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				 chiesa cattolica/1 
                  
                Furbi et orbi 
                  
                di Francesca Palazzi Arduini 
                    
                Forse non siete tra i pochi fortunati che hanno sentito squillare il telefono di casa e dall'altra parte c'era “lui”. 
Nell'attesa di quei trilli, leggetevi questo scritto un po' irriverente, ben poco in linea con il generale entusiasmo per questo gesuita. 
  
                “Verso l'inizio del 1950 Eichmann riuscì 
                  a mettersi in contatto con l'Odessa... e venne in Italia, dove 
                  un francescano che sapeva perfettamente chi era gli procurò 
                  un passaporto da profugo, intestato a 'Richard Klement', e lo 
                  mandò a Buenos Aires.  
                  Arrivò alla metà di luglio, e senza alcuna 
                  difficoltà ottenne documenti d'identità e un permesso 
                  di lavoro col falso nome di Ricardo Klement (...)  
                  Nell'estate del 1952 sua moglie e i figli finalmente lo raggiunsero. 
                  (...) quando gli nacque il quarto figlio, 'risposò' la 
                  moglie, a quanto si dice sempre col falso cognome di Klement. 
                  La cosa è però improbabile perché il bambino 
                  fu registrato all'anagrafe come Ricardo Francisco (forse in 
                  omaggio al religioso italiano) Klement Eichmann” 
                 La banalità del male.  Eichmann 
                  a Gerusalemme  
                  di Hannah Arendt (1963) 
                 
                  Il salvataggio in corner della 
                  chiesa cattolica tramite la “decadenza” di Joseph 
                  Ratzinger dal ruolo di papa è stato il segnale della 
                  rottura pubblica della fiducia della chiesa in se stessa come 
                  organismo di Dio. 
                  Potevamo dire poco di questo inedito Francesco se non che sembrava 
                  che il collegio dei votanti l'avesse eletto ascoltando i mormorii 
                  dei pensatori laico-devoti più accreditati, coloro che 
                  bramavano il paradosso del “papa povero”, mentre 
                  sdegnavano il “premier operaio” e rimpiangevano 
                  il “prete anarchico”. 
                  Da quel momento è partita la campagna di riabilitazione 
                  vaticana che pare preludere o a uno scisma tra protestanti relativisti 
                  e tradizionalisti, o a una ripetizione del Concilio Vaticano 
                  II. 
                  Una cosa è certa: i media possono fare piccolo ciò 
                  che è grande e grande ciò che è piccolo: 
                  anche per cattolici ora sembrerà più importante 
                  del credere in Dio il credere se il papa farà o no cose 
                  straordinarie. 
                  Vediamo quindi, a prescindere dal giudizio, di certo negativo, 
                  sull'uso del paradosso e dello pseudonimo da parte dei papi 
                  (e di alcuni altri) l'uscita di corsa da un modello di chiesa 
                  che aveva scommesso tutto su una geopolitica della fede intransigente 
                  e viriloide, con Giovanni Paolo II, il transito attraverso un'epoca 
                  di raffinati sofismi e poetica reazione con Ratzinger (il fagocita 
                  bianco), l'imboccare a rotta di collo la costruzione d'una nuova 
                  immagine popolare. I consigli dell'Economist (la chiesa ha bisogno 
                  di nuovi investimenti in aree a rischio, come il Sudamerica) 
                  non potevano essere meglio seguiti: informalità invece 
                  di rigida etichetta, un palazzo stile seminario invece dell'appartamento 
                  dorato, e soprattutto sfrondare il carnet dello Ior entro l'anno 
                  dando il via ad una politica economica meno sportiva, anche 
                  se foriera di pericolosi rancori. 
                  Il dato più significativo di queste ultime settimane 
                  è l'operazione di pulizia a tutto campo dell'immagine 
                  di papa Bergoglio dalle ombre argentine del regime di Videla. 
                  Ora possiamo capire di più del problema, a partire dal 
                  libro La lista di Bergoglio, punta della manovra mediatica 
                  per presentare questo papa come una specie di Schindler sudamericano. 
                  Peccato che questo tentativo, a ben guardare, si morda la coda. 
                  È questo che suggerisce Hannah Arendt nel nostro incipit: 
                  ricordare come in passato il gioco dei “lasciapassare” 
                  sia servito a ben altro, e come però, tragicamente, si 
                  trattasse sempre del paese di origine di Bergoglio, ci presenta 
                  vivida la realtà di un clero ben consapevole di essere 
                  integrato in un sistema politico che gli dà delle possibilità 
                  di azione... conveniente per sé per chi si decide di 
                  “salvare”, purché si usi il silenzio, e la 
                  prudenza che è sempre d'obbligo per l'autoconservazione. 
                  Il paragone con Schindler pare debole. Non ci interessa vedere 
                  nel Bergoglio di allora alcun segno di santità e una 
                  vocazione al martirio. Sottolineiamo semplicemente l'ipocrisia 
                  di questa narrazione politica che ripropone ancora una volta 
                  una chiesa non certo “madre” o “sorella” 
                  ma anzi “patrigna”, capace ancora una volta di far 
                  valere le proprie leggi (e i propri passaporti) su quelle di 
                  “Cesare” solo quando vuole e per chi vuole. 
                  “Azione e contemplazione” 
                 Che poi Bergoglio ami continuare a parlare contro il “sistema”, 
                  e ammonire i suoi nemici, dichiarando “quando vedo un 
                  clericale divento di botto anticlericale”, confermando 
                  così la sua capacità di mimetizzazione a seconda 
                  delle sollecitazioni, ci dà la conferma di una personalità 
                  gesuitica a tutto tondo. 
                  Per continuare un'analisi abbiamo bisogno di considerare almeno 
                  tre elementi: la filosofia pratica del gesuita, il dibattito 
                  tra papa e Scalfari (quest'ultimo definito 'papa del liberalismo'), 
                  e la lista dei desideri dell'audience. 
                  “Sono un peccatore” dice quasi fosse in confidenza 
                  Bergoglio nella sua intervista strategica a Civiltà cattolica, 
                  “Sì, posso forse dire che sono un po' furbo, so 
                  muovermi, ma è vero che sono anche un po' ingenuo. Sì, 
                  ma la sintesi migliore, quella che mi viene più da dentro 
                  e che sento più vera, è proprio questa: sono un 
                  peccatore al quale il Signore ha guardato”. La suggestione 
                  del gesuita Matteo Ricci, mandarino alla corte cinese, è 
                  chiara, la rianima Bergoglio stesso nel colloquio sull'organo 
                  della compagnia Gesù. Il gesuita, dice Bergoglio, è 
                  un uomo di azione e di contemplazione, il suo è un pensiero 
                  aperto, rivolto a un orizzonte... Così, il mandarino 
                  gesuita, uomo di mondo, si avventura verso il non credente o 
                  l'altrimenti credente, ne impara la lingua, ne rintraccia (e 
                  rivendica) l'etimologia divina, è capace di piccole concessioni 
                  e anche di genuini gesti scenografici, come padre Arrupe che 
                  pregava per terra “alla maniera dei giapponesi”. 
                  Solo alcune certezze restano scolpite: che il gesuita debba 
                  fedeltà alla chiesa, sia intesa essa come “popolo 
                  di Dio” ovvero il gregge, che alla “santa madre 
                  chiesa gerarchica”, cioè il clero. E che la “luce 
                  della fede” sia superiore e in qualche maniera al lume 
                  della ragione, un po' come la capacità di bluffare sulla 
                  mnemonica nel poker (o era il contrario?). 
                  La fede-lanterna ha una lunga storia, anche questa non nuova 
                  per la chiesa: non solo le encicliche Veritatis splendor 
                  e Fides et ratio di Giovanni Paolo II (1998), ma anche 
                  la costituzione dogmatica Lumen gentium del Concilio 
                  Vaticano II (1964), ripropongono in nuove versioni il tema della 
                  fede come luce guida verso la verità e il corretto agire. 
                  Certo Bergoglio non è il primo a sottolineare la possibilità 
                  che la legge divina si possa interpretare, che la luce possegga 
                  prismatiche sfumature, e che i poco fortunati esclusi dal contratto 
                  di fornitura possono essere guardati con comprensione. “Dio 
                  è nella vita di ogni persona”, afferma Bergoglio, 
                  pur se non ancora baciate/i dalla fede siamo quindi considerate/i 
                  sul mercato. 
                  In God we Trust (“Noi abbiamo fiducia in Dio”), 
                  anche le vittime di Lampedusa hanno beneficiato della benedizione 
                  papale: “Nei giorni scorsi Krajewski (l'elemosiniere del 
                  papa) si è recato a benedire i corpi ricuperati dal mare, 
                  a visitare i superstiti, a far percepire loro la vicinanza del 
                  papa e a dare a ciascuno un consistente aiuto per le necessità 
                  più immediate. Ogni sommozzatore che scendeva in acqua 
                  per ricuperare un corpo – ha informato L'Osservatore Romano 
                  – portava con sé una coroncina del rosario benedetta 
                  da papa Francesco”. 
                  Niente di nuovo sotto il sole se, di nuovo, il cattolicesimo 
                  tenta la carta della tolleranza dialogica e dell'italica indulgenza 
                  condita da sapienti passi di valzer: uno, definire tutti Figli 
                  di dio, due, propugnare comunque la morale tradizionale cattolica, 
                  tre, benedire chi la sgarra e perdonare coloro che si ravvedono: 
                  “Penso alla situazione di una donna che ha avuto alle 
                  spalle un matrimonio fallito nel quale ha pure abortito. Poi 
                  questa donna si è risposata e adesso è serena 
                  con cinque figli. L'aborto le pesa enormemente ed è sinceramente 
                  pentita. Vorrebbe andare avanti nella vita cristiana. Cosa fa 
                  il confessore?”, chiede Bergoglio. Ovviamente sarà 
                  misericordioso, come Dio. 
                  Nella sua enciclica Lumen fidei (2013), rabberciata da 
                  appunti ratzingeriani, si cita a pagina quattro Nietzsche come 
                  propugnatore della divisione insanabile tra credere e cercare, 
                  provando poi di nuovo a recuperare la distanza dal protestantesimo 
                  e dalle nuove religioni, e a seppellire per sempre l'onta galileiana. 
                  Bergoglio è un papa che apre alla monarchia costituzionale 
                  ma accentra fortemente, con decisioni autoritarie ed esternazioni 
                  rapide, questo processo centrato sulla sua individualità, 
                  è lui infatti colui che “non ama i documenti colti 
                  ma è per un cattolicesimo di popolo”, è 
                  lui che interpreta la volontà di recupero della fiducia 
                  popolare sia in Europa, attanagliata dalla miseria, che nei 
                  paesi in via di sviluppo, teatro di grande divario sociale. 
                  Dalle periferie dove alcuni parroci ormai ti offrono la colazione 
                  se vai a messa, si pende dalle sue labbra. 
                  È lui che sceglie di non dare la priorità al discorso 
                  etico scomodo (aborto, matrimonio omosessuale, uso dei metodi 
                  contraccettivi ..., “Quando se ne parla, bisogna parlarne 
                  in un contesto. Il parere della chiesa, del resto, lo si conosce, 
                  e io sono figlio della chiesa, ma non è necessario parlarne 
                  in continuazione”) ma alla predicazione contro peccati 
                  più impopolari (l'estrema ricchezza, l'avidità) 
                  e a una funzione di servizio. Attenzione però, perché 
                  la sussidiarietà sociale è già stata oggetto 
                  di rivalità in Vaticano, nella guerra intestina che ha 
                  generato le dimissioni papali. 
                
                   
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                    |   Vignetta tratta da Towanda! Rivista lesbica  | 
                   
                 
                 
                  Gli “altri” e il papa 
                 Primo laico a emozionarsi per il nuovo papa buono è 
                  Eugenio Scalfari sulle pagine de La Repubblica, agente di quello 
                  che è stato definito, citando Prezzolini “un colloquio 
                  tra bugiardi”. 
                  Scalfari scrive per due volte al nuovo papa, la prima il 7 luglio 
                  e la seconda, con un titolo più provocatorio, “Le 
                  domande di un non credente al papa gesuita chiamato Francesco”, 
                  il 7 di agosto. Alla seconda il papa ha risposto, per forza, 
                  all'annoiato giornalista (“La politica e l'economia non 
                  forniscono novità in questo week-end estivo (...) 
                  tutto considerato, il tema che più mi appassiona è 
                  l'enciclica Lumen Fidei...”). Le tre domande 
                  poste da Scalfari a Bergoglio, sul perdono di Dio ai non credenti, 
                  sul 'peccato' del non credere, e sulla scomparsa di Dio 
                  nel momento della scomparsa dell'umanità, sembrano più 
                  un artifizio retorico per dire altro, che enigmi veri da risolvere. 
                  Ecco come Scalfari descrive Papa Bergoglio: “Di politica 
                  non si occupa, non l'ha mai fatto né in Argentina da 
                  vescovo né dal Vaticano da papa. Criticò Videla 
                  sistematicamente, ma non per l'orribile dittatura da lui instaurata 
                  ma perché non provvedeva ad aiutare i poveri, i deboli, 
                  i bisognosi. Alla fine il governo, per liberarsi di quella voce 
                  fastidiosa, mise a sua disposizione una struttura assistenziale 
                  fino a quel momento inerte...”. 
                  La risposta di Bergoglio quindi arriva per autotutela. E invoca 
                  la visione di una fede cristiana “al servizio dell'uomo”, 
                  spiega la sua ampia visione del concetto di “peccato” 
                  e si spinge ad arditi (e sbrigativi) paragoni: non esiste verità 
                  “assoluta” nemmeno per i cattolici, perché 
                  la conoscenza consiste in una relazione, e l'amore di Dio tramite 
                  Gesù Cristo è una relazione. 
                  Qui si confondono un pochino i piani della realtà umana 
                  e della fede ma tant'è, Bergoglio ribadisce che per lui 
                  c'è sempre un “cammino” verso la verità, 
                  e che ognuno deve seguire la propria coscienza che sa cosa è 
                  male e cosa è bene (non apriamo qui il capitolo sulla 
                  malafede, che è diabolica come il cavaliere). 
                  Scalfari esulta emotivo alla risposta papalina ma più 
                  che altro tira un sospiro di sollievo per quelle parole che 
                  stanno a rassicurare che il papa non intende ingerire in politica 
                  ma solo farsi i fatti suoi gestendo la baracca sociale sussidiaria. 
                  Degne di nota sono le ultime righe di Scalfari, tutto assoluti 
                  magici “anch'io vorrei che la luce riuscisse a penetrare 
                  e a dissolvere le tenebre anche se so che quelle che chiamiamo 
                  tenebre sono soltanto l'origine animale della nostra specie 
                  (...) guai quando incliniamo troppo verso la bestia da 
                  cui proveniamo”, oltre cent'anni di psicanalisi buttati 
                  alle ortiche, e rispuntano le corna. 
                  Da questi paludamenti, prendiamo le distanze concordando con 
                  il filosofo Giovanni Fornero: questo dialogo tra sordi messo 
                  in atto è concettualmente ambiguo, presenta due punti 
                  di vista differenti, una la coscienza personale e l'altra la 
                  verità secondo i principi dottrinali cattolici. L'unica 
                  cosa su cui entrambi i patriarchi sono d'accordo è la 
                  salvaguardia dei ruoli di entrambi. 
                  In quanto allo slogan “più angeli meno diavoli”, 
                  niente di nuovo sotto il sole. 
                  Già nel 2010 il vaticanista Giancarlo Zizola ricordava 
                  che era già Caterina da Siena, sostenitrice del ritorno 
                  del papa a Roma, a gridare a Gregorio XI ai tempi di Avignone 
                  che il papa avrebbe dovuto “divellere” quei papaveri 
                  del clero puzzolenti e pieni di avidità che infestavano 
                  la chiesa. Occorre mettere in penitenza i preti cattivi e formare 
                  i buoni missionari. 
                  Quasi fosse babbo natale 
                 Ma questo impegno comune del “formare i buoni” 
                  cosa ci porterà per il futuro? Possiamo ipotizzare che 
                  sarà l'élite reazionaria e saranno gli interessi 
                  finanziari a dar vita a uno scisma tra chiesa Jekyll e chiesa 
                  Hyde? Oppure che l'attenzione di Bergoglio al concetto di “chiesa 
                  di servizio” e missionaria darà la mazzata finale 
                  alla concezione del welfare e della laicità, in Italia 
                  già abbondantemente tradito, vilipeso e smantellato. 
                  È difficile dire se e quando le scelte di Bergoglio per 
                  una chiesa non romanocentrica, più poliglotta, innescheranno 
                  quelle scissioni che forse già Ratzinger, prendendo il 
                  nome di Benedetto, prefigurava. Del resto si chiama proprio 
                  Benedetto il pontefice che lo scrittore Jean Raspail immagina 
                  quale ultimo papa avignonese. 
                  Intanto tutti scrivono al e sul papa: alcuni quasi fosse Babbo 
                  Natale, altri chiedono udienze nel tentativo di perorare la 
                  propria causa, altri per sollecitare riforme e cambiamenti o 
                  provocare reazioni. 
                  Critica liberale chiede al nuovo papa, vista la promessa 
                  francescana, che “rinunci a tutti gli introiti che alla 
                  chiesa, a corretti termini di legge, ma contro ogni logica, 
                  provengono dal sistema dell'8 per mille attraverso il cosiddetto 
                  'inoptato' (...) Chieda di scomputare dai versamenti 
                  annuali dello stato alla chiesa un importo pari alle retribuzioni 
                  degli insegnanti di religione nelle scuole di stato (...). 
                  Promuova Ella sua sponte un censimento delle attività 
                  economicamente profittevoli di enti e istituzioni ecclesiastiche 
                  e dia una direttiva inderogabile in ordine al pagamento, su 
                  di esse, di ogni tassa e contributo, da quelle sugli immobili 
                  a quelle sul lavoro”. 
                  Marcello Veneziani depreca questo inno alla povertà 
                  e questo camminare a piedi (“come la Boldrini”, 
                  dice svelando le sue paure di misogino quasi la Santanchè 
                  invece andasse in Mercedes anche al cesso), e invita i media 
                  a non trasformare Bergoglio in un pauperino. 
                  Sandro Magister nutre dei dubbi sulla capacità 
                  di “discernimento” di questo papa e sottolinea l'affidamento 
                  di un incarico vaticano a uno strano personaggio, Francesca 
                  Immacolata Chaouqui, informatrice legata all'Opus Dei, e la 
                  nomina come uomo di fiducia per lo Ior di monsignor Battista 
                  Ricca che ha scatenato i media rivelatori delle vicende omosessuali 
                  e di corruzione del monsignore. Cose che il papa, pur essendo 
                  queste avvenute in Sudamerica, pareva non conoscere. 
                  Vito Mancuso vede in Francesco la spoletta dell'unione 
                  tra cattolici e laici quasi in virtù di una nuova religione 
                  panteista, che creda nell'Essere, e depreca il solito povero 
                  Nietzsche ritenuto causa di tutti i mali del relativismo. “I 
                  credenti sono chiamati a rinnovarsi (...) anche i non credenti 
                  però sono chiamati a rinnovare la loro mente alla luce 
                  dell'Essere non solo caos ma anche logos”. 
                  Don Giovanni Franzoni auspica che oltre alla retorica 
                  pauperista arrivino le decisioni vere: la riabilitazione dei 
                  preti “repressi”, la collegialità vera attraverso 
                  il potere del Sinodo che deve essere decisionale, più 
                  autorità femminile (ma non il sacerdozio, precisa, pure 
                  lui). 
                  “Noi siamo chiesa” ricorda l'appello alla 
                  chiarezza lanciato da Franzoni e presentato nel 2007 in Vaticano, 
                  e protesta circa la decisione di canonizzare cerchio e botte, 
                  papa Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II (il 27 aprile 2014) 
                  dissociandosene. 
                  Massimo Faggioli descrive l'empatia mediatica per il 
                  papa come “Un effetto che non si misura ad audience, a 
                  presenze eccellenti, a best seller venduti. Si misura a lacrime 
                  e sorrisi”. Accento deamicisiano. 
                  Pietro De Marco critica il papa per il “linguaggio 
                  liquido” adottato per compiacere la stampa, che pare annunciare 
                  la rinuncia del papa cattolico alla certezza dottrinale “Inoltre, 
                  o nessuno è legittimato, mai, al giudizio, perché 
                  lo è solo Dio, o non si vede perché soltanto nel 
                  caso dell'omosessualità non si trovi l'istanza giudicante”. 
                  Piero Stefani, partendo dall'analisi dell'esternazione 
                  del papa sull'attentato suicida in Pakistan del 23 settembre, 
                  fa notare che: “In virtù di una vera e propria 
                  eterogenesi dei fini di Francesco rischia di identificare il 
                  messaggio evangelico con se stesso. Nel mondo massmediatico 
                  è raro che ci sia l'ottimo, tuttavia quando c'è 
                  non vi è nulla di più facile che si trasformi 
                  in pessimo”. 
                  Don Luigi Ciotti auspica che si avveri la promessa di 
                  una chiesa meno legata ai giochi della politica che spesso usa 
                  “l'alibi del cielo”. 
                  Marco Marzano, su Il manifesto, trascende immaginando 
                  una chiesa canterina e empatica, scivolando verso la pericolosa 
                  estasi di massa: “Una spiritualità, quella del 
                  papa, anticipata dai rituali di guarigione dei gruppi carismatici, 
                  con l'entusiastica forza emotiva dei canti e della glossolalia”. 
                  Francesco Santoro chiede al papa un giudizio e l'amnistia 
                  sulle sue “colpe” di prete che ha celebrato unioni 
                  gay. 
                  e le donne?  
                 In questo calderone ecumenico, in attesa della nuova cardinala 
                  (anche senza portafoglio) che sarebbe un colpaccio venisse eletta 
                  prima della presidente della repubblica, e della fine delle 
                  donne di servizio in chiesa, possiamo solo citare Anne Sexton: 
                  “Benedette le donne che vogliono rifarsi a propria immagine 
                  e somiglianza/ma non tutti i giorni./ (...) Benedetta la 
                  donna per aver sposato la mela”. 
                 Francesca Palazzi Arduini 
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