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 Catalogna 
                  
                Cavalcare la tigre nazionalista 
                  
                di Steven Forti / foto AFA - Archivi Fotografici Autogestiti 
                    
                Il binomio “nazionale e sociale”, tornato in auge nel dibattito spagnolo, genera inquietanti echi storici e non poche preoccupazioni. 
                La questione catalana dalla Diada dell'11 settembre al nuovo governo di Artur Mas. 
                 
                  “Non ci può essere 
                  un progetto nazionale senza un progetto sociale e non ci può 
                  essere un progetto sociale senza un progetto nazionale”. 
                  Un progetto che come obiettivi futuri per il paese ha “il 
                  benessere, la giustizia e le libertà nazionali”. 
                  Questo è stato il punto chiave del messaggio di fine 
                  anno di Artur Mas, il presidente della Generalitat de Catalunya, 
                  rieletto a fine novembre. Una frase che, nella sua apparente 
                  chiarezza, nasconde molte ambiguità e, soprattutto, una 
                  volontà politica ben diversa. Come si spiega che un politico 
                  di destra come Mas inneggi ad un progetto sociale e al welfare 
                  state dopo essere stato nell'ultimo biennio uno dei campioni 
                  europei dei tagli nel sociale, dell'austerity e delle politiche 
                  più spiccatamente neoliberiste (i tagli sono stati del 
                  10,5 per cento alla sanità, dell'11,5 per cento all'istruzione, 
                  del 16 per cento all'università e del 61 per cento alla 
                  cooperazione e allo sviluppo)? 
                  Lo scorso 11 settembre, giorno della Diada, la festa 
                  nazionale catalana, oltre un milione di persone sono scese in 
                  strada a Barcellona. In testa al corteo si leggeva: “Catalogna: 
                  nuovo Stato d'Europa”. La manifestazione convocata dall'Assemblea 
                  Nazionale Catalana – una piattaforma indipendentista di 
                  recente fondazione – è stata fatta propria dal 
                  governo di Artur Mas che in un battibaleno è passato 
                  dalla rivendicazione di un “patto fiscale” con Madrid 
                  alla scelta secessionista. Un'assoluta novità per Convergència 
                  i Unió (CiU) che dalla sua fondazione è sempre 
                  stato un partito autonomista, moderato e pragmatico, e che ha 
                  patteggiato con facilità con chiunque governasse a Madrid. 
                  Semplificando: l'indipendenza come soluzione ad ogni problema 
                  politico, sociale e, di questi tempi, soprattutto economico. 
                  Ricordiamo solo, en passant, che i tassi di disoccupazione 
                  in Spagna hanno superato il 25 per cento (quella giovanile è 
                  ben oltre il 50), che nel 2012 sono stati convocati due scioperi 
                  generali (in un paese in cui i sindacati non sono molto avvezzi 
                  a quest'arma) e che in primavera il paese è praticamente 
                  stato “salvato” dal Bce (anche se il capo del governo 
                  del Partido Popular, Mariano Rajoy non si è ancora deciso 
                  a ufficializzare la richiesta alle istituzioni europee). Per 
                  dirla in parole povere: la Cina è vicina e... la Grecia 
                  è proprio dietro l'angolo. La Catalogna, uno dei motori 
                  economici della penisola iberica, non presenta un quadro diverso, 
                  tanto che in estate ha dovuto chiedere un salvataggio di oltre 
                  5 miliardi di euro allo Stato spagnolo per poter rifinanziare 
                  importanti quote del proprio debito pubblico in scadenza in 
                  questi mesi. Per non parlare di un altro dei nodi gordiani della 
                  crisi spagnola: la bolla immobiliare con annessi e connessi, 
                  ossia il fenomeno della speculazione edilizia e finanziaria 
                  e il drammatico problema dei mutui e degli sfratti. Due soli 
                  dati per capire la gravità del problema: nel 2012 in 
                  tutta la Spagna sono stati eseguiti di media oltre 550 sfratti 
                  al giorno e nella sola Catalogna vi sono oltre 80 mila appartamenti 
                  sfitti in mano a banche “salvate” dallo Stato spagnolo. 
                  Aggiungiamoci i casi di corruzione che hanno coinvolto importanti 
                  dirigenti di CiU – come lo stesso segretario Oriol Pujol 
                  – ed ecco allora che il “Madrid nos roba” 
                  diventa un leitmotiv utile per tutto e il contrario di tutto. 
                  Si badi bene: una riforma dell'Estado de las Autonomías 
                  nato dalla Costituzione spagnola del 1978 è più 
                  che logico e per diversi protagonisti auspicabile, ma ciò 
                  non si ottiene fomentando i rispettivi nazionalismi – 
                  tanto quello catalano come il solito becero nazionalismo spagnolo 
                  – e scaricando le colpe sull'Altro.
                
 
                   
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                    Artur Mas, presidente della Generalitat de Catalunya  | 
                   
                 
                 Venire  a patti 
                  Artur Mas ha voluto cavalcare la tigre nazionalista, ergendosi 
                  a paladino dell'indipendenza catalana e iniziando una campagna 
                  di bombardamento dell'opinione pubblica in una maniera mai vista 
                  prima, utilizzando la televisione pubblica (Tv3) e i media del 
                  potente Grupo Godò che possiede lo storico quotidiano 
                  “La Vanguardia” e che ha ottenuto ingenti finanziamenti 
                  da parte del governo catalano nell'ultimo biennio. Nel frattempo, 
                  a Madrid la destra mediatica spagnolista faceva lo stesso fomentando 
                  la catalanofobia. Dopo la riunione del 20 settembre con Rajoy 
                  che si è risolta con un nulla di fatto, Mas ha sciolto 
                  il Parlamento catalano e ha convocato nuove elezioni. L'obiettivo 
                  era ottenere la maggioranza assoluta (che i sondaggi consideravano 
                  possibile) e avere le mani libere per altri quattro anni di 
                  governo. Il 25 novembre i risultati sono stati ben altri: batosta 
                  per CiU che con 12 seggi in meno (da 62 a 50) rimane comunque 
                  il partito più votato e vittoria morale per Esquerra 
                  Republicana de Catalunya (Erc), partito indipendentista di centro 
                  sinistra, che passa da 10 a 21 seggi e diventa l'ago della bilancia 
                  della politica catalana. Dopo la fine dello zapaterismo, i socialisti 
                  continuano ad affondare (da 28 a 20 seggi), la destra spagnolista 
                  del Partido Popular passa a 19 seggi (uno in più di due 
                  anni fa), la sinistra ecologista post comunista di Iniciativa 
                  per Catalunya Verds (Icv) passa da 10 a 12 deputati, il centro 
                  destra spagnolista di Ciutadans triplica la sua rappresentanza 
                  parlamentare (da 3 a 9 seggi) e la Candidatura d'Unitat Popular 
                  (Cup), formazione anticapitalista indipendentista, fa il suo 
                  ingresso nel Parlamento con 3 deputati, raccogliendo oltre 120 
                  mila voti. 
                  Che valutazione si può fare? Brevemente: che la macelleria 
                  sociale non paga e Mas se ne è dovuto rendere conto la 
                  sera del 25 novembre e che la questione nazionale rimane comunque 
                  il nocciolo del problema. Senza maggioranza assoluta, Mas è 
                  dovuto venire a patti con Erc, che ha deciso di appoggiare dall'esterno 
                  il governo di minoranza di CiU in nome di una sorta di “fronte 
                  patriottico”. Mas ha così potuto formare un nuovo 
                  governo, essenzialmente identico al precedente, con la conferma 
                  anche di quel Felip Puig che come assessore all'ordine pubblico 
                  è stato responsabile di una durissima repressione dei 
                  movimenti sociali ed è il grande difensore a priori della 
                  polizia catalana e dell'uso delle pallottole di gomma che hanno 
                  fatto perdere la vista a varie persone nell'ultimo biennio. 
                  In cambio dell'appoggio, Erc ha chiesto garanzie su due punti: 
                  meno tagli (ma si sta approvando una finanziaria con 4 miliardi 
                  di tagli, soprattutto nella sanità, nella scuola e nella 
                  ricerca) e una chiara agenda sulla questione della secessione 
                  (nel 2014 si dovrebbe tenere un referendum per l'autodeterminazione), 
                  con una parte non esigua di finanziamenti da stanziare per “internazionalizzare” 
                  la causa catalana e ottenere un riconoscimento europeo con l'obiettivo 
                  di una Catalogna indipendente accettata nella Ue. Fantapolitica? 
                  Abbastanza.
                 
                   
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                    Barcellona - Artur Mas nel Parlamento catalano  | 
                   
                 
                 Ecco spiegato quindi il discorso di fine anno di Mas: sociale 
                  e nazionale non possono che andare mano nella mano. Un tentativo 
                  di unire il fronte catalanista dalla destra di CiU alla sinistra 
                  anticapitalista della Cup, passando per l'alleato di governo 
                  Erc. O detto più brutalmente: procedere con le politiche 
                  neoliberali coinvolgendo e responsabilizzando con il mito indipendentista 
                  anche la sinistra che, detto tra noi, non si fa pregare. Anzi, 
                  ci va a nozze. È solo voglia di contare qualcosa? O, 
                  più semplicemente, si tratta della subordinazione della 
                  questione sociale a quella nazionale? Da storico dell'Europa 
                  interbellica e dei fascismi, l'associazione di sociale e nazionale 
                  mi rimanda a cose non particolarmente piacevoli. Mi si dirà 
                  che anche i Fronti Popolari e le formazioni partigiane non negavano 
                  la patria e la nazione. Sono d'accordo. Però le parole 
                  di Mas – e molte delle dichiarazioni dei suoi alleati 
                  di governo della sinistra catalana – mi hanno ricordato 
                  un discorso di Paul Marion, ministro dell'Informazione nel governo 
                  collaborazionista di Vichy. Marion proveniva dalle file del 
                  Pcf e la sua traiettoria ricorda quella di altri dirigenti politici 
                  di sinistra che abbracciarono il fascismo nell'Europa interbellica 
                  come i conosciuti casi di Jacques Doriot o di Nicola Bombacci, 
                  uno dei fondatori del Pcd'I nel gennaio del 1921 che finì 
                  appeso per i piedi alla pompa di benzina di Piazzale Loreto 
                  accanto a Mussolini e a Claretta Petacci la mattina del 29 aprile 
                  del 1945. Un discorso pronunciato da Marion a Tolosa nel gennaio 
                  del 1942 e che aveva per titolo proprio Révolution 
                  nationale, révolution sociale che cominciava con 
                  queste parole: “A la vérité, Révolution 
                  nationale et Révolution sociale sont deux idées 
                  non seulement complémentaires, mais qui représentent 
                  aujourd'hui les deux aspects du même problème, 
                  celui de notre résurrection comme peuple et comme pays.” 
                  L'union sacrée di socialismo e nazionalismo è 
                  già molto nota – o dovrebbe esserlo – per 
                  non destare diffidenza e sospetti in chi possiede una visione 
                  della società non nazionalista escludente e non gerarchica. 
                 Steven Forti
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