|   lavoro 
                  Le mani, la fronte... 
                  di Giorgio Sacchetti 
                    Lavoro e quotidianità 
                  nelle miniere di lignite del Valdarno in Toscana.  
                  Pubblichiamo un saggio del nostro collaboratore Giorgio Sacchetti, 
                  valdarnese lui stesso, storico del lavoro oltre che dell'anarchismo. 
                  Con una pagina finale dedicata al complesso museale che a Cavriglia 
                  (Arezzo) è dedicato proprio alle miniere. 
                  
                
                  L'impianto narrativo di questo 
                  saggio intende mettere in connessione, con modalità empiriche, 
                  due mondi – cui peraltro corrispondono altrettante esperienze 
                  formative – separati ma assiduamente frequentati e vissuti 
                  dall'autore con intensità di sentimento, sebbene in epoche 
                  diverse. Da una parte gli ambienti operai e contadini del Valdarno 
                  Superiore in Toscana come luogo dell'infanzia e dei ricordi 
                  di famiglia, dall'altra l'attività scientifica condotta 
                  in età adulta e concretizzatasi in una ponderosa ricerca 
                  di dottorato dedicata alle miniere di lignite (Ediesse 2002, 
                  cit. infra). La scelta, certo inconsueta in storiografia, di 
                  un “noi” narrante si pone non solo come mero escamotage 
                  per una lettura in soggettiva, ma anche quale indicazione di 
                  un protagonista, “meta-personaggio” realistico e 
                  collettivo. Nel nostro caso trattasi di giovani contadini-minatori 
                  colti nella loro quotidianità lavorativa in un giorno 
                  qualunque del secondo quarto di secolo del novecento. L'arco 
                  temporale considerato, ricco di cesure proprie e forti, è 
                  vasto ma per certi versi omogeneo e sostanzialmente immobile 
                  sul piano del progresso tecnologico industriale nello specifico 
                  settore lignitifero. Insomma il modo di stare nel buio delle 
                  gallerie non cambia. Basti pensare che il casco da minatore, 
                  tanto caro all'iconografia del lavoro, sarà per lungo 
                  tempo un accessorio misconosciuto in Valdarno. Ciò che 
                  qui si vuole raccontare è un pezzo di storia italiana, 
                  piccolo ma significativo a nostro modo di vedere, per una visione 
                  particolare della lunga fase di transizione del mondo contadino 
                  verso le nuove attività d'industria. La ricostruzione 
                  si basa su concrete e tradizionali fonti d'archivio cui si aggiungono, 
                  a completamento o come supporto di ambientazione, fonti orali 
                  e memorie familiari di primissima mano. Altra questione riguarda 
                  le culture politiche dei minatori, oggetto di altre ricerche 
                  pubblicate dall'autore, che qui lasciano il posto piuttosto 
                  agli orizzonti mentali ed agli antagonismi sociali che si legano 
                  in modo diretto alle modalità di lavoro. 
                
                   
                     
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                    |   Discenderia delle Carpinete.
  
                  Immagine proveniente dall'album Le Carpinete. Luglio 1947.  
                  Esposto presso Mine, Museo delle miniere e del territorio. Donazione 
                  Marco e Claudia Salmini.  | 
                   
                 
                 
                Contadini - minatori  
                 S'è fatto i contadini fino a dopo la guerra questa, 
                  ma fin dall'epoca della guerra quell'altra diversi dei 
                  nostri giovanotti, chi poco chi parecchio, hanno lavorato alle 
                  miniere di lignite1. Le citte, 
                  invece, andavano per lo più “ai tabacchi” 
                  e qualcheduna poi avrebbe imparato a fare la magliettaia a casa. 
                  Ultimi a entrare in fabbrica2, 
                  primi a fare il minatore... part time, job on call 
                  e perfino job sharing: dimissioni, assunzione, licenziamento 
                  e si ricomincia da capo3. 
                  È la campagna “serbatoio dell'industria” 
                  (il reclutamento avviene con sistemi molto informali e, spesso, 
                  senza garanzie né diritti). 
                  Anche tra gli anni venti e cinquanta del novecento – con 
                  modalità quasi immutate nei secoli – le novità 
                  importanti ci arrivavano con il passaparola, dai sensali nei 
                  mercati di San Giovanni e di Figline Valdarno, oppure ce le 
                  portavano i barrocciai nelle campagne e nei borghi insieme alle 
                  loro mercanzie. È da lì che la notizia dell'offerta 
                  di un mestiere finalmente moderno e nuovo si diffonde con rapidità, 
                  rimbalza nelle aie estive e al canto del fuoco nelle 
                  veglie invernali, incontra miraggi e sogni giovanili. Certo 
                  s'aveva voglia di scappare da una campagna sempre più 
                  avara e da un lavoro che non ci garbava punto, ma – sotto 
                  sotto – la gioventù si voleva anche divincolare 
                  dal capoccia, dalla massaia e dal fattore. Insomma non s'accettava 
                  un destino fra le zolle uguale a quello dei nostri nonni e dei 
                  bisnonni, e il futuro non doveva essere come un quadro già 
                  fatto. Fra il poggio e il piano s'era tutti contadini, mezzadri 
                  su poderi piccini dove la rotazione dei prodotti agricoli scritta 
                  nei libri e suggerita dagli agronomi era sempre difficile da 
                  mettere in pratica. Solo se la buona sorte ci assisteva, preservandoci 
                  da grandinate, gelate e alluvioni, c'era da mangiare per tutti 
                  (E un s'era nemmen pohi!)4. 
                  Il podere insomma era quello e le bocche aumentavano più 
                  delle braccia. 
                  Sulle basse pendici collinari di Pratomagno, a ridosso dei calanchi 
                  di origine lacustre, dove abitano in quel periodo i Sacchetti, 
                  si coltiva la terra e si cura il bestiame; ci “si ingegna” 
                  anche con gli animali da cortile, con i piccoli lavori agricoli 
                  i ragazzi e le donne con la tessitura. Nel giro di pochi chilometri 
                  vivono altre famiglie con loro imparentate: Pieralli, Giuliani, 
                  Bigi, Pasquini, Stonizzati, Margiacchi, Ungheria... Tra l'Acqua 
                  Zolfina, la Treggiaia, Renacci e Grania ci sono molte case coloniche. 
                  È una fitta rete di viottoli, campi coltivati delimitati 
                  da filari, frutteti, boschi e borri, compresa nei territori 
                  dei comuni di Castelfranco di Sopra e Terranuova Bracciolini. 
                
                   
                     
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                    |   Tracciatura meccanica in opera all'ottavo livello della miniera. 
                  Nelle gallerie operavano varie figure. I minatori erano divisi 
                  in compagnie sotto la responsabilità di un caposervizio 
                  e di un sorvegliante. In miniera c'erano due compagnie che lavorano:  
                  quelle addette al tracciamento, composte da due minatori e quelle 
                  addette all'abbattimento formate da tre persone – capo 
                  minatore, minatore e caricatore – che procedevano nello 
                  scavo della lignite. 
                  La tracciatura meccanica delle gallerie fu introdotta attorno 
                  agli anni '40 del novecento con l'uso di macchine elettriche 
                  impiegate dove il banco era più compatto.
  
                        Immagine proveniente dall'album Le Carpinete. Luglio 
                        1947.  
                        Esposto presso Mine, Museo delle miniere e del territorio. 
                        Donazione Marco e Claudia Salmini.  | 
                   
                 
                 Le miniere di Castelnuovo sono invece sull'altra riva dell'Arno5, 
                  proprio di fronte dalla parte dove tramonta il sole, in direzione 
                  delle colline del Chianti. Per arrivarci si deve attraversare 
                  il ponte e ci saranno sì e no una decina di chilometri. 
                  C'è chi li fa anche tutti a piedi, ma qualcuno a San 
                  Giovanni monta sul trenino del Ponte alle Forche che fa una 
                  gita per ogni sciolta (turno), apposta per portare gli 
                  operai nel bacino lignitifero. Tre vagoni sempre zeppi. Noi 
                  però s'ha la bicicletta come i bersaglieri (qualcuno 
                  addirittura possiede, fortunosamente, una bella Bianchi modello 
                  del 1911, che è un vero scialo) e ci si muove a gruppi. 
                  La strada di Botriolo è il nostro punto di ritrovo. Si 
                  va tutti insieme la mattina presto, con la borsa di stiancia 
                  a tracolla preparata la sera avanti dalle nostre donne, a fendere 
                  le nebbie con poderose pedalate ragionando e scherzando; e d'inverno, 
                  con i manubri accessoriati con pelli di conigliolo, si 
                  tengono le mani al riparo dai geloni. Meglio che badare i maiali 
                  e fare il segato per le bestie (almeno noi si spera), dopo tanto 
                  i lavori pesi stagionali: mietitura e battitura, vendemmia, 
                  raccolta delle olive, coltratura, semina... ci toccheranno uguale6. 
                  Passato l'Arno ci si riunisce con altri ciclisti, ora siamo 
                  in tanti e, man mano, aumentano anche i gruppi di appiedati. 
                  Si va tutti nel solito posto. La maggior parte s'ha l'acetilene 
                  a carburo ciondoloni che s'adopra per far lume quando si scende 
                  in galleria; quegl'altri vuol dire che sono operai dei piazzali. 
                  Una volta attraversato il paese di San Giovanni costeggiando 
                  la stazione e la Ferriera si notano i primi vagoni carichi di 
                  minerale in sosta sui binari morti del deposito. L'impianto 
                  di caricamento meccanico delle “pule” con tramoggia 
                  ed elevatore a tazze azionato da un motore elettrico è 
                  già in funzione. Ora manca proprio poco e siamo già 
                  alla fabbrica e deposito delle bricchette (le mattonelle pressate 
                  fatte con gli scarti e le minutaglie di lignite). Al ponte sul 
                  borro di Vacchereccia sferraglia la locomotiva 113 della ditta 
                  Orenstein e Koppel, n. 5403 di caldaia, costruita nel 1912, 
                  scartamento 0,70 e pressione di lavoro 12 atmosfere. I vagoni 
                  sono ricolmi e forse li portano alle Fornaci del Bagiardi, oppure 
                  li scaricheranno per lo stabilimento ceramico e qualche vetreria 
                  qui vicino. E viaggia già anche qualche camion Fiat BL. 
                  Ci siamo ormai abituati, ma la veduta di qua d'Arno una volta 
                  assomigliava di più a quella dei nostri posti. All'epoca 
                  che incominciarono i lavori sotterro e prima che le cave a cielo 
                  aperto dismesse diventassero pozze impaludate qui c'erano boschi 
                  di leccio, querce e castagni. I nostri vecchi ci hanno raccontato 
                  di uliveti che ora non ci sono quasi più, di campi al 
                  piano coltivati a cereali e interi filari di vite sbancati, 
                  di borghi e case crollate. 
                  La lignite ci riempie già i buchi del naso. I rumori 
                  dei cantieri si avvicinano, pedalata dopo pedalata. 
                
                   
                     
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                    |   L'immagine mostra un minatore impegnato nel mettere in sicurezza 
                  una galleria. Le gallerie delle miniere del Valdarno erano sostenute 
                  da armature in legno di pino o acacia e composte da 3 pezzi, 
                  due gambe ed un cappello, detto cappuccia. Quando la galleria 
                  da armare presentava una delle due parti tanto resistente da 
                  non richiedere di essere sostenuta con legname si usava ricorrere 
                  all'armatura zoppa. La discenderia ed i garages erano fatti 
                  in muratura. Dagli anni '40 del 1900 furono introdotte anche 
                  le armature metalliche.
  
                        Immagine proveniente dall'album Le Carpinete. Luglio 
                        1947.  
                        Esposto presso Mine, Museo delle miniere e del territorio. 
                        Donazione Marco e Claudia Salmini.  | 
                   
                 
                 
                Nella bocca della miniera 7 
                 La lignite, in un modo o in un altro, dà da mangiare 
                  a noi del Valdarno e a quelli di fuori8. 
                  Il bacino è suddiviso in cinque gruppi: Calvi, Castelnuovo, 
                  Allori, Santa Barbara e San Donato/Gaville, ciascuno formato 
                  da vari cantieri e miniere per un totale di quattordici pozzi 
                  inclinati (discenderie). E nel bel mezzo si staglia una centrale 
                  termoelettrica da 20.000 kW alimentata dal minerale umido appena 
                  sortito dalle gallerie. Passando da Santa Barbara si vede il 
                  nuovo impianto di estrazione, supermoderno (realizzato dalle 
                  Officine Meccaniche Reggiane) con nastri trasportatori in gomma, 
                  parte metallica esterna ed edificio murario all'imbocco. In 
                  un'area limitata del bacino si praticano coltivazioni a cielo 
                  aperto con lo scoperchiamento del banco eseguito da escavatori 
                  meccanici a cucchiaio. Una delle macchine, modello americano 
                  “a benna” capace di scavare ad un livello inferiore 
                  al suo piano di posa, è già all'opera di primo 
                  mattino. Quando gli si passa vicini si resta a bocca aperta! 
                  È un vero formicaio il posto dove si va a lavorare, fatto 
                  di trabiccoli, macchinari e gente sempre in movimento; un ginepraio 
                  di strade trafficate e passerelle, fabbricati, viottoli di polvere 
                  o fango, torrenti deviati secondo convenienza, cataste di minerale, 
                  cumuli di inerti abbandonati. Su tutta la superficie si estende 
                  una fitta rete ferroviaria con uno sviluppo di 35 km, in prevalenza 
                  con binari a scartamento ridotto, gestita direttamente dalla 
                  Società mineraria, che dispone anche di quattro grosse 
                  locomotive. A scartamento normale la linea di sette o otto km 
                  che va fino alla stazione di San Giovanni. L'area dei piazzali 
                  principali (530.000 mq in tutto, di cui 20.000 coperti) è 
                  ampia come tre poderi di quelli grossi. Qui viene convogliata 
                  la lignite estratta dalle diverse miniere o per essere spedita 
                  direttamente allo stato naturale o per essere prima essiccata, 
                  vagliata negli appositi impianti e classificata (umida, bazzotta, 
                  secca). Noi ciclisti che si viene dalla zona del Pratomagno 
                  si posa il mezzo vicino alle stalle dei cavalli da tiro e ci 
                  si ritrova con quelli del Chianti, della Val d'Ambra e del Senese, 
                  con chi è appena sceso dal trenino. Poi ci si disperde 
                  di nuovo e, alla spicciolata, ognuno s'avvia al posto di combattimento. 
                  Si procede, facendo attenzione ad attraversare i binari dove 
                  passano vagoncini decauville o chiatte di legno, tra decine 
                  di capannoni allineati, in legno e muratura, adibiti all'essiccamento. 
                  Si passa fra magazzini, tettoie, matasse di fili elettrici, 
                  attrezzi e pali per la luce, vecchie ciminiere di argani a vapore, 
                  basculle per vagoni e vari casotti dove si riparano gli scaricatori 
                  quando piove. Il vocio e il rumore delle macchine è sempre 
                  più forte. C'è una città che sta sopra 
                  a quella sotto. Davanti ai nostri occhi due grandi teleferiche 
                  sorrette da enormi piloni, adibite al trasporto promiscuo di 
                  materiali, scarrucolano avanti e indietro a pieno ritmo. Una 
                  (lunga 1300 metri, potenza 12,5 Hp) mette in comunicazione il 
                  piazzale del gruppo Allori con la centrale elettrica, capace 
                  di trasportare fino a mille tonnellate di prodotto al giorno. 
                  L'altra, lunga oltre 5 km, arriva fino al piazzale di manovra 
                  del Ponte alle Forche, e può trasportare fino a 650 tonnellate 
                  al giorno. Gli uffici degli impiegati e del direttore sono parecchio 
                  discosti, in località San Paolo. A portata di mano invece 
                  ci s'ha l'infermeria che noi si chiama ospedaletto, prima 
                  non c'era, ma ci vorrebbe anche un'automobile a disposizione 
                  per portare i feriti a Figline. Poi c'è un'officina meccanica 
                  che ha tutti i ritrovati moderni. Tutte cose per raccomodare, 
                  alla meglio, danni di tutte le specie9. 
                  Noi della prima sciolta (7-15) s'arriva puntuali col 
                  suono della sirena. Alla bocca della miniera ci si trovano i 
                  comandanti già piazzati a fare la conta: il capo-servizio 
                  e il sorvegliante (che ha fatto il militare nei carabinieri). 
                  A loro rispondono i vari capi-squadra per il controllo ravvicinato 
                  delle singole compagnie che operano in sotterraneo. E ogni compagnia 
                  risulta formata, al minimo, da un capo-minatore anziano ed esperto, 
                  da un minatore e da un caricatore10. 
                
                   
                     
  | 
                   
                   
                    |   L'immagine 
                        mostra una galleria della miniera nel 1927 e più  
                  precisamente lo stacco fra la diretta e la discenderia. Le gallerie 
                  delle miniere del Valdarno erano una perpendicolare all'altra: 
                  la discenderia era la galleria principale da cui si distaccava 
                  perpendicolarmente la diretta a tetto. Da questa, in direzione 
                  del banco di lignite, partivano le traverse, poi i rinquarti, 
                  i galleriozzi per giungere alla camera di coltivazione e poi  
                  di abbattimento della lignite.
  
                        Immagine proveniente dall'album Le Carpinete. Luglio 
                        1947.  
                        Esposto presso Mine, Museo delle miniere e del territorio. 
                        Donazione Marco e Claudia Salmini.  | 
                   
                 
                 
                Nella pancia della miniera  
                 Per lavorare in galleria bisogna essere o parecchio robusti 
                  o parecchio agili e non ci vogliono i corazzieri. Bastano i 
                  bordellotti (ragazzotti) de' contadini come noi. 
                  Il patire incomincia già a scendere. Si accede da un 
                  antro buio di tre metri per due e mezzo. Acetilene accesa, luce 
                  fioca e si va a piedi, non siamo mica in Belgio, giù 
                  per una scala gradinata collaterale alle gallerie, in fila indiana 
                  distanziati e attenti con gli scarponi a non cozzare in cavi, 
                  tubi, diavoli e serpenti, a non battere il capo sulle sporgenze. 
                  I binari consumati luccicano e gli occhi si abituano all'oscurità 
                  un po' alla volta. Venti minuti ci vogliono tutti per scendere 
                  ad un centinaio di metri di profondità (19° livello); 
                  poi c'è da accordare i soni nella compagnia, posare la 
                  roba e metterla attaccata all'armatura. Al capo-minatore tocca 
                  la scelta, non facile e insindacabile, del modo migliore di 
                  attaccare il banco. Due sono le specie di lavoro: avanzamento 
                  e abbattimento, ossia piccone più dinamite. Ma il brillamento 
                  della mina rimane sempre il momento più delicato. E dopo 
                  una breve riunione (brainstorming!) si decide di incominciare 
                  ognuno con compiti e mansioni precise: te fai questo, te fai 
                  quest'altro. Chi pensa a spingere o agganciare i carrelli, chi 
                  batte la mazza e chi monta l'armatura, c'è poco da scherzare. 
                  Il sistema di coltivazione “per frana” prevede tagli 
                  orizzontali discendenti. La distanza verticale fra due tagli 
                  successivi è di 5 metri11. 
                  Come abbattitori si fa tutto il lavoro a mano e, allo scopo, 
                  s'adopera un arnese leggero detto incastrino, oltre la marra 
                  (zappa tiratora), la mazza e i cunei. Altri arnesi in 
                  dotazione: la barramina12, la 
                  succhia, il piccone (detto anche malimpeggio) e la pala. 
                  C'è anche una bella lampada di sicurezza marca “Friemann 
                  Wolff”13, pesa solo due 
                  chili, ma fuori dalle camere s'adopra sempre l'acetilene a fiamma 
                  libera. 
                  Le gallerie, man mano che si procede, vengono puntellate e armate 
                  con legname di acacia o pino. 
                  Per respirare e per prevenire la formazione di gas nocivi, siccome 
                  le Bicchieraie sono una miniera importante, ci sono stati installati 
                  dei potenti ventilatori artificiali a 15 Hp a modo che “la 
                  quantità di aria che, per ogni operaio, circola negli 
                  ambienti di lavoro, superi in media i 50 litri al secondo”14. 
                  Ma poi questi ventilatori servono, ci par di capire, anche per 
                  asciugare la lignite. Sicché la realtà delle cose 
                  è un po' differente da quanto si vorrebbe prescrivere. 
                  Una volta un vecchio minatore ci raccontò che aveva sentito 
                  dire da un ingegnere che in America avevano fatto un esperimento 
                  scientifico per vedere chi era più bravo a stare senza 
                  respirare fra l'uomo, il topo e l'uccello (e pare che abbia 
                  vinto il topo)15. 
                  Non è che sottoterra ci siano le stagioni e spesso l'aria 
                  è soffocante oppure ci sono gli sbalzi improvvisi di 
                  temperatura. Gli ingegneri le chiamano escursioni termiche (in 
                  do' gli è cardo, in do'gli è freddo) e può 
                  dipendere dall'altezza delle masse di copertura, dalla natura 
                  del materiale attraversato, dalle correnti che si formano nel 
                  dedalo di gallerie, dall'ossidazione spontanea del combustibile, 
                  dal calore animale, da quello delle lampade, dagli spari della 
                  dinamite e così via. Quando si superano di molto i 30° 
                  diventano indispensabili le pause anche per noi giovani. E gli 
                  incendi dovuti all'autocombustione dei banchi hanno portato 
                  talvolta la temperatura a tocc are quasi i 50°! Poi ci sono 
                  gli allagamenti e spesso si lavora con la melma fino ai ginocchi. 
                  Meno male che ci sono i nostri amici pompisti che intervengono 
                  nella eduzione delle acque con i loro potenti mezzi azionati 
                  da motori elettrici. 
                  Quanto al vestire, a seconda della bisogna si sta anche mezzi 
                  ignudi, però ci s'ha la camiciola e i calzettoni 
                  di lana fatti dalle nostre mamme, le mutande di tela, i pantaloni 
                  grezzi e gli scarponi chiodati di vacchetta (ammorbiditi con 
                  la sugna) oltre la giubba e il berretto, ma questi si posano 
                  insieme alla borsa di stiancia con il ricambio panni e il mangiare. 
                  Normalmente per ogni coppia di minatori che scava la lignite 
                  c'è un operaio che la carica nelle berline (o chiatte); 
                  che poi vanno spinte fino al garage, che è una galleria 
                  più ampia, dove si lasciano le piene per ripigliare le 
                  vuote e riportarle vicino alla camera di abbattimento. E così 
                  via. Le gallerie di trasporto son parecchie, ad ogni livello 
                  corrisponde un carreggio. La rete ferroviaria sotterranea di 
                  tutte le miniere del Valdarno è di 40 km misurati. I 
                  vagonetti da condurre su “a giorno” si convogliano 
                  prima nelle gallerie principali, quelle a doppio binario, vere 
                  arterie delle miniere verso i piani inclinati d'estrazione. 
                  Una volta fatti i “treni” ci penseranno i cavallai 
                  con i loro cavalli, oppure a volte funziona il “catenone” 
                  mosso da una grande puleggia16. 
                  Orecchi ritti, quando si lavora si sta zitti e in campana. Se 
                  non si vuol fare una finuccia. Il bruciore agli occhi e il naso 
                  fino del capo-minatore ci mettono subito in allarme. 
                  
                   Bisogna conoscilo i'legno, ascortallo zitti, perché 
                    a vorte e fa de' brutti scherzi! N'ho visti diversi fa' la 
                    morte di'topo... Ho ancora nell'urecchi l'urlo di' poro Cencetti, 
                    un si fece a tempo a vortassi... era di già sparito... 
                    quella maledetta pigna lo sotterrò... ci vorse tre 
                    o quattr'ore pe' rilevallo... si lavorò come bestie... 
                    ma l'era bell'e spiaccicato...come una tarpa...17 
                    ...Chi non ha provato o quantomeno visto non può considerare 
                    cosa sia lasciare la luce del sole per andare a lavorare nelle 
                    tenebre di una galleria. L'attenzione, il coraggio, la forza 
                    di volontà, l'abitudine al pericolo che occorrono per 
                    resistere e continuare a lavorare, sepolti vivi, sono inimmaginabili. 
                    La morte si fa sentire costantemente, investendoci con l'afrore 
                    del suo alito. Il sudore ci impregna l'unico cencio con cui 
                    copriamo le parti genitali. I grossi frammenti di minerale 
                    schizzanti sotto l'urto dei colpi vibrati ci martirizzano 
                    le membra ormai maltite e sudice dal lavoro... 18. 
                 
                 Si estrae il minerale in camere a pianta quadrata (quattro 
                  metri per quattro), a diversi livelli, con l'uso di esplosivo 
                  (detto foho). Prima si taglia il banco ai lati e si scalza 
                  sotto con l'incastrino, poi si trivella con la succhia e ci 
                  s'infila la dinamite. Nei minuti che passano fra l'accensione 
                  della miccia e lo scoppio susseguente ci si deve allontanare 
                  almeno di 15 metri, che è la distanza minima di sicurezza. 
                  C'è il tempo per tirare il fiato al riparo dei fumi e 
                  dei polveroni, quindi tutto ricomincia da capo (“incastro, 
                  mina, accensione, scoppio”)19. 
                  Alle 12 ci s'ha una mezzoretta per mangiare. Ci s'accovaccia 
                  in un cunicolo illuminato alla meglio, la sporta sulle ginocchia, 
                  il bere appoggiato a terra di fianco e un coltellino in mano. 
                  Ognuno tira fuori le sue cose e le favorisce, non solo proforma, 
                  a quegl'altri. Sudici e sudati fradici ma la fame non manca. 
                  Quaggiù nessuno ci vede e ci sente e si parla liberi 
                  fra noi, ma senza vociare però. Chi ha il corteccino 
                  di pane ripieno di fagioli zolfini, chi il baccalà o 
                  un tocco di cacio, chi un pezzo di conigliolo dell'allevamento 
                  familiare. Da bere ciò che resta nel fiascotto di rosso 
                  oppure il “mezzovino” o magari l'acquerello20 
                  che ci rinfresca. Tutti i giorni si porta anche, all'usanza 
                  del minatore, una bella cipolla rossa con du' chicchi di sale, 
                  ma a quella – se ci riesce – gli si dà un 
                  morso ogni tanto mentre si lavora. Dice che faccia bene al sudore21. 
                  Mentre si mangia si ragiona anche di lavoro e qualche volta 
                  di sindacato. La sicurezza rimane il problema dei problemi, 
                  mentre sempre più spesso succedono gli incidenti e qualcuno 
                  ci lascia la pelle. Il capo-minatore racconta, e noi s'ascolta. 
                  
                   ...E s'era dentro a fa' l'incastra, tutto d'un corpo l'armatura 
                    cedé: s'era chiusi dentro... quelli di fori s'eran 
                    messi a facci un varco. In qui' mentre vòrto l'occhi 
                    e i' celo s'abbassava... un capii più nulla... aveo 
                    venticinqu'anni... te l'immagini... come una molla... c'era 
                    un buho lassù arto mi c'infila' dentro. Quell'attro 
                    era pe' restacci e urlava. I celo gl(i)'era addosso... sartò 
                    sulla chiatta, lo presi pe' bracci e lo tira' fori: in qui' 
                    mentre la camera la cascò22. 
                 
                 Non sempre le disgrazie dipendono dal grisou (asfissie, ustioni 
                  e ferimenti da esplosioni e crolli). 
                  La modernizzazione ha quasi peggiorato le cose perché 
                  ci ha riempito le miniere di attrezzature nuove. Oltre i “normali” 
                  franamenti, scoscendimenti e distacchi di roccia sono aumentati 
                  i cosiddetti “incidenti diversi”. Come ad esempio 
                  quelli causati da investimento di vagonetti, dalla caduta nei 
                  pozzi, urti o da folgorazione elettrica. “Un operaio mentre 
                  spingeva un vagoncino, venne da questo trascinato nel baratro, 
                  perché all'orifizio mancava il cancelletto di sicurezza...”23. 
                  Colpa dei cottimi, incentivati fino al 20 per cento della paga, 
                  e delle troppe economie. L'armatura delle gallerie viene sempre 
                  fatta a mano e a regola d'arte (due montanti sovrastati dalla 
                  cappuccia), però bisogna risparmiare e andare di corsa, 
                  così non sempre si riesce a calibrare alla perfezione 
                  gli incastri con la pressione che vien da sopra; l'esplosivo 
                  poi bisogna adoprarlo con parsimonia (le spese per il foho 
                  ce le mettono nei ritiri della paga): ecco i motivi principali 
                  dei frequenti distacchi di blocchi di lignite dalla volta. 
                  
                   ...Ma quando i'foho lo facein pagare siccome du'cartucce 
                    le costaan quasi la giornata, e cercaan di sacrificassi e 
                    di rischia' di più la vita [...] Quando e ci rimase 
                    i' mi' poro babbo [sotto l'abbattimento] e su' amici lo rilevaron 
                    dopo quattr'ore! E gl(i)'era sbucciato! Poi dalla gran paura 
                    e gli si spanse l'eterizie. Pe' l'appunto a que' tempi lì, 
                    e un c'era neanche e mezzi pe' curassi: quando mandonno la 
                    medicina e gl(i)'era bell'e bartao...24 
                    ..Anche l'accensione della mina costituiva un potenziale pericolo, 
                    e non solo per il fatto in sé. Prima del turno passava 
                    il “fochino”, l'addetto alla distribuzione di 
                    esplosivo. Ne dava il quantitativo richiesto, il cui costo 
                    veniva decurtato dalla paga. Finivamo per risparmiare anche 
                    su quello. Quando il banco da abbattere sembrava meno compatto 
                    – le numerose venature d'argilla lo indicavano –, 
                    eravamo tentati di non frantumarlo completamente. Avremmo 
                    consumato meno esplosivo, i pezzi di lignite sarebbero stati 
                    più grossi e qualitativamente migliori. Facevamo esplodere 
                    solo la parte inferiore del banco per staccare, con le mani 
                    e il piccone, quanto restava appeso in alto. Un tentativo 
                    pericoloso, perché la massa lignitifera della volta 
                    poteva improvvisamente cedere e intrappolarci...25 
                 
                 “Ingresso abusivo con fiamma libera in galleria saggio”: 
                  scrivono bene nel verbale quelli del Corpo Miniere26. 
                  Ma le disgrazie succedono per un motivo che tutti sanno e nessuno 
                  dice. Nei piazzali hanno messo da poco i servizi igienici (le 
                  “ritirate”) e gli operai lassù vanno al gabinetto 
                  che sembrano impiegati. Noi sottoterra invece ci s'arrangia 
                  e per fare i bisogni ognuno cerca il su' galleriozzo personale 
                  o anche uno “stanzone” abbandonato va bene, differente 
                  da quegl'altri è ovvio. Però prima si deve dare 
                  un'occhiata, ispezionare e far lume, non si può andare 
                  a tastoni ed è lì che si rimane buggerati. Il 
                  grisou, “aria morta”, ci mette un attimo a scoppiare, 
                  una fiammata e un bagliore accecante, un rumore assordante... 
                  Ca madonna! Era meglio pestare le fatte. 
                  Siamo sempre soli quaggiù ognuno con la su' acetilene 
                  (ma se n'avrà di cose da raccontare alla prossima mietitura!). 
                  Le talpe, in colonia numerosa e ingrassate con gli avanzi e 
                  il sudicio dei cavalli e dei cristiani, sono le nostre amiche 
                  e si sono ormai ambientate. Fanno compagnia e ci guardano lavorare. 
                  Anzi il loro caratteristico stridio ci serve da preallarme nell'imminenza 
                  dei crolli, perché quelle bestioline sentono anche i 
                  piccoli movimenti del banco e ben prima di noi! 
                  A starci parecchio qua sotto ci s'ammala, a respirare il pulino 
                  (la polvere di lignite), ma più che altro per via dell'umidità: 
                  bronchite asmatica, silicosi, antracosi, tubercolosi, polmoniti, 
                  artrosi... dicono i dottori bravi27. 
                  Chi non ce la fa può chiedere di andare sui piazzali 
                  ma non sempre ti accontentano e poi nemmeno lì, alle 
                  intemperie, ci sono le mele smezzate. Nella compagnia ci si 
                  vuole bene come fratelli e quando c'è uno malato tutti 
                  ci si preoccupa. 
                  
                  ... Se ce la fai a stare in piedi, non restare a casa. Scendi 
                    in galleria. Una volta sotto, penseremo noi a mandare avanti 
                    il tuo lavoro; così il sorvegliante ti segna la presenza 
                    e non perdi la giornata28. 
                 
                 Dei dottori non c'è da fidarsi e la Mineraria comanda 
                  anche al pronto soccorso. Sugli incidenti loro danno sempre 
                  la colpa a noi. Come successe al poro Brogi di Vacchereccia, 
                  che prima rimase sotto qualche quintalata di lignite e dopo 
                  quelle fave (persone scriteriate) dell'ospedale di San 
                  Giovanni dissero che era morto per un'ernia trascurata!29 
                
                   
                     
  | 
                   
                   
                    |   Centrale elettrica di Castelnuovo dei Sabbioni. La vecchia  
                  centrale di Castelnuovo, oggi non più esistente entrò  
                  in funzione nel 1907. Riusciva a produrre una quantità  
                  di energia tale da illuminare Arezzo, Firenze e Siena.
  
                        Immagine proveniente dall'archivio fotografico Emilio 
                  Polverini.  | 
                   
                 
                 
                Fuori il culo della miniera  
                 Finita la prima sciolta si risale con un buon passo e ci sembra 
                  di volare. Fuori il fitto sole e la luce accecano. Alla bocca 
                  della galleria c'è tutto il nostro lavoro fermo sui vagonetti 
                  pronto per la cernita, ma una digrossata la s'era bell'e data 
                  noi stamattina in galleria, dividendo intanto i pezzi grossi 
                  dalla pula. A lavorare sui piazzali ora non ci sono soltanto 
                  i manovali e gli operai fatti (esperti), ma anche donne 
                  e bambini dei posti qui vicino. Che li pagano con du' palanche. 
                  Vanno e vengono e non c'è nemmeno bisogno di fare tanti 
                  fogli per l'assunzione. È un'usanza dell'epoca della 
                  prima guerra mondiale30: allora 
                  qualche donna arrivò a fare persino il macchinista dell'argano, 
                  ma ora questo è un lavorino leggero riservato agli invalidi. 
                  I ragazzi piccini sono abilissimi ai vagli, riempiono i corbelli 
                  a gran velocità, saltellano e paiono non curarsi del 
                  polverume.
                  
                   ...Un capitolo a parte è quello dei minori di 16 
                    anni. Fra tanti vagoni dislocati nei luoghi di carico, vi 
                    sono quelli da riempire di pezzi piccoli. Questo compito è 
                    riservato a quei minori [...] Il corbello era d'obbligo per 
                    espletare la mansione. Si tratta di un contenitore in stecche 
                    di castagno a forma cilindrica. Altezza 65-70 cm. Diametro 
                    45-50 cm, un cesto rotondo, insomma. In 4 ragazzini a suon 
                    di corbelli riempiti a ragguardevole distanza dovevano viaggiare 
                    speditamente e riempire un vagone ferroviario. I fortunati 
                    in misura maggiore, poiché lavorare era una fortuna, 
                    venivano adibiti a scegliere la terra, cernita che viene eseguita 
                    agli impianti di vagliatura e lungo le distese di minerale 
                    ad essiccare. Trascinare il corbello con i frammenti di sterile 
                    che pesa, lavorare a schiena piegata, proibito accoccolarsi, 
                    sotto il sole a perpendicolo [...] I ragazzi impiegati alla 
                    cernita dei vagli avevano anche il disagio di molta polvere 
                    da respirare...31 
                 
                 Si ripiglia le biciclette dal cavallaio, ma prima ci si dà 
                  una sciacquata alla sistola, e si ritorna a casa piano piano. 
                  Non c'è furia (che sennò ci tocca governare le 
                  bestie grosse o fare l'erba medica ai coniglioli). Il 
                  primo tratto di strada si rifà con compagni che prima 
                  non s'era visto. Sono quelli delle famiglie che hanno smesso 
                  di fare il contadino o che son di fuori: maremmani, senesi, 
                  veneti e “austroungarici” (figlioli di prigionieri 
                  di guerra accasati in Valdarno e che si chiamano Sladojevic, 
                  Gloter, Piltner.. )32. Loro stanno 
                  nei villaggi minerari e fanno vita comunitaria. Parecchio tempo 
                  fa la direzione delle miniere aveva fatto dei capannoni dormitori 
                  a ridosso delle prime gallerie che, ci raccontano, si erano 
                  riempiti di accattoni e miserabili. Poi invece sono stati costruiti 
                  i complessi abitativi per operai a Ronco e i casamenti della 
                  Dispensa. Certo non sono abitazioni belle come quelle degli 
                  impiegati e dei sorveglianti (che hanno lignite gratis per il 
                  riscaldamento e un pezzo di terra con manovale-ortolano a disposizione), 
                  però almeno son comode e pulite, con bagni e lavatoi 
                  comuni, spacci cooperativi dove si paga con i buoni e ora ci 
                  faranno addirittura una torre serbatoio per l'acqua potabile. 
                  Alla Tinaia di San Cipriano si completerà il Villaggio 
                  Santa Barbara, che già fa da dormitorio e mensa per i 
                  minatori immigrati temporaneamente e per quelli senza famiglia, 
                  nonché da riparo di fortuna per le famiglie della frazione 
                  San Martino evacuate a seguito dei crolli per gli scavi alla 
                  vicina miniera di Allori33. 
                  A differenza di noi che siamo rimasti contadini loro hanno più 
                  svaghi. E si ritrovano al dopolavoro e nei vecchi circoli di 
                  Cavriglia, Meleto e Vacchereccia, hanno messo su la banda musicale 
                  e la squadra di calcio, il doposcuola e le rappresentazioni 
                  teatrali con le rime in ottava, fanno le feste da ballo quasi 
                  tutte le domeniche, giocano alla ruzzola, organizzano le tombolate 
                  dove si vincono capofreddo, finocchiona, burischi e pampepato. 
                  Arrivati nell'aia il capoccia ci guarda, come se si tornasse 
                  dalla fiera di Terranuova. 
                  Chi va in miniera cambia carattere si sa, e di molto. Lo si 
                  riconosce dal modo nuovo di intercalare i discorsi. La bestemmia 
                  ad esempio, fattasi imprecazione rabbiosa contro chi comanda, 
                  non è più quella sorta di gioco o esercizio fantasioso 
                  tipico dei giocatori di carte nelle osterie toscane, non è 
                  più arricchimento espressivo nella dialettica mezzadrile 
                  capoccia-massaia, patriarca-famiglia. Lo schema giaculatorio 
                  si fa fisso e ripetitivo. Al nome di dio e della madonna si 
                  accostano normalmente quelli del diavolo, di mestieri ritenuti 
                  disonorevoli, di animali34. 
                  Chi va in miniera cambia persino la camminata.
                 
                   ...la posizione del busto assume una caratteristica cifotica 
                    (ricurva) e l'andatura ha uno svolgimento ondulatorio, quasi 
                    che ad ogni passo si trovasse nella necessità di evitare 
                    un ostacolo posto al di sopra del capo. Al tempo stesso il 
                    bacino oscilla sul piano frontale con lieve piegamento della 
                    gamba che non muove il passo. Tale stile deambulatorio deriva, 
                    a nostro avviso, sia dal condizionamento che produce la galleria 
                    in cui il cielo può cascarti addosso e schiacciarti, 
                    sia dai movimenti a cui il corpo del minatore è obbligato 
                    quando esegue la fitta. La fitta veniva eseguita spesso in 
                    ginocchio: il movimento in avanti delle braccia, assecondato 
                    da quello della spalla su cui batteva il manico dell'incastrino, 
                    riceveva ulteriore potenza dal contemporaneo spostamento del 
                    bacino (sempre in avanti). Questo movimento veniva eseguito 
                    per lunghe ore in modo ritmico sui due lati del corpo. Il 
                    passo è pesante (ricordiamo che le scarpe del minatore 
                    pesavano oltre tre chili) e marcato, mentre le ginocchia spesso 
                    sono leggermente piegate all'esterno. Durante la conversazione 
                    il braccio si muove in tutte le sue parti per tutta l'ampiezza 
                    dell'arco gestuale e, nei momenti di maggior partecipazione 
                    emotiva, anche il busto, il cui baricentro è spostato 
                    verso l'alto, asseconda e segue i gesti del braccio. Numerosi 
                    sono anche i gesti di contatto con l'interlocutore. L'espressività 
                    del volto è rivelata da una notevole vivacità 
                    dell'occhio e mentre i muscoli facciali restano duri, solo 
                    il sopracciglio, solitamente prominente, è molto mobile35. 
                 
                 Giorgio Sacchetti
                  Questo saggio è originariamente apparso nella rivista 
                  Snodi Pubblici e privati nella storia contemporanea, n. 
                  10 / 2013, Soggettiva sul lavoro, pp. 32-47  
                  Info e richieste: Studio LT2 Edizioni, Dorsoduro 1214, 30123 
                  Venezia; email: studio_lt2@libreriatoletta.it 
                   
                  Si ringraziano: Paola Bertoncini per la selezione iconografica; 
                  Regina Milito e Luca Lanzi (Casa del Vento) per la gentile collaborazione.
                 Note 
                 
                  - Ricordi di famiglia dell'autore.
                  
 - L'identità contadina, che aveva ben inglobato quella 
                  precaria e occasionale di minatore, permarrà poi anche 
                  nell'operaio di fabbrica (vetrerie, ferriera, cappellifici...). 
                  Nel secondo dopoguerra, epoca in cui avviene la “discesa 
                  a valle dell'economia” per il Valdarno superiore, il legame 
                  con la precedente attività è testimoniato dalla 
                  eccezionale diffusione intorno alle aree urbane industrializzate 
                  di piccoli orti, capanne e pollai messi su alla meglio in luoghi 
                  di fortuna.
                  
 - Questa la dichiarazione capestro alla firma dei neoassunti 
                  (prendere o lasciare): “Io sottoscritto dichiaro di accettare 
                  l'ammissione al lavoro presso la Società Mineraria ed 
                  Elettrica del Valdarno, in qualità di giornaliero provvisorio 
                  con paga oraria di £___ più indennità di 
                  caro vita di £ ___ giornaliere. Accetto le condizioni 
                  di pagamento in uso presso la Società senza reclamare 
                  acconti, e le condizioni seguenti. Per il licenziamento resta 
                  bene inteso che la Soc. Mineraria ed Elettrica del Valdarno, 
                  potrà licenziare il firmatario di questa dichiarazione 
                  in qualsiasi momento dando però all'interessato un preavviso 
                  o la paga di otto giorni. Trattandosi di assunzione in servizio 
                  di carattere assolutamente precario, accetto che non saranno 
                  applicabili al caso mio le clausole del concordato di ___ e 
                  quelle che potranno essere stabilite in nuovi patti che la Direzione 
                  potesse concordare con la massa operaia. Il sottoscritto______ 
                  Firenze, lì______”. Estratta da Archivio storico 
                  Enel, Napoli, ex Compartimento di Firenze “Piero Ginori 
                  Conti”, Società Mineraria del Valdarno [da ora 
                  in poi: Archivio storico Enel, SMV], b. 202, copialettere 1918-1922, 
                  Uff. Personale.
                  
 - Le famiglie si erano talmente estese fino a comprendere non 
                  solo i birchi (“innocentini” o trovatelli) 
                  come era usanza, ma anche i cugini acquisiti. Era sempre più 
                  difficile organizzare il lavoro e nel contempo amministrare 
                  questi gruppi plurifamiliari nelle loro crescenti necessità 
                  quotidiane.
                  
 - I banchi di lignite documentano l'esistenza di immense foreste 
                  sui bordi di un lago pliocenico nel Valdarno superiore. Il bacino, 
                  situato nel comune di Cavriglia (Arezzo) e con una piccola parte 
                  che sconfina nel comune di Figline Valdarno (Firenze), è 
                  costituito da tre lenti di lignite xiloide distanti da cinque 
                  a dieci chilometri dalla stazione di San Giovanni. Il giacimento, 
                  che appartiene quasi totalmente alla Società Mineraria 
                  del Valdarno, raggiunge lo spessore di trenta metri con una 
                  profondità massima di 150 ed ha (dati 1937) una disponibilità 
                  di circa settanta milioni di tonnellate di lignite.
                  
 - La sovrapposizione diffusa dei due mestieri (minatore e contadino), 
                  porta a esiti negativi sul lungo periodo. Decenni di discontinuità 
                  nel settore agricolo del Valdarno Superiore dovuti a deficit 
                  organizzativi nella gestione della manodopera ed alla conseguente 
                  cronica mancanza delle cure quotidiane e di manutenzione minuta 
                  dei poderi, si traducono in un decadimento complessivo dei campi, 
                  nell'invecchiamento precoce delle colture arboree mai rinnovate 
                  ed abbandonate a se stesse.
                  
 - I titoli di questo paragrafo e di quelli successivi sono ripresi 
                  dalla canzone Dio degli inferi. Voci dal sottosuolo, dal 
                  profondo delle miniere del Valdarno (Casa del Vento) - cd 
                  “Articolo Uno”, 2009.
                  
 - Alla fine degli anni Cinquanta la trasformazione del bacino 
                  allontana dal lavoro tremila minatori residenti nei comuni di 
                  Cavriglia, San Giovanni, Figline, Montevarchi, Castelfranco, 
                  Pian di Scò, Incisa. Il ciclo della lignite, già 
                  produzione autarchica e di guerra, si concluderà poco 
                  dopo con le ultime escavazioni intensive a cielo aperto. Per 
                  ovviare alla antieconomicità del trasporto si erano storicamente 
                  perseguite varie modalità di utilizzo in loco del combustibile, 
                  in Ferriera inizialmente e da ultimo nella centrale termoelettrica. 
                  Cfr. Giorgio Sacchetti, Ligniti per la Patria. Collaborazione, 
                  conflittualità, compromesso. Le relazioni sindacali nelle 
                  miniere del Valdarno superiore (1915-1958), Ediesse, Roma 
                  2002.
                  
 - Per la descrizione degli ambienti esterni alla miniera: “Rivista 
                  del Servizio Minerario”, annate dal 1925 al 1946, passim; 
                  Archivio storico Enel, SMV, Varie, fasc. Perizia danni di 
                  guerra...; e La Società Mineraria del Valdarno e 
                  le sue miniere di lignite in Castelnuovo dei Sabbioni, in 
                  “La Vita Corporativa Aretina”, 1937, n. 2, pp. 31-36.
                  
 - Qualifiche principali: minatore (scavo rocce e minerali, 
                  perforazione fori da mina, coopera al caricamento e sparo delle 
                  mine, messa in sicurezza del cantiere, carico e trasporto materiali 
                  abbattuti fino ai fornelli di gettito...); armatore 
                  (armamento gallerie in ferro e legname, trasporto materiali 
                  di risulta); disarmatore (disarmo gallerie e cantieri, 
                  rimozione impalcature e attrezzature); perforatore (perforazione, 
                  preparazione “volate” o esplosioni simultanee di 
                  più mine); carichino (caricamento e sparo delle 
                  mine, trasporto esplosivi); stradino (installa, ripara, 
                  rinnova binari e scambi); tubista (addetto tubazioni 
                  ventilazione, acqua, aria compressa, fanghi); arganista; 
                  verricellista; aggancino (formazione convogli 
                  nelle discenderie); manovale; ferratore; cavallaio; 
                  motorista; ausiliario; pompista; guardia 
                  d'imbocco; fuochista; macchinista; ungitore; 
                  capo manovra; pesatore; stivatore; sterratore; 
                  elettricista; aiuto-sorvegliante o capo-sciolta; 
                  incapannatore; segantino... Cfr. Archivio 
                  storico Enel, SMV, b. 59/p, Personale / Fed. Sind. Industriali 
                  minerari, fasc. Mansionario.
                  
 - “L'esaurimento delle camere procede da muro a tetto, 
                  in modo che in ogni camera due pareti sono costituite da lignite 
                  in posto, e le altre due pareti da materiale in frana [...] 
                  I galleriozzi di rinquarto servono per la ventilazione dei cantieri 
                  e per il carreggio” (Luigi Gerbella, Arte mineraria, 
                  vol. II, Hoepli, Milano 1938, p. 393). Per le modalità 
                  di organizzazione del lavoro abbiamo consultato: Gaetano Castelli, 
                  La coltivazione delle miniere di lignite, Zanichelli, 
                  Bologna 1922, in particolare alle pp. 169-199 (Arte del minatore) 
                  e 347-366 (Organizzazione delle miniere).
                  
 - Sbarra d'acciaio lunga qualche metro munita di una punta 
                  tagliente, usata per praticare nella roccia i fori per le mine.
                  
 - Le lampade elettriche, causa varie imperfezioni, hanno un 
                  uso limitato a lampade di riserva o “di sicurezza”. 
                  La vecchia acetilene ha invece il difetto delle facili estinzioni 
                  per insufficiente produzione di gas, con pericolo di esplosione 
                  ad ogni brusco aumento di fiamma. Da tempo era allo studio un 
                  prototipo di lampada elettrica (o anche a benzina) munita di 
                  dispositivo indicatore del grisou. Cfr. Lampade elettriche 
                  per miniera, in “Rassegna Mineraria Metallurgica e 
                  Chimica”, 16 gennaio 1915, n. 1, pp. 9-10.
                  
 - “Rivista del Servizio Minerario”, 1925, p. 139.
                  
 - “...In quanto agli effetti fisiologici, si constatò 
                  che in una atmosfera contenente 0,16% d'ossido di carbonio, 
                  un topo dà segni di malessere dopo un'ora di permanenza, 
                  mentre un uccello comincia a soffrire dopo tre minuti soltanto 
                  e cade tramortito dopo 18. All'uomo, rimasto un'ora in un'atmosfera 
                  contenente 0,25% di acido di carbonio, occorrono, per ristabilirsi, 
                  almeno otto ore di riposo; al topo 25 minuti, ma esso comincia 
                  ad essere agitato dopo soli 12 minuti...” (Limiti 
                  di esplosione delle miscele di gas combustibile e d'aria, 
                  in “Rassegna Mineraria Metallurgica e Chimica”, 
                  16 febbraio 1915, n. 2, p. 29).
                  
 - Cfr. Testimonianze di Anselmo Baroni e Mario Biagioni, raccolte 
                  da Marcello Cioni, Cenni di storia valdarnese (1700-1924), 
                  Biblioteca comunale di Montevarchi, San Giovanni Valdarno 1992, 
                  pp. 62-64.
                  
 - Testimonianze raccolte da Emanuela Latini Sladojevich, Ethos 
                  della cultura mineraria, in “La Storia del Valdarno”, 
                  1980, n . 9, pp. 209-210.
                  
 - Rambaldo Macucci, Foco lapide e altri scritti, Comune 
                  di Cavriglia - Tipografia Valdarnese, San Giovanni Valdarno 
                  1996, p. 34.
                  
 - Cfr. Marta Bonaccini, Profumo di lignite, Editori 
                  del Grifo, Montepulciano 1995, pp. 157-160.
                  
 - L'acquerello è il dissetante dei contadini: acqua 
                  fatta passare sulla poltiglia delle vinacce.
                  
 - Su questi aspetti enogastronomici e sul rapporto tra fame 
                  e identità sociale del minatore valdarnese, cfr. Giorgio 
                  Sacchetti, Tirar la cinghia, con rabbia, in “Slow. 
                  Quarterly Magazine of the International Slow Food Movement”, 
                  2001, n. 21, pp. 12-17.
                  
 - Emanuela Latini Sladojevich, Ethos della cultura mineraria, 
                  cit., p. 213.
                  
 - Mario Mari, Rapporto sulla sicurezza nelle miniere e sulle 
                  prevenzioni degli accidenti (Tenutasi alla riunione del Comitato 
                  amministrativo della Unione Internazionale dei Sindacati Minatori. 
                  Budapest, 10-14 ottobre 1950), in Archivio CGIL- Camera 
                  del Lavoro, San Giovanni Valdarno, p. 10.
                  
 - Emanuela Latini Sladojevich, Ethos della cultura mineraria, 
                  cit., p. 212.
                  
 - Da: Marta Bonaccini, Profumo di lignite, cit., p. 
                  159.
                  
 - Cfr. Corpo delle Miniere, distretto di Firenze, Archivio 
                  storico, posiz. 5-III, Arezzo, Miniere varie, Castelnuovo - 
                  Infortuni.; “Rivista del Servizio Minerario”, annate 
                  dal 1925 al 1946, passim.
                  
 - Cfr. Renato Lenzi, La silicosi nelle miniere di lignite 
                  del Valdarno, relazione al XXIII Congresso Nazionale di 
                  Medicina del Lavoro, Rimini 13-16 settembre 1959, http://web.tiscali.it/lenzi/; 
                  Guido Y. Giglioli, Patologia del minatore di lignite, 
                  in “Il Ramazzini”, 1915, pp. 26-48.
                  
 - Marta Bonaccini, Profumo di lignite, cit., p. 75.
                  
 - Agostino Brogi da Vacchereccia “..mentre lavorava in 
                  un abbattimento al 9° livello della miniera Casino veniva 
                  investito da un pezzo di lignite staccatosi da una parete che 
                  lo rovesciava per terra. Subito soccorso ed accompagnato fuori 
                  l'operaio accusava dolori al basso ventre ed aveva conati di 
                  vomito. Portato subito all'ospedale di S. Giovanni gli veniva 
                  riscontrata la strozzatura dell'ernia da cui da vecchia data 
                  era afflitto; decedeva nella giornata di ieri 19 corr.” 
                  (Corpo delle Miniere, distretto di Firenze, Archivio storico, 
                  posiz. 5-III, Arezzo, Società Mineraria Valdarno, 20 
                  dicembre 1926).
                  
 - Nel 1918, su un totale di 5056 lavoratori, se ne avevano 
                  1818 nelle gallerie (tutti maschi e quasi sempre adulti), il 
                  resto all'esterno così suddiviso: 2959 uomini e 88 ragazzi; 
                  191 donne di cui 58 bambine. Cfr. “Rivista del Servizio 
                  Minerario”, annate dal 1917 al 1919, passim.
                  
 - Rambaldo Macucci, Foco lapide e altri scritti, cit., 
                  p. 75.
                  
 - La popolazione nel comune minerario di Cavriglia (Arezzo) 
                  raddoppia passando dai 4104 residenti del 1861 ai 9418 del 1913; 
                  il dato si stabilizza nel periodo fra le due guerre con 9474 
                  abitanti al censimento del 1951. Cfr. Rossella Valentini, Cavriglia 
                  nei secoli XIX-XX, geografia storica di un comune del Valdarno 
                  di Sopra tra agricoltura e industria estrattiva, Istituto 
                  di Geografia, Firenze 1989.
                  
 - Cfr. Archivio storico del Comune di Cavriglia, 1940, b. 109, 
                  licenza n. 6409 del 4/10/1940; Archivio storico Enel, SMV, Varie, 
                  fasc. Perizia danni di guerra...
                  
 - Considerazioni che scaturiscono dalle frequentazioni dell'autore, 
                  fra gli anni Cinquanta e Sessanta, degli ambienti operai e contadini 
                  nel Valdarno.
                  
 - Estratto da: Emanuela Latini Sladojevich, Ethos della 
                  cultura mineraria, cit., p. 214.
                  
  
                  
                
                   
                     
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                    |   Miniera Est. 1917. In primo piano l'imbocco della miniera,  
                  ovvero la discenderia in muratura. Nel piazzale sono  accatastati 
                  i tronchi impiegati per la costruzione delle armature di sostegno 
                  delle gallerie. In secondo piano, al centro, l'argano utilizzato 
                  per lo spostamento delle chiatte cariche di lignite. A destra, 
                  nell'immagine, la “gubbia” costituita da un cavallo 
                  e un asino, usati per il traino delle chiatte vuote. 
                         
                        Immagine proveniente dall'archivio 
                        fotografico Emilio Polverini.  | 
                   
                 
                 
                
                   
                     
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                    |   Interno della miniera Bicchieraie settimo livello. Garage 
                  al termine della discenderia. Anche il garage era una zona della 
                  miniera in muratura perché costituiva un impianto fisso. 
                         
                        Immagine proveniente dall'archivio 
                        fotografico Emilio Polverini.  | 
                   
                 
                  
                   
                     
  | 
                   
                   
                    |   Minatori al lavoro nella camera di abbattimento. 
                  Nell'immagine vediamo a sinistra un minatore che utilizza  
                  l'incastrino, a destra l'altro minatore sta operando dei fori 
                  per l'esplosivo con la succhia. 
                  Nelle miniere del Valdarno l'esplosivo utilizzato fino al 
                  1925 è la dinamite, sostituito poi con la cheddite e 
                  la “grisoutina”. La cheddite era una miscela esplosiva 
                  confezionata o in quarti di cartuccia, localmente detti miniozzi, 
                  o in mezze cartucce. Le micce utilizzate erano di due tipi: 
                  le bianche e le antigrisoutose. Le micce venivano tagliate con 
                  la pinzetta del minatore o con il coltello. Nelle miniere dove 
                  non operavano i “fuochini” le micce venivano distribuite 
                  ai capi minatori. Quando si sospettava la presenza di grisou,  
                  si ricorreva all'accensione elettrica. I fori per inserire la  
                  dinamite venivano eseguiti con strumenti differenti a seconda  
                  della natura del materiale da abbattere, dell'importanza del  
                  lavoro e dei mezzi a disposizione. L'esplosivo doveva essere  
                  posizionato in maniera tale da ridurre al minimo la frantumazione 
                  del minerale da abbattere. 
                         
                        Immagine proveniente dall'archivio 
                        fotografico Emilio Polverini.  | 
                   
                 
                  
                   
                     
  | 
                   
                   
                    |   La 
                        miniera Carpinete fu l'ultima miniera in sotterraneo 
                        presente nell'area di Castelnuovo dei Sabbioni, chiusa 
                        alla 
                        fine degli anni sessanta del novecento. Nell'immagine 
                        si vede 
                        chiaramente lo spazio del “garage”, luogo 
                        deputato 
                        al deposito temporaneo e allo scambio delle chiatte. 
                         
                        Immagine proveniente dall'album Le Carpinete. Luglio 
                        1947.  
                        Esposto presso Mine, Museo delle miniere e del territorio. 
                        Donazione Marco e Claudia Salmini.  | 
                   
                 
                  
                   
                     
  | 
                   
                   
                    |   Impianto di stoccaggio della lignite. 
                  Una volta trasportata all'esterno la lignite seguiva un iter  
                  particolare. La prima classificazione della lignite avveniva  
                  in sotterraneo dove venivano distinti i vagoni di pezzi grossi  
                  da quelli di pula. Le pule, le cui dimensioni massime erano  
                  di 15 cm circa, venivano portate ai vagli, dove si effettuava  
                  una ulteriore classificazione ottenendo i pezzi piccoli, il 
                  trito,  il tritino, la polvere. I pezzi grossi di lignite venivano  
                  scaricati a mano e messi nelle “stive” e disposti 
                  in modo tale che l'azione di essiccazione del sole fosse la 
                  maggiore  possibile. I pezzi essiccati erano poi disposti nei 
                  capannoni aperti. Il trito veniva in parte essiccato nei Bricchettifici 
                  della zona dove si otteneva la mattonella di lignite – 
                  la bricchetta. Il tritino, invece, veniva essiccato in un impianto 
                  apposito. Le polveri venivano mandate ai Bricchettifici dove 
                  venivano utilizzate per l'alimentazione dei forni. 
                         
                        Immagine proveniente dall'archivio 
                        fotografico Emilio Polverini.  | 
                   
                 
                  
                
                   
                     
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                    Le due fotografie mostrano i locali della “lampisteria” 
                  presso  Carpinete. Qui si conservavano quotidianamente le lampade  
                  impiegate dai minatori per lavorare in galleria. 
                         
                        Immagine proveniente dall'album Le Carpinete. Luglio 
                        1947.  
                        Esposto presso Mine, Museo delle miniere e del territorio. 
                        Donazione Marco e Claudia Salmini.  | 
                   
                 
                  
                   
                     
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                    |   Minatore che consuma il pasto in galleria. 
                         
                        Immagine proveniente dall'archivio 
                        fotografico Cgil Arezzo.  | 
                   
                 
                
                
                   
                    |   MINE 
                        - Museo delle miniere e del territorio - Castelnuovo dei 
                        Sabbioni (Ar)  
                         
                        Mine. Il complesso 
                        museale che documenta e valorizza la storia del territorio 
                        di Cavriglia e in particolare le vicende minerarie che 
                        hanno modificato profondamente una parte rilevante di 
                        questo territorio, è ospitato in alcuni edifici 
                        nella parte alta di Castelnuovo dei Sabbioni. Il resto 
                        del vecchio borgo fu abbandonato e in parte distrutto 
                        dall'attività mineraria. Alcune case in rovina 
                        contornano la strada che conduce alla parte superiore 
                        dell'abitato, che comprende alcuni edifici recentemente 
                        recuperati e rifunzionalizzati in spazi museali: la ex 
                        chiesa di San Donato, adibita a spazio polifunzionale, 
                        il centro espositivo ed una palazzina degli anni Venti 
                        del Novecento utilizzata come centro di documentazione 
                        e spazio per attività didattiche. 
                        La logica comune che pervade questi spazi è fortemente 
                        tesa al coinvolgimento dello spettatore per una conoscenza 
                        approfondita del patrimonio culturale conservato. 
                         
                        Il Percorso museale si sviluppa attraverso sette 
                        sale dedicate alla storia e alle vicende minerarie secondo 
                        un percorso che inizia dalle prime notizie documentate 
                        sul giacimento di lignite, per poi passare allo sviluppo 
                        dell'attività mineraria e alle prime lotte sindacali. 
                        Il percorso si concentra poi sulle tecniche di scavo e 
                        sulla vita del minatore, sui suoni e gli odori della galleria, 
                        sulle stragi naziste avvenute nel territorio nel 1944, 
                        le lunghe lotte e autogestioni del dopoguerra e sui cambiamenti 
                        delle tecniche di coltivazione; da quelle in galleria 
                        a quelle a cielo aperto. L'itinerario si chiude con la 
                        presentazione della trasformazione del territorio dovute 
                        all'attività mineraria e al suo riassetto. Punto 
                        caratteristico dell'allestimento è l'interazione 
                        con le moderne tecnologie che permettono al visitatore 
                        di essere soggetto attivo nella conoscenza dei temi presentati. 
                        È presente una figura parlante, che rappresenta 
                        Priamo Bigiandi, un personaggio simbolico della storia 
                        territoriale che introduce alla visita, vi sono poi dei 
                        touch screen, un'installazione artistica per ricordare 
                        la strage dei civili il 4 luglio 1944, un tappeto virtuale 
                        finale che permette, in un breve spazio, una ricca documentazione 
                        della distruzione/ricostruzione del territorio ed inoltre 
                        possibilità di esperienze tattili ed olfattive 
                        che rendono particolarmente densa la visita al museo. 
                       
                        Gianfranco Molteni 
                         
                        minecavriglia.it 
                        info@minecavriglia.it 
                        facebook: MINECAVRIGLIA 
                       
                         
                        Orario di apertura 
                        aprile-ottobre 
                        martedi e mercoledi h. 10-13 
                        da giovedi a domenica h. 10-13/16-19 
                        novembre-marzo 
                        mercoledi e venerdi h.10-13 
                        sabato e domenica h. 10-13/15-18 
                         
                        Ingresso 
                        Intero € 5,00 
                        Ridotto (sopra i 65 anni e gruppi 
                        superiori a 15 persone) € 3,00 
                        Gratuito bambini fino a 12 anni.  | 
                   
                 
                
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