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				 fumetti 
                  
                Come imparai ad amare Guy Fawkes 
                  
                di Daniele Croci 
                    
                Dal fumetto al graphic novel; dal graphic novel al film; e ancora: Occupy, Anonymous e addirittura Beppe Grillo. 
L'icona del vendicatore V, tra istanze anarchiche, populismo e contraddizioni. 
                  
                  È il 1982. Nel Regno Unito 
                  thatcheriano la rivista antologica Warrior pubblica le prime 
                  tavole di una serie a fumetti destinata a lasciare un segno 
                  indelebile nell'immaginario collettivo occidentale. La storia 
                  di un anarchico supereroe mascherato, un esperimento governativo 
                  sfuggito al controllo del campo di prigionia, un rivoluzionario 
                  (o un terrorista, che dir si voglia) che combatte un regime 
                  totalitario e fascista in una futuribile Inghilterra orwellianamente 
                  distopica. V for Vendetta, questo il titolo della striscia 
                  in radicale bianco e nero (ancora ben lungi dall'essere un patinato 
                  e colorato graphic novel) è ad opera di Alan Moore, un 
                  promettente sceneggiatore working class, ex spacciatore di Lsd 
                  e conciatore di pelle, bigamo, futuro musicista, mago, occultista 
                  e anarco-guro spirituale. Ad Alan si affianca il poco più 
                  esperto David Lloyd, disegnatore della serie e ideatore dell'inconfondibile 
                  look del protagonista: “Perché non lo dipingiamo 
                  come un Guy Fawkes resuscitato? [...] Gli darebbe l'immagine 
                  che ha meritato in tutti questi anni. Non dovremmo bruciarlo 
                  ogni 5 novembre, bensì celebrare il suo tentativo di 
                  far esplodere il parlamento!”1. 
                  Guy Fawkes, per l'appunto; non esattamente un simbolo sovversivo, 
                  ma piuttosto un'immagine – con relativa festività 
                  – creata dalla corona inglese all'inizio del diciassettesimo 
                  secolo per far vedere cosa succede a chi si oppone. Un nemico 
                  sconfitto, da mettere sul rogo e prendere in giro, per cementare 
                  l'allora precaria unità nazionale britannica. Prototerrorista 
                  magari sì, ma sicuramente non anarchico: la cattolica 
                  e fallimentare congiura delle polveri del 1605 mirava a uccidere 
                  il Re Giacomo I e relativo esecutivo, ovviamente protestanti, 
                  per sostituirlo al trono con la principessa, giustamente cattolica. 
                  Eppur si muove. Anche dalla copertina della raccolta in volume 
                  di V per Vendetta si capisce che qualcosa di strano c'è. 
                  La sorridente ed eburnea maschera-faccia di Guy e il titolo, 
                  pericolosamente simile allo slogan “V per Vittoria”, 
                  come diceva un altrettanto sorridente Winston Churchill durante 
                  la seconda guerra mondiale. Diventa chiaro che gli autori vogliono 
                  giocare col codice interpretativo del sistema di rappresentazione; 
                  giocare con l'appropriazione per creare sovversivi significati, 
                  “détournarli”, come si diceva una volta, 
                  appropriarsene in modo creativo come impone la cultura postmoderna. 
                  L'elenco delle illustri vittime uccise e ricomposte da Moore 
                  e Lloyd è lungo: Orwell, Shakespeare (Macbeth su tutti), 
                  Pynchon, Dumas, Leroux, you name it. Anche la celeberrima 
                  A cerchiata viene ribaltata in una V. 
                  V affascina perché è diverso, è queer, 
                  prima intellettualmente che fisicamente; la sua diversità 
                  è di per sé una minaccia al discorso egemonico 
                  (maschilista e militarista) del fascismo. Un superuomo privato 
                  della propria umanità, restituita parodisticamente da 
                  una maschera dal sorriso agghiacciante. Combatte, fa la sua 
                  rivoluzione in solitaria; nel mentre addestra una giovane aiutante, 
                  la imprigiona e la tortura per affrancarla dalla costruzione 
                  sociale della propria identità di genere: la più 
                  intrappolante delle gabbie, l'eteronormatività spinta 
                  sostenuta dall'essenzialismo reazionario. Un'idea totalizzante 
                  di individuo perfetto, un modello d'obbedienza. 
                  Normali e anormali, (anche) su questo fa leva il fascismo, estremizzare 
                  al massimo le pratiche di divisione che producono il soggetto 
                  nei moderni apparati. Scuole, caserme, ospedali, campi di concentramento. 
                  In nome della scienza e della sicurezza creare corpi docili 
                  da poter disciplinare. Il normale prima si rifugia nel Leviatano, 
                  mostro di uomini che ne assorbe la violenza e ancor più 
                  la libertà, e poi si convince che il proprio è 
                  uno stato (e uno Stato) necessario: “I negri, le checche, 
                  e i beatnik... Era la nostra testa o la loro” dice Prothero, 
                  la voce radiofonica del Partito, per giustificare le aberrazioni 
                  compiute nel nome della stabilità. 
                  A metà strada tra un vendicatore del teatro giacomiano, 
                  un supereroe e un rivoluzionario, V punisce e uccide, mentre 
                  il suo esplosivo spacca, taglia e fruga. Uno dopo l'altro detona 
                  il Palazzo di Westminster, il tribunale dell'Old Baley – 
                  con annessa statua della Giustizia, “Bugiarda, sgualdrina 
                  e puttana”, il numero 10 di Downing street e altro ancora. 
                  Vendica se stesso, quanto subito, e rivendica per sé 
                  e per tutti l'accesso alla violenza e alla retribuzione, mentre 
                  mina la società autoritaria nei suoi simboli, nelle sue 
                  radici. Smantella il sistema di sorveglianza che ha fatto dimenticare 
                  il concetto di privacy: “Non saran guardati i vostri gesti, 
                  né ascoltate le vostre conversazioni, e 'Fa'-ciò-che-vuoi' 
                  sarà l'unica legge” 
                  Ma V non vuole il caos, sa bene che il “Fa'-ciò-che-vuoi” 
                  è solo una parte del processo, quasi un male necessario. 
                  Lui mira all'anarchia, che Moore definisce “una storia 
                  d'amore. Chiaramente il modo migliore e l'unico moralmente sensato 
                  per gestire il mondo”2. 
                  V è conscio che la passione per la distruzione è 
                  anche una passione creativa, e che dopo una fase di confusione 
                  necessaria può emergere un nuovo ordine, senza potere 
                  né oppressioni. “Due facce indossa l'anarchia, 
                  il creatore e il distruttore” dice V alla sua discepola 
                  Evey. Destruam et aedificabo. 
                  Anche se alcuni commentatori vedono nel personaggio e nella 
                  vicenda delle tracce di vetusto e sgradevole materialismo dialettico3, 
                  è innegabile il carattere genuinamente sovversivo e consapevolmente 
                  rivoluzionario, nonché la volontà di rigettare 
                  la classica associazione popolare tra anarchia e caos. V riesce 
                  infine nel suo intento? Anche se Moore suggerisce una prassi 
                  ideale (cosa che non farà nel successivo e ancor più 
                  cupo Watchmen), decide di chiudere la vicenda prima della risoluzione, 
                  lasciando aperta ogni possibilità; V, coerentemente con 
                  il suo pensiero, si fa da parte per non influenzare il corso 
                  degli eventi: “Via i nostri distruttori! Non c'è 
                  posto per loro nel nostro nuovo mondo”. 
                  Un simbolo multiuso 
                  È 
                  il 2005. I cinema di tutto il mondo proiettano la trasposizione 
                  cinematografica di V per Vendetta. Il film cavalca la 
                  rinascita del cinema fumettistico-supereroistico ed è 
                  voluto e finanziato dalla Warner Bros, proprietaria della Dc 
                  Comics, casa che detiene in toto i diritti del graphic 
                  novel; alla sceneggiatura e regia troviamo rispettivamente 
                  gli ex fratelli Wachowski e il loro pupillo James McTeigue, 
                  tutti già noti al grande pubblico per l'ottovolante baudrillardiano 
                  Matrix. 
                  Per quanto indubbiamente suggestivo ed emozionante, il film 
                  risente in maniera violenta del sistema produttivo che lo ha 
                  reso possibile, la fabbrica dei sogni hollywoodiana. Una versione 
                  riveduta e (politicamente) corretta, americanizzata quanto basta 
                  e spogliata di ogni ambiguità narrativa e concettuale. 
                  Via quindi con il post-apocalittico, e soprattutto via con anarchia 
                  e fascismo, poco attuali e appetibili per il grande pubblico. 
                  Ovviamente, i due termini non vengono mai pronunciati nel film, 
                  se non per una breve scena in cui un delinquente, con indosso 
                  la maschera di Guy Fawkes, approfitta dei riot per rapinare 
                  un negozio al grido di “Anarchy in the Uk” – 
                  una scelta molto eloquente. Nel film V combatte quindi per un 
                  generico concetto di libertà contro un governo autoritario, 
                  corrotto, cospiratore (vai con la dietrologia post 11 settembre) 
                  e colluso con le multinazionali. Alan Moore, come prevedibile, 
                  la prende poco bene4. 
                  Se c'è un grosso merito da riconoscere al film, è 
                  quello di aver giocato (consciamente?) a livello meta-cinematografico 
                  con le carriere degli attori che interpretano due personaggi 
                  principali, al fine di generare ironicamente (postmodernismo 
                  mon amour) ambiguità. Sotto la maschera di V c'è 
                  infatti Hugo Weaving, l'agente Smith della trilogia di Matrix, 
                  mentre John Hurt, il cancelliere malvagio Adam Sutler (cambiato 
                  dal Susan del fumetto per risuonare nazista) fu Winston Smith 
                  nel film Orwell 1984. Coincidenze a parte, il film è 
                  da ricordare sopratutto per aver fatto conoscere V al grandissimo 
                  pubblico e, grazie anche al nuovo finale, un'orgia timidamente 
                  oclocratica, aver reso la maschera un simbolo virale, nonché 
                  un vero e proprio meme5. 
                  Il circolo di appropriazione e riuso si rimette in moto. Dopo 
                  Hollywood, è la volta di un'articolata galassia di movimenti, 
                  gruppi sociali e sottoculture. Immerso nel fluido della rete, 
                  il segno diventa ancora più scivoloso, il significato 
                  perennemente differito in senso derridiano, “una specie 
                  di simbolo multiuso”, come commenta profeticamente nel 
                  fumetto Mr. Finch. 
                  Strano ma vero, il primo uso politicamente consapevole6 
                  dell'iconografia legata di V è quello del Movimento 5 
                  stelle, precisamente nell'annuncio del V-Day dell'8 settembre 
                  20077; qui sono presenti, in 
                  forma seminale, molti degli elementi che hanno fatto la fortuna 
                  di Grillo: il populismo autoritario e volgarizzato (V per Vaffanculo), 
                  l'illusione della tecnodemocrazia diretta, il sentimento di 
                  rivalsa contro un nemico invisibile, l'anti-ideologia contraddittoria 
                  e reazionaria. La V cerchiata originale è rimasta anche 
                  nel simbolo del movimento, così come il richiamo al numero 
                  5. E se i 5stelle vedono nel loro comico un nuovo Fawkes, è 
                  facile trovarci anche un po' del fumettistico Adam Susan, un 
                  líder máximo grigio e isolato, intento 
                  a fissare con gnostica fiducia lo schermo di un computer. Il 
                  Movimento prevalga. 
                  Poco dopo è la volta di Anonymous, gruppo “hacktivista” 
                  nato sull'imageboard 4chan, che nel gennaio 2008 organizza un 
                  rally di protesta contro Scientology, durante il quale per la 
                  prima volta viene fatto pubblico uso della maschera di Guy Fawkes. 
                  Da allora è diventata il principale simbolo di questa 
                  non-organizzazione senza confini, senza riti di ingresso o di 
                  uscita, senza luoghi fisici, in cui convivono diverse sensibilità 
                  più o meno politiche, spesso in contraddizione fra loro. 
                  Una sorta di Fight Club cyberpunk in cui tutti possono indossare 
                  una maschera e giocare (il divertimento deviato o lulz 
                  è una componente ineliminabile) a fare la guerra al sistema 
                  tramite attacchi DDoS. Non vale nemmeno la pena chiedersi se 
                  Anonymous possa essere definito un movimento anarchico, poiché 
                  si compie l'errore di reificarlo in qualcosa di definibile. 
                  La natura fluida e impalpabile di Anonymous, la totale assenza 
                  di linee guida e di forme di affiliazione – tolto l'impiego 
                  di un certo linguaggio e di certi simboli – ne fanno un 
                  soggetto imperscrutabile anche in ottica post-strutturalista. 
                  La deriva è implacabile quando chiunque può micro-appropriarsi 
                  del simbolo e détournarlo secondo le proprie esigenze. 
                  Verso nuovi significati 
                 Le fascinazioni dell'anonimato, dell'appartenenza segreta 
                  e della lotta simbolica si mischiano con un sentimento di frustrazione 
                  piccoloborghese e una certa casualità internettiana: 
                  ciò ha fatto transitare gradualmente gli Anon dalla ricerca 
                  del lulz verso un attivismo comunque politicizzato salito 
                  più volte agli onori della cronaca, come nel caso dell'Operation 
                  Payback di sostegno ad Assange e Wikileaks. Tuttavia, il volto 
                  più riconoscibile della maschera di Fawkes (perdonando 
                  il gioco di parole) è quello del movimento Occupy, declinazione 
                  più nota del più ampio movimento di protesta globale 
                  che ha conquistato l'opinione pubblica negli ultimi anni; una 
                  serie di manifestazioni più o meno pacifiste, democratiche, 
                  allegramente anticapitaliste. Un movimento più inclusivista 
                  e aperto di Anoymous (non bisogna essere hacker per entrarci), 
                  ma anche un modo in cui la stessa Anonymous ha potuto allacciarsi 
                  a forme di protesta più convenzionali per fornire un 
                  approccio determinante, come nel tristemente noto caso dell'agente 
                  Pike e del “pepper spray”. Un movimento caratterizzato 
                  ovunque dallo stesso volto bianco e sorridente. Alan Moore è 
                  contento, la Warner Bros, che vende le maschere, pure. 
                  Le varie articolazioni post-cinematografiche della maschera 
                  di Guy Fawkes hanno pertanto obliterato la componente anarchica 
                  (o anarcoide, per i più critici) del fumetto originale, 
                  per abbracciare varie declinazioni di un intento pseudo-rivoluzionario 
                  che va genericamente “contro”: contro le ingiustizie 
                  sociali, contro la casta dei metabaroni, contro di “loro, 
                  il patronato e le multinazionali”, come diceva Fantozzi. 
                  Ma poco male, il processo di appropriazione e controappropriazione 
                  è inarrestabile e sempre portatore di nuovi significati, 
                  che in un vortice sempre più compresso si sovrappongono 
                  alla ricerca di visibilità. Non esiste un Fawkes vero 
                  o un Fawkes originale, ma solo infinite rappresentazioni. 
                  Il significante cannibalizza il significato, la maschera semplicemente 
                  è. Il medium è il messaggio, come diceva 
                  McLuhan. 
                  Non importa, quindi, se la carica potenzialmente esplosiva di 
                  Anonymous va quasi sempre a disperdersi nella fluida e intangibile 
                  casualità che ne è, da una parte, il punto di 
                  forza. Se la voglia di cambiare si sgretola nella spettacolarizzazione 
                  e nelle contraddizioni irrisolvibili dell'antipolitica. Se la 
                  coscienza di classe senza classe è impossibilitata a 
                  trovare una linea d'azione coerente e pertanto efficace. Come 
                  dice V nell'inquietante intermezzo musicale del fumetto, “vi 
                  danno panni e maschere e un abbozzo della storia... poi dovete 
                  improvvisare”.
                  Daniele Croci
 Note 
                 
                  - Dal saggio di Alan Moore “Behind the painted smile”, 
                    pubblicato in appendice alle versioni paperback dell'opera. 
                  
 - Da un'intervista rilasciata alla alla BBC, visibile su http://www.youtube.com/watch?v=QX7ehbE1vc0. 
                  
 - In particolare nella genesi di V, articolata come frutto 
                    della contraddizione in seno al potere stesso, nonché 
                    in un certa teleologia positivista che affiora in alcuni snodi. 
                    Si veda a tal proposito il saggio di L. Call “A is for 
                    Anarchy, V is for Vendetta” (2008) del numero 16.2 della 
                    rivista Anarchist Studies. 
                  
 - Moore spiega il suo disappunto in un'intervista rilasciata 
                    a MTV News (!) e leggibile qui http://www.mtv.com/shared/movies/interviews/m/moore_alan_060315/. 
                  
 - Da intendersi nel senso originale Dawkinsiano del termine, 
                    piuttosto che nell'accezione popolarizzata da imageboard e 
                    social network. 
                  
 - Escludendo quindi apparizioni sporadiche e irrintracciabili 
                    sulle imageboard tipo 4chan, col nome di Epic Fail Guy. 
                  
 - http://www.beppegrillo.it/2007/06/vaffanculoday.html. 
                
  
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