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				 racconto 
                  
                Outsourcing 
                  
                di Giuseppe Ciarallo 
                    
                Roma, scuola elementare M. Dell'Utri. Lincoln (Nebraska), Death Row Nebraska State Penitentiary. 
  Due luoghi diversi, tragicamente legati tra loro. 
                 
                  “Buongiorno, signorina 
                  Baio. Prego, si accomodi.” 
                  La giovane donna, leggermente intimorita per l'inattesa convocazione, 
                  si accomodò in punta di sedia e con le mani compostamente 
                  appoggiate alle ginocchia si preparò mentalmente ad ascoltare 
                  la comunicazione del dirigente scolastico. 
                  “Come lei sa, la nostra scuola elementare è stata 
                  scelta tra le tante della città per partecipare al progetto 
                  internazionale 'Quick as a flash', per la promozione dell'attività 
                  fisica tra gli studenti, fin dalla più tenera età, 
                  e l'individuazione di bambini particolarmente dotati, da avviare, 
                  eventualmente all'agonismo. Bene, questo mese la scelta è 
                  caduta proprio sui bambini della sua classe.” 
                  La tensione si sciolse d'improvviso e un sorriso illuminò 
                  il volto della maestra la quale, faticando a contenere la soddisfazione 
                  per l'inatteso evento, si limitò a dire: “La ringrazio, 
                  signor preside. I miei bambini si dimostreranno all'altezza 
                  della sfida cui sono chiamati.” 
                  “Perfetto, il ministro della pubblica istruzione in persona 
                  mi ha or ora annunciato, dopo aver ricevuto pari comunicazione 
                  dal governatore del Nebraska, che la gara dovrà partire 
                  senza fallo, assolutamente, e sottolineo assolutamente, domani 
                  pomeriggio alle ore 15 in punto. Sa come sono fatti gli americani, 
                  no? Ci tengono alla precisione assoluta, d'altronde avranno 
                  pure i loro buoni motivi. Non si va sulla luna se non si ha 
                  la capacità di avere un'organizzazione che funzioni in 
                  tutto e per tutto, fin nel pur minimo dettaglio. Quindi siamo 
                  intesi. La partenza della corsa dovrà avvenire inderogabilmente 
                  alle ore 15, non un minuto prima, non un minuto dopo.” 
                  “Vedrà, signor preside, tutto procederà 
                  senza intoppi. Come lei ha disposto.” 
                  “Bene, signorina Baio, può andare. Porti un caro 
                  saluto ai bimbi della sua classe e non manchi di spiegare loro 
                  l'importanza della competizione di domani. Questo pomeriggio 
                  avrà la palestra della scuola a sua completa disposizione, 
                  per fare gli allenamenti e, in una specie di eliminatoria, scegliere 
                  i sei bambini che nel pomeriggio di domani si cimenteranno nella 
                  corsa. Arrivederci e buon lavoro.” 
                  Detto questo, il dirigente senza nulla aggiungere aveva chinato 
                  il capo concentrandosi su una carta geografica degli Stati Uniti 
                  che ricopriva quasi per intero il piano della scrivania. 
                  La maestra lasciò in punta di piedi la stanza, sussurrando 
                  appena un saluto. 
                   
                  Lincoln (Ne) – h. 7:30 a.m. 
                  Death Row Nebraska State Penitentiary 
                  Da quando il direttore del penitenziario, con freddo linguaggio 
                  burocratico gli aveva comunicato, la sera precedente “Mi 
                  incombe il penoso incarico di notificarle che ella dovrà 
                  morire domattina alle 8”, Thelonious Coleman non aveva 
                  fatto altro che scrivere e poi accartocciare i fogli appena 
                  vergati, tant'è che il pavimento era completamente ricoperto 
                  di pagine di quaderno strappate e appallottolate. Il condannato 
                  si girò appena quando sentì lo schiavardare del 
                  secondino che precedette l'ingresso nella cella di padre Sinless, 
                  l'altero cappellano della prigione, che chiese al morituro se 
                  desiderasse i conforti religiosi per affrontare il grande, definitivo 
                  passo. 
                   “No, 
                  padre” disse Coleman scuotendo la testa. “Non ho 
                  nulla da confessare. Sono entrato tra queste quattro mura diciannove 
                  anni fa, inizialmente proclamando la mia innocenza rispetto 
                  al crimine che mi veniva addebitato. Ha presente cosa vuol dire 
                  passare nel braccio della morte vent'anni della propria esistenza? 
                  Significa chiedersi milioni di volte come sia potuto succedere 
                  che una persona innocente possa venire incriminata, significa 
                  rivivere ogni attimo alla ricerca di una falla dell'impianto 
                  accusatorio o a cercare il benché minimo elemento, dimenticato 
                  o relegato nella più piccola piega del cervello, capace 
                  di provare l'estraneità al delitto. Poi, pian piano le 
                  idee si confondono e a furia di accavallarsi, i pensieri si 
                  ingarbugliano; verità e menzogna si mescolano e nel ripetersi 
                  ossessivo delle parole, smetti di proclamare la tua innocenza 
                  perché non sei più sicuro di esserlo, innocente. 
                  Dopo un po' che rimugini, ti coglie il dubbio che le cose possano 
                  essersi effettivamente svolte come l'accusa sostiene, e che 
                  tu possa aver stuprato e poi ucciso la povera Jennifer. Ma poi 
                  ti ribelli, perché tu a Jennifer le volevi bene, e sai 
                  che quel giorno maledetto tu, pur avendola a lungo cercata, 
                  non sei riuscito ad incontrarla, per portarla nei campi a fare 
                  l'amore, come spesso facevi. Ti ribelli e ricominci a lottare 
                  fino al successivo attimo di scoramento, quando le parole usate 
                  dall'accusa, abbandono, gelosia, raptus, cominciano a vorticarti 
                  nella testa creando un rimbombo sempre più forte fino 
                  a farti attanagliare dal dubbio che tu possa per davvero aver 
                  fatto del male, magari senza volerlo, colto da un improvviso 
                  impulso violento. E anche se in cuor tuo sai che non è 
                  così che sono andate le cose, la tua ragione, minata, 
                  comincia a prendere in considerazione la possibilità 
                  della colpevolezza. Se lei mi chiedesse, padre, se sono colpevole 
                  o innocente, oggi le risponderei che non lo so. Non lo so più.” 
                  “Vuoi confessarti, figliolo?” rispose semplicemente 
                  padre Sinless. 
                  Il condannato comprese che il cappellano non aveva ascoltato 
                  una sola parola del suo discorso, o se lo aveva fatto, non ne 
                  aveva colto il significato. 
                  “No, padre. Dio non mi è mai parso particolarmente 
                  interessato alle mie vicende. E non credo che gli importi che 
                  un disgraziato come il sottoscritto possa morire in regola o 
                  meno con i sacramenti. In questo momento non desidero altro 
                  che il tempo acceleri la sua andatura, per porre fine il più 
                  velocemente possibile a questa angosciosa attesa.” 
                  “Che Dio ti assista, figliolo.” 
                  “Grazie, padre... come se avessi accettato.” 
                   
                  Roma – h. 14:45 
                  Scuola elementare statale M. Dell'Utri 
                  La maestra, attorniata da una quindicina di marmocchi, stava 
                  impartendo le ultime raccomandazioni per una perfetta riuscita 
                  della competizione. 
                  “Allora, i sei bambini che fra un quarto d'ora circa parteciperanno 
                  alla corsa sono, nell'ordine: Andrea, Romario, Francesco, Vasile, 
                  Adil e Samuel. Gli altri siederanno a terra a gambe incrociate, 
                  nei pressi della partenza e, dopo il via, faranno un tifo indiavolato 
                  per i loro compagni” poi, rivolta ai sei concorrenti, 
                  che così come avevano visto fare in tv dai veri atleti, 
                  continuavano a saltellare sul posto per sgranchirsi i muscoli, 
                  “Mi raccomando, bambini, come vi ho già detto, 
                  per vincere la gara bisogna correre veloci lungo tutto il corridoio 
                  e schiacciare quel grande pulsante rosso che vedete lì 
                  in fondo, sul muro di fronte, al termine del percorso di gara.” 
                  I piccoli corridori, senza spiccicare parola, fecero tutti un 
                  cenno con la testa per confermare di aver capito. 
                  “Schiacciando il pulsante, si accenderà quella 
                  specie di lampeggiante rosso. Al vincitore, e solo al vincitore, 
                  verrà assegnata una medaglia commemorativa con un attestato 
                  di ringraziamento firmato nientepopodimeno che dal governatore 
                  del Nebraska, che è uno degli stati che compongono quella 
                  meravigliosa nazione che sono gli Stati Uniti d'America, il 
                  cui popolo è amico e fratello di noi italiani.” 
                  I bambini, compresa la solennità del momento, si spellarono 
                  le mani in un entusiastico applauso, poi, a gran voce, ognuno 
                  di loro prese ad urlare il nome del compagno cui augurava la 
                  vittoria. 
                   
                  Lincoln (Ne) – h. 7:50 a.m. 
                  Death Row Nebraska State Penitentiary 
                  Quando Thelonious Coleman, scortato da due guardie, fece il 
                  suo ingresso nella camera della morte, scoprì che tutti 
                  gli invitati alla sua festa erano già arrivati e ordinatamente 
                  schierati al loro posto. Il direttore e il vicedirettore del 
                  penitenziario sostavano dietro lo schienale della sedia elettrica. 
                  Lungo un muro erano allineati i sette testimoni, quattro medici 
                  militari, lo sceriffo della Contea e due giornalisti i quali, 
                  taccuino alla mano, confabulavano sottovoce tra loro, già 
                  pensando come meglio rendere su carta il pathos di quell'evento. 
                  Al centro della camera, lo strumento di morte sembrava un aggeggio 
                  innocuo, inerte com'era, con le cinghie che pendevano sciolte 
                  dai braccioli. 
                  Il condannato stava pensando al tragitto che aveva appena fatto 
                  dalla sua cella alla camera della morte. Aveva contato settantotto 
                  passi. Gli ultimi della sua vita. Ora, alla vista della sedia 
                  a cui sarebbe stato ben presto legato – o era più 
                  giusto dire collegato? – il respiro gli si fece affannoso. 
                  Con angoscia pensò che quelli erano gli ultimi respiri 
                  che gli restavano da esalare. Poi una strana calma si impossessò 
                  di lui, come uno svuotamento della carne, come se il cervello 
                  avesse deciso di regalare le sue spoglie a quella gente – 
                  che in un asettico esercizio di ragioneria calcolava la partita 
                  doppia della vita e della morte delle persone – pronto 
                  a fuggire verso il nulla, dove colpa e innocenza, condanna e 
                  perdono, come ogni altra cosa di questo mondo sono concetti 
                  senza senso. 
                  Sostenuto dalle due guardie, il corpo senza volontà di 
                  Thelonious Coleman fu guidato e adagiato sulla sedia. Furono 
                  sistemate, ben strette, le cinghie alle gambe e alle braccia, 
                  gli elettrodi furono correttamente applicati e sulla parte superiore 
                  del cranio venne posto una specie di elmetto, non prima di aver 
                  coperto gli occhi con una pesante benda nera. Quando tutto fu 
                  pronto, le due guardie, il direttore e il vicedirettore della 
                  prigione raggiunsero i testimoni schierandosi lungo il muro 
                  in silenziosa attesa. Il direttore guardò con indifferenza 
                  il preciso cronografo che aveva al polso. Le 7 e 58. 
                   
                   Roma 
                  – h. 14:58 
                  Scuola elementare statale M. Dell'Utri 
                  Tutto era pronto. I sei bambini erano schierati e pronti a immaginari 
                  blocchi di partenza, quasi fossero i finalisti di una corsa 
                  olimpica. Anche i nomi dei bambini e il colore della pelle sembravano 
                  voler sottolineare l'internazionalità della gara: due 
                  italiani, un peruviano, un egiziano, un romeno e, in ultima 
                  corsia, nero come l'ebano, Samuel, il bambino nigeriano. 
                  Ai ragazzetti della claque, tutti schierati parallelamente alla 
                  pista di gara, era stato chiesto un silenzio assoluto che doveva 
                  durare fino al via, dopodiché ognuno avrebbe potuto sbizzarrirsi 
                  nel più rumoroso dei modi. 
                  La maestra, fornita per l'occasione del più moderno e 
                  preciso dei cronografi, si mangiava con gli occhi i secondi 
                  che stancamente scorrevano, con la paura, anzi il terrore che 
                  la voce potesse venirle a mancare proprio nell'istante in cui 
                  le lancette sarebbero andate a decretare lo scoccare dell'ora 
                  X, anzi XV, pensò per stemperare un po' la tensione. 
                  Quando mancavano una quindicina di secondi la maestra urlò: 
                  “Ragazzi, pronti... cinque, quattro, tre, due, uno, via!” 
                  A quel punto scoppiò il putiferio. I bambini del pubblico 
                  erano balzati in piedi, zampettando e urlando come un'orda di 
                  scalmanati. Uno dei gareggianti, Francesco, nello scatto iniziale 
                  si era stirato un muscolo della coscia e ora gemeva a terra 
                  massaggiandosi l'arto dolorante. Adil e Vasile si stavano scazzottando 
                  perché nella foga della partenza i due si erano toccati 
                  capitombolando entrambi a terra e ponendo così fine ad 
                  ogni sogno di gloria. Ovviamente ognuno dei due era convinto 
                  che la colpa fosse dell'altro. Andrea era rimasto subito indietro, 
                  visibilmente meno veloce dei suoi due compagni. Romario aveva 
                  affiancato per tutto il tragitto il suo rivale, ma Samuel, con 
                  un'accelerazione negli ultimi cinque metri aveva bruciato le 
                  velleità del suo concorrente e con un'attitudine quasi 
                  naturale si era allungato col busto andando a schiacciare per 
                  primo il pulsante rosso, come testimoniato da una bidella, per 
                  l'occasione convertita in giudice di gara. La luce rossa si 
                  era accesa mandando bagliori intermittenti come fosse il lampeggiante 
                  di un'ambulanza. 
                  La maestra, attorniata dalla scolaresca vociante, raggiunse 
                  Samuel e sollevò il suo braccino in segno di vittoria. 
                   
                  Lincoln (Ne) – h. 8:05 a.m. 
                  Death Row Nebraska State Penitentiary 
                  “Thelonious Coleman, come vuole la legge, io ti dichiaro 
                  morto, in esecuzione della sentenza del tribunale”.
                
  Giuseppe Ciarallo
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