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				 (in)giustizia 
                  
                Così hanno fatto morire Francesco Mastrogiovanni 
                  
                di Angelo Pagliaro 
                    
                Sono state rese pubbliche le motivazioni 
                  della sentenza sulla morte in ospedale del maestro “gigante 
                  buono”, la cui agonia durata quasi quattro giorni è 
                  documentata da uno sconvolgente video “interno”. 
                 
                  Dopo circa sei mesi dall'emanazione 
                  della sentenza par la morte di Francesco Mastrogiovanni, nella 
                  quale i sei medici del reparto di psichiatria dell'Ospedale 
                  San Luca di Vallo della Lucania (Sa) sono stati condannati a 
                  pene varie, mentre sono stati assolti i dodici infermieri loro 
                  collaboratori, la dottoressa Elisabetta Garzo (presidente del 
                  tribunale di Vallo della Lucania) il 27 aprile 2013 ha reso 
                  note le motivazioni del provvedimento da lei emesso il 30 ottobre 
                  2012. In questo periodo di lunga attesa abbiamo riflettuto molto 
                  sui possibili motivi per i quali il giudice ha ritenuto che 
                  i dodici infermieri non avessero alcuna responsabilità 
                  penale nel sequestro e nell'atroce morte dell'insegnante libertario. 
                
                   
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                    |   Francesco Mastrogiovanni  | 
                   
                 
                 
                  Perché gli infermieri sono stati tutti assolti 
                Nel precedente servizio 
                  pubblicato sul n. 378 (marzo 2013) di “A” abbiamo 
                  parlato di “elemento di civiltà giuridica mancante” 
                  in riferimento all'incomprensibile assoluzione dei dodici infermieri 
                  che avrebbero dovuto, a nostro avviso, attenersi alle norme 
                  contenute nel loro codice deontologico. A partire da pag. 172 
                  del dispositivo consegnato dalla dottoressa Garzo il 27 aprile 
                  2013, al paragrafo avente per titolo “La posizione processuale 
                  degli infermieri”, la stessa spiega i motivi per i quali 
                  ha deciso per l'assoluzione. Il giudice scrive che il dibattimento 
                  non ha fornito la piena prova della penale responsabilità 
                  degli infermieri. Gli stessi, continua la dottoressa Garzo, 
                  non avevano né potevano avere contezza del principale 
                  elemento di indizio dell'illegittimità della contenzione 
                  praticata ai pazienti Mancoletti e Mastrogiovanni in quanto 
                  è emerso che le cartelle cliniche erano visionate esclusivamente 
                  dai medici, e che le stesse non erano custodite in prossimità 
                  dei pazienti, ma in apposita stanza deputata al ricovero dei 
                  medici. Agli infermieri è rimasto occulto, a parere del 
                  giudice, il principale sintomo dell'illegalità della 
                  pratica contenitiva: la mancata annotazione in cartella. Gli 
                  infermieri non potevano nemmeno compilare le consegne ai colleghi 
                  subentranti in servizio in quanto non esisteva, presso il reparto, 
                  la cartella infermieristica. 
  Il quadro che emerge dalla relazione del giudice è veramente sconfortante, 
  se si considera che si sta parlando di un grande ospedale civile italiano. Ad 
  aggiungere fuoco al fuoco è l'affermazione del giudice, contenuta a pag. 
  174, circa l'assoluta impreparazione degli infermieri rispetto alla contenzione. 
  “Impreparazione intesa in senso scientifico”. Tutti i propalanti 
  hanno infatti negato di aver svolto specifici corsi di aggiornamento sul punto; 
  la pratica della contenzione era alquanto frequente nel reparto psichiatrico 
  del San Luca e, (aggiungiamo noi), come in tutti i lager degni di questo nome, 
  non esisteva né un registro delle contenzioni né la cartella infermieristica. 
  In conclusione gli infermieri non hanno responsabilità penale in quanto, 
  per errore di fatto, hanno ritenuto di obbedire a un ordine legittimo imposto 
  dal superiore gerarchico. Nel contesto in cui si sono svolti i fatti è 
  evidentemente insorta negli infermieri operanti la convinzione che sussistesse 
  la necessità di contenere i pazienti per preservarne la salute. A ciò 
  bisogna aggiungere che gli stessi (L. 251/2000 e Codice deontologico) non possono 
  intervenire nello svolgimento di quelle attività che, in ragione della 
  competenza scientifica e professionale, sono di stretta spettanza del medico. 
                  Una gestione irresponsabile e approssimativa del reparto 
                Dalle considerazioni del giudice emergono, in tutta chiarezza, 
                  la mancata formazione e professionalizzazione degli infermieri, 
                  il sussistere di un forte rapporto di assoluta subalternità 
                  al dirigente: tutti fattori che, uniti alla inaccettabile “secretazione” 
                  delle cartelle cliniche e all'assenza della cartella infermieristica, 
                  configurano un quadro di grave irresponsabilità gestionale 
                  del reparto lager di psichiatria. Per non parlare delle false 
                  dichiarazioni sullo stato di salute di Franco rilasciate da 
                  vari medici, una per tutte quella della dottoressa Anna Angela 
                  Ruberto che dichiarava: il paziente “era tranquillo a 
                  letto, non aveva reazione alla contenzione” (...) “russava 
                  e respirava regolarmente” circostanze tutte smentite dal 
                  fatto che a quell'ora Francesco Mastrogiovanni era certamente 
                  già deceduto. Un mix esplosivo di negligenza, imperizia 
                  e imprudenza che ha condotto alla morte Franco, privandolo dell'assistenza 
                  più elementare, negandogli persino l'acqua e il cibo 
                  oltre a contenerlo ininterrottamente per 83 ore a tutti e quattro 
                  gli arti. 
                  Le reazioni dei famigliari e del Comitato 
				  
                Non appena letto il lungo documento composto da 183 pagine, 
                  la sorella di Francesco Mastrogiovanni, Caterina ha affermato: 
                  “Come familiari continuiamo la lotta e così invieremo 
                  copia della sentenza ai presidenti di camera e senato in maniera 
                  da essere convocati dinanzi alle commissioni sanità dei 
                  rispettivi consessi per poter dire una volta di più che 
                  nessuna persona può essere trattata con tanta disumanità 
                  in un ospedale pubblico”. “Purtroppo – ha 
                  proseguito Caterina – non possiamo presentare appello 
                  contro la sentenza nella parte che riguarda gli infermieri, 
                  questo per legge lo può fare solo la procura ma in ogni 
                  caso abbiamo intenzione di proseguire la nostra lotta. Infatti 
                  – ha aggiunto Caterina – gli infermieri sono stati 
                  assolti ma dalle motivazioni emerge una impreparazione scientifica 
                  degli stessi che non sono stati condannati solo perché 
                  meri esecutori. In ogni caso tutto ciò non esime chi 
                  svolge l'attività di operatore sanitario da usare un 
                  po' di umanità nei confronti dei pazienti che gli sono 
                  affidati”. La stessa Caterina ha poi dichiarato: 
                  “La sentenza non ridà la vita a mio fratello, ma 
                  almeno gli restituisce un minimo di dignità che era stata 
                  completamente cancellata”. 
                  In merito alle motivazioni è intervenuto anche Giuseppe 
                  Tarallo, presidente del comitato Verità e Giustizia per 
                  Francesco Mastrogiovanni: “In attesa di completare 
                  la lettura delle 183 pagine, ha dichiarato Tarallo, rimango 
                  stupefatto per le pene irrisorie inflitte ai medici, l'avvocato 
                  Valentina Restaino mise in rilievo come l'entità di queste 
                  pene corrispondessero al maltrattamento di animali, e per l'assoluzione 
                  totale degli infermieri”. Ma qual è la motivazione 
                  per la quale il giudice monocratico ha deciso di assolvere gli 
                  infermieri? L'insussistenza della colpevolezza. “Sia 
                  dalle deposizioni testimoniali che dalle parole di tutti gli 
                  imputati – scrive il giudice nelle motivazioni rese note 
                  il 27 aprile 2013 – è emerso che le cartelle cliniche 
                  erano visionate esclusivamente dai medici e che non erano custodite 
                  in prossimità dei pazienti ma in apposite stanze”. “Tutti 
                  gli indagati e i consulenti – continua il giudice – 
                  hanno precisato che la contenzione è un atto medico e 
                  le modalità applicative sono rimesse all'insindacabile 
                  scelta dell'operatore”. “È doveroso rimarcare 
                  – scrive ancora la dottoressa Garzo – come dal dibattimento 
                  sia emersa l'assoluta impreparazione degli infermieri rispetto 
                  alla contenzione. Impreparazione intesa in senso scientifico”. 
                  Gli infermieri hanno testimoniato di non aver svolto corsi di 
                  aggiornamento sul punto, hanno sostenuto che ogni iniziativa 
                  era rimessa alle valutazioni del medico. Occorre aggiungere 
                  che la pratica della contenzione era alquanto frequente nel 
                  reparto spdc dell'ospedale San Luca e che il direttore sanitario 
                  dell'Asl, Pantaleo Palladino, nel corso dell'istruttoria, ha 
                  equiparato il tso alla contenzione. Fin qui le considerazioni 
                  del giudice. 
                  
                  Infermieri: “saper essere” per “saper assistere” 
				  
                Da parte nostra vogliamo ribadire che i dodici infermieri 
                  del reparto di psichiatria dell'Ospedale “San Luca” 
                  di Vallo della Lucania sono stati soggetti attivi nelle 83 ore 
                  di contenzione di Francesco Mastrogiovanni e hanno agito in 
                  prima persona (con autonomia di scelta e responsabilità 
                  così come prevede il codice) e quindi avevano l'obbligo 
                  di denunciare gli abusi e i comportamenti disumani che si verificavano 
                  sotto i loro occhi. L'art. 17 del codice deontologico afferma 
                  che l'infermiere, nell'agire professionale “è libero 
                  da condizionamenti” mentre, nell'art. 30 ribadisce che 
                  lo stesso “si adopera affinchè il ricorso alla 
                  contenzione sia evento straordinario, sostenuto da prescrizione 
                  medica o da documentate valutazioni assistenziali”. 
                  Ricordiamo ai nostri lettori che la contenzione a cui è 
                  stato sottoposto Franco, non è stata neanche annotata 
                  in cartella clinica. Negli articoli 33, 34, 43, 48 e 51 dello 
                  stesso codice si ribadisce, con diverse sfumature, che l'infermiere 
                  è tenuto, di fronte a carenze, a condizioni che limitano 
                  la qualità delle cure e il decoro dell'esercizio della 
                  professione, ad abusi e comportamenti contrari alla deontologia, 
                  a denunciare tali situazioni ai responsabili della struttura, 
                  al proprio collegio professionale e (come è successo 
                  a Franco) in caso di maltrattamenti o privazioni a carico dell'assistito, 
                  di produrre segnalazione alle autorità competenti. I 
                  componenti del comitato e i famigliari di Mastrogiovanni vogliono 
                  continuare a sperare che dopo la morte di Franco si restituisca 
                  alla collettività un reparto modello, e che l'onta che 
                  si è abbattuta su questo luogo (che doveva servire ad 
                  aiutare i più deboli, i sofferenti, i soggetti più 
                  fragili) possa essere cancellata e si trasformi in un centro 
                  di formazione, prima umana e poi professionale. Per “saper 
                  assistere” bisogna “saper essere” e, in nome 
                  della propria etica, sentirsi liberi e in dovere di impedire, 
                  in qualsiasi istante del percorso terapeutico e assistenziale, 
                  le atrocità contenute nel video dell'orrore che molti 
                  cittadini italiani, e non solo, hanno potuto vedere.
                  Angelo Pagliaro 
                Per info: 
                  Vincenzo Serra, 0974.2662 
                  Giuseppe Galzerano, 0974.62028 
                  Giuseppe Tarallo, 0974.964030 
                  giustiziaperfranco.it 
                  postmaster@giustiziaperfranco.it 
                
                   
                    Motivazioni 
                        e spunti di riflessione 
                         
                        “La contenzione fisica effettuata 
                        su Mastrogiovanni Francesco durante tutto il ricovero 
                        presso il reparto di psichiatria di Vallo della Lucania 
                        (dalle ore 13.30 del 31.7.2009 alle ore 7.20 del 4.8.2009) 
                        è stata effettuata fuori da qualsiasi regola e 
                        protocollo, tanto che non abbiamo dubbi a definirla “illecita”, 
                        impropria e antigiuridica”. 
                         
                        “La morte di Mastrogiovanni Francesco, a nostro 
                        giudizio, è diretta conseguenza della contenzione 
                        fisica a cui è stato sottoposto. 
                        Contenzione che ha cagionato, per le modalità con 
                        cui è stata messa in atto, un edema 
                        polmonare acuto che ha causato la morte per sommersione 
                        interna. 
                        Il comportamento del personale sanitario che tenne 
                        in cura Mastrogiovanni, a nostro giudizio, è stato gravemente 
                        negligente: 
                        1) Negligenza commissiva nel 
                        mettere in atto una contenzione fisica con le modalità 
                        sopra descritte; 
                        2) Negligenza omissiva nel 
                        non controllare, monitorare e nutrire il paziente per 
                        tutto il periodo di ricovero. 
                        3) Sulla cartella clinica di ricovero non si 
                        fa alcun cenno della contenzione fisica messa 
                        in atto. (pagg. 41-42)”. 
                       
                        dottori Adamo Maiese e Giuseppe Ortano 
                        (medici, consulenti del tribunale) 
                       
                         
                        “Gli esami ematochimici del 3.8.2009 mostrano 
                        dati assolutamente allarmanti per quanto attiene lo screening 
                        enzimatico che appare con valori tutti elevati decisamente 
                        indicativi delle alterazioni delle cellule muscolari striate 
                        e probativi di un infarto del miocardico anche se possono 
                        essere alterati per una embolia polmonare”.  
                        “...l'evento morte del Mastrogiovanni è 
                        stato causato da una assoluta carente assistenza fornita 
                        da tutto il personale del servizio di psichiatria personale 
                        sanitario medico ed infermieristico che si è alternato 
                        nell'assistenza (si fa per dire) dei quattro giorni di 
                        degenza presso il servizio Spdc del San Luca”. 
                       
                        professor Luigi Palmieri  
                        (ordinario di medicina legale della II Università 
                        di Napoli consulente Asl Salerno) 
                       
                          
                        “È doveroso, poi, rimarcare come dal dibattimento 
                        sia emersa l'assoluta impreparazione degli infermieri 
                        rispetto alla contenzione. Impreparazione intesa in senso 
                        scientifico, con riferimento cioè alla possibilità 
                        che gli stessi si fossero dovuti aggiornare su come espletare 
                        al meglio le loro mansioni in casi simili”. 
                         
                        – “Il terzo comma dell'art. 51, infatti 
                        esclude la responsabilità dell'esecutore di un 
                        ordine criminoso quando, per errore di fatto, abbia ritenuto 
                        di obbedire ad un ordine legittimo”. 
                         
                        – “Ciò che più allarma, però, 
                        in punto di sussistenza del dolo, è l'assoluta 
                        inconsistenza delle spiegazioni che i medici hanno provato 
                        ad offrire proprio in relazione alla scelta di contenere. 
                        Gli imputati, infatti, hanno insistito sui pericoli corsi 
                        dal paziente (in particolare il pericolo di caduta), ovvero 
                        sul loro stato di agitazione. Ebbene, di tutto ciò 
                        non vi è alcuna traccia nel video, dove pare, al 
                        contrario, che fosse proprio la contenzione a determinare 
                        l'atteggiamento di disperazione del Mastrogiovanni”. 
                         
                        – “In altre parole, l'ordine di contenere 
                        i pazienti, di per sé non illegittimo astrattamente 
                        (e dunque non manifestamente criminoso), lo era in concreto, 
                        poiché difettavano i requisiti minimi per disporre 
                        il presidio in questione. Ma ciò fu celato agli 
                        infermieri operanti, che invece agirono nel convincimento 
                        della sussistenza delle condizioni di necessità 
                        che potevano legittimare il ricorso alla contenzione. 
                        È convincimento del giudice che nel caso di specie 
                        sussistano plurimi indicatori dell'erronea valutazione 
                        in fatto compiuta dagli infermieri”. 
                       
                        dottoressa Elisabetta Garzo 
                        (giudice monocratico, Tribunale di Vallo della Lucania)  | 
                   
                 
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