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      autoproduzione 
                  
                Quando il biglietto del tram diventa un libro 
                  
                Intervista a Troglodita Tribe  
                di Claudia Vio 
                    
                Piccolo viaggio nel mondo dell'eco-editoria creativa, tra materiali di recupero, economie alternative, gioco e sperimentazione. 
				  
                   
                  A volte capita di abbandonare 
                  la retta via. Stiamo percorrendo la solita strada per l'ufficio, 
                  quella che ci è tanto familiare, con l'edicola all'angolo 
                  e il bar sotto i portici, quando qualcosa ci distrae. Un sonaglio 
                  misterioso che proviene da una laterale. Non ci eravamo mai 
                  accorti prima della sua esistenza. È una viuzza stretta, 
                  piena di colori. Si può percorrerla solo a piedi, come 
                  in un bazar. Si cammina sull'erba, sulle pietre, sulla stoffa, 
                  sulla carta straccia, sopra una corteccia o un pezzo di moquette 
                  recuperato dagli scarti; si può perfino camminare sull'acqua, 
                  come per effetto di un sortilegio. Avvertiamo, in fondo, l'eco 
                  di una sarabanda festosa. Irretiti da quella sirena ci scordiamo 
                  del cartellino da timbrare in ufficio, della città che 
                  ci gira intorno, di noi stessi. Così piombiamo in un 
                  mondo parallelo: quello dell'editoria casalinga, o editoria 
                  creativa, inventata dai Troglodita Tribe S.p.A.f. (Società 
                  per Azioni Felici) che da oltre una decina d'anni, nelle persone 
                  di Fabio e Lella, sta gettando lo scompiglio nell'universo della 
                  carta stampata. Nel loro covo sulle colline marchigiane i Troglodita 
                  trasformano i relitti dell'industria editoriale in baldanzose 
                  creature che sfidano i luoghi comuni e l'ordine costituito. 
                  Ci incontriamo in settembre a “Liber – i libri liberi”. 
                   
                  A Lella e Fabio chiedo di raccontarmi come gli è 
                  venuta in mente l'editoria casalinga... 
                
  “L'editoria casalinga è un po' come la ruota 
                  o la pastasciutta: non è che qualcuno le ha inventate... 
                  si tratta di scoperte che vengono dal basso, che premono creative 
                  e necessarie e si espandono con milioni di differenti variazioni 
                  sul tema. L'editoria casalinga, il pubblicare i propri testi 
                  da soli, in casa, l'autoprodurseli insomma, è una naturale 
                  propensione di tante, tantissime persone. Hai scritto qualcosa 
                  e desideri che altri la leggano, vuoi espandere un messaggio, 
                  una visione. Se non segui la strada indicata, se non cerchi 
                  il permesso di un editore, se hai abbandonato la vuota illusione 
                  di diventare famoso, allora scegli di autoprodurre il tuo testo. 
                  La nostra Eco-Editoria-Creativa è una di queste variazioni 
                  sul tema, una sorta di ibrido e consiste nel costruire un libro 
                  con materiali di scarto, nell'intervenire manualmente con strappi, 
                  collage, timbri, inserimenti di oggetti, piegature all'interno 
                  del testo in modo da interrompere la serialità che caratterizza 
                  una normale tiratura”. 
                   
                  I vostri libri esprimono una forte creatività. 
                  Ogni esemplare è diverso dall'altro e non è replicabile. 
                  Perché questa esaltazione della diversità?
                  “La diversità è ciò che ci distingue 
                  dalle macchine. Siamo tutti diversi e diverse e... da vicino 
                  nessuno è normale, nessuno è standardizzabile 
                  né replicabile. Immettere la diversità anche nei 
                  libri per noi significa renderli delle opere vive, degli oggetti 
                  che contengono l'energia di chi li ha creati. Il voler replicare 
                  per centinaia di migliaia di volte le proprie parole e le proprie 
                  storie è una sorta di malattia moderna, un delirio di 
                  onnipotenza molto antropocentrico. Come il voler passare alla 
                  storia, il voler diventare famosi e importanti. Tutto questo 
                  crea un appiattimento globale, una noia devastante che contagia 
                  tutto e tutti”.
                  
                
    Manipolare 
                  il paesaggio 
                  I materiali che utilizzate sono scarti della produzione 
                  industriale, dai cartoni alla carta da regalo, dagli scampoli 
                  di tappezzeria ai biglietti del tram. Date l'impressione di 
                  un mondo sottosopra. Cosa vi attrae nei materiali di scarto? 
                  
                  “Usare i materiali di scarto è un fatto che rende 
                  l'Eco-Editoria-Creativa la più orizzontale delle tecniche 
                  che si possano utilizzare. I materiali di scarto sono gratuiti 
                  e disponibili a tutti e a tutte. E questo non è un fatto 
                  da sottovalutare. La libera espressione della creatività 
                  è spesso tarpata proprio dalle difficoltà ad accedere 
                  ai colori, alla carta di pregio o a tutti gli infiniti strumenti 
                  richiesti dalle varie arti. 
                  I materiali di scarto, poi, hanno una loro bellezza intrinseca 
                  nel momento in cui stravolgi il loro contesto perché 
                  crei un effetto di straniamento. Si tratta di oggetti di uso 
                  quotidiano, che sei abituato a maneggiare, che si sono già 
                  insediati nel tuo immaginario. Noi li prendiamo e ne ribaltiamo 
                  il significato, il messaggio, il senso. Non ci limitiamo a riciclarli, 
                  ne sfruttiamo anche la carica immaginifica. E tutto questo è 
                  estremamente divertente perché ti rendi conto della grande 
                  quantità di potenzialità creative disponibili. 
                  Ti rendi anche conto che il paesaggio urbano può essere 
                  manipolato, che tu puoi intervenire, che non sei solo una pedina, 
                  la famosa e rassegnata rotella di un ingranaggio. Sì, 
                  il paesaggio lo puoi mettere sottosopra, devi solo osare, spingerti 
                  un po' oltre la consueta visione dello scrivere, del comunicare, 
                  del costruire... Un po' quello che fanno i mutoidi con gli scarti 
                  delle macchine. 
                  Inoltre continuiamo a ripetere che oggi usare materiali di scarto 
                  è assolutamente indispensabile per qualunque forma di 
                  creatività. Se compri materiale nuovo per la tua opera 
                  stai anche contribuendo alla distruzione del pianeta. Più 
                  che creativa la tua opera, appunto, diventa distruttiva, un 
                  piccolo disastro ambientale. E se non sono le persone creative, 
                  quelle che dovrebbero essere particolarmente sensibili e attente, 
                  a comprendere questa urgenza, ad anticipare un atteggiamento 
                  di profonda attenzione, anche estrema, allora chi dovrebbe farlo?” 
                   
                  Nel 1997 avete pubblicato il libro Economie 
                  alternative. Baratto, gratuità, uso libero, 
                  ospitalità generalizzata, convivialità sono i 
                  termini che voi usate. In che senso l'editoria casalinga è 
                  parte dell'economia alternativa?
                  “Sia l'editoria casalinga che l'Eco-Editoria-Creativa 
                  sono forme di autoproduzione e, secondo noi, le autoproduzioni 
                  rientrano decisamente all'interno dell'economia alternativa. 
                  Quando non deleghi più nessuno per il tuo lavoro, quando 
                  scegli il tuo progetto e lo sviluppi in totale autonomia, senza 
                  sfruttare nessuno e senza essere sfruttato da nessuno, interrompi 
                  il concetto stesso di lavoro visto come dinamica esclusivamente 
                  economica. Si tratta di una visione molto personale, ma secondo 
                  noi l'alternativa non si concretizza solo nell'usare il baratto 
                  al posto del denaro o nell'usare gli scec o altre valute 
                  alternative, ma nel lavorare esclusivamente a ciò che 
                  si ama, indipendentemente dal denaro che riesci o non riesci 
                  a guadagnarci. A volte è dura, molto dura. Ma l'economia 
                  alternativa non è un hobby da praticare nei ritagli di 
                  tempo, non è una faccenda da dopolavoro. O ci credi o 
                  non ci credi. E se ci credi la metti in pratica, diventa l'asse 
                  portante della tua esistenza. Spesso abbiamo usato i nostri 
                  libelli come moneta di scambio per ottenere olio, patate e altri 
                  prodotti, oppure li diamo a offerta libera, ma non è 
                  questo che li rende parte di ciò che noi riteniamo essere 
                  l'economia alternativa”. 
                    
                    Il fascino 
                  dell'inutile 
                  I vostri libelli si presentano spesso come “prodotti” 
                  incompiuti, il lettore può aggiungerci di suo, anche 
                  stravolgere del tutto l'originale. E non hanno copyright. Chi 
                  è il lettore al quale vi rivolgete? O meglio, le persone 
                  alle quali vi rivolgete sono riducibili alla semplice categoria 
                  dei lettori?
                  “Noi pensiamo che il copyright sia una delle più 
                  potenti limitazioni alla creatività. Molto spesso sentiamo 
                  di gente che scrive libri o fa arte con l'intento di lasciare 
                  al mondo qualcosa di sé, con l'intento di diventare immortale. 
                  Per noi scrivere e costruire un libro significa comunicare, 
                  manipolare parole, storie, oggetti... sempre tenendo conto 
                  che anche il nostro lavoro sarà a sua volta usato e riusato 
                  per entrare in una sorta di vortice creativo collettivo, una 
                  spirale di energia libera e disponibile. Altro che spirito santo, 
                  è proprio questa spirale creativa che dà la grazia, 
                  che rende la vita degna di essere vissuta. Qualunque pittore, 
                  scrittrice, cuoco, clown, fotografa dovrebbe saperlo molto bene, 
                  e dovrebbe sapere ancora meglio che ogni idea, ogni tecnica, 
                  ogni storia, ogni immagine non è mai completamente inventata. 
                  Si attinge sempre da quel vortice creativo, senza di esso non 
                  ci sarebbe creazione alcuna. Mettere il copyright a qualunque 
                  opera significa cercare di frenare questa spirale creativa, 
                  significa cercare di limitarne la proliferazione, significa, 
                  soprattutto, illudersi di poter possedere davvero ciò 
                  che si intende offrire come opera creativa. In realtà 
                  nessuno è autore di niente ed è per questo che 
                  il concetto di nome collettivo è, secondo noi, quello 
                  che si avvicina meglio ad un pensare e ad un agire realmente 
                  creativo. 
                  E poi, tutto ciò che si scrive, si dipinge, si inventa, 
                  tutto ciò che ha una carica rivoluzionaria, tutto ciò 
                  che è nuovo e dotato di energia vitale viene presto ribaltato, 
                  divorato, triturato e reso spettacolo. L'unica possibilità 
                  che resta è quella di inventare continuamente, di non 
                  attaccarsi a nulla. Ed è proprio questo il cuore e il 
                  senso della creatività: una partita dove dall'altra parte 
                  continuano a barare. Una partita che non puoi vincere, ma che 
                  puoi evitare di perdere solo se continui a giocarla, senza mai 
                  fermarti. Quindi non è che ci rivolgiamo a particolari 
                  categorie di lettori o fruitrici dei nostri libelli, ci piace, 
                  più che altro, pensare di poter partecipare a questo 
                  vortice immettendo continuamente la nostra energia”. 
                   
                  Tra i vostri libri c'è La ballata dei 
                  libri inutili. Un libro estremo, che credo vi rappresenti 
                  molto bene. Lo definite “un'antologia delle follie editoriali 
                  impossibili, impubblicabili”, “una mappa libertaria 
                  libresca che decolla verso gli orizzonti infiniti dell'invenzione... 
                  Libri che non troverebbero posto in alcun tipo di scaffale, 
                  libri dai quali non è possibile ricavare denaro, libri 
                  fatti a mano in pochissime copie che costano una fortuna, libri 
                  abbandonati sul sedile di un autobus, libri truffa, libri inesistenti, 
                  libri non replicabili, libri le cui pagine viaggiano anarchiche 
                  e selvagge solo per via postale... che non hanno senso, 
                  che evadono, cioè, dal comune senso del pudore editoriale”.
                  “Questi libri sono editorialmente inutili, sono inventati 
                  per altri scopi, seguono strade e destini che non hanno nulla 
                  a che fare con l'immaginario libresco imperante. I libri inutili 
                  sono una sorta di utopia del libro, un'era fanta-editoriale 
                  che, però, resta sempre dietro l'angolo, fruibile e realizzabile, 
                  anzi, a volte anche realizzata ma invisibile. 
                  L'inutile è un concetto che ci ha sempre affascinato”.
                  
                
    “Linguaggi 
                  inventati e brulicanti neologismi” 
                  I vostri libri sono gioiosamente sovversivi e il riferimento 
                  all'anarchia è costante. Come convive il pensiero politico, 
                  che è razionale e coerente al suo interno, con la bizzarria 
                  dell'editoria casalinga?
                  “In un mondo appiattito dall'omologazione e dalla serialità 
                  della produzione e del pensiero, tutto ciò che evade 
                  e propone una qualsiasi forma di creatività o di invenzione, 
                  appare come qualcosa di deviante e bizzarro, fuori dalle righe, 
                  fuori dal comune sentire e interpretare la realtà. Ma 
                  questo non significa affatto che stiamo parlando di incoerenza 
                  o di faccende non sostenibili o non praticabili. 
                  Secondo noi il pensiero anarchico è invenzione, creazione 
                  e rimodellamento continui. Senza queste caratteristiche è 
                  impossibile pensare e praticare la realizzazione dell'utopia, 
                  di ciò che ancora non esiste”. 
                   
                   Nella 
                  presentazione di “Postwriting – Oltre la scrittura 
                  creativa” voi dite che l'editoria creativa è per 
                  chi “ha abbandonato la zavorra dello scrivere bene, per 
                  chi ricerca l'illuminazione sub-letteraria, analfabeta, extrasintattica... 
                  piroettando tra i linguaggi inventati e i brulicanti neologismi”. 
                  La sovversione delle parole va di pari passo con quella dei 
                  materiali, a quanto pare. 
                  “Sì! La sovversione delle parole, la diserzione 
                  del senso, più che altro l'invenzione, il gioco, la sperimentazione... 
                  È così triste scorrere i manuali di scrittura 
                  creativa, di business writing, di composizione letteraria, pare 
                  che tutto, tutti gli effetti, le sorprese, le visioni, i ritmi 
                  che possono scaturire da un testo siano solo il risultato di 
                  una regola o di una tecnica. È tutto scritto e catalogato, 
                  basta studiare la lezione. Noi, invece, ci rifacciamo all'improvvisazione, 
                  alla musicalità, alla ricerca delle infinite possibili 
                  varianti. Certo, ci vuole una grande confidenza, un grande amore 
                  per il mezzo che stai utilizzando, e poi, purtroppo, ci vogliono 
                  anni per decondizionarsi da quello scrivere bene che ti censura 
                  proprio sul più bello. I nostri testi nascono dall'esigenza 
                  di raccontare quello che non c'è, ma soprattutto cerchiamo 
                  di realizzarli in modo da farci sentire. Un testo deve farsi 
                  sentire, deve urlare in mezzo ad un bombardamento di parole 
                  che martellano da ogni angolo. Un testo autoprodotto, poi, deve 
                  urlare ancora più forte perché parte handicappato, 
                  parte snobbato. Ma se ci riesci, se il tuo linguaggio, la tua 
                  grafica, le tue invenzioni riescono a farsi sentire, allora 
                  ti accorgi che la gente c'è, che non è affatto 
                  vero che il lavaggio del cervello è riuscito ad appiattire 
                  ogni speranza di cambiamento. E ancora di più ti accorgi 
                  che se non riesci a farti sentire, a comunicare, la responsabilità 
                  è solo tua. 
                  Perché il punto è che i comunicatori professionisti, 
                  quelli che lavorano perché questo mondo resti sottomesso, 
                  studiano e si applicano giorno e notte per ottenere i risultati 
                  che ottengono, per manipolare il nostro immaginario. E allora 
                  si comprende quanto sia puerile pensare di fargli concorrenza 
                  nei ritagli di tempo, con un'attività hobbistica. O ancora 
                  peggio cercare di tenere il piede in due scarpe”. 
                   
                  Vi è mai venuta la tentazione di tenere per voi 
                  tutto quello che create? I vostri libri sono davvero irripetibili. 
                  Separarsene significa rinunciare a una parte di sé.
                  “No, assolutamente no! Sarebbe come, per chi ama parlare 
                  con la gente, voler tenere tutte le parole per sé. Non 
                  avrebbe alcun senso. Sarebbe come fare delle meravigliose torte 
                  vegan ogni giorno e volerle tenere tutte per sé, poi 
                  andrebbero a male, andrebbero sprecate... e anche a mangiarsele 
                  tutte da soli ti farebbero venire solo un gran mal di pancia!” 
                   
                  Claudia Vio 
                 
                  Note 
                  Per vedere con i propri occhi, subito, i libelli dei Troglodita 
                  Tribe: http://trogloditatribe.wordpress.com 
                   
                  “Liber – i libri liberi”, il salone dell'editoria 
                  creativa e delle autoproduzioni, è stato organizzato 
                  a Milano nel 2011 e nel 2012 dalla Casa Editrice Libera e Senza 
                  Impegni, ovvero Federico Zenoni, che ha realizzato varie “co-produzioni” 
                  con i Troglodita Tribe. Per saperne di più: 
                  http://www.libersalone.altervista.org.
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