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				 anarchismo/2 
                  
                Una via aperta a tutti 
                  
                di Antonio Senta 
                    
                Malatesta scriveva che l'anarchia non è l'ideale assoluto né la perfezione, ma è essenzialmente un metodo. 
  E i movimenti di lotta attuali lo confermano. 
                 
                  Fallita per sempre ogni soluzione di socialismo autoritario o statale, a fronte 
  della distruttiva barbarie quotidiana in cui ci costringe il liberalismo, l'anarchia 
  è oggi un faro per tutti coloro che lottano per la dignità e la 
  giustizia. 
  Ma non è solo un obiettivo lontano o un miraggio, essa è pratica 
  quotidiana, materia pulsante. Essa vive in ogni sussulto individuale o collettivo 
  di emancipazione, nell'esodo e nel conflitto, nelle zone liberate e dentro ogni 
  crepa del presente, nella libera cooperazione e nella solidarietà tra 
  uomini e donne, nell'affermazione dell'autonomia dall'autorità. L'anarchia, 
  sintesi dei concetti e delle pratiche di uguaglianza e libertà quali 
  si sono affermate storicamente, è dinamica, aperta, sperimentale, suscettibile 
  di modifiche, assetata di nuovi orizzonti. Ferma nella sua sostanza di antiautoritarismo, 
  libertà e uguaglianza, muta però forma in continuazione. Mai uguale 
  a se stessa, così difficile da definire da essere spesso fraintesa e 
  denigrata, è il cuore pulsante dei movimenti sociali contemporanei più 
  avanzati, quelli che fanno dell'autorganizzazione e dell'assenza di gerarchie 
  la propria cifra e dell'autogestione il proprio metodo. Oggi è l'anarchia 
  infatti che, contro ogni finalismo, caratterizza forme di resistenza e alternativa 
  alla massificazione dello sfruttamento e del dominio nelle società contemporanee. 
  È l'anarchia l'unica forza in grado di aprire squarci in un magma avvolgente 
  e insapore che neutralizza ideologie e idee, un blob sempre uguale a se stesso, 
  statico nel suo eterno ritorno dell'uguale, un sistema criminale e vorace che 
  uccide, sfrutta, devasta. 
  Eppure, lo sappiamo, l'idea anarchica non è cosa di ieri. Negli anni 
  settanta e ottanta dell'ottocento gli antiautoritari italiani elaboravano la 
  propria idea rivoluzionaria in opposizione al concetto di lotta per la conquista 
  del potere politica caro a Marx e a Engels. 
  Carlo Cafiero intendeva la rivoluzione come una legge naturale. La società, 
  proprio come la natura, era caratterizzata da processi continui di trasformazione, 
  il cui stadio ultimo doveva essere la rivoluzione: un evento radicale e violento 
  in grado di abbattere lo stato e di essere uno spartiacque tra una situazione 
  di conflitto e una di pace. Era questa una visione finalistica, legata agli 
  influssi culturali positivisti del tempo, alla quale egli però affiancava 
  anche un concetto di rivoluzione come processo aperto, non concluso, continuamente 
  pronto a rinnovarsi nella lotta contro quella eventuale autorità che 
  dovesse rinascere dopo la distruzione dello stato. Nel suo pensiero c'era cioè, 
  almeno in nuce, un'intuizione del carattere potenzialmente infinito dell'azione 
  anarchica che sembrava presupporre una società postrivoluzionaria conflittuale 
  e suscettibile di ulteriori trasformazioni. 
                  Il richiamo della coscienza 
				  
                Inoltre per lui era l'egoismo, inteso come “sentimento 
                  dell'io”, a ispirare l'uomo e a generare due leggi coesistenti 
                  fondamentali dell'agire umano, il principio di lotta e quello 
                  di sociabilità. Tale visione curiosamente corrisponde 
                  a quel che affermano alcuni dei più autorevoli biologi 
                  e naturalisti contemporanei, secondo cui la forza motrice dello 
                  sviluppo umano è la selezione naturale “multilivello”, 
                  ovvero sia individuale che di gruppo. Edward O. Wilson, nel 
                  suo La conquista sociale della terra (Cortina, Milano, 
                  2013) scrive che al livello più alto i gruppi umani fanno 
                  a gara tra di loro favorendo i tratti sociali cooperativi tra 
                  i membri dello stesso gruppo, mentre al livello inferiore i 
                  membri dello stesso gruppo gareggiano in un modo che sfocia 
                  in comportamenti egoistici. 
                  Poco tempo dopo Cafiero, a metà degli anni ottanta dell'ottocento, 
                  Malatesta pubblicava il suo scritto L'anarchia. L'agire 
                  umano, scriveva Malatesta, si è caratterizzato storicamente 
                  secondo i due termini contrapposti di egoismo e di cooperazione. 
                  Il primo è un resto atavico del passato, il secondo è 
                  fattore di progresso. L'egoismo è quindi destinato a 
                  scomparire e questo è l'obiettivo dell'azione degli anarchici. 
                  Tale visione progressiva dell'evoluzione umana è oggi 
                  difficilmente accettabile. 
                  Dopo gli avvenimenti terrificanti del novecento, sappiamo che 
                  per l'uomo non esiste una strada lineare che conduce dall'egoismo 
                  alla solidarietà. Ogni persona sente il richiamo della 
                  coscienza, dell'etica contro la codardia, della verità 
                  contro il raggiro, dell'impegno contro la rinuncia. Egoismo 
                  e solidarietà, cioè quello che i biologi chiamano 
                  selezione individuale e di gruppo, spiegano la natura conflittuale 
                  delle motivazioni umane. Lo spirito di collaborazione e l'empatia 
                  sono sì fattori dell'evoluzione ma non sono mai dati 
                  per sempre, sono qualcosa da conquistare e riconquistare continuamente. 
                  Il nostro destino è essere dilaniati da grandi e piccoli 
                  dilemmi man mano che ogni giorno procediamo a zig-zag nel mondo 
                  rischioso e indocile che ci ha dato la vita. Abbiamo sentimenti 
                  contrastanti. Non siamo mai sicuri di una linea d'azione. Capiamo 
                  fin troppo che nessuno è così saggio e grande 
                  da non potere commettere un errore madornale, o un'organizzazione 
                  così nobile da essere incorruttibile. 
                  Tutti noi, nessuno escluso, trascorriamo la nostra vita in conflitto 
                  con noi stessi (Edward O. Wilson, La conquista sociale della 
                  terra, cit.). 
                  Eppure, così come ne La rivoluzione di Cafiero 
                  anche nel Malatesta de L'anarchia ci sono intuizioni 
                  attualissime e che sembrano superare, almeno in parte, una concezione 
                  per forza di cose legata al proprio tempo. Malatesta scriveva 
                  già allora infatti che l'anarchia non è l'ideale 
                  assoluto né la perfezione, ma è essenzialmente 
                  un metodo, una via aperta a tutti. 
                  Così facendo, egli contribuiva ad affermare una visione 
                  dinamica dell'anarchismo, la cui azione è potenzialmente 
                  infinita perché infiniti sono gli ambiti in cui è 
                  e sarà necessaria una pratica antiautoritaria in grado 
                  di demolire quelle dinamiche di potere e di nuovo sfruttamento 
                  che si riformano continuamente.
                  Antonio Senta
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