rivista anarchica
anno 43 n. 384
novembre 2013



Davide Giromini/
Storia di una possibile saldatura

di Alessio Lega


Si va compiendo la saldatura. È in atto un processo che, fra mille difficoltà, comporta la gestione di un'eredità morale pesante. Forse però indispensabile: le rivoluzioni future come quelle passate dovranno avere le loro canzoni. Cerchiamo canzoni per future rivoluzioni. AAA rivoluzioni con canzoni cercasi!
C'è stato sempre un tempo in cui fu necessario cantare le lotte, la ribellione, la speranza, il lavoro... venne anche il tempo nel quale fu importante la consapevolezza, il punto di equilibrio fra passato e futuro. Si cercarono e si trovarono canti popolari vecchi di secoli, di decenni, da proiettarsi da allora nel tempo a venire. Venne il 1958, il tempo del Cantacronache, iniziatore di ogni esperimento di nuova scrittura, di nuovo canto, di nuova ricerca, che per primo si pose il problema. Venne il 1964, il tempo di raccogliere i frutti del Nuovo Canzoniere Italiano in Bella Ciao e in tutti quegli spettacoli che avrebbero stabilito il canone del canto necessario, delle canzoni urgenti: belle perché utili, utili perché belle. E poi venne il '68: Giovanna Marini, Paolo Pietrangeli, Ivan Della Mea, Gualtiero Bertelli e tanti tanti altri... di questi artisti, del loro progetto collettivo e delle loro strade singolari ho parlato spesso e a lungo.
Poi c'è stato un silenzio pesante.
Non che non si cantassero canzoni necessarie, non che quel tempo non trovasse le sue parole per essere raccontato, ma i modelli erano quelli venuti da altre culture lontane, qualcosa si interruppe. I gruppi punk degli anni '80, i gruppi hip-hop e del nuovo rock italiano degli anni '90 non avevano rapporti, forse nemmeno conoscevano chi li aveva preceduti in questo paese.
È in questi ultimi dieci anni che si è compiuta una saldatura: corali, gruppi, cantori, singoli artisti sono al lavoro, si riappropriano di queste antiche canzoni, le portano a vivere nei piccoli teatri, nelle piazze, sulle nuove barricate...
Più difficile sembra oggi la proposta di nuove canzoni in grado di dialogare con quest'intenzione, con questa antica esigenza, col progetto di cantare le storie nella Storia. Mescolare il popolare al colto. Intervenire sul presente, consapevoli del passato di cui questo presente è figlio.
Un cantautore che interpreta straordinariamente questo bisogno è il carrarino Davide Giromini.
Personaggio complesso sul piano musicale, come su quello poetico. Autore e uomo pervaso da dilanianti inquietudini e da belle idee, ha prodotto negli ultimi dieci anni un pugno di cinque dischi, qualche decina di canzoni notevoli (non tutte pubblicate), spettacoli propri e molte partecipazioni a progetti altrui nella veste di autore, compositore, interprete o anche come semplice fisarmonicista.
Affascinante e contorto, Davide Giromini soggiace a una sorta di schizofrenia che lo fa apparire, a ogni tornante della sua faticata strada, sotto un aspetto diverso: i primi tre dischi li ha prodotti sotto la sigla di Apuamater (gruppo che si autodefiniva Indiesfolk), poi una brusca deviazioni sui suoni elettronici e su una personalissima rilettura delle esperienze post-rock ha dato i natali a due dischi firmati Redelnoir. Ma la mutevolezza di Giromini si manifesta nelle acconciature a volte estreme con le quali violenta la sua rossa chioma, nel paludarsi a volte di spolverini neri a volte di camicie bianchissime, nell'aspetto fisico in bilico fra l'atletico, lo ieratico, il corrucciato... coi lineamenti intagliati e lo sguardo torvamente profondo, Davide Giromini è un singolare animale da palcoscenico, che abbracci la sua fisarmonica o che si presenti con improbabili tastiere a tracolla.
In effetti nulla di ciò che racconto farebbe pensare alla sua contiguità con i Cantacronache o con il Nuovo Canzoniere, ma proprio qui invece si trova la multiforme coerenza di Giromini: tutta la sua opera è pervasa dalla riflessione sulla Storia e su come le vite partecipino e si infrangano in essa, ne facciano parte e ne vengano calpestate, su come idee e ideologie, speranze e disinganni, diventino potenti lieviti o anestetici rancorosi. Davide conosce molto bene tutta la storia della canzone italiana, ma soprattutto ha aderito e partecipa alla ricerca e alla riproposizione dei canti sociali, alla “filosofia” dei cantori impegnati. Ivan Della Mea, che in una delle ultime interviste lo definì “geniale” e che aveva collaborato con lui sul palco, gli confidò dei testi inediti, dai quali mi auguro che presto o tardi nasca un nuovo disco.
Davide Giromini

Sappiamo che Davide Giromini è stato (forse è ancora, a suo modo) un militante comunista, sempre interessato ai temi dell'anarchia e alle storie libertarie (d'altronde, se pure vi si nasce, non si resta a vivere a Carrara per caso), sempre critico e sempre appassionato. Nel suo canzoniere i movimenti di massa (Varka, Socialismo, Makhno) sono in equilibrio con le storie singolari (Ceccardo, Volto Nascosto, Enea) e le riflessioni politiche si spingono ai territori impervi della palude degli anni '80.
Il primo disco di Giromini (con gli Apuamater) già conteneva una sorta di inno ancorato al territorio, un canto di lavoro, un plastico ritratto del durissimo mestiere del cavatore, la figurina vista col cannocchiale rovesciato nella distanza, è evocata dalla formula magica di un linguaggio esplicitamente arcaico, come quello di certe canzoni anarchiche ottocentesche.

“Ora che danno fervidi l'anima ai malfattori
dei padri miei lo sangue trasformo in lacrime e immergo d'ori
ma io rimembro un tempo in cui furon di noi custodi
già sgretolava il mento calcareo vento che il petto erode.

Spacca la roccia bianca che sul tuo capo pende
manda un saluto all'inferno in cava si sale
in miniera si scende
urla di morte bianca che quattro soldi vale
mastica il paradiso in miniera si scende
in cava si sale. (...)”

Questa canzone è ispirata al nonno dell'artista, morto a 24 anni in un incidente sul lavoro, e perciò mai conosciuto. In un'altra recente canzone sul lato oscuro della storia d'Italia, l'ombra titanica del nonno morto in cava torna a essere il riferimento a una purezza perduta ancor prima di nascere.

“E mentre tu morivi in cava
l'Italia dall'America un talento ereditava
quello del terrore e di stragismo strategista
con chiara intromissione occulta
paramilitare, mafiosa e neofascista (...)”

La mitologia e il disincanto si alternano e si scontrano continuamente nelle opere di Giromini, talvolta per tramite di una glaciale ironia talvolta con sana retorica, che gli fa cantare altrettanto bene la breve travolgente epopea di Nestor Makhno

“Nella steppa sconfinata, a quaranta sotto zero
contavamo sette stelle bianche nel petto di Makhno.
Sciabole e pallottole corrodono la carne
siano esse bolsceviche o dello zar
la caviglia la divorano le tarme
mentre sto cercando di salvare la città...”

Laskin dietro le colline, Denikin sale dal confine
per finire sotto il cielo di Parigi
senza terra, senza amici
e morire da bohémien.”

come anche il punto di vista scientificamente altero del bolscevico Lenin – in viaggio sul celebre treno piombato che lo riporta in Russia – agitato dalle passioni nei suoi calcoli matematici applicati alla Storia, dall'antica tragedia del fratello impiccato, dall'ascolto di Beethoven o dall'avvenenza dell'amante...

“Si parlava là a Zurigo di fantasmi e economia
non è frutto di algoritmo, Ludendorff, la tua mania.
Di buon grado questo treno,
austroungarica equazione,
cavalchiamo a Pietrogrado
dentro al piombo di un vagone. (...)
Ma il ricordo di Aleksandr sul patibolo
non mi ha reso che scostante a quel ginnasio.
Figuriamoci con, fra le mani, un continente solo
da bruciare mentre il cuore prende il volo.(...)
Ahi, Volodja, l'intenzione di uguaglianza nel paese
ha l'effetto sulle arterie d'ogni malattia borghese.
Ma l'Eroica mi distoglie, Ludovico Van,
più del culo bolscevico della dolce Armand...
Figuriamoci la furia di bifolchi scalpitanti
e di quattro anarchici ignoranti.”

“Concetti, Vladimir, soltanto/Nell'aria scrivili/ché col fucile poi li canto” gli ribatte corrivo il Trotski dell'omonima canzone, altro ritratto presente nello spettacolo Rivoluzioni sequestrate, bella prova della maturità stilistica dell'artista che, al momento, non ha ancora trovato una versione discografica.
Consiglio dunque l'ascolto degli ultimi due album di Davide Giromini, perché compendiano il senso di ciò che abbiamo detto sulla Saldatura con una rara riflessione sugli anni '80, rimossi e perciò mai del tutto elaborati. Ballate di fine comunismo, una sorta di diario in pubblico di una crisi politica e personale che si allarga a tutta la generazione nata negli anni '70 e Canzoni postmoderne, la più acuta riflessione musicale sugli anni '80. Di questo disco cito l'impressionante canzone/apologo Rambo, dove si distilla la tecnica di creazione del mito americano del poliziotto del mondo, dell'esportatore di democrazia seriale, che in questi giorni, prossimi alla crisi siriana, ritorna tragicamente attuale.

“Ad un reduce del Vietnam
dato in pasto alle bambine
dare spirito al senso di colpa
di una guerra persa male.
E di reduci del Vietnam
nella strada non se ne vuole,
reaganismo, civiltà:
scavar tombe creando golem. (...)
E l'America senza ritegno
ci convince da adolescenti
che i golem li fanno gli altri.
Già non gli bastava più
la spada laser di Obi Wan Kenobi,
stesso orientale futuro incerto,
cos'è la forza se non un pretesto
per costruire una macchina ancora
che ti rivolta contro,
e dell'esperienza di Rambo
tu non ne tieni conto.

E tornerà da te Darth Fener,
con la faccia di Bin Laden,
con la faccia di Saddam Hussein.”

Alessio Lega
alessiolegaconcerti@gmail.com