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				 scuola 
                  
                Il richiamo del bosco 
                  
                testo e foto di Giulio Spiazzi 
                    
                Un'esperienza concreta dei giovani frequentatori della Piccola scuola libertaria Kether di Verona. 
Per la precisione, nelle colline di Avesa-Montecchio veronese. 
                  
                  “Dai figliolo su, che torniamo 
                  a casa... c'è la mamma che ti aspetta, lo avevi promesso...”. 
                  L'evidente perplessità di un padre che viene a prendere 
                  il proprio figlio a scuola, intento a scavalcare una recinzione 
                  per ritornare nell'ambiente educativo che aveva appena lasciato, 
                  cozza contro la determinazione di Alessandro, prima elementare, 
                  e contro la sua ferma risposta: “io rimango qua, ho da 
                  fare, ci vediamo più tardi, c'è il bosco che mi 
                  chiama”. 
                  La possibilità concreta di poter “marinare la famiglia” 
                  è un elemento decisivo che accompagna per scelta i giovani 
                  frequentatori del percorso della Piccola scuola libertaria Kether 
                  di Verona, nata da una propaggine, chiaramente orientata verso 
                  pratiche di auto-crescita, non adulto-centriche, della decennale 
                  esperienza Kiskanu. Gli undici ragazzi/e e i sei accompagnatori 
                  di cammino e di materie del gruppo Kether, da settembre del 
                  2013 abitano una situazione educativa totalmente indipendente, 
                  immersi nel verde della colline di Avesa-Montecchio veronese. 
                  Il tracciato, come sempre in questi casi, è in salita, 
                  irto di ostacoli e guidato da forte determinazione, ma, proprio 
                  per questo, riserva ai partecipanti situazioni e insegnamenti 
                  incidentali “per la vita” di tutto rispetto. 
                  Accanto allo spazio della piccola scuola libertaria, un grande 
                  bosco dalle fattezze primordiali, ricco di piante intricate, 
                  di dirupi con anfratti e caverne (qui vivevano in piccole comunità 
                  i Neanderthal, ed è incisivo sviscerare la Preistoria, 
                  fisicamente nei luoghi ove si è svolta) e di animali, 
                  attrae come un magnete la viva fantasia e l'azione concreta 
                  e materiale degli studenti. 
                  Nel giro di poco meno di tre mesi di lavoro auto-organizzato 
                  in assemblea, una sezione del grande polmone verde è 
                  stata ripulita e reinterpretata per le esigenze del gioco, dell'incontro, 
                  della ritualità di gruppo. Recuperati fili spinati, bottiglie, 
                  serrature, parafanghi di vetture anni '70 gettati da mani ignote 
                  in decenni di incuria, tra i grovigli del sottobosco in abbandono, 
                  considerato “naturale discarica”, la caparbia e 
                  allegra compagnia di Kether ha scovato luoghi ideali per manifestare 
                  le proprie intenzioni costruttive. Miniere di sassi di “marogne” 
                  (muretti a secco) crollati per l'assenza di manutenzione, hanno 
                  generato per giorni file di “formiche operaie” che 
                  raccoglievano e ponevano lungo sentieri riaperti margini in 
                  pietra visibili anche al chiaro-scuro lunare (così ci 
                  hanno informato i ragazzi/e in assemblea). “Basi avanzate” 
                  nel bosco per l'“allerta cinghiali”, punti di ristoro, 
                  alcuni “mercatini del legname”, una “pozza 
                  magica” che a giorni si riempie di torbida acqua piovana, 
                  dove poter praticare giochi d'acqua che mai si sposeranno con 
                  le logiche asettiche del ritorno in appartamento, costituiscono 
                  lo “spazio impensabile” aperto all'evento, rintracciabile 
                  in analisi coerenti di ri-osservazione e ri-frequentazione dello 
                  spazio urbano e agreste sostenute da pensatori quali Henry David 
                  Thoreau e Colin Ward. 
                 
                  Quale legge? 
                 Ed è proprio quando “l'aspettato si capovolge” 
                  che fuoriescono possibilità ineguagliabili di auto-apprendimento. 
                  Il bosco, “dall'alto”, all'apparenza “uniforme”, 
                  frequentato “dal basso” riserva sorprese ed elementi 
                  di differenza sempre radicali. L'arrivo di abitanti e visitatori 
                  che si sapevano essere solo a due dimensioni sulle pagine dei 
                  libri, quali un enorme maschio di daino con tanto di palco di 
                  corna o l'insistente grugnito di gruppi di cinghiali alla ricerca 
                  di radici e cortecce da strappare, con cui condividere un territorio 
                  che esige il rispetto del suo fragile equilibrio ambientale, 
                  crea le premesse per un ripensamento della nostra posizione 
                  all'interno della cosiddetta “Natura”. I disegni 
                  e i racconti dei bambini/e parlano serenamente di questi incontri 
                  senza veli. Le loro animate discussioni riflettono il grado 
                  di sensibilità maturato in mesi di contatto diretto con 
                  un mondo non ancora colonizzato, non impermeabilizzato, non 
                  sottomesso alle strategie d'annientamento o di regolarizzazione 
                  del dominio di specie. Nel periodo della riapertura della caccia, 
                  tanti punti interrogativi spuntano dai loro occhi, tante domande 
                  escono dalle loro bocche. Non è facile dare una spiegazione 
                  (se mai ce ne fosse una) alle loro esigenze di risposta, in 
                  bilico sul baratro della rabbia cieca e della giusta reazione 
                  infantile, quando, lungo i labirintici sentieri del grande bosco, 
                  si incrociano vere e proprie bande di paramilitari con fucili, 
                  tute mimetiche, mute di cani spaesati e assoggettati alla ricerca 
                  di “tutto ciò che si muove”, sorretti dalle 
                  scabre convinzioni di “stare dalla parte della Legge”. 
                  “Sì, ma di quale legge parlate?” li imbecca 
                  prontamente l'indomabile Andrea, “non certo quella del 
                  bosco... qui ognuno se la cava senza trappole o fucili, uno 
                  contro uno se proprio dev'esserci una lotta per la sopravvivenza...” 
                  “Non puoi capire ragazzina”, è l'arringa 
                  paternale del guerriero maculato: “c'è anche un'ordinanza 
                  del Sindaco contro cinghiali e animali selvatici pericolosi, 
                  ti sembra che siamo cattivi oppure... siamo ‘indispensabili'?” 
                  La risposta collettiva non può che essere all'unisono, 
                  sostenuta dall'eco della valle stretta e chiusa, e c'è 
                  un bel da fare per evitare uno scontro diretto con interlocutori 
                  che hanno ben organizzato la propria strategia di “caccia 
                  al nocivo” costi quel che costi. 
                  La raccolta di ossa di animali lungo i tratturi, di penne e 
                  piume d'uccelli o la sepoltura di un daino ferito, venuto a 
                  morire nel giardino della piccola scuola, sono “lezioni” 
                  impareggiabili, basate sull'esperire diretto e sul crescere 
                  assieme nell'agire, di autentico sentire empatico per ciò 
                  che ci circonda, difficilmente replicabili in altri contesti 
                  di studio. Ragazzi abituati al cemento, ai giochi virtuali, 
                  alle situazioni marginali di quartiere, si ritrovano, per loro 
                  volontà, a scavare un ultimo alloggio per un animale 
                  sconosciuto, a mettere un fiore o a scrivere un pensiero sulla 
                  sua tomba, a immergersi nella realtà di un territorio 
                  che cambia di mese in mese, di stagione in stagione, dove l'autunno 
                  è colore e sole vivo e si può ancora giocare a 
                  calcio in maglietta, l'inverno è freddo al punto di dover 
                  raccogliere legna nel grande bosco e accendere il fuoco la mattina 
                  per poter frequentare le stanze della scuola. Dove per poter 
                  entrare e uscire senza poi rifare le pulizie dei locali, è 
                  necessario spalare a “turno inventato” la neve, 
                  sempre copiosa su questi versanti. 
                  Giuseppe, Lucio, Alessandro, Elia, Nicolas, Alessandro, Lorenzo, 
                  Filippo, Andrea, Pietro e Alexandra stanno creando la loro “scuola” 
                  a seconda di quello che è importante per loro, seguendo 
                  ciò che percepiscono possa essere significativo per il 
                  loro futuro, al di là di famiglie, esami, presenze/assenze 
                  alle lezioni, obblighi di materie e commissioni di giudizio. 
                  Sanno bene che il mondo degli adulti li aspetta al varco, come 
                  il cacciatore lungo il sentiero del bosco, ma maturano individualmente 
                  e collettivamente delle strategie di risposta, conoscono delle 
                  varianti di cammino e frequentano salvifiche vie di fuga, lontani 
                  dalle visioni subdolamente coercitive del “possesso del 
                  trofeo”.
                  Giulio Spiazzi 
                  giuliospiazzi@gmail.com 
                  www.liberautonomia.com 
                  www.kether.it
                  A proposito della scuola libertaria Kiskanu, recente “antenata” 
                  della scuola Kether, segnaliamo gli articoli, sempre firmati 
                  Giulio Spiazzi, Mensa 
                  scolastica e autonomia, apparso sul numero 373 di “A” 
                  (estate 2012) e Storia 
                  di Dymo (e di una cetonia) pubblicato su “A” 
                  375 (novembre 2012).
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