possiamo solo citare Anne Sexton: “Benedette le donne che vogliono rifarsi a propria immagine e somiglianza/ma non tutti i giorni./ (...) Benedetta la donna per aver sposato la mela”.

Francesca Palazzi Arduini