rivista anarchica
anno 43 n. 384
novembre 2013


storia

Imola un secolo fa

di Massimo Ortalli


Sul penultimo numero abbiamo pubblicato con questo stesso titolo un servizio su di un pranzo tra “reduci” della Prima Internazionale, con successivo comizio, tenutisi a Imola il 31 agosto 1913. Ritorniamo sull'argomento per dar conto delle polemiche che ne seguirono in campo anarchico e tra socialisti e anarchici, legate all'iniziativa in sé e al discorso di Errico Malatesta.


Come si è potuto vedere dai resoconti usciti su L'Avanti e pubblicati nel numero 382 di “A”, a proposito del raduno imolese dei vecchi Internazionalisti del 1913, non mancarono le polemiche, da parte socialista, in seguito al discorso che Malatesta tenne, a conclusione della manifestazione, nel cortile delle scuole comunali Carducci. L'aver ribadito con forza la scelta anti istituzionale e anarchica, e proprio nella tana del lupo, nella città che aveva dato i natali ad Andrea Costa, il primo transfuga dall'anarchismo, e che da pochi anni ne piangeva, ancora commossa, la morte, non poteva certo passare in silenzio da parte dei numerosi “costiani” presenti al comizio; e puntualmente L'Avanti non manca di rimarcarlo. Anche se, a onor del vero, non nascondendo i frequenti applausi che interruppero le parole di Malatesta.
Del resto, che la ricorrenza avrebbe potuto dar vita a colpi di fioretto fra le due scuole del socialismo, andava messo nel conto, come andavano messe nel conto le polemiche in campo anarchico, sulla partecipazione libertaria a una manifestazione, tutto sommato, organizzata da un consiglio comunale: un consiglio comunale socialista fin che si vuole (uno dei primi d'Italia) ma pur sempre una istituzione “autoritaria” eletta in base al principio della delega.
A testimoniare quelle che devono essere state le inevitabili polemiche fra anarchici, ci sono le pagine del settimanale anarchico anconetano Volontà di quei giorni, dove, leggendo fra le righe, appaiono ben chiari i termini della questione. Cesare Agostinelli, gerente del periodico e presente alla ricorrenza (nella foto è il primo da sinistra a pochi passi da Malatesta), già il 4 agosto aveva scritto agli organizzatori – pubblicandola con evidenza sulle pagine del giornale – la seguente lettera:
Carissimi, vi rimetto lire 6 per quota di adesione al banchetto per me e per il compagno Errico Malatesta. Vi avvertiamo però che noi non intendiamo partecipare a ricevimenti ufficiali in Municipio né a cortei od a gite ai cimiteri per rendere omaggio ad uomini più o meno grandi. Partecipiamo al Convegno solo per salutare i vecchi compagni coi quali abbiamo già combattuto le buone battaglie, e per intenderci con i giovani che combattono tuttora, insieme a noi, pel trionfo del socialismo vero, cioè del socialismo anarchico. Cordiali saluti.

Imola (Bo), 7 settembre 1913, pranzo tra “reduci”
della Prima Internazionale.
Da sinistra a destra: Luigi Fabbri (quello calvo),
Ugo Lambertini, Adamo Mancini (?), Aristide Venturini,
sconosciuto, sconosciuto (sindaco Morara?),
Errico Malatesta, Cesare Agostinelli

Connessione retorica

E poco dopo sarà Lugi Fabbri, anche lui presente a Imola, a mettere, anche se con un po' di commossa retorica, i puntini sulle i, chiarendo, per chi ce ne fosse bisogno, quale fossero stati lo spirito e le conseguenze della presenza degli anarchici alla manifestazione socialista:
Che ci importa da chi e con che scopo si era indetto il convegno. Nello stesso giorno in tutta Italia i socialisti parlamentari iniziavano nei loro comizi la campagna elettorale. Qualcuno ci ha sussurrato all'orecchi che anche a Imola si sarebbe approfittato dell'occasione per giungere allo scopo… Se anche ciò era nell'intenzione di qualcuno ciò non è avvenuto. Molti socialisti, che ormai sono assai lontani dall'ideale nostro, ieri parlavano in un modo che, almeno nell'attimo fuggente, li avvicinava a noi.[…] Stringiamoci tutti in un fascio solidale, nell'amore per la nostra idea e nell'odio per l'ingiustizia e la tirannide, così come ieri, qui in Imola, giovani e vecchi militi, le mani nelle mani, con i canti ribelli sulle labbra e con la fede nel cuore, sotto il tiepido sole di settembre, si sono sentiti profondamente uniti in una memoria ed in una speranza.

E lo stesso Malatesta, pochi numeri dopo, a fine settembre, sempre sulle stesse pagine del giornale anconetano, manda questa sorta di lettera aperta agli organizzatori del Convegno:
I socialisti sono malcontenti di me per quel che io dissi nel comizio di Imola. Si capisce! Io criticai Costa ed attaccai la tattica parlamentare: li offesi, perciò, nel sentimento e nell'interesse. È possibile che fossero contenti? Il momento non era dei più opportuni, ne convengo; e perciò non volevo parlare. Furono i socialisti, anche più che i miei compagni, che insistettero perché parlassi. Potevano essi aspettarsi che io dicessi cosa diversa da quel che pensavo? E non conoscevano già prima quale doveva essere il mio pensiero? Ma, francamente, era poi opportuno parlare dell'Internazionale quando si voleva commemorare Costa, o parlare di Costa quando si voleva commemorare l'Internazionale? O che non è risaputo che Costa fu il massimo traditore dell'Internazionale in Italia? Se i socialisti non ne sono persuasi, io potrò dimostrarlo pubblicando quello che Costa scriveva o faceva quando era Internazionalista, e paragonandolo con quello che scriveva e faceva quando abbandonò il programma dell'Internazionale. A C. Golfarelli, che a proposito di ciò che avvenne al Convegno di Imola vuol fare un paragone tra quello che ho fatto io e quello che han fatto essi [articolo apparso su La Romagna Socialista, n.d.r.], dirò questo: Essi sono diventati dei personaggi ragguardevoli, benvisi alle autorità, alieni dai rischi, e godenti vita tranquilla e soddisfatta. Io, e come me tanti altri restati fedeli al programma dell'Internazionale, son diventato sempre più povero, sono sempre in pericolo di andare in prigione e di esser trattato da malfattore, come altra volta eravamo trattati e io, e Costa. Ma noi abbiamo tenuta alta la bandiera dell'Internazionale, noi abbiamo salvato l'anima vera del socialismo, mentre essi han fatto del socialismo tale cosa che Costa, quando era Internazionalista, avrebbe stigmatizzato come la peggiore delle mistificazioni. Vogliono essi che io getti loro in faccia le parole che scriveva Costa?.

In altro numero del giornale Malatesta, rispondendo a una evidente forzatura di Golfarelli – che voleva far passare l'ancora anarchico Costa come aderente all'impostazione “politica” dell'Internazionale autoritaria marxista – dopo aver fatto una breve ed opportuna lezione di storia ad uso delle giovani generazioni, riprende con lena l'affondo antilegalitario:
[...] Ora si può anche pensare che Costa avesse ragione [a cambiare strada, n.d.r.]; ma allora era l'Internazionale italiana ad avere torto. E la gloria di Costa non sarebbe quella di aver appartenuto all'Internazionale e di aver difeso il suo programma, ma quella di aver saputo abbandonare un'Associazione che era nell'errore, e trascinare con sé fuori dell'Associazione, molti dei suoi membri. Malgrado questo, io riconoscendo il diritto in ogni uomo, di cambiare idea e di adattare la sua condotta alle sue nuove idee, non avrei usato la parola grossa di tradimento, se Costa avesse francamente, lealmente dichiarato le sue idee e non avesse per lungo tempo cercato di mascherare le sue intenzioni allo scopo di evitare la ribellione degli Internazionalisti romagnoli [...]. Facciano dunque i socialisti l'apoteosi di Costa, se così piace loro, ma lascino stare l'Internazionale; chè se poi si vuol dimenticare Costa deputato e vice presidente della Camera, per ricordarsi solo di Costa membro della Federazione italiana dell'Internazionale, di Costa perseguitato e trattato da malfattore, allora Costa è gloria nostra.

E con queste chiare parole Malatesta pone fine a una polemica che, del resto, anche se non si riaffacciava nelle pagine dei giornali, si perpetuava quotidianamente nelle sempre più divaricate strategie del socialismo parlamentarista e dell'anarchismo. O, se si preferisce, del socialismo autoritario e di quello antiautoritario. Come dimostrano, a chiusura della ricorrenza, le lettere di vecchi internazionalisti (Gaetano Grassi, Angelo Saviozzi e Oreste Grotta da San Paolo del Brasile, Giovanni Frangioni da Marsiglia e da New York l'imolese Vito Solieri) nelle quali gli autori, rivendicando di non aver abbandonato i vecchi ideali, si dichiarano pienamente solidali e pronti, come sempre, a dare quel poco che resta della loro esistenza per l'emancipazione del proletariato da ogni dominio politico, religioso e capitalista.

Massimo Ortalli