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 economia 
                  
                Autogestione illegale contro la crisi 
                  
                di Stefano Boni 
                    
                In Italia la rapacità finanziaria, l'invadenza normativa e la propaganda mediatica non lasciano spazio nemmeno per immaginare 
                un'economia alternativa. Eppure, in alcune zone del mondo, basta uno spremiagrumi per vendere aranciate. 
                 
                  Credo che l'uso della nozione 
                  di crisi serva per legittimare tecnicamente un ulteriore strangolamento 
                  della società da parte del potere finanziario. La strategia 
                  di giustificazione della oppressione sociale da parte dei potentati 
                  bancari passa attraverso certe strategie finanziarie e la propagazione 
                  mediatica di una lettura finalizzata a mostrarne l'inevitabilità. 
                  Il disegno è portato avanti in maniera coordinata dall'intero 
                  arco dei poteri forti, ovvero dalle istituzioni allineate che 
                  comprendono media, governi nazionali e trans-nazionali, grandi 
                  imprenditori e l'autorità ormai diventata suprema, quella 
                  finanziaria. La logica del profitto perenne ha scelto come vittima, 
                  a questo giro, il vecchio continente. Il regime iperconsumistico, 
                  spacciato con insistenza per felicità, sta rallentando 
                  e si deve elaborare una giustificazione adeguata a tale smacco. 
                  Il fatto che il crescente disagio sociale generi una scarsa 
                  reazione, in parte, è dovuto ad una rassegnazione consolidata 
                  e introiettata intimamente; in parte, alla dipendenza un po' 
                  di tutti dalla megamacchina che al contempo si odia, per certi 
                  versi, ma è l'unica che offre l'agognato salario. Affinché 
                  il lavoro dipendente pubblico o privato o falsamente denominato 
                  “autonomo”, perché anch'esso innestato in 
                  catene di dipendenza da imprese, sia l'unica prospettiva possibile, 
                  si deve attentamente mettere fuori legge tutto ciò che 
                  è autogestito su piccola scala. La drammaticità 
                  della fase attuale non è tanto nella decrescita economica 
                  (per molti versi ci sarebbe da rallegrarsi) ma nel fatto che 
                  siano stati estinti altri canali di sopravvivenza. La nozione 
                  di crisi chiede alla società di sacrificarsi per mandare 
                  avanti un sistema che, man mano che colonizza spazi, estingue 
                  possibilità alternative, presentandosi arrogantemente 
                  come l'unico possibile.
                
 
                   
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                    Venditrice ambulante ghanese  | 
                   
                 
                
                   
                  L'esempio del Ghana  e del Venezuela 
                  Una bellezza della visione antropologica è la sua vocazione 
                  comparativa che la porta a raffrontare modalità di gestione 
                  di attività analoghe in contesti culturali differenti. 
                  Ciò permette di riscontrare analogie ma soprattutto di 
                  rendersi conto dell'ampiezza delle possibilità offerte 
                  dalla creatività sociale. È la varietà 
                  di ciò che viene continuamente praticato che smentisce 
                  la pretesa assolutistica del “non si può fare altrimenti”. 
                  In certi contesti – penso al Latinoamerica, all'Africa, 
                  a certe realtà asiatiche – si è meno dipendenti 
                  dai vincoli istituzionali per quanto riguarda la capacità 
                  di mantenere una gestione autonoma di importanti ambiti della 
                  produzione e del commercio. Nei due paesi che conosco meglio, 
                  il Ghana e il Venezuela, da cui traggo le osservazioni che seguono, 
                  il cosiddetto settore informale offre possibilità di 
                  sopravvivenza a buona parte della popolazione. Il settore informale 
                  è un insieme variegato di attività sotterranee, 
                  ma non criminose, se non nel senso che, in alcuni casi, evadono 
                  normative che non possono o non vogliono essere applicate rigorosamente. 
                  In pratica sono attività non irregimentate dalla burocrazia, 
                  occulte all'occhio classificatore dello Stato. Non pagano tasse, 
                  né sono soggette a controllo statale o, se lo sono, questo 
                  non riesce ad estinguere le prassi illegali. Le grosse ditte 
                  sono soggette a normative mentre un settore vastissimo di attività 
                  gestite dalla società, in genere, sopravvive senza o 
                  con una parziale interferenza burocratica. Le attività 
                  informali generano un reddito spesso modesto, soprattutto se 
                  misurato nel cambio in euro e non rapportato al costo della 
                  vita altrove; un nucleo domestico spesso attiva diverse occupazioni 
                  più o meno occasionali che, coniugate con forme di autosussistenza, 
                  danno di che vivere. Ora in Italia la possibilità di 
                  sottrarsi alla codificazione burocratica, con tutte le sue conseguenze, 
                  è ridotta all'osso in conseguenza a sofisticati, capillari 
                  e discriminatori sistemi di controllo. 
                  In molti angoli del mondo è ben più ampio lo spettro 
                  delle modalità lavorative possibili per soddisfare i 
                  bisogni primari. I marciapiedi sono colmi di piccoli e medi 
                  commercianti con stand mobili e una gestione del lavoro che 
                  non richiede la dipendenza né da autorizzazioni né 
                  da grandi imprese; barbieri e calzolai operano nelle piazze 
                  e nei mercati; ristoratori vivono di chioschi sulle spiagge; 
                  basta un tavolino per gestire una attività di vendita 
                  di chiamate telefoniche; basta un pavimento per vendere giornali; 
                  basta una macchina per fare il taxista; un fornelletto e una 
                  padella per vendere fritto; uno spremiagrumi per vendere aranciate; 
                  una struttura mobile in legno per vendere calzini. Si riproducono 
                  e si vendono per strada film e dischi senza preoccuparsi del 
                  copyright. In Italia, e in tutta Europa e nel Nord America, 
                  la rapacità finanziaria, l'invadenza normativa, e una 
                  ligia magistratura hanno giustiziato quasi tutte le opportunità 
                  di gestione familiare, a bassa tecnologia, artigianale. Queste 
                  sono state perseguitate da norme sanitarie, fiscalità 
                  incomprensibile e insostenibile, direttive europee, burocratizzazione 
                  delle procedure. L'obiettivo mai dichiarato, ma evidente, è 
                  di mutilare l'autonomia produttiva della società a vantaggio 
                  delle grosse imprese finanziarie e del controllo centralizzato 
                  attraverso normative invadenti. Ormai quasi non ci sono falle: 
                  sono arrivati a tappare meticolosamente molti degli interstizi 
                  economici e commerciali che potevano essere ancora autogestiti, 
                  al di fuori della ispezione statale. I margini di agibilità 
                  che rimangono vanno meticolosamente occultati.
                 
                   
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                    Bangkok – un mercato rionale  | 
                   
                 
                 Regolamentazioni  intrusive 
                  I discorsi dei politici dipingono una visione del progresso 
                  sostanzialmente asettica, iper-tecnologica, attentamente monitorata, 
                  come ovvie necessità del vivere civilizzato. Spesso questa 
                  visione confortevole e rassicurante della realtà è 
                  giustificata ulteriormente dalla necessità di garantire, 
                  attraverso norme igieniche e di sicurezza, il nostro benessere. 
                  In Ghana e Venezuela, invece, è completamente fuori dal 
                  controllo statale l'igiene per diverse attività artigianali, 
                  dal barbiere al meccanico, svolte per strada o sui marciapiedi. 
                  I lavori edili, anche quelli di scarico delle case fino alla 
                  fogna pubblica sono gestite dalle famiglie e dalle comunità. 
                  Una quota sostanziale della alimentazione media si svolge per 
                  strada ed è totalmente autogestita offrendo un'ampissima 
                  varietà di cibi. I gabinetti offerti nei punti di ristoro 
                  dei viaggiatori rispondono a canoni di efficienza piuttosto 
                  che a requisiti legali. 
                  In Italia ci sono semplicemente molte più regole effettivamente 
                  applicate. Si sono, negli ultimi decenni, progressivamente allargati 
                  gli ambiti di regolamentazione invasiva attraverso l'aumento 
                  dei controlli burocratici (certificazioni, idoneità, 
                  revisioni, procedure, autorizzazioni, marche e marchette da 
                  bollo), e la moltiplicazione, non solo delle normative, ma delle 
                  istituzioni che emanano e applicano regolamenti a diversi livelli 
                  (Forestale, Asl, vigili, uffici tecnici del comune, etc fino 
                  ai burocrati della Unione Europea a Bruxelles soggetti all'influenza 
                  delle lobby). In altri contesti, le regolamentazioni semplicemente 
                  non sono così intrusive, ovvero non vanno a governare 
                  nelle minuzie i processi produttivi (il tipo di materiali da 
                  usare, la configurazione degli spazi, il tipo di etichettatura 
                  del prodotto) e l'applicazione è spesso molto più 
                  flessibile, realmente polifonica piuttosto che la diretta e 
                  puntuale applicazione della volontà dei poteri allineati 
                  sulla vita della gente. Ad esempio, le ragioni riconducibili 
                  alla cessazione delle attività commerciali o economiche 
                  sono raramente imputabili a multe o a problematiche burocratiche. 
                  I livelli di igienizzazione sono sensibilmente meno invadenti 
                  di quanto succeda in Europa. Il processo di regolazione sanitaria 
                  è sostanzialmente autogestito: la salubrità del 
                  luogo o del prodotto offerto è il risultato della valutazione 
                  del consumatore e delle garanzie offerte dal venditore. Questa 
                  interazione dialogica tra chi compra e ci vende, in cui lo Stato 
                  non interviene, genera contesti e merci soggette a restrizioni 
                  infinitamente minori rispetto a quelle pretese dalla legislazione 
                  occidentale, che è intervenuta con progressiva capillarità 
                  nelle nostre esistenze fino a rendere illegale portare ad una 
                  festa scolastica cibi cucinati in casa. Altrove spesso non c'è 
                  impacchettamento, né guanti o mascherine, e l'alimentazione 
                  non è riducibile a prodotti confezionati. È considerata 
                  prassi indispensabile per l'acquisto consapevole di molti prodotti 
                  un'attenta valutazione sensoriale (toccare le verdure, guardare 
                  il colore delle branche di un pesce, assaggiare il formaggio). 
                  La commercializzazione del pesce in Venezuela è spesso 
                  condotta direttamente dal pescatore o da un suo collaboratore 
                  e avviene efficacemente su biciclette con legata una ghiacciaia 
                  che, mi immagino, non passerebbe una certificazione europea. 
                  La crisi è una realtà drammatica solo se non ci 
                  si organizza per rompere catene di dipendenza: se riuscissimo, 
                  invece, ad appropriarci di forme di produzione realmente autonome, 
                  si otterrebbe il doppio risultato di sopravvivere e spezzare 
                  l'assoggettamento burocratico. È una risposta chiara, 
                  coerente con la tradizione anarchica e radicale: la società 
                  ha le risposte migliori per risollevarsi. Il problema non è 
                  la resa del lavoro ma i vincoli che vengono messi alla produttività 
                  personale dalla burocrazia, dalla fiscalità, dai permessi, 
                  dalle normative che di fatto impediscono alla società 
                  di valorizzare ciò che potrebbe offrire senza la cappa 
                  oppressiva delle istituzioni allineate. La soluzione è 
                  sabotarle e svuotarle di significato e, al contempo, costituire, 
                  difendere ed allargare spazi di autogestione illegale in cui 
                  prevalga il buon senso, la fiducia e la semplicità. Il 
                  percorso è lungo e tortuoso. Più saremo, più 
                  forza avrà. 
                 Stefano Boni  |