Davide Giromini/ Storia di una possibile saldatura
 di Alessio Lega 
                  
                  Si va compiendo la saldatura. 
                  È in atto un processo che, fra mille difficoltà, 
                  comporta la gestione di un'eredità morale pesante. Forse 
                  però indispensabile: le rivoluzioni future come quelle 
                  passate dovranno avere le loro canzoni. Cerchiamo canzoni per 
                  future rivoluzioni. AAA rivoluzioni con canzoni cercasi! 
                  C'è stato sempre un tempo in cui fu necessario cantare 
                  le lotte, la ribellione, la speranza, il lavoro... venne anche 
                  il tempo nel quale fu importante la consapevolezza, il punto 
                  di equilibrio fra passato e futuro. Si cercarono e si trovarono 
                  canti popolari vecchi di secoli, di decenni, da proiettarsi 
                  da allora nel tempo a venire. Venne il 1958, il tempo del Cantacronache, 
                  iniziatore di ogni esperimento di nuova scrittura, di nuovo 
                  canto, di nuova ricerca, che per primo si pose il problema. 
                  Venne il 1964, il tempo di raccogliere i frutti del Nuovo Canzoniere 
                  Italiano in Bella Ciao e in tutti quegli spettacoli che 
                  avrebbero stabilito il canone del canto necessario, delle canzoni 
                  urgenti: belle perché utili, utili perché belle. 
                  E poi venne il '68: Giovanna Marini, Paolo Pietrangeli, Ivan 
                  Della Mea, Gualtiero Bertelli e tanti tanti altri... di questi 
                  artisti, del loro progetto collettivo e delle loro strade singolari 
                  ho parlato spesso e a lungo. 
                  Poi c'è stato un silenzio pesante. 
                  Non che non si cantassero canzoni necessarie, non che quel tempo 
                  non trovasse le sue parole per essere raccontato, ma i modelli 
                  erano quelli venuti da altre culture lontane, qualcosa si interruppe. 
                  I gruppi punk degli anni '80, i gruppi hip-hop e del nuovo rock 
                  italiano degli anni '90 non avevano rapporti, forse nemmeno 
                  conoscevano chi li aveva preceduti in questo paese. 
                  È in questi ultimi dieci anni che si è compiuta 
                  una saldatura: corali, gruppi, cantori, singoli artisti sono 
                  al lavoro, si riappropriano di queste antiche canzoni, le portano 
                  a vivere nei piccoli teatri, nelle piazze, sulle nuove barricate... 
                  Più difficile sembra oggi la proposta di nuove canzoni 
                  in grado di dialogare con quest'intenzione, con questa antica 
                  esigenza, col progetto di cantare le storie nella Storia. Mescolare 
                  il popolare al colto. Intervenire sul presente, consapevoli 
                  del passato di cui questo presente è figlio. 
                  Un cantautore che interpreta straordinariamente questo bisogno 
                  è il carrarino Davide Giromini. 
                  Personaggio complesso sul piano musicale, come su quello poetico. 
                  Autore e uomo pervaso da dilanianti inquietudini e da belle 
                  idee, ha prodotto negli ultimi dieci anni un pugno di cinque 
                  dischi, qualche decina di canzoni notevoli (non tutte pubblicate), 
                  spettacoli propri e molte partecipazioni a progetti altrui nella 
                  veste di autore, compositore, interprete o anche come semplice 
                  fisarmonicista. 
                  Affascinante e contorto, Davide Giromini soggiace a una sorta 
                  di schizofrenia che lo fa apparire, a ogni tornante della sua 
                  faticata strada, sotto un aspetto diverso: i primi tre dischi 
                  li ha prodotti sotto la sigla di Apuamater (gruppo che si autodefiniva 
                  Indiesfolk), poi una brusca deviazioni sui suoni elettronici 
                  e su una personalissima rilettura delle esperienze post-rock 
                  ha dato i natali a due dischi firmati Redelnoir. Ma la mutevolezza 
                  di Giromini si manifesta nelle acconciature a volte estreme 
                  con le quali violenta la sua rossa chioma, nel paludarsi a volte 
                  di spolverini neri a volte di camicie bianchissime, nell'aspetto 
                  fisico in bilico fra l'atletico, lo ieratico, il corrucciato... 
                  coi lineamenti intagliati e lo sguardo torvamente profondo, 
                  Davide Giromini è un singolare animale da palcoscenico, 
                  che abbracci la sua fisarmonica o che si presenti con improbabili 
                  tastiere a tracolla. 
                  In effetti nulla di ciò che racconto farebbe pensare 
                  alla sua contiguità con i Cantacronache o con il Nuovo 
                  Canzoniere, ma proprio qui invece si trova la multiforme coerenza 
                  di Giromini: tutta la sua opera è pervasa dalla riflessione 
                  sulla Storia e su come le vite partecipino e si infrangano in 
                  essa, ne facciano parte e ne vengano calpestate, su come idee 
                  e ideologie, speranze e disinganni, diventino potenti lieviti 
                  o anestetici rancorosi. Davide conosce molto bene tutta la storia 
                  della canzone italiana, ma soprattutto ha aderito e partecipa 
                  alla ricerca e alla riproposizione dei canti sociali, alla “filosofia” 
                  dei cantori impegnati. Ivan Della Mea, che in una delle ultime 
                  interviste lo definì “geniale” e che aveva 
                  collaborato con lui sul palco, gli confidò dei testi 
                  inediti, dai quali mi auguro che presto o tardi nasca un nuovo 
                  disco.
                 
                   
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                    |   Davide Giromini  | 
                   
                 
                 
                  Sappiamo che Davide Giromini è stato (forse è 
                  ancora, a suo modo) un militante comunista, sempre interessato 
                  ai temi dell'anarchia e alle storie libertarie (d'altronde, 
                  se pure vi si nasce, non si resta a vivere a Carrara per caso), 
                  sempre critico e sempre appassionato. Nel suo canzoniere i movimenti 
                  di massa (Varka, Socialismo, Makhno) sono in equilibrio 
                  con le storie singolari (Ceccardo, Volto Nascosto, Enea) 
                  e le riflessioni politiche si spingono ai territori impervi 
                  della palude degli anni '80. 
                  Il primo disco di Giromini (con gli Apuamater) già conteneva 
                  una sorta di inno ancorato al territorio, un canto di lavoro, 
                  un plastico ritratto del durissimo mestiere del cavatore, la 
                  figurina vista col cannocchiale rovesciato nella distanza, è 
                  evocata dalla formula magica di un linguaggio esplicitamente 
                  arcaico, come quello di certe canzoni anarchiche ottocentesche. 
                   
                  “Ora che danno fervidi l'anima ai malfattori 
                  dei padri miei lo sangue trasformo in lacrime e immergo d'ori 
                  ma io rimembro un tempo in cui furon di noi custodi 
                  già sgretolava il mento calcareo vento che il petto erode. 
                   
                  Spacca la roccia bianca che sul tuo capo pende 
                  manda un saluto all'inferno in cava si sale 
                  in miniera si scende 
                  urla di morte bianca che quattro soldi vale 
                  mastica il paradiso in miniera si scende 
                  in cava si sale. (...)” 
                   
                  Questa canzone è ispirata al nonno dell'artista, morto 
                  a 24 anni in un incidente sul lavoro, e perciò mai conosciuto. 
                  In un'altra recente canzone sul lato oscuro della storia d'Italia, 
                  l'ombra titanica del nonno morto in cava torna a essere il riferimento 
                  a una purezza perduta ancor prima di nascere. 
                   
                  “E mentre tu morivi in cava 
                  l'Italia dall'America un talento ereditava 
                  quello del terrore e di stragismo strategista 
                  con chiara intromissione occulta 
                  paramilitare, mafiosa e neofascista (...)” 
                   
                  La mitologia e il disincanto si alternano e si scontrano continuamente 
                  nelle opere di Giromini, talvolta per tramite di una glaciale 
                  ironia talvolta con sana retorica, che gli fa cantare altrettanto 
                  bene la breve travolgente epopea di Nestor Makhno 
                   
                  “Nella steppa sconfinata, a quaranta sotto zero 
                  contavamo sette stelle bianche nel petto di Makhno. 
                  Sciabole e pallottole corrodono la carne 
                  siano esse bolsceviche o dello zar 
                  la caviglia la divorano le tarme 
                  mentre sto cercando di salvare la città...” 
                   
                  Laskin dietro le colline, Denikin sale dal confine 
                  per finire sotto il cielo di Parigi 
                  senza terra, senza amici 
                  e morire da bohémien.” 
                   
                  come anche il punto di vista scientificamente altero del bolscevico 
                  Lenin – in viaggio sul celebre treno piombato che lo riporta 
                  in Russia – agitato dalle passioni nei suoi calcoli matematici 
                  applicati alla Storia, dall'antica tragedia del fratello impiccato, 
                  dall'ascolto di Beethoven o dall'avvenenza dell'amante... 
                   
                  “Si parlava là a Zurigo di fantasmi e economia 
                  non è frutto di algoritmo, Ludendorff, la tua mania. 
                  Di buon grado questo treno, 
                  austroungarica equazione, 
                  cavalchiamo a Pietrogrado 
                  dentro al piombo di un vagone. (...) 
                  Ma il ricordo di Aleksandr sul patibolo 
                  non mi ha reso che scostante a quel ginnasio. 
                  Figuriamoci con, fra le mani, un continente solo 
                  da bruciare mentre il cuore prende il volo.(...) 
                  Ahi, Volodja, l'intenzione di uguaglianza nel paese 
                  ha l'effetto sulle arterie d'ogni malattia borghese. 
                  Ma l'Eroica mi distoglie, Ludovico Van, 
                  più del culo bolscevico della dolce Armand... 
                  Figuriamoci la furia di bifolchi scalpitanti 
                  e di quattro anarchici ignoranti.” 
                   
                  “Concetti, Vladimir, soltanto/Nell'aria scrivili/ché 
                  col fucile poi li canto” gli ribatte corrivo il Trotski 
                  dell'omonima canzone, altro ritratto presente nello spettacolo 
                  Rivoluzioni sequestrate, bella prova della maturità 
                  stilistica dell'artista che, al momento, non ha ancora trovato 
                  una versione discografica. 
                  Consiglio dunque l'ascolto degli ultimi due album di Davide 
                  Giromini, perché compendiano il senso di ciò che 
                  abbiamo detto sulla Saldatura con una rara riflessione sugli 
                  anni '80, rimossi e perciò mai del tutto elaborati. Ballate 
                  di fine comunismo, una sorta di diario in pubblico di una 
                  crisi politica e personale che si allarga a tutta la generazione 
                  nata negli anni '70 e Canzoni postmoderne, la più 
                  acuta riflessione musicale sugli anni '80. Di questo disco cito 
                  l'impressionante canzone/apologo Rambo, dove si distilla 
                  la tecnica di creazione del mito americano del poliziotto del 
                  mondo, dell'esportatore di democrazia seriale, che in questi 
                  giorni, prossimi alla crisi siriana, ritorna tragicamente attuale. 
                   
                  “Ad un reduce del Vietnam 
                  dato in pasto alle bambine 
                  dare spirito al senso di colpa 
                  di una guerra persa male. 
                  E di reduci del Vietnam 
                  nella strada non se ne vuole, 
                  reaganismo, civiltà: 
                  scavar tombe creando golem. (...) 
                  E l'America senza ritegno 
                  ci convince da adolescenti 
                  che i golem li fanno gli altri. 
                  Già non gli bastava più 
                  la spada laser di Obi Wan Kenobi, 
                  stesso orientale futuro incerto, 
                  cos'è la forza se non un pretesto 
                  per costruire una macchina ancora 
                  che ti rivolta contro, 
                  e dell'esperienza di Rambo 
                  tu non ne tieni conto. 
                   
                  E tornerà da te Darth Fener, 
                  con la faccia di Bin Laden, 
                  con la faccia di Saddam Hussein.” 
                 Alessio Lega 
                  alessiolegaconcerti@gmail.com
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