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				 democratici 
                  
                Ma quel partito sembra proprio arrivato 
                  
                di Andrea Papi 
                    
                Al di là del recente successo alle elezioni amministrative il Pd vive 
  una crisi di fondo. Che è crisi dell'intero sistema politico. 
                 
                  Non so cosa significhi esattamente per Grillo quando afferma che i partiti sono 
  morti e non ci sono più, ma so che dice il vero perché in effetti 
  sono venute meno le ragioni, profonde e concrete, del loro esserci. Nella realtà 
  dei fatti quelli che ci sono non c'entrano più nulla col senso e con 
  le ragioni per cui i partiti presero piede, anche se magari pretendono di chiamarsi 
  ed essere tali. Perfino la Lega ha smesso di esserlo quando si è “ridotta 
  a far politica” nell'arena attuale, dedicandosi come tutti gli altri a 
  “sbarcare il lunario” del politicantismo. Fino a quando era seriamente 
  secessionista invece, dal momento che sosteneva una specifica idea distinta 
  di società, continuava a rappresentare ancora un esempio di partito vero. 
  I partiti politici nacquero per ragioni ben radicate nelle dinamiche sociali, 
  venute meno le quali si preparò spontaneamente il terreno per la loro 
  trasformazione in qualcos'altro. Naturale evoluzione nel divenire della modernità 
  dei club sorti durante la rivoluzione francese, originariamente il “partito” 
  incorpora due significati concomitanti. Da una parte indica che è entrato 
  in movimento, partito appunto, dall'altra che è organizzazione di parte, 
  intendendo per parte una specifica e ben connotata idea di società. Lo 
  confermano i loro stessi nomi: partito repubblicano, monarchico, socialista, 
  liberale, ecc. La rivoluzione francese aveva dato avvio al bisogno e alla ricerca 
  di società alternative all'ancien régime. Di conseguenza vennero 
  analizzate e ipotizzate, sotto forma di utopie futuribili, diverse visioni di 
  società alternative e si formarono organizzazioni che si ponevano il 
  compito di agire e promuovere il tipo di società di riferimento. Così 
  presero avvio i partiti.
                  
 Vi ricordate il cattocomunismo? 
				  In questi termini oggi il problema è completamente superato. Non si prefigurano 
  più tipi di società definite in modo onnicomprensivo e proposte 
  ideologicamente, illusoriamente ritenute capaci di risolvere al loro interno 
  tutte le problematiche. L'esperienza stessa ha dimostrato l'intrinseca non veridicità 
  di questo modo di procedere. La società liberale, la repubblica, lo stato 
  socialista si sono in fondo realizzati in molteplici modi, dimostrando però 
  nei fatti di non riuscire ad attuare ciò che avevano promesso. Da momenti 
  di supposta liberazione si sono trasformati in incubi da cui non si riesce a 
  liberarsi. Così quando si pensa a una vita e una convivenza sociale radicalmente 
  alternative al presente sempre meno vivibile, non si prefigurano più 
  immaginativamente nuove architetture politico-sociali, ma si ipotizza e si cerca 
  di sperimentare diversi modi di convivenza, di gestione collettiva, di autogestione 
  e si preconizzano altri modelli di sviluppo e produzione. 
  Si è invertito il problema. Il tipo di società ora è secondario 
  e prende forma all'interno della diversa qualità dei metodi e delle scelte 
  sociali. Ciò che rimane dei sopravvissuti non è assimilabile in 
  alcun modo a partiti residui, perché si tratta di meri apparati alla 
  ricerca disperata di nuove ragioni che ne giustifichino la sopravvivenza. Sono 
  a loro volta residui dell'antica forma partito, senza più l'anima che 
  li aveva generati. Così gli attuali cosiddetti partiti sono molto più 
  assimilabili a lobbies, congreghe, confraternite, o associazioni, cioè 
  aggregazioni per interesse, che agiscono come fossero conventicole partitiche. 
  Dentro questo contesto cultural-politico è esplosa la vicenda che ha 
  evidenziato un deciso malessere costitutivo del Pd, manifestatosi in modo deciso 
  durante le votazioni allo sbando per l'elezione del presidente della repubblica. 
  Il forte smarrimento di cui continua ad essere protagonista ha fatto dire a 
  molti che è un partito in agonia, per alcuni addirittura morto e defunto. 
  Ma si può dire che qualcuno o qualcosa sia morto quando in realtà 
  non è mai nato, o perlomeno non è mai riuscito a compiersi? Intendo 
  dire che, nonostante sia perfettamente esistente un apparato partitico che si 
  chiama Pd, al contempo non è mai riuscito a trovare una sua anima che 
  ne giustifichi l'esistenza. Ed è questo il suo vero serio problema. 
  Se facciamo un excursus essenziale del percorso storico che ha portato alla 
  sua genesi, non possiamo non accorgerci che il Pd si è formato per una 
  specie di spinta di sopravvivenza da parte di professionisti della politica 
  di lungo corso in seguito allo sfascio dei partiti di origine, travolti e sepolti 
  dall'ineluttabilità del divenire storico. Da una parte i burocrati decaduti 
  del vecchio partito comunista che avevano accettato la lezione della caduta 
  del muro di Berlino nell'89, sganciatisi dai comunisti non pentiti che volevano 
  tentare di “rifondarsi”. Dall'altra i democristiani delle correnti 
  vagamente di sinistra a seguito dello sfascio della vecchia “balena bianca”, 
  dispersa dallo scandalo di “mani pulite”.
                   Un nuovo apparato senz'anima 
				  Volendo azzardare una metafora un po' ardita, di primo acchito potrebbe sembrare 
  trattarsi del vecchio pensiero cattocomunista d'antan che avrebbe cercato 
  di aggiornare il “compromesso storico” riadattandolo al contesto 
  contemporaneo. Forse un tale “utopismo da realpolitik” può 
  aver albergato segretamente nelle speranze non dichiarate di alcuni dei protagonisti. 
  Ma nella realtà delle cose non può essere così. Il “cattocomunismo”, 
  come pure il “compromesso storico” emersero quando ancora il mondo 
  era diviso in due blocchi che, contrapposti ideologicamente, in realtà 
  avevano molte più cose in comune di quello che volevano dar ad intendere, 
  in particolare un interesse condiviso a mantenersi in piedi a vicenda per conservare 
  la concordata spartizione in blocchi che si contrapponevano militarmente. Alternativi 
  nell'ufficialità delle dichiarazioni, complementari sul piano della spartizione 
  del potere globale. 
  Con l'abbattimento del muro di Berlino scomparve la condizione postbellica che 
  i potenti di turno avevano tentato di congelare per sempre. Il regime bolscevico, 
  che entrambe le parti avevano continuato a esibire alternativo al capitalismo, 
  implose per incapacità intrinseca a perpetuarsi e la finzione di due 
  mondi presentati contrapposti, ideologicamente oltre che militarmente, ebbe 
  definitivamente termine. Così smise di aver senso in Italia la messa 
  in scena dell'antagonismo partitico della “prima repubblica postfascista”. 
  I comunisti, in quanto bolscevichi che facevano gli interessi dell'Urss, non 
  esistevano più, come pure i democristiani che dovevano far argine all'avanzata 
  del “comunismo incarnazione del male”. Al contrario esistevano ancora 
  gli uomini che avevano agito da entrambe le parti, i quali continuavano ad aver 
  bisogno di rimanere politicamente nell'arena. 
  L'improvvisa discesa in campo di Berlusconi, che da imbonitore di lungo corso 
  aveva fiutato l'opportunità conveniente del vuoto generato dallo smarrimento 
  per la situazione di trapasso che si era creata, in un certo senso costrinse 
  gli ex contendenti a cercare di tentare nuove forme di alleanza per non trovarsi 
  improvvisamente messi da parte. Non si trattava più, come ai tempi del 
  compromesso storico berlingueriano, di un'operazione legata a una visione strategica 
  con una sua dignità politica che s'inseriva in un processo di trasformazione 
  riformista. No! Questa volta era una mera spinta di sopravvivenza dello status 
  di potere, dettata dalla necessità di non trovarsi esclusi dai giochi 
  che andavano definendosi. 
  Un processo di congiunzione tra quadri dirigenti sopravvissuti, provenienti 
  in buona parte da due ex apparati di partito disfatti. Operazione nella sostanza 
  dirigenzial-burocratica, tesa a fondere i rimasugli di due ex apparati demoliti 
  in uno nuovo. Così è stato messo in piedi un dispositivo organizzativo 
  non sostenuto da alcun calore d'anima, in definitiva senza la forza vitale indispensabile 
  a dare senso all'esistenza di una struttura di azione politica coerente. Oltre 
  ad essere un “non-partito”, perché in fondo non è 
  mai riuscito a capire veramente perché c'è e dev'esserci, al di 
  là delle consapevolezze dei suoi fautori si è trattato di una 
  mera operazione di potere, in verità fallita perché, non sapendo 
  definire né proporre un proprio compito chiaro, non si è mai veramente 
  attrezzato per gestire il potere reale. 
  Mentre gli ex vertici si dilettavano a fondersi in uno nuovo, al contempo hanno 
  portato con sé una consistenza preesistente di gruppi di persone, divisi 
  tra loro, che ne costituivano la base militante ed elettorale. In un crescendo 
  progressivo è stato fin da subito un problema poco gestibile. Non avendo 
  infatti sfornato nessuna nuova identità sostitutiva, senza aver neppure 
  idee un minimo chiare sul da farsi, il nuovo apparato senz'anima si è 
  trovato di conseguenza pressato dai bisogni militanti di due popoli sconcertati 
  e delusi. All'inizio in sordina non affiorante, poi in una progressione montante, 
  il bisogno non soddisfatto di appartenenza, mai appositamente chiarito, ha bussato 
  alle porte dirigenziali e ha cominciato a chiedere il conto. Ora la pressione 
  è fortissima e rischia seriamente di rompere gli ormeggi e far saltare 
  le paratie. Il nuovo “non-partito” non si è attrezzato, né 
  poteva farlo, per reggere e gestire una mancanza di senso congenita.
                   “Compresso da feudalizzazioni e anarchismo” 
                  
                Il problema dei capi di questo raffazzonato esercito alla deriva 
                  non appare tanto quello di comprendere se possono ancora rivestire 
                  un ruolo effettivo, di idee e di pratiche, in grado di incidere 
                  politicamente con coerenza e con riflessi incisivi nel corpo 
                  dei problemi sociali. Il problema vero che sembra concretamente 
                  preoccuparli è il mantenere in vita il loro protagonismo 
                  dentro ruoli di potere politico, autogiustificandosi con le 
                  “necessità imposte dal momento di difficoltà 
                  generale”. Non a caso ostentano in continuazione che rimangono 
                  lì e “continuano a provarci” per un non richiesto 
                  e non ben definito “senso di responsabilità”. 
                  Il fatto è che molti militanti e votanti continuano a 
                  viverli come fossero ancora i due partiti del bel tempo che 
                  fu. Con più o meno consapevolezza non si rendono conto 
                  o non accettano, ma non fa differenza, che c'è stata 
                  una fusione calata dall'alto da parte di vertici che, finiti 
                  ideologicamente, non tollerano di essere dimessi, prima dalla 
                  storia poi dalla trasformazione insita nell'ordine delle cose.  
                  Così il Pd è un partito nato con una congenita 
                  lotta intestina tra due fazioni di antica tradizione, che a 
                  loro volta hanno generato rivoli e sottofazioni, che non hanno 
                  nessuna intenzione di deporre le armi, mentre per sopravvivere 
                  sentono l'irrazionale e contraddittoria necessità di 
                  convivere nella stessa “domus”, che si sta dimostrando 
                  ben poco accogliente. 
                  L'unica parte vitale del Pd è dunque il suo antagonismo 
                  interno. Un'insensatezza politica che non permette quell'identità 
                  partitica di cui sente necessità, che non riesce ad avere 
                  perché i due partiti di origine sorsero per ben altre 
                  ragioni ora del tutto estinte. La dirigenza politica non riconosce 
                  ufficialmente il conflitto interno, mentre vive la schizofrenia 
                  che non lo vorrebbe ma, siccome paradossalmente rappresenta 
                  la sua unica anima di vero non-partito, non può farne 
                  a meno. Il Pd è un esempio lampante del fallimento della 
                  politica istituzionale, filtrata dagli apparati partitici e 
                  affidata ad essi. Queste strutture burocratiche, appesantite 
                  fra l'altro da una tendenza congenita a un'esiziale gerontocrazia, 
                  sono sempre più un peso. Da tempo non rappresentano più, 
                  né può essere diversamente, il luogo e i momenti 
                  di dibattito e confronto per rinnovare una gestione della società 
                  che, per diventare efficace e utile, richiederebbe di essere 
                  il più possibile autogestita. 
                  Prima di chiudere mi piace riportare, con ironia e placida soddisfazione, 
                  che Bersani il 23 aprile, durante il discorso dimissionario 
                  di commiato dalla segreteria nazionale, fra le altre cose disse, 
                  seriamente preoccupato, che uno dei motivi per cui il partito 
                  era crollato durante le votazioni per l'elezione del capo dello 
                  stato era l'incontrollabilità, “compresso contemporaneamente 
                  da feudalizzazioni e anarchismo”. Si era sentito stretto 
                  tra feudi in guerra tra loro e nello stesso tempo si era sentito 
                  travolto da un'indisciplina che impediva al gruppo dirigente 
                  di governare il partito. Gli ex bolscevici e gli ex clericali, 
                  uniti in un abbraccio mortale di reciproca autoconsunzione, 
                  sarebbero stati feriti da un'anarchia indisciplinata che gioiosamente 
                  ha invaso le loro file scomposte. A sentir Bersani, raramente 
                  l'anarchismo è stato così efficace nel nuocere 
                  agli autoritari.
                  Andrea Papi
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