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			   Fatti & misfatti  
                   
                Caso Mastrogiovanni/ 
                  Quali motivazioni per una sentenza a metà? 
                Sono scaduti, alla fine di gennaio, i novanta giorni richiesti 
                  dal giudice Elisabetta Garzo (Presidente del Tribunale di Vallo 
                  della Lucania) per depositare le motivazioni della sentenza, 
                  emessa il 30 ottobre 2012, con la quale sono stati condannati 
                  i sei medici imputati per il sequestro e la morte dell'insegnante 
                  anarchico Francesco Mastrogiovanni e sono stati assolti dodici 
                  infermieri. Il giudice, per redigere un testo che, obiettivamente, 
                  si prevede complesso a articolato sia per la gravità 
                  delle imputazioni, sia per il numero delle parti ha chiesto, 
                  a norma di legge, il differimento del termine per il deposito 
                  delle motivazioni di altri novanta giorni. 
                   
                  Davanti al foglio bianco 
                  In pochi avrebbero scommesso, dopo oltre due anni di udienze, 
                  che la sentenza di primo grado, condivisibile o meno, fosse 
                  così chiara: i medici tutti colpevoli, gli infermieri 
                  tutti assolti. Di solito ci hanno abituati, in strutture altamente 
                  gerarchizzate come i reparti ospedalieri, le caserme, le carceri 
                  a sentenze dove le responsabilità vengono scaricate, 
                  quasi sempre, sui sottoposti, sulle figure non apicali confermando 
                  il noto detto che il “cane morde sempre lo stracciato”. 
                  In questo processo, invece, si è verificato esattamente 
                  il contrario dando speranza a chi lotta da decenni contro lo 
                  strapotere di una psichiatria costrittiva e delittuosa. Adesso 
                  il giudice ha davanti a sé, sulla scrivania, oltre al 
                  codice di procedura penale e i faldoni nei quali sono raccolte 
                  circostanze particolarmente complesse, un foglio bianco sul 
                  quale dovrà spiegare il ruolo e le responsabilità 
                  di quelli che Stanley Choen (2001) definisce “testimoni 
                  all'interno”, nel nostro caso gli infermieri, che hanno 
                  contribuito, con la loro “conformità” a rendere 
                  emblematico il caso Mastrogiovanni. 
                
                 
                  L'elemento di civiltà  giuridica mancante 
                  “Al di lá dell'individuazione delle singole e rispettive 
                  responsabilitá risulta veramente difficile da comprendere 
                  ed accettare che chi era addetto alle cure infermieristiche 
                  ed é venuto meno alla stessa deontologia professionale, 
                  che non li subordina e sottomette ad ordini ritenuti incongrui, 
                  illeciti ed illegittimi, siano stati assolti”. Questa 
                  dura ma necessaria critica, alla sentenza di primo grado è 
                  stata espressa da Natale Adornetto componente del Comitato Verità 
                  e Giustizia per Franco. Secondo Alessio Coppola, invece, il 
                  giudice ha voluto rimarcare la valenza dello strapotere gerarchico 
                  della psichiatria in particolare per quanto riguarda il “sequestro” 
                  di persona. Il presidente di Telefono Viola ha osservato, inoltre, 
                  che in questo modo il “fronte” comune fino ad ora 
                  espresso come una coalizione tra psichiatri e infermieri sarà 
                  impossibile che si ripresenti anche in appello a causa di questa 
                  forte differenziazione tra le loro responsabilità. 
                   
                  Il codice calpestato 
                  Anche a seguito delle dichiarazioni di questi due esperti conoscitori 
                  della materia è aumentato l'interesse nazionale a conoscere 
                  le motivazioni della sentenza e, in particolare, quelle che 
                  supportano l'assoluzione del personale infermieristico. La domanda 
                  che tutti si pongono è come sia potuto accadere che su 
                  dodici infermieri nessuno sia intervenuto, nei modi consentiti, 
                  per evitare le sofferenze e le torture consumate nei confronti 
                  di una persona abbisognevole di cure? A questa domanda il giudice 
                  dovrà dare una risposta a seguito, speriamo, di un necessario 
                  confronto tra l'operato degli infermieri e il rispetto del loro 
                  stesso codice deontologico che prevede, tra le altre cose, un 
                  patto assistenziale “senza mediazione da parte di altre 
                  professionalità e che acquisisce una sua specificità 
                  all'interno dei percorsi terapeutici e clinico assistenziali”. 
                   
                  Testimoni non soccorritori 
                  I dodici infermieri del reparto di psichiatria dell'Opsedale 
                  “San Luca” di Vallo della Lucania sono stati soggetti 
                  attivi nelle 83 ore di contenzione di Francesco Mastrogiovanni 
                  e hanno agito in prima persona (con autonomia di scelta e responsabilità 
                  così come prevede il codice?) e quindi avevano l'obbligo 
                  di denunciare gli abusi e i comportamenti disumani che si verificavano 
                  sotto i loro occhi. L'art. 17 del codice deontologico afferma 
                  che l'infermiere, nell'agire professionale “è libero 
                  da condizionamenti” mentre nell'art. 30 ribadisce che 
                  lo stesso “si adopera affinchè il ricorso alla 
                  contenzione sia evento straordinario, sostenuto da prescrizione 
                  medica o da documentate valutazioni assistenziali”. Ricordiamo, 
                  ai nostri lettori, che la contenzione, alla quale è stato 
                  sottoposto Franco, non è stata neanche annotata in cartella 
                  clinica. Negli articoli 33, 34, 43, 48 e 51 dello stesso Codice 
                  si ribadisce, con diverse sfumature, che l'infermiere è 
                  tenuto, di fronte a carenze, a condizioni che limitano la qualità 
                  delle cure e il decoro dell'esercizio della professione, ad 
                  abusi e comportamenti contrari alla deontologia, a denunciare 
                  tali situazioni ai responsabili della struttura, al proprio 
                  Collegio professionale e (come è successo a Franco) in 
                  caso di maltrattamenti o privazioni a carico dell'assistito, 
                  di produrre segnalazione alle autorità competenti. Davanti 
                  alla dura realtà delle immagini “del video dell'orrore” 
                  che si sono fatte verità, storia e memoria di una morte 
                  disumana, non solo i medici, che ancora oggi non si sono degnati 
                  di chiedere scusa ai famigliari, si sono dimostrati privi di 
                  pietas ma, anche gli infermieri, a prescindere dal verdetto 
                  finale, dovranno interrogare la propria coscienza e capire, 
                  come evidenziato dai magistrati del Tribunale di Salerno – 
                  Sezione riesame, in vari punti dell'ordinanza emessa in data 
                  26 febbraio 2010,  con quanta semplicità si poteva 
                  salvare la vita di un uomo. 
                Angelo Pagliaro 
                Per informazioni, si può telefonare: 
                  Vincenzo Serra, 0974.2662 
                  Giuseppe Galzerano, 0974.62028 
                  Giuseppe Tarallo, 0974.964030 
                  www.giustiziaperfranco.it 
                  postmaster@giustiziaperfranco.it 
                  
                 
                 
                Barcellona/ 
                  Convergenze musicali 
                “Ci sentite da lì?” diceva Fossati in un pezzo del 1990, 
                  omaggio alle onde radiofoniche dell'emigrazione italiana in 
                  Argentina. Senza valigia di cartone, senza grandi navi transoceaniche 
                  e senza la miseria alle calcagna (ma tutti in bilico sulla disoccupazione), 
                  noi italiani all'estero viviamo comunque quell'inquietudine 
                  propria di chi si sposta, ci teniamo stretta questa domanda 
                  buttata un po' a vuoto: “ecco, noi ci siamo, ma ci sentite 
                  da lì?” 
                  Un giorno siamo partiti, ognuno con i suoi progetti, e ci coinvolge 
                  relativamente il tema del ritorno (ogni tanto riemerge, ogni 
                  tanto si torna), ma si tiene sempre un occhio (un po' benevolo, 
                  un po' perennemente incazzato) rivolto verso la direzione di 
                  partenza, attenti a quel che succede e a quel che si dice; e 
                  un po' vorremmo che si sapesse, che ci siamo anche noi, che 
                  il nostro essere altrove non coincide con l'assenza. 
                  Perché sappiamo bene che quando le persone si spostano 
                  si creano spazi di incontro, che il terreno di passaggio può 
                  essere fertile per prendere e per lasciare, quasi fossimo noi 
                  stessi il mezzo di trasporto migliore. Ci sono luoghi, poi, 
                  che sembrano essere nati apposta per far da punto di convergenza. 
                  Barcellona è uno di questi: è una città 
                  di porto, è un puntello del mediterraneo, da secoli s'incontrano 
                  qui il Sudamerica ed il Nordafrica, qui arrivavano dalla frontiera 
                  francese i volontari per la repubblica, qui passano e si ritrovano 
                  il sud e il nord del continente. Qui vive, va detto, una delle 
                  comunità italiane più ingombranti d'Europa. 
                  C'è poca identità nazionale da difendere, questo 
                  è chiaro. Ma il fatto è che non si può 
                  fare a meno di portarsi appresso il proprio bagaglio di riferimenti 
                  culturali e politici, le ferite vissute e le parole condivise, 
                  le scene dei film e le canzonette. Che ci tocca sempre di spiegare 
                  chi è De André, e avremmo voglia ogni tanto di 
                  poterlo condividere senza introduzioni, senza traduzioni né 
                  trasporti, senza tradimenti. Allora l'unico modo per non uscirne 
                  frustrati è aprire il più possibile i varchi dove 
                  possa passare meglio tutto questo flusso immaginario, creare 
                  gli spiragli perché possa esprimersi e raccogliere quel 
                  che di nuovo trova sul terreno. Ogni tanto qualcuno ci riesce, 
                  ogni tanto succede. 
                  Sergio Secondiano Sacchi ormai da tempo immemore (ovvero da 
                  quando tutto cominciò, dal 1972, da quando lo immaginarono 
                  insieme ad Amilcare Rambaldi) tiene le fila del Club Tenco, 
                  vetrina dove esporsi e finestra dove sbirciare, sgabello dove 
                  sedersi e accordare la chitarra, per tutti coloro che han provato 
                  a metter musica alle parole, a far scivolare le parole sulla 
                  musica. Il Tenco è la casa e la piazza dei cantautori, 
                  della musica italiana che s'incontra con il mondo, con gli strumenti 
                  e i suoni pensati anche in un'altra lingua e che lì vanno 
                  ad affacciarsi, a conoscersi. 
                
                   
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                    Roger Mas e Jarek Nohavica  | 
                   
                 
                 A Barcellona, Sergio Secondiano Sacchi sta cercando di fare 
                  quello che ogni novembre si ripete, come una specie di rito 
                  propiziatorio, in quel di Sanremo: creare un luogo di incontro, 
                  lasciare spazio alle parole, lasciare che la musica faccia il 
                  suo corso. Insieme a Steven Forti, indomito ed attivissimo promotore 
                  culturale tra gli italiani di quaggiù, ha organizzato 
                  un festival dedicato alla musica d'autore, italiana e non solo. 
                  S'è inaugurato il 18 ottobre scorso e continuerà 
                  a proporre eventi durante tutto questo lungo inverno, fino all'11 
                  aprile. L'omaggio è quello consueto, e non potrebbe essere 
                  diversamente: il festival s'intitola Cose di Amilcare, 
                  e non è solo una dedica, è un benvenuto, un occhiolino 
                  che vogliamo regalarci, un sapere in quale casa siamo entrati. 
                  Ma è soprattutto la volontà di creare uno spazio 
                  dove le rotte si incrocino, un momento di scambio uguale a quello 
                  che sorge nei cenacoli di migranti nelle città di passaggio, 
                  e che si ripropone ogni giorno, in ogni porto del mondo, tra 
                  chi arriva e chi resta. 
                  Perché c'è bisogno di trovarsi insieme a cantare 
                  tutti la stessa canzone, come è successo con lo spettacolo 
                  che ha dato il via al festival: il concerto del cantautore ceco 
                  Nohavica, da trent'anni a questa parte consacrato poeta in quel 
                  di Praga (menestrello dissidente, ironico, liricamente sorprendente), 
                  ha radunato un coro entusiasta di sostenitori capaci di ricordare 
                  tutte le parole, mentre noialtri, discreti e in punta di piedi, 
                  cercavamo di raccapezzarci in mezzo a tutta quella emozione 
                  in lingua altra e a noi sconosciuta. Il primo concerto ha confermato 
                  quel che già sappiamo: c'è tutto un mondo dietro 
                  a una canzone, che si schiude, che semina, che intesse nuovi 
                  nodi. Bisogna andarlo a scoprire, lasciare che esca alla luce 
                  e che faccia quel che deve. 
                  Partecipa al festival, a parte qualche ospite internazionale 
                  d'eccezione (oltre a Nohavica, il portoghese Sérgio Godinho), 
                  la musica italiana che ha saputo mettersi dentro una valigia, 
                  che è come dire mettersi in gioco, e partecipano anche, 
                  a mo' di benvenuto, artisti catalani attivi nella città 
                  di Barcellona: ognuno di loro apre la porta di ogni concerto, 
                  introduce con la sua musica l'ospite che sta per arrivare, crea 
                  occasione per sovrapporre esperienze artistiche diverse. Una 
                  voce femminile (quella di Mariona Sagarra) ha dato il via all'esibizione 
                  degli Agricantus, mescolando la dolcezza della melodia con le 
                  sonorità elettroniche del campionatore, e vicino al canto 
                  tradizionale catalano ha intonato un Maremma amara più 
                  struggente che mai. Abbiam sentito il cantautore Roger Mas sfoderare 
                  dal suo repertorio consueto una versione di Geordie (proprio 
                  quello che rubò sei cervi nel parco del re, a dimostrazione 
                  che la poesia, quando vuole, sa come mettersi in viaggio) e 
                  abbozzare una traduzione in catalano della più celebre 
                  canzone di Nohavica, Kometa (di cui si può anche 
                  apprezzare, per chi ne fosse incuriosito, una versione italiana 
                  eseguita dal nostro Alessio Lega). 
                  Come dire, sul palco nascono sorprese, incontri, abbordaggi, 
                  e il pubblico assiste e prende parte. Alcuni concerti del festival 
                  prevedono l'esibizione di due artisti, e non è solo un'esigenza 
                  logistica: anche questa scelta mostra la volontà di creare 
                  una piattaforma di incontro tra proposte differenti, ognuna 
                  col suo spazio ma con la possibilità di ammiccare e corteggiarsi 
                  a vicenda. Il 15 dicembre abbiam visto sul palco il cantautore 
                  Dente, con il suo ciuffo scomposto e l'aria trasognata, a far 
                  ironia su se stesso e cantar d'amore (e di non amore); dopo 
                  di lui, è entrato in scena Peppe Voltarelli, che con 
                  disinvoltura disarmante sa mettere insieme Léo Ferré 
                  e la hit nazionalpopolare del '75, il folk dalla Calabria e 
                  la sua personale canzone di protesta, oltre a mescolare (senza 
                  ritegno, ovviamente) lo spagnolo con tutte le altre possibili 
                  lingue latine. Vedere poi il dinoccolato piacentino e il calabrese 
                  sanguigno improvvisare insieme sul palco un 4 marzo 1943 
                  è una chicca dal sapore irripetibile. 
                  Ci sarà il folk impegnato degli Yo Yo Mundi che dovrà 
                  condividere il palco con la poesia musicata di Alessio Lega 
                  (autore ben noto a queste pagine, ed è la seconda volta 
                  che lo cito, spero non esagerare): due modi diversi di fare 
                  e pensare alla canzone, anche se sempre di resistenza e d'amore 
                  si parla. 
                  Non mancherà la satira teatrale (scelta lodevole e poco 
                  consueta) che ha saputo passare anche attraverso la musica, 
                  come quella di Alberto Patrucco e di David Riondino. 
                  La voce del nostro Finardi dovrà spartirsi le scene con 
                  quella di Joan Isaac, cantautore ben noto da queste parti che 
                  ha in qualche occasione tradotto (e trasportato) in Catalogna 
                  le canzoni di Roberto Vecchioni. Sentiremo quel che ha da cantarci 
                  Toni Bruna, che da poco sta mettendo in giro il suo nome e le 
                  sue parole sui palchi d'Italia, anche se ormai sono in molti 
                  ad averne scoperto il valore. L'ultimo ospite del festival sarà 
                  Mauro Pagani, proprio per chiudere in bellezza, introdotto sul 
                  palco, tra gli altri, da un altro grande vecchio della penisola 
                  iberica: Amancio Prada, colui che tradusse per primo allo spagnolo 
                  le canzoni di Léo Ferré. 
                  Insomma, le porte possibili sono state aperte, gli spazi di 
                  condivisione ci sono tutti, staremo a vedere cosa ne viene, 
                  quali sorprese si riescono a creare. Si cerca di far sì 
                  che non diventi questo un circolo chiuso a misura degli italiani 
                  fuori sede, una maniera di cantarcela e suonarcela da soli, 
                  ma che sia invece una occasione per raccontare qualcosa, aprire 
                  la valigia perché prenda un po' d'aria, rimescolare le 
                  carte. 
                  Sarebbe bello se questo non fosse che un inizio, un ponte lanciato 
                  da percorrere ancora, che si trasformasse insomma in una buona 
                  abitudine, di quelle che suonano bene. 
                Laura Orlandini 
                
                   
                      
                        Per saperne di più
                          Tutte le informazioni sul festival e 
                          sugli artisti sul sito di Cose di Amilcare: http://www.cosediamilcare.eu/ 
                           
                          Le date del festival: 
                           
                          18 ottobre 2012 
                          JAREK NOHAVICA 
                          amb la partecipació de Roger Mas 
                          CAT – 21.30 
                           
                          22 novembre 2012 
                          AGRICANTUS 
                          amb la partecipació de Mariona Sagarra 
                          CAT – 21.30 
                           
                          15 dicembre 2012 
                          DENTE – PEPPE VOLTARELLI 
                          CAT – 21.30 
                           
                          17 gennaio 2013 
                          TONI BRUNA 
                          amb la partecipació de Rusó Sala 
                          TINTA ROJA – 20.30 
                           
                          31 gennaio 2013 
                          YO YO MUNDI – ALESSIO LEGA 
                          amb la partecipació de Feliu Ventura 
                          LUZ DE GAS – 21.30 
                           
                          14 febbraio 2013 
                          EUGENIO FINARDI 
                          amb la partecipació de Joan Isaac 
                          AUDITORI BARRADAS – 21.30 
                           
                          7 marzo 2013 
                          DAVID RIONDINO 
                          amb la partecipació de Dani Flaco 
                          LUZ DE GAS – 21.30 
                           
                          22 marzo 2013 
                          SÉRGIO GODINHO 
                          amb la partecipació de Marina Rossell 
                          TEATRE JOVENTUT – 21.00 
                           
                          4 aprile 2013 
                          ALBERTO PATRUCCO 
                          amb la partecipació de 
                          Miquel Pujadó – Enric Hernàez 
                          LUZ DE GAS – 21.30 
                           
                          11 aprile 2013 
                          MAURO PAGANI 
                          amb la partecipació de 
                          Maria Del Mar Bonet, Amancio Prada, Badara Sec
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