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               La svastica 
                  allo stadio 4 
                  
                I piedi di Mozart 
                  di Giovanni A. Cerutti 
                    L'esemplare e drammatica vicenda umana e sportiva del moravo Matthias Sindelar. 
                 
                   
                  Se seguite il calcio con passione 
                  è quasi impossibile che non vi siate trovati almeno una 
                  volta a discutere per stabilire chi sia stato il più 
                  grande calciatore di tutti i tempi, senza peraltro riuscire 
                  a venirne a capo. Troppi i criteri che possono essere usati 
                  come riferimento, troppe le variabili da prendere in considerazione. 
                  Ma se la discussione avviene tra veri conoscitori del calcio 
                  e della sua storia, non sarà troppo difficile trovare 
                  l'accordo sul ristretto numero di campioni da prendere in considerazione: 
                  Alfredo Di Stefano, Pelé, Valentino Mazzola, Johan Cruijff, 
                  Matthias Sindelar, Diego Armando Maradona, Ferenc Puskás, 
                  forse Ricardo Zamora, ma, si sa, valutare i portieri non è 
                  facile. Ognuno di loro ha interpretato con classe e fantasia 
                  i diversi modi con cui si è giocato a calcio nelle diverse 
                  epoche; qualcuno di loro è diventato anche un simbolo 
                  dello spirito del tempo in cui ha vissuto. L'incedere volitivo 
                  di Mazzola è stato l'immagine della ricostruzione dell'Italia 
                  distrutta da vent'anni di fascismo, lo sguardo malinconico di 
                  Puskás della fuga dall'oppressione del totalitarismo 
                  sovietico, i capelli al vento di Cruijff della rivoluzione dei 
                  costumi nell'Europa tra la fine degli anni sessanta e l'inizio 
                  degli anni settanta. Matthias Sindelar, invece, si è 
                  trovato a fronteggiare il periodo più buio della storia 
                  europea, opponendosi con coraggio e dignità alla violenza 
                  nazista. Ma non è diventato un simbolo. Può esservi 
                  capitato di aver sentito commentare “un tiro alla Sindelar” 
                  – detto per inciso: il famoso tiro a rientrare nell'angolino 
                  l'ha inventato Sindelar, non Maradona, né Zico, né 
                  Corso – o “una finta alla Sindelar”; non credo 
                  abbiate sentito commentare che uno dei più grandi centravanti 
                  di tutti i tempi si sia rifiutato di vestire la maglia della 
                  nazionale tedesca, dopo che l'Austria era stata annessa con 
                  la forza al Reich, in virtù dell'Anschluss. Né 
                  che la nazionale austriaca non poté partecipare per lo 
                  stesso motivo ai mondiali del 1938 in Francia, nonostante si 
                  fosse qualificata alla fase finale e fosse, anzi, una delle 
                  favorite.
                
 
                   
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                    |   Matthias Sindelar (Kozlov, 10 febbraio 1903-Vienna, 23 gennaio 1939)  | 
                   
                 
                  
                    Da un 
                  pallone di stracci alla sfida con Meazza 
                  Matthias Sindelar era nato a Kozlau, un villaggio della Moravia 
                  che oggi fa parte della Repubblica Ceca, il 10 febbraio del 
                  1903. Nel 1905 la sua famiglia si era trasferita a Vienna, la 
                  capitale dell'Impero, dove suo padre aveva trovato impiego come 
                  muratore. Matthias crebbe tirando calci a un pallone di stracci 
                  per le strade polverose del quartiere operaio Favoriten, dove 
                  si stabilivano molte famiglie provenienti dalla Moravia, dalla 
                  Boemia e dall'Ungheria in cerca di lavoro. Dopo che il 28 luglio 
                  1914 l'Austria-Ungheria aveva dichiarato guerra alla Serbia 
                  a seguito dell'attentato in cui era morto l'erede al trono Francesco 
                  Ferdinando d'Absburgo, innescando la serie di eventi che avrebbe 
                  portato alla Prima guerra mondiale, anche il padre di Matthias 
                  venne richiamato nell'esercito imperiale nel corso della mobilitazione 
                  generale del maggio del 1915. Jan Sindelar morirà due 
                  anni dopo sul fronte dell'Isonzo combattendo contro l'esercito 
                  italiano. Matthias ha solo quattordici anni, ma è costretto 
                  a trovarsi un lavoro come meccanico per aiutare la madre Rosie, 
                  rimasta sola con altre tre figlie. 
                  Fu Karl Weimann, un maestro di scuola elementare ed ex calciatore 
                  dilettante, ad accorgersi del talento di Matthias, quando prese 
                  a trasformare in partite quasi vere gli interminabili giochi 
                  dei ragazzi del Favoriten. Funzionario della federazione calcistica 
                  austriaca, Weimann sostituì il pallone di stracci con 
                  un vero pallone, tracciando un vero campo con la polvere dei 
                  mattoni rossi che si trovava in gran quantità nelle numerose 
                  fornaci che sorgevano nel quartiere e segnando le porte sempre 
                  grazie ai provvidenziali mattoni. Nel 1918, accompagnò 
                  il quindicenne Sindelar a sostenere un provino per la squadra 
                  del quartiere, l'Hertha Vienna, dove venne selezionato da Febus 
                  Oster. Tre anni dopo, a soli diciotto anni, debuttò in 
                  prima squadra. Subito conquistò i tifosi con il suo gioco 
                  leggero e fantasioso, guadagnandosi l'appellativo con cui sarà 
                  per sempre identificato nel mondo del calcio, der papierene, 
                  cartavelina. Ma al principio della stagione 1923-24, un brutto 
                  incidente al ginocchio, che comportò la lesione del menisco, 
                  sembrò porre fine a soli vent'anni a una promettente 
                  carriera. Le tecniche chirurgiche, infatti, erano ancora molto 
                  rudimentali e non era ancora possibile intervenire sul menisco 
                  con prospettive di recuperare la piena funzionalità del 
                  ginocchio per sostenere lo sforzo agonistico. Più o meno 
                  negli stessi anni, ad esempio, Árpád Weisz aveva 
                  dovuto lasciare i campi da gioco per un incidente al menisco. 
                  Tuttavia, vennero presi contatti con Hans Spitzy, un famoso 
                  chirurgo austriaco, che decise di tentare per la prima volta 
                  l'operazione al menisco su di un calciatore. L'intervento riuscì 
                  perfettamente e Sindelar fu in grado di ritornare a giocare, 
                  sia pure al termine di una lunga e faticosa rieducazione. Da 
                  allora scese sempre in campo con una speciale fascia elastica 
                  a protezione del ginocchio destro, quasi un marchio di fabbrica, 
                  come le cavigliere di Ruud Krol cinquant'anni dopo. E cambiò 
                  il modo di giocare, accentuando ulteriormente la componente 
                  tecnica per evitare accuratamente ogni tipo di contrasto. Velocità 
                  e controllo assoluto del pallone, come in occasione di quello 
                  strabiliante goal segnato alla nazionale italiana il 20 marzo 
                  del 1932 a Vienna, nella partita vinta dagli austriaci per 2-1, 
                  quando raccolse di testa un corner proveniente dalla destra, 
                  saltò un primo difensore, riprese la palla di testa, 
                  saltò un secondo difensore, riprese la palla sempre di 
                  testa e batté inesorabilmente l'incredulo Sclavi. Quel 
                  giorno Sindelar segnò entrambi i goal dell'Austria, vincendo 
                  la sfida con Meazza, autore del goal degli azzurri, che di lì 
                  a poco avrebbero indossato spesso e volentieri una casacca nera, 
                  con l'immancabile fascio littorio.
                    “Un 
                  autentico capolavoro” 
                  Senza Sindelar, però, l'Hertha retrocesse, precipitando 
                  in una grave crisi economica, che costrinse i dirigenti della 
                  squadra a vendere i giocatori migliori. Nonostante questa operazione, 
                  la società viennese non riuscì mai a riprendersi 
                  dalle difficoltà e si sciolse nel 1930. Sindelar finì 
                  nell'Amateur Vienna, dove debuttò nel campionato 1924-25, 
                  che due anni dopo mutò il nome in Austria Vienna, quando 
                  divenne ufficialmente una squadra di professionisti. L'anno 
                  dopo arrivò anche il debutto in nazionale, in quello 
                  che sarebbe passato alla storia, proprio grazie a Sindelar, 
                  come il Wunderteam, la squadra meravigliosa, che dominò 
                  il calcio europeo degli anni trenta, guidata dal leggendario 
                  direttore tecnico Hugo Meisl, e allenata dall'inglese Jimmy 
                  Hogan. Il calcio di Hogan aveva tratti molto poco britannici, 
                  e per questo non gli furono mai affidati né la nazionale, 
                  né club di primo piano del campionato inglese, basato 
                  com'era su una fittissima rete di passaggi corti, che implicavano 
                  giocatori dotati di una tecnica raffinata. Si può anzi 
                  dire che l'essenza di quello che sarà conosciuto in tutto 
                  il mondo come il calcio danubiano sia stata concepita dal tecnico 
                  del Lancashire. C'era sempre un passaggio ancora da fare prima 
                  di arrivare in porta, o uno spazio ancora da percorrere. Nemmeno 
                  Pep Guardiola, dunque, ha inventato niente. 
                  L'uso di riferirsi alla nazionale austriaca con l'appellativo 
                  di Wunderteam prese piede tra i giornalisti dopo la travolgente 
                  vittoria del 16 maggio 1931 riportata a Vienna contro la Scozia, 
                  battuta per 5-0. Iniziò allora una striscia impressionante 
                  di risultati utili, con quattordici vittorie e due pareggi, 
                  63 goal fatti e solo 20 subìti, inframmezzata soltanto 
                  dalla sconfitta per 4-3 riportata il 7 dicembre 1932 allo Stamford 
                  Bridge di Londra contro la nazionale inglese. Ma, paradossalmente, 
                  quella sconfitta in mezzo a tante vittorie segnò la definitiva 
                  consacrazione dell'Austria e di Sindelar. Gli inglesi, che rifiutavano 
                  ostentatamente di partecipare alle competizioni internazionali 
                  ritenendo il loro calcio troppo superiore a quello che si praticava 
                  nel resto del mondo, si erano sentiti in obbligo di organizzare 
                  un'amichevole con la nazionale più quotata in quel momento 
                  per ribadire la loro supremazia. «Gli austriaci ci hanno 
                  dato una lezione» titolò il “Daily Express”, 
                  «Nessuno all'altezza di Sindelar» fece eco il “Daily 
                  Mail”, mentre il “Daily Herald” sosteneva 
                  che «i nostri ospiti ci hanno insegnato come si gioca». 
                  Sotto di due reti, gli austriaci avevano rimontato, chiudendo 
                  nella loro metà campo per larga parte del secondo tempo 
                  gli inglesi, che si salvarono soltanto grazie alla superlativa 
                  prova del portiere del Birmingham Harry Hibbs. «Il goal 
                  di Sindelar è stato un autentico capolavoro, che nessun 
                  altro, né prima, né dopo di lui, riuscirà 
                  più a fare contro avversari così forti come gli 
                  inglesi. Partendo dalla linea di metà campo dribblò 
                  con l'eleganza del suo inimitabile stile chiunque gli si parasse 
                  davanti, entrando in rete palla al piede». Così 
                  l'arbitro della partita, il belga John Langenus, che aveva arbitrato 
                  a Montevideo il 30 luglio del 1930 la prima finale del campionato 
                  del mondo tra Uruguay e Argentina, descrisse qualche giorno 
                  dopo la rete di Sindelar. 
                  Già nell'immediato dopopartita l'Arsenal di Herbert Chapman, 
                  l'inventore del sistema, offrì quarantamila sterline 
                  per il trasferimento di Sindelar, e nei giorni successivi arrivarono 
                  offerte equivalenti dal Chelsea, dal Tottenham, dal Manchester 
                  e dal Liverpool. Ma Sindelar le rifiutò cortesemente 
                  tutte. Preferiva continuare a vivere in Austria, anzi nella 
                  sua Vienna. Per tutta la vita non si mosse mai dal quartiere 
                  operaio dove era cresciuto, continuando a restare fedele per 
                  tutta la carriera ai colori dell'Austria Vienna, che pure non 
                  era una squadra di vertice assoluto e deve le sue vittorie proprio 
                  alla classe di Sindelar. Un atteggiamento non infrequente nel 
                  calcio del passato, come mostrano i casi di Gigi Riva con il 
                  Cagliari o di Stanley Matthews con il Blackpool. Ma il calcio, 
                  allora, non si valutava soltanto in termini di vittorie; la 
                  componente estetica era non meno rilevante. Famosa la raccomandazione 
                  di Erbstein ai giocatori del grande Torino: la gente che viene 
                  allo stadio si deve soprattutto divertire, una vittoria senza 
                  spettacolo è ben povera cosa. E nei caffè di Vienna 
                  la borghesia, in misura significativa anche ebraica, commentava 
                  le partite dei viola così come commentava gli spettacoli 
                  teatrali o i primi film. E cominciò a chiamare Sindelar 
                  con l'appellativo che gli aveva dato Hugo Meisl: i piedi di 
                  Mozart. Sindelar arrivò l'anno dopo il primo scudetto 
                  della squadra viennese e contribuì in modo determinante 
                  alla vittoria nel campionato del 1925-26, ma dopo di allora 
                  l'Austria Vienna non riuscì più a vincere il titolo 
                  fino al dopoguerra. Più brillanti i risultati in Coppa 
                  d'Austria, vinta cinque volte con Sindelar in squadra, e in 
                  campo internazionale. L'Austria Vienna si aggiudicò, 
                  infatti, per due volte, nel 1933 e nel 1936, la Mitropa Cup, 
                  la prima competizione europea per squadre di club, cui partecipavano 
                  le migliori formazioni dei campionati dei paesi dell'Europa 
                  centrale, Italia compresa. Dopo aver eliminato in semifinale 
                  la Juventus di Carcano, vincendo 3-0 a Vienna con due goal di 
                  Sindelar, e pareggiando 1-1 a Torino, nel 1933 i viennesi batterono 
                  in finale l'Inter di Weisz, vincendo a Vienna per 3 a 1, con 
                  tre goal di Sindelar, dopo aver perso per 2 a 1 all'Arena. Sindelar 
                  vinse ancora il duello con Meazza, autore di due goal, uno a 
                  Milano e uno a Vienna. Nel 1936, invece, dopo aver eliminato 
                  il Bologna di Weisz negli ottavi di finale, batterono in finale 
                  lo Sparta Praga, vincendo per 1-0 a Praga, dopo aver pareggiato 
                  0-0 a Vienna. 
                  La popolarità di Sindelar divenne tale che fu uno dei 
                  primi calciatori, se non il primo, a essere scelto come testimonial 
                  per pubblicizzare articoli quali gli orologi Gruen, gli abiti 
                  Jawo, i cappotti Tlapak e i prodotti caseari delle fattorie 
                  Enden. Grazie a quest'ultima campagna pubblicitaria Sindelar 
                  divenne ampiamente noto anche al di fuori della cerchia degli 
                  appassionati di calcio: Vienna si riempì di enormi cartelloni 
                  su cui campeggiava il suo volto. Grazie a questi contratti, 
                  Sindelar si affrancò definitivamente dalle ristrettezze 
                  economiche che avevano segnato la sua infanzia, che il professionismo 
                  gli aveva permesso di superare in modo ancora provvisorio.
                 
                   
                       | 
                   
                   
                    |   Il 
                        Wunderteam. Da sinistra a destra - In piedi: Schramseis, 
                        Nausch, Hofmann, Zischek, Sindelar, Braun, Schall, Vogel. 
                        Accosciati: Gschweidl, Hiden, Blum 
                        (Foto: Lothar Rübelt)  | 
                   
                 
                   Uno 
                  stato troppo piccolo e debole 
                  Stante il permanente rifiuto delle nazionali anglosassoni 
                  di prendere parte alle competizioni internazionali, l'Austria 
                  si presentava quale netta favorita alla seconda edizione dei 
                  mondiali di calcio, che si sarebbe disputata dal 27 maggio al 
                  10 giugno del 1934 in Italia. Ma il paese stava attraversando 
                  uno dei momenti più turbolenti della sua breve storia. 
                  Nel settembre del 1933, il cancelliere Engelbert Dollfuss, salito 
                  al potere nel maggio del 1932 alla guida di una coalizione imperniata 
                  sul partito di orientamento conservatore dei cristiano-sociali, 
                  aveva sciolto il parlamento e messo fuori legge tutti i partiti 
                  politici, assumendo poteri dittatoriali e imponendo una nuova 
                  costituzione che adottava un modello di stato corporativo – 
                  in cui era ammesso un solo partito, il Fronte patriottico da 
                  lui fondato nel 1933 riunendo tutti i partiti conservatori – 
                  ispirato al regime fascista di Benito Mussolini, che nell'agosto 
                  si era reso garante dell'indipendenza austriaca nel corso di 
                  un vertice tra i due paesi svoltosi a Riccione. L'avvento al 
                  potere di Hitler in Germania, infatti, aveva ulteriormente esasperato 
                  i conflitti e le lacerazioni interne alla Repubblica austriaca, 
                  mutando di segno la prospettiva pangermanica, che ne aveva a 
                  lungo caratterizzato il dibattito interno. 
                  All'indomani della Prima guerra mondiale, il nuovo stato austriaco 
                  era parso subito troppo piccolo e debole economicamente, privato 
                  del retroterra imperiale. Si erano, perciò, formate forti 
                  correnti politiche in tutti gli schieramenti che proponevano 
                  una riunificazione con la Repubblica tedesca, dove pure la prospettiva 
                  era vista favorevolmente, anche all'interno della Spd, nonostante 
                  l'unificazione fosse stata esplicitamente vietata dai trattati 
                  di Saint-Germain-en-Laye, che regolavano le condizioni dello 
                  smembramento dell'Impero austro-ungarico tra le potenze vincitrici 
                  e la Repubblica austriaca. Il vincolo internazionale risultò 
                  alla fine insormontabile, e d'altra parte, dopo le elezioni 
                  dell'ottobre del 1920, la vita politica austriaca si era ben 
                  presto polarizzata, con effetti di latente guerra civile, intorno 
                  allo scontro tra i socialdemocratici – partito di maggioranza 
                  relativa con una forza elettorale che si aggirava intorno al 
                  42%, dotato di una solida struttura organizzativa e di un impianto 
                  ideologico così radicale da impedire la nascita di un 
                  significativo partito comunista, e saldamente radicati a Vienna, 
                  che governarono ininterrottamente con risultati significativi 
                  fino al 1934 – e la coalizione dei partiti nazionalisti 
                  e conservatori, radicati nelle campagne, in modo particolare 
                  il partito cattolico dei cristiano-sociali, che alleandosi riuscirono 
                  a governare, invece, il paese. La crisi economica determinata 
                  dal crollo della borsa di Wall Street nel 1929, e che investì 
                  con particolare virulenza l'Austria, contribuì a esasperare 
                  ulteriormente lo scontro, che venne innervato da nuove tensioni 
                  dopo l'affermazione e il consolidamento del regime nazista in 
                  Germania seguito alla nomina di Hitler a cancelliere il 30 gennaio 
                  1933. Sostenendo massicciamente il partito nazista austriaco 
                  e premendo sugli assetti internazionali man mano che il suo 
                  regime acquisiva stabilità, Hitler reintrodusse il tema 
                  della riunificazione tra Austria e Germania tanto nel dibattito 
                  interno austriaco, quanto nello scenario europeo. Ma era chiaro 
                  a tutti che quella riunificazione somigliava sinistramente a 
                  una annessione, anzi apparve sempre più chiaro che si 
                  trattava solo del primo passo verso una politica estera estremamente 
                  aggressiva, che non si sarebbe certo accontentata di riportare 
                  all'interno dei confini del Reich la nazione tedesca sparsa 
                  in diversi stati. 
                  I socialdemocratici, fino ad allora favorevoli alla riunificazione, 
                  come il partito tedesco, nel quadro delle comuni istituzioni 
                  liberaldemocratiche e federali, divennero, naturalmente, fieramente 
                  ostili all'Anschluss. Ed anche Dollfuss capì che 
                  la prospettiva di annessione avrebbe tolto all'Austria ogni 
                  tipo di autonomia e di spazio di manovra. Perciò cercò 
                  la protezione italiana, che risultò decisiva anche nel 
                  sostenere l'involuzione autoritaria del regime austriaco. Si 
                  arrivò, quindi, allo scontro finale. Le reazioni della 
                  Spö ai provvedimenti del cancelliere del settembre del 
                  1933 diventarono il pretesto per aggredire i quartieri operai 
                  di Vienna, dove era nato e abitava anche Sindelar, vanto dell'amministrazione 
                  socialdemocratica. Il 12 febbraio 1934 una forza di diciassettemila 
                  uomini composta da reparti dell'esercito, della polizia e delle 
                  milizie fasciste della Heimwehr attaccò a colpi di artiglieria 
                  le case del quartiere. In quattro giorni di battaglia vennero 
                  uccise mille persone, anche donne e bambini, e ferite circa 
                  quattromila, nonostante la resistenza opposta dallo Schutzbund, 
                  la milizia armata del partito. 
                  L'instabilità politica e la grave crisi economica misero 
                  in forse la partecipazione ai mondiali della nazionale di calcio. 
                  Il campionato si era svolto tra grandi difficoltà, finendo 
                  con largo ritardo e molti calciatori non furono in grado di 
                  rispondere alla convocazione. La Federazione era ormai ridotta 
                  alla bancarotta e riuscì ad allestire una spedizione 
                  di fortuna, rinunciando a molti componenti della staff di Meisl. 
                  Ciononostante, il Wunderteam, dopo aver eliminato la 
                  Francia negli ottavi di finale e l'Ungheria di Sárosi 
                  nei quarti, arrivò in semifinale dove si trovò 
                  a dover affrontare i padroni di casa dell'Italia. L'amichevole 
                  svoltasi a Torino nel febbraio si era risolta con la chiara 
                  vittoria dell'Austria, pur priva di Sindelar, per 4 a 2. Ma 
                  il regime aveva investito molto sull'evento. Già l'eliminazione 
                  della Spagna nei quarti di finale aveva sollevato più 
                  di un dubbio. La partita era terminata 1 a 1 dopo i tempi supplementari. 
                  Ferrari aveva pareggiato allo scadere, ribattendo in rete la 
                  palla persa da Zamora, autore di una prestazione all'altezza 
                  della sua straordinaria fama, caricato irregolarmente da Schiavio. 
                  L'arbitro convalidò ugualmente. La partita venne rigiocata 
                  il giorno dopo, come imponeva il regolamento di allora, ma misteriosamente 
                  Zamora non venne schierato tra i pali. È quasi certo 
                  che intervenne Mussolini in persona per convincere gli spagnoli 
                  a rinunciare al grande portiere. L'Italia vinse con un goal, 
                  anch'esso dubbio, di Meazza, che si appoggiò platealmente 
                  sulle spalle di Guaita. Al rientro in patria, lo svizzero Mercet, 
                  arbitro della seconda partita, venne sospeso dalla federazione 
                  elvetica per l'evidente parzialità dell'arbitraggio, 
                  che aveva sollevato critiche in tutta Europa e gettato discredito 
                  sul calcio svizzero nel suo complesso. 
                  La semifinale venne disputata il 3 giugno del 1934 allo stadio 
                  di San Siro. Su un terreno fangoso, la pesante fisicità 
                  degli azzurri, tollerata dall'arbitro, lo svedese Eklind, si 
                  impose sulla tecnica degli austriaci. Controversa anche in questo 
                  caso l'azione del goal che risolse la partita. Al 19' del primo 
                  tempo Meazza carica irregolarmente il portiere austriaco Platzer, 
                  che perde la palla; raccoglie Guaita, probabilmente in fuorigioco, 
                  e segna da due passi. Sindelar era stato marcato duramente da 
                  Luisito Monti, il centr'half della Juventus di Carcano, 
                  che non aveva rinunciato a nessun mezzo pur di fermare il campione 
                  austriaco, che al termine della partita dovrà ricorrere 
                  alle cure dei medici di una clinica ortopedica di Milano. La 
                  rivalità tra i due caratterizzò il calcio degli 
                  anni trenta, come ebbe a ricordare Vittorio Pozzo nel necrologio 
                  che scrisse in morte di Sindelar su “Stampa sera“ 
                  il 26 gennaio 1939. Tanto era tecnico ed elegante l'uno, quanto 
                  era potente e grezzo l'altro, che non riusciva a sopportare 
                  i fraseggi e gli svolazzi dell'austriaco. Nel corso della semifinale 
                  della Mitropa Cup persa dalla Juventus a Vienna, innervosito 
                  oltre misura da un avversario quel pomeriggio anche più 
                  imprendibile del solito, Monti aveva finito per farsi espellere 
                  dopo un brutto fallo a gioco fermo. La domenica successiva, 
                  a Roma nello Stadio nazionale del Partito nazionale fascista, 
                  che sorgeva nell'area ora occupata dallo stadio Flaminio, l'Italia 
                  vinse la finale contro la Cecoslovacchia per 2 a 1, con un goal 
                  di Schiavio ai supplementari. Il giovedì gli austriaci, 
                  senza Sindelar e delusi per non aver avuto la possibilità 
                  di battersi alla pari contro i padroni di casa, avevano perso 
                  la finale per il terzo e quarto posto per 3 a 1 contro la Germania. 
                  L'Italia era senz'altro una grande squadra, piena di campioni, 
                  ma il gioco era evidentemente truccato: il regime voleva una 
                  vittoria di prestigio e la ottenne utilizzando qualsiasi mezzo. 
                  Negli anni seguenti le partite tra le due nazionali divennero 
                  scontri carichi di tensione, tanto che tre anni dopo a Vienna 
                  la partita valida per la Coppa Internazionale venne interrotta 
                  al 74' dall'arbitro, lo svedese Olsson, che non riusciva più 
                  a gestire il gioco eccessivamente violento praticato in campo, 
                  con colpi proibiti che volavano da entrambe le parti, mentre 
                  l'Austria si trovava in vantaggio per 2 a 0. Curiosamente quell'incontro 
                  divide ancora oggi le due federazioni: nelle statistiche ufficiali 
                  di quella austriaca la partita è conteggiata come vinta, 
                  in quelle italiane come non disputata.
                 
                   
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                    |   Sindelar 
                        in una campagna pubblicitaria  | 
                   
                 
                  
                    Una 
                  strada ormai segnata 
                  L'involuzione autoritaria impressa da Dollfuss non era riuscita 
                  a stabilizzare la situazione all'interno dello stato austriaco. 
                  Anzi, la soppressione delle libertà politiche e l'estromissione 
                  del partito socialdemocratico dall'arena parlamentare favorirono 
                  di fatto l'affermazione senza nessuna mediazione della questione 
                  dell'Anschluss, nei termini posti da Hitler, al centro 
                  della vita politica austriaca. Il 25 luglio 1934, il partito 
                  nazionalsocialista austriaco, attivamente spalleggiato dai tedeschi, 
                  tentò un colpo di stato, assassinando il cancelliere 
                  Dollfuss e insediando un governo nazista, chiaro prologo alla 
                  riunificazione. Mussolini reagì mobilitando l'esercito, 
                  che presidiò in forze i confini del Brennero e della 
                  Carinzia. Temeva molto di dover condividere i confini con la 
                  Germania nazista, tanto più che si sarebbe certamente 
                  subito creata una questione altoatesina. L'affinità ideologica 
                  non aveva ancora fatto premio sulle logiche geopolitiche; e, 
                  inoltre, Mussolini era ancora convinto che l'Italia potesse 
                  giocare un ruolo di grande potenza sullo scenario internazionale. 
                  Sappiamo tutti come è finita. L'appoggio italiano permise 
                  al Fronte patriottico di riprendere il controllo del governo, 
                  che venne affidato a von Schuschnigg, già ministro della 
                  giustizia nel primo governo Dollfuss, che represse sanguinosamente 
                  i disordini. A quel punto Hitler, che non aveva ancora consolidato 
                  compiutamente il suo potere all'interno della Germania e che 
                  non si era ancora dotato di una sufficiente forza militare, 
                  si trovò costretto a condannare pubblicamente l'assassinio 
                  di Dollfuss, dichiarandosene completamente estraneo. 
                  Ma la strada era ormai segnata. Mussolini si sfilò rapidamente, 
                  man mano che il regime di Hitler conquistava il centro della 
                  scena internazionale, pensando prudentemente di entrare nella 
                  sua orbita e von Schuschnigg non poté far altro che consegnarsi 
                  all'abbraccio mortale della Germania nazista. Il 12 febbraio 
                  1938, nel corso di un vertice a Berchtesgaden organizzato con 
                  qualche margine di ambiguità dall'ambasciatore tedesco 
                  a Vienna von Papen, firmò un accordo che prevedeva l'abrogazione 
                  della norma che aveva messo fuori legge il partito nazionalsocialista 
                  austriaco, la liberazione di tutti i suoi militanti ancora in 
                  prigione, la nomina dei filo-nazisti Seyss-Inquart a capo del 
                  ministero dell'Interno, Glaise-Horstenau della Guerra, che avrebbe 
                  dovuto provvedere a integrare i due eserciti, e Fischböck 
                  delle Finanze, che avrebbe dovuto provvedere all'inserimento 
                  del sistema economico austriaco in quello tedesco. Il 9 marzo 
                  il cancelliere tentò una mossa disperata, indicendo per 
                  la domenica successiva, 13 marzo, un plebiscito, chiedendo alla 
                  popolazione di esprimersi con un sì o con un no sull'annessione 
                  alla Germania, annessione che giorno per giorno stava avvenendo 
                  nei fatti, con la regia di Seyss-Inquart. Chiese anche l'appoggio 
                  dei socialdemocratici, liberando dalle prigioni i militanti 
                  e permettendo la ricostituzione legale del partito. E lo ottenne 
                  in nome dell'opposizione frontale al nazismo, che in quel momento 
                  coincideva con la salvaguardia dell'indipendenza austriaca. 
                  Ma questa svolta politica arrivava troppo tardi. Compiuta qualche 
                  anno prima, avrebbe sicuramente impedito la deriva nazista, 
                  ma il terreno d'intesa avrebbero dovuto essere le istituzioni 
                  liberali. Ma von Schuschnigg era il tipico esponente delle classi 
                  dirigenti conservatrici dell'Europa tra le due guerre, che pensavano 
                  che la soluzione del problema storico dell'integrazione delle 
                  classi popolari nella nascente società di massa doveva 
                  passare attraverso la costruzione di regimi autoritari a partito 
                  unico, nutrendo profonda diffidenza e autentico disprezzo per 
                  i modelli democratici occidentali. Hitler reagì ordinando 
                  movimenti di truppe alla frontiera, comunicando contemporaneamente 
                  al cancelliere, tramite Seyss-Inquart, che il plebiscito doveva 
                  essere assolutamente annullato. Von Schuschnigg si piegò, 
                  avendo constatato che ormai la polizia e l'esercito erano stati 
                  ampiamente infiltrati dai nazisti. Ottenuto questo successo, 
                  Hitler rilanciò subito, secondo quella che era una sua 
                  tipica caratteristica, chiedendo le dimissioni del cancelliere 
                  e la nomina al suo posto di Seyss-Inquart. Questi avrebbe dovuto 
                  inviare un telegramma a Berlino chiedendo l'intervento tedesco 
                  per sedare i disordini che minacciavano la sicurezza della capitale. 
                  Disordini, inutile dire, inesistenti. Von Schuschnigg si piegò 
                  nuovamente, ma il presidente della repubblica Miklas si rifiutò 
                  di nominare Seyss-Inquart, che assunse comunque il potere a 
                  capo di un governo provvisorio e chiese l'intervento tedesco, 
                  mentre con un ultimo sussulto di dignità von Schuschnigg 
                  tenne un nobile discorso alla radio, in cui rendeva nota la 
                  natura della minaccia tedesca, smascherando la menzogna con 
                  cui Hitler aveva cercato di giustificare il suo intervento. 
                  Così il 12 marzo le truppe tedesche entrarono a Vienna. 
                  L'Austria venne cancellata dalle carte geografiche, diventando 
                  il giorno dopo l'Ostmark. Qualche mese dopo, anche questo 
                  barlume di identità venne dissolto e la nuova provincia 
                  venne smembrata in distretti amministrativi, ricalcati sui confini 
                  dei Länder storici. Mussolini fece sapere che l'Austria 
                  gli era «indifferente», mentre il premier inglese 
                  Chamberlain dichiarò alla Camera dei Comuni che una Germania 
                  più soddisfatta nella sua naturale sfera d'influenza 
                  sarebbe stata meno aggressiva nei confronti degli interessi 
                  fondamentali dell'Inghilterra e della Francia. Aggiungendo che 
                  la Gran Bretagna non avrebbe garantito l'indipendenza della 
                  Cecoslovacchia. Le porte per il patto di Monaco erano aperte. 
                  Poi sarebbe toccato alla Polonia.
                 
                   
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                        Marzo 1938 - La prima pagina del Los Angeles Times  | 
                   
                 
                   L'ultima 
                  volta della nazionale austriaca 
                  Tra le conseguenze dell'Anschluss ci fu anche lo scioglimento 
                  della federazione di calcio austriaca, che venne inglobata in 
                  quella tedesca. Il campionato austriaco venne soppresso e annesso 
                  a quello tedesco, attraverso la creazione di un girone denominato 
                  dell'Ostmark, che si disputava all'italiana con partite di andata 
                  e ritorno, la cui vincitrice era ammessa al campionato nazionale 
                  tedesco. L'unica squadra austriaca a fregiarsi del titolo tedesco 
                  fu nel campionato 1940-41 il Rapid Vienna, che detiene, così, 
                  il singolare record di aver vinto il campionato di due nazioni 
                  differenti. Val forse la pena ricordare che tra il 1934 e il 
                  1942 lo Schalke 04, la squadra per cui faceva il tifo Hitler, 
                  vinse sei dei suoi sette scudetti. Anche nelle squadre austriache 
                  venne proibito il professionismo, che i nazisti consideravano 
                  un segno di decadenza dello sport, parte della congiura materialista 
                  ebraica tesa a fiaccare lo spirito ariano; ma solo dopo i mondiali 
                  del 1938, per non compromettere l'impegno dei calciatori austriaci 
                  selezionati per la nazionale. 
                  E, naturalmente, venne sciolta anche la nazionale austriaca. 
                  Terminò così l'epopea del Wunderteam, che 
                  non ebbe la possibilità di sigillare con la vittoria 
                  ai mondiali del 1938 la sua straordinaria parabola. Il 5 ottobre 
                  1937, battendo a Vienna la Lettonia per 2 a 1 l'Austria si era 
                  assicurata la qualificazione alla fase finale che si sarebbe 
                  disputata in Francia dal 4 al 19 giugno 1938. Ma il 5 giugno, 
                  allo Stade de Gerland di Lione la Svezia non trovò nessun 
                  avversario, accedendo automaticamente ai quarti di finale. 
                  Ma prima che fosse posto mano allo scioglimento definitivo, 
                  i gerarchi nazisti pensarono di poter impiegare utilmente per 
                  un'ultima volta la nazionale di calcio austriaca. Hitler aveva 
                  deciso di sottoporre l'Anschluss al giudizio popolare, 
                  soprattutto per fronteggiare le critiche dell'opinione pubblica 
                  internazionale, che pure disprezzava, ma non era ancora in grado 
                  di ignorare, fissando per il 10 aprile un plebiscito su tutto 
                  il territorio nazionale. Così, il ministro della propaganda 
                  Goebbels, che significativamente aveva lo sport tra le sue competenze, 
                  si diede da fare per organizzare al Prater di Vienna una partita 
                  di calcio amichevole tra le nazionali dell'Austria e della Germania, 
                  anzi tra la selezione dell'Ostmark e la selezione dell'Altreich, 
                  per suggellare l'amicizia tra i due popoli. Hugo Meisl era morto 
                  l'anno prima, il 17 febbraio 1937, e la responsabilità 
                  della scelta di accettare la sfida venne delegata da dirigenti 
                  e compagni a Sindelar. Molti calciatori spingevano per giocare, 
                  perché sarebbe stato il selezionatore della nazionale 
                  tedesca Sepp Herberger a decidere chi di loro sarebbe stato 
                  convocato in nazionale per i mondiali francesi. Sindelar era 
                  d'accordo. Anche se aveva in mente qualcos'altro. 
                  Le due squadre avevano la stessa divisa ufficiale, maglia bianca 
                  e pantaloncini neri, ma allora toccava alla squadra di casa 
                  indossare la seconda divisa, per dovere di ospitalità. 
                  Così il pomeriggio di domenica 3 aprile 1938 gli austriaci 
                  scesero in campo agli ordini dell'arbitro tedesco Alfred Birlem 
                  con una fiammante maglia rossa, che abbinata ai pantaloncini 
                  bianchi e ai calzettoni rossi riproduceva la bandiera nazionale. 
                  In avvio i tedeschi tentarono di imporre la loro potenza atletica, 
                  ma ben presto gli austriaci presero in mano le redini del gioco. 
                  Iniziò allora uno sconcertante balletto dalle parti del 
                  portiere tedesco Jakob: agli ordini di Sindelar, gli austriaci, 
                  dopo aver saltato i difensori avversari, rinunciavano ostentatamente 
                  a segnare, volgendo sguardi di sfida verso la tribuna delle 
                  autorità, dove stava seduto von Tschammer und Osten, 
                  nominato da Hitler Commissario del Reich per gli sport, dopo 
                  aver guidato l'organizzazione delle Olimpiadi di Berlino. I 
                  tifosi austriaci ci misero poco a capire cosa stava succedendo: 
                  il Wunderteam stava irridendo i tedeschi, che con la 
                  forza stavano sovvertendo i valori sportivi, cancellando i migliori. 
                  Finché, al 17' del secondo tempo Sindelar lasciò 
                  partire un tiro “alla Sindelar“, infilando la palla 
                  nell'angolino della porta difesa da Jakob. Quindi inscenò 
                  un per lui del tutto inedito balletto di gioia sotto la tribuna 
                  dei gerarchi, tra le risa divertite del pubblico. Qualche minuto 
                  dopo, il terzino Schasti Sesta raddoppiò con una sassata 
                  da cinquanta metri. Lo stadio si riempì di bandiere austriache 
                  saltate fuori da chissà dove, la gente era esaltata e 
                  per un momento credette di dimenticare cosa stava davvero succedendo. 
                  La sconfitta urtò non poco i tedeschi, tuttavia il senso 
                  dell'operazione era contenuto nella cerimonia finale. Le due 
                  squadre sfilarono insieme, come previsto dal copione di Leni 
                  Riefenstahl che stava riprendendo la partita; quindi si misero 
                  sull'attenti davanti alle autorità e al comando di von 
                  Tschammer und Osten scattarono nel saluto nazista. Due calciatori, 
                  però rimasero impassibili, con le braccia ostentatamente 
                  lungo i fianchi: Matthias Sindelar e il suo grande amico Schasti 
                  Sesta, il cui padre era stato arrestato insieme ai suoi compagni 
                  socialdemocratici nel 1934. Von Tschammer und Osten se ne andò 
                  infuriato, Leni Riefenstahl dovette tagliare qualche metro di 
                  pellicola, mentre la notizia si sparse per Vienna, nonostante 
                  la censura della radiocronaca. Per una settimana, Sindelar divenne 
                  il simbolo dell'Austria che non voleva morire. Ma la realtà 
                  non avrebbe tardato a reclamare le sue ragioni. Il 10 aprile 
                  i sì all'Anschluss furono il 99,08% nella Grande 
                  Germania nel suo complesso e il 99,75% in Austria.
                 
                   
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                    |   12 Marzo 1938 - Anschluss / annessione 
                  dell'Austria. Nella foto l'esercito tedesco a Salisburgo  | 
                   
                 
                   Un 
                  orgoglioso rifiuto 
                  La mattina dopo Sepp Herberger si recò a casa di Sindelar 
                  per proporgli la convocazione in Nazionale. Herberger era uomo 
                  di sport – ma si può essere solo uomini di sport 
                  quando il mondo intorno sta bruciando? – e aveva bisogno 
                  del centravanti austriaco per vincere i mondiali. La sua era 
                  una buona squadra, atleticamente preparata, ma povera di tecnica 
                  e di fantasia. Il rifiuto opposto da Sindelar fu netto. Addusse 
                  come giustificazione i ripetuti problemi al ginocchio e l'età 
                  che ormai gli rendeva difficile recuperare in una competizione 
                  serrata come il campionato mondiale, dove si giocava ogni due 
                  o tre giorni. Ma a nessuno, tantomeno ai tedeschi, sfuggì 
                  che i motivi del rifiuto erano ben altri. In un intervista rilasciata 
                  nel dopoguerra, Herberger – che attraversò indenne 
                  il nazismo, allenando ininterrottamente la nazionale tedesca 
                  fino al 1964, vincendo clamorosamente i mondiali del 1954 battendo 
                  in finale a Berna la grande Ungheria di Puskás – 
                  riferì, ancora incredulo dal suo punto di vista, che 
                  Sindelar decise secondo criteri estranei a valutazioni sportive. 
                  Non riusciva a capire come un calciatore poteva rinunciare a 
                  diventare campione del mondo, raggiungendo la giusta consacrazione 
                  di una carriera straordinaria, per questioni che non avevano 
                  niente a che fare con il calcio e con lo sport. Per inciso, 
                  la spedizione francese della squadra tedesca fu un disastro. 
                  Accolti da urla e fischi fin dal loro arrivo in albergo, i tedeschi 
                  vennero eliminati al primo turno dalla Svizzera di Karl Rappan, 
                  l'inventore del verrou, il nonno del catenaccio. Andati 
                  in vantaggio al 29', i tedeschi erano stati raggiunti allo scadere 
                  del primo tempo, senza più riuscire a superare la difesa 
                  elvetica. La ripetizione della partita avvenne sempre al Parco 
                  dei Principi di Parigi cinque giorni dopo, esaurite tutte le 
                  partite degli ottavi di finale. Al momento del saluto nazista 
                  della squadra tedesca volò in campo di tutto, così 
                  come succederà prima delle partite degli azzurri al momento 
                  del saluto fascista. I tedeschi si portarono in vantaggio per 
                  due a zero, grazie a un'autorete, al 22' del primo tempo. Ma 
                  gli svizzeri, prima accorciarono le distanze, ancora allo scadere 
                  del primo tempo, quindi raggiunsero nuovamente il pareggio al 
                  64', schiantando, infine, gli avversari grazie a una doppietta 
                  del centravanti del Ginevra Servette André Abegglen. 
                  4 a 2 tra le urla di scherno del pubblico. Due anni dopo, i 
                  tedeschi sarebbero tornati a Parigi, ma questa volta ricacciarli 
                  sarebbe costato sangue e sofferenze atroci. 
                  Matthias Sindelar venne trovato morto nel suo appartamento accanto 
                  alla sua compagna, l'ebrea italiana Camilla Castagnola, la mattina 
                  del 23 gennaio 1939. Avrebbe compiuto trentasei anni pochi giorni 
                  dopo. Dei suoi ultimi mesi di vita si sa molto poco. Le uniche 
                  certezze riguardano la sua carriera sportiva, le cui informazioni 
                  si possono ricavare dallo spoglio dei quotidiani e dalle statistiche 
                  ufficiali della sua squadra e della federazione austriaca. Sindelar 
                  partecipò con l'Austria Vienna – per qualche mese 
                  Sportclub Ostmark, fino a che le proteste dei tifosi imposero 
                  nel luglio del 1938 il ritorno al nome originale – al 
                  girone austriaco del campionato tedesco, giocando l'ultima partita 
                  il giorno di Santo Stefano a Berlino contro l'Hertha, segnando 
                  il goal del 2 a 2 finale. Il suo ultimo goal. Per il resto si 
                  rincorrono troppe versioni difficilmente verificabili, perlopiù 
                  basate su testimonianze raccolte, anche a molta distanza dai 
                  fatti, da giornalisti sportivi, poco sensibili alle regole storiografiche 
                  sull'uso delle fonti, o affidate a ricostruzioni che hanno subìto 
                  troppi passaggi per essere pienamente attendibili. 
                  Così, l'identità di Camilla e le circostanze in 
                  cui Matthias la conobbe – suggestiva e delicata la versione 
                  che tratteggia Nello Governato nel suo La partita dell'addio, 
                  ma per sua stessa ammissione basata su ipotesi e adattata alla 
                  costruzione narrativa del suo romanzo – sfuggono a una 
                  collocazione precisa. Allo stesso modo è molto verosimile 
                  che la Gestapo avesse aperto un fascicolo su di lui e lo stesse 
                  seguendo, così come le sue simpatie socialdemocratiche 
                  – tutta la sua biografia sembra indicare questa direzione 
                  – sono quasi certe, ma anche in questi casi nessuno ha 
                  prodotto un riscontro definitivo. È, invece, quasi sicuro 
                  che Sindelar non fosse ebreo, mentre è solo probabile 
                  che la voce che lo fosse venne fatta circolare ad arte dalla 
                  Gestapo. 
                  Ma, in fondo, importa poco. Sarebbe certamente opportuno che 
                  qualcuno cercasse con cognizione di causa di fissare con precisione 
                  quanto avvenuto per chiarire fino in fondo i contorni di una 
                  vicenda così significativa. Ma questo lavoro, pur doveroso 
                  e indispensabile, non aggiungerebbe nulla alla grandezza del 
                  gesto di Sindelar. Per chi vuole vedere, il suo significato 
                  è di una eloquenza evidente. 
                 
                   
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                    |   La tomba di Matthias Sindelar  | 
                   
                 
                  Lo 
                  spirito dei tempi 
  Sappiamo, però, per certo che Sindelar difese pubblicamente 
                  Michl Schwarz, quando venne allontanato dalla presidenza dell'Austria 
                  Vienna. Tra i primi provvedimenti presi riguardo al calcio austriaco 
                  c'era anche – e come poteva mancare – l'allontanamento 
                  di tutti i dirigenti e i calciatori ritenuti ebrei. Al termine 
                  di una partita dell'Austria Vienna, un gruppetto di militanti 
                  del partito nazista si era avvicinato mentre Schwarz e Sindelar 
                  stavano conversando sulla porta degli spogliatoi, urlando minacciosamente 
                  che era proibito parlare e salutare «un porco e ricco 
                  ebreo». Sindelar – su questo, invece, abbiamo molte 
                  concordanti e inoppugnabili testimonianze – rispose: «Ogni 
                  volta che avrò la fortuna di incontrarla, signor presidente, 
                  le dirò sempre buongiorno», chiudendo la questione. 
                  Schwarz riuscì, poi, a fuggire a Zurigo e al termine 
                  della guerra riassunse la presidenza dell'Austria Vienna, che 
                  mantenne fino al 1955. Morirà novantenne nel 1968. 
                  Anche le circostanze in cui avvenne la morte di Sindelar restano 
                  avvolte nel mistero. La versione ufficiale parla di avvelenamento 
                  da monossido di carbonio, dovuto al cattivo funzionamento della 
                  stufa che riscaldava l'appartamento. Un incidente molto comune 
                  all'epoca, specie nel quartiere dove era rimasto a vivere Sindelar. 
                  Camilla gli sopravvisse tre giorni, senza mai riprendere conoscenza. 
                  Ma restano molte zone d'ombra. Intanto, i corpi vennero ritrovati 
                  dalla Gestapo, che gestì tutta l'operazione, fatto del 
                  tutto inusuale ed è proprio difficile pensare a un caso 
                  fortuito. Non venne ordinata l'autopsia, né sembra sia 
                  stata ordinata un'inchiesta, né venne mai trovato l'eventuale 
                  fascicolo relativo, nemmeno nel dopoguerra. D'altra parte nel 
                  caos delle convulse fasi della liberazione molti documenti andarono 
                  perduti; inoltre i sovietici restarono a Vienna fino al 1955, 
                  quando l'Austria venne neutralizzata e restituita alla propria 
                  sovranità, e le ragioni della guerra fredda si sovrapposero 
                  alle ragioni della storia degli anni trenta. Troppe cose non 
                  erano funzionali ai nuovi scenari. L'unica autorità esterna 
                  che la Gestapo ammise nell'appartamento di Sindelar fu una squadra 
                  di vigili del fuoco, che riferirono di non avere sentito odore 
                  di gas, né di aver riscontrato difetti di funzionamento 
                  della stufa, ma non furono autorizzati a stendere un referto. 
                  E da ultimo, i corpi di Matthias e Camilla vennero immediatamente 
                  cremati dopo le esequie, impedendo per sempre qualsiasi riscontro. 
                  La notizia si sparse subito per la città. Nessuno ebbe 
                  dubbi sul fatto che Sindelar fosse stato assassinato dalla Gestapo, 
                  ed è difficile pensare il contrario. Anche la tesi del 
                  suicidio, che pure ancora oggi è molto accreditata, sia 
                  nella versione dell'uomo depresso e sconfitto che ha visto crollare 
                  il suo mondo, politico e sportivo, sia nella versione dell'eroe 
                  romantico che compie l'ultimo gesto di rivolta, sembra avere 
                  poca consistenza. Nell'un caso e nell'altro sembra mal combinarsi 
                  con la biografia di Sindelar e con il suo modo di essere. 
                  L'amministrazione nazista di Vienna cercò di imporre 
                  funerali in forma strettamente privata, ma ben presto arrivarono 
                  alla sede dell'Austria Vienna oltre quindicimila telegrammi, 
                  che resero impossibile impedire lo svolgimento di una cerimonia 
                  pubblica. Qualche giorno dopo, oltre quarantamila viennesi accompagnarono 
                  il feretro di Matthias allo Zentralfriedhof, il cimitero centrale 
                  di Vienna. Da allora ogni 23 gennaio sulla sua tomba continua 
                  a raccogliersi una piccola folla di tifosi e gente comune, anche 
                  dopo che i suoi compagni e quelli che l'hanno conosciuto se 
                  ne sono andati, per ricordare il grande campione che non si 
                  dimenticò di essere un uomo. 
                  Sindelar, però, non è diventato un simbolo, perché 
                  non rispecchiava lo spirito dei tempi. Nell'Europa tra le due 
                  guerre – e credo ancora oggi – la tranquilla determinazione 
                  di chi pensa di dover rispondere prima di tutto a se stesso, 
                  alla propria struttura morale, al proprio modo di essere quali 
                  che siano le condizioni che regolano la vita pubblica, non era 
                  per nulla un atteggiamento diffuso. E comportamenti come quelli 
                  di Sindelar inquietano perché ricordano a tutti che non 
                  esistono strade obbligate, che è sempre possibile reagire 
                  alla prepotenza e all'ignoranza. Né la retorica della 
                  lotta resistenziale vale a riscattare le viltà e i piccoli 
                  interessi che permisero l'ascesa di Hitler. I vibranti discorsi 
                  di Winston Churchill alla Camera dei Comuni – cui pure 
                  ogni europeo dovrà per sempre eterna riconoscenza – 
                  non riusciranno mai a far dimenticare l'ignavia di una intera 
                  generazione e a cancellare il senso di desolazione che ci stringe 
                  lo stomaco quando rileggiamo i discorsi che nella stessa aula 
                  pronunciò Neville Chamberlain. 
                  Ma c'è dell'altro. Matthias Sindelar, pur essendo stato 
                  uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi, stenta 
                  a essere ricordato come tale. Ha infranto il dogma che il calcio 
                  è un mondo che basta a se stesso, che chi ci si dedica 
                  deve dimenticarsi di quello che succede intorno a lui. Il fastidio 
                  per chi non ha pensato solo a segnare e giocare è così 
                  grande da aver rimosso i valori assoluti che il suo calcio ha 
                  rappresentato. Per cui, se vi capiterà di vedere su qualche 
                  campetto di periferia un ragazzino talentuoso infilare la palla 
                  all'incrocio dei pali con un morbido tiro a rientrare, vi prego, 
                  non ditegli più «tiri come Maradona», ma 
                  «tiri come Sindelar». Oltretutto farete la figura 
                  di chi il calcio lo conosce davvero. E augurategli di diventare 
                  un uomo retto e buono come lui. 
                    
                  Giovanni A. Cerutti 
                 Per saperne 
                  di più   
                  La figura di Matthias 
                  Sindelar è stata riportata al centro dell'attenzione 
                  in Italia dal bel romanzo di Nello Governato La partita dell'addio. 
                  Matthias Sindelar, il campione che non si piegò a Hitler, 
                  Mondadori, Milano 2007. 
                  Governato ha scelto di colmare le lacune sulla biografia di 
                  Sindelar attraverso la forma del romanzo, scelta che lo ha anche 
                  indotto ad adattare alcune circostanze alla costruzione dell'impianto 
                  narrativo. Il racconto è comunque coerente con i fatti 
                  storici e ha il suo punto di forza nella ricostruzione dall'interno 
                  dei meccanismi che regolano il mondo del calcio e nel disegno 
                  della psicologia di Sindelar. Governato è stato, infatti, 
                  un centrocampista di ottimo livello, a lungo colonna della Lazio.
                  Informazioni precise 
                  sulla carriera di Sindelar si trovano sulle pagine dedicate 
                  al centravanti austriaco e a Hugo Meisl dal sito ufficiale della 
                  Fifa, Fifa.com. Un accenno alla storia di Sindelar si trova 
                  anche nel libro di Simon Kuper Ajax, The Dutch, The War, 
                  Orion, London 2003. 
                  In occasione degli 
                  europei disputatisi in Austria e in Svizzera nel 2008 sono stati 
                  pubblicati numerosi articoli su Sindelar di valore diseguale. 
                  Tra quelli che ho consultato segnalo quello di Jonathan Wilson, 
                  Sindelar: the ballad of the tragic hero, pubblicato su 
                  “The Guardian“ il 3 aprile 2007, quello di Robin 
                  Stummer, The striker who snubbed Hitler, pubblicato sul 
                  “New Statesman“ il 12 giugno 2008 e quello di Simon 
                  Kuper Political Football: Matthias Sindelar, pubblicato 
                  su “Channel 4 News“ il 16 novembre 2007. 
                  Per la sintetica 
                  ricostruzione delle vicende dell'Anschluss e dell'Austria 
                  degli anni venti e trenta, ho fatto riferimento ai classici 
                  lavori di William L. Shirer, Storia del Terzo Reich, 
                  Einaudi, Torino 1962 (ed. or. The Rise and Fall of the Third 
                  Reich, Simon & Schuster, New York 1960), di Helmut Konrad 
                  Stadler, Austria, in Il fascismo in Europa, a 
                  cura di S. J. Woolf, Laterza, Roma-Bari 1968 e di Massimo L. 
                  Salvadori, Storia dell'età contemporanea dalla restaurazione 
                  all'eurocomunismo, Loescher, Torino 1977. 
                 
                 
                
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