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                 movimenti 
                  
                L'esperienza delle Brigate 
                  
                di Dario Clemente 
                    Contro le strutture gerarchiche, per le comunità politiche (auto)organizzate. Dall'esperienza delle “Brigate di solidarietà attiva” una proposta di organizzazione per i militanti libertari. 
				  
                   
                  È possibile rintracciare 
                  nell'interrogativo sull'opportunità o meno di organizzarsi 
                  e sulle modalità con cui farlo una costante della storia 
                  della pratica libertaria, oggi come nell'ottocento. Gravata 
                  dal peso di storiche, letali coltellate nella schiena, uno dei 
                  quesiti basilari della tradizione anarchica si ripresenta al 
                  militante di oggi come un nodo fondamentale da sciogliere per 
                  evitare di trincerarsi nella purezza e dare vita ad una pratica 
                  politica efficace che non perda l'orientamento libertario di 
                  fondo. Credo che una delle sfide più grandi che ci viene 
                  dal raduno di Saint-Imier1 sia 
                  proprio il dovere di trovare dei metodi organizzativi alternativi 
                  alla struttura egemonicamente intesa, che però ci consentano 
                  di occupare al meglio il nostro posto nell'eterogeneo fronte 
                  anticapitalista, con una proposta politica chiara alle persone, 
                  “convergendo” senza rimanere intrappolati nella 
                  camicia di forza de “l'unità”. L'analisi 
                  del momento storico dal punto di vista degli sfruttati di ogni 
                  tipo infatti non può che essere tragica e questa consapevolezza 
                  ci deve spingere sempre più a scendere sul terreno della 
                  politica concreta, in mezzo al popolo. 
                  Quando, se non ora, parlare di autorganizzazione popolare, rifiuto 
                  della delega, iniziativa dal basso, di fronte alle violente 
                  convulsioni di un sistema economico e istituzionale al collasso? 
                   
                    Un coacervo 
                  di militanti 
                
  Un esempio interessante può essere senza dubbio il 
                  tipo di organizzazione interna scelto dalla federazione nazionale 
                  dell'associazione Brigate di solidarietà attiva 
                  che prenderò qui ad esempio per un breve ragionamento 
                  sull'anarchia “come organizzazione”. 
                  L'unità base è quella di “nuclei operativi” 
                  locali, le brigate territoriali, del tutto autonome nella loro 
                  azione, nell'ambito della cornice dei principi di anticapitalismo, 
                  antirazzismo, antisessismo, antifascismo e delle “linee 
                  guida” che si concordano alle assemblee nazionali. Il 
                  livello di coordinamento nazionale è garantito da un 
                  “direttivo” composto dai vari coordinatori territoriali 
                  rinnovati annualmente (e destituibili in ogni momento) e da 
                  un “coordinatore nazionale” responsabile della comunicazione 
                  interna ed esterna. Le decisioni più importanti sono 
                  invece riservate all'“assemblea nazionale”: la riunione 
                  bimestrale di tutte le brigate territoriali, aperte a tutti 
                  i “briganti” e al pubblico, autogestita con il metodo 
                  del consenso. 
                  Ogni intervento “nazionale” che richieda l'impegno 
                  organizzativo di tutte le brigate prevede la formazione “sul 
                  campo” di una nuova brigata, temporanea, che conduca le 
                  attività per mezzo dell'assemblea dei militanti presenti, 
                  in maniera indipendente dai nuclei di provenienza e dal “direttivo” 
                  nazionale. Una forma organizzativa “leggera” che 
                  corrisponde alle esigenze logistiche di buon funzionamento nel 
                  rispetto del principio fondativo del rifiuto della delega e 
                  del voto, e della scelta del metodo del consenso per prendere 
                  ogni decisione, in contesto assembleare. L'obiettivo dichiarato 
                  è un'azione politica fondata su prassi-teoria-prassi 
                  e sul recupero di pratiche di “mutualismo” e di 
                  solidarietà attiva, lo sviluppo di autogestione popolare, 
                  internamente ed esternamente all'associazione. 
                  La preferenza accordata alla “pratica” (seguita 
                  da rielaborazione teorica, anche al fine di migliorare l'efficacia 
                  dell'intervento politico) permette di puntare sull'unione di 
                  individui a partire dalla condivisione di obiettivi e modalità 
                  e non dalle loro appartenenze o ideologie professate. Il risultato 
                  è un coacervo di militanti di centri sociali, associazioni, 
                  partiti, collettivi, e singoli che difficilmente funzionerebbe 
                  in una discussione attorno ad un tavolo, ma che paga nel momento 
                  in cui si interviene materialmente, ottenendo poi successivamente 
                  una teorizzazione, seppur basilare, tendenzialmente comune e 
                  arricchita dall'esperienza. 
                  Non certo un'associazione propriamente “anarchica”, 
                  piuttosto un'organizzazione di “sintesi”, per una 
                  volta anche di militanze diverse e non solo di diversi approcci 
                  all'anarchismo, che però si è data delle regole 
                  di funzionamento e di pratica libertarie, patrimonio comune 
                  di anarchici e comunisti antiautoritari. Credo che la forma 
                  organizzativa di questo soggetto politico (fra l'altro molto 
                  simile a quella della Prima Internazionale, libertaria, poi 
                  ripreso da innumerevoli altre realtà di ispirazione anarchica, 
                  che prevedeva soltanto l'organo della “commissione di 
                  informazione”) sia un suggerimento stimolante e attuale 
                  di come mettere in pratica il concetto malatestiano di “anarchia 
                  come organizzazione”. E di come associare singole e libere 
                  individualità in una comunità umana e politica 
                  che ne potenzi la forza di azione senza precluderne la capacità 
                  di intervento sui livelli decisionali, senza obbligarla a scelte 
                  compiute dall'alto da altri. Che faccia dell'affinità 
                  umana e politica la benzina di un movimento centripeto ma non 
                  accentratore. Con un respiro “nazionale”, che trae 
                  la sua forza e capacità di analisi dalle spinte territoriali. 
                    
                    Recuperare 
                  una dimensione collettiva 
                  A mio parere si tratta di un formidabile tentativo, in controtendenza 
                  con le esperienze politicamente “frontiste” degli 
                  ultimi decenni, di dare forma a quanto lucidamente descritto 
                  da Colin Ward, urbanista anarchico, docente della London school 
                  of economics, scomparso di recente2: 
                  «La rivoluzione non dev'essere un momento insurrezionale 
                  con cui prendere il potere, situato in alto, e modificare la 
                  società. Rivoluzione dev'essere invece allargare dal 
                  basso le esperienze autogestionarie, contropotere, fino a farle 
                  diventare la “società” tutta, la cui gestione 
                  dall'alto sarà poi svuotata di significato dal cambiamento 
                  strutturale della società stessa.» 
                  Sporcandosi le mani di compromessi e di quella realtà 
                  troppo spesso distante dai discorsi, dalle teorizzazioni che 
                  si vanno facendo durante tutto l'anno di “militanza politica” 
                  all'interno dei movimenti sociali, collettivi, associazioni. 
                  «Ogni generazione – dice ancora Ward – deve 
                  porsi un obiettivo rivoluzionario da essa raggiungibile, non 
                  infinitamente distante, fino a diventare utopico.» 
                  Un tentativo collettivo di affrontare senza paura, in parte 
                  risolvendole, tutte le potenziali secche di un progetto politico 
                  del genere. Credo che il dilemma “come fanno i libertari 
                  a fare politica attiva senza aspettare l'alba della rivoluzione 
                  sociale anarchica (e senza essere fagocitati dall'ennesimo tentativo 
                  egemonico)” sia pregnante, oggi più che mai. 
                  Oggi l'unica chance che abbiamo come umanità è 
                  quella di escludere ogni possibile ripiegamento verso l'individualismo 
                  e recuperare una dimensione collettiva, ben sapendo che la condizione 
                  di “minoranza” del movimento anarchico non consente 
                  un discorso di “purezza assoluta”, asfittico e immobilizzante. 
                  Una tattica di “convergenza nella differenza” non 
                  estranea alla tradizione del sindacalismo anarchico. 
                  Spesso si fa notare che la crisi del capitale e dello stato-nazione 
                  sarebbe accompagnata da quella di partiti, sindacati, vecchie 
                  forme rappresentative, aprendo un inedito e semiconsapevole 
                  spazio al discorso autorganizzativo e libertario. Se questo 
                  è vero, e sicuramente in parte lo è, la situazione 
                  va “sfruttata” in questa direzione, pena lasciar 
                  campo libero alle pulsioni gerarchiche di ogni colore, venate 
                  di nazionalismo e razzismo. Per fare di questa “fine di 
                  civilità” un inizio di “nuova e diversa civiltà”. 
                  Con lo spirito degli arditi del popolo, dei volontari di Spagna 
                  e della resistenza, senza dimenticare per un attimo come 
                  e perché è finita, in ciascuno di questi 
                  casi. 
                  Vigilare sempre sulle derive autoritarie, ma senza esimersi 
                  dal mostrare con le azioni qual è il nostro posto, nella 
                  guerra di classe quotidiana. 
                   
                  Dario Clemente 
                Note 
                 
                  - www.anarchisme2012.ch 
                  
 - Si veda a tale proposito il libro di Colin Ward Anarchia 
                    come organizzazione, pubblicato nel 2010 per Eleuthera 
                    (http://www.eleuthera.it/scheda_libro.php?idlib=205)
   
                
                   
                      
                        Per ulteriori informazioni:
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